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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
20.10.2011 La propaganda degli ex detenuti palestinesi
sostengono di essere stati trattati peggio di Gilad Shalit a Gaza. Giordano Stabile non li contraddice, perchè?

Testata:La Stampa - La Repubblica
Autore: Giordano Stabile - Redazione di Repubblica
Titolo: «Tra i palestinesi liberati: noi non perdoniamo - 'Estorta l'intervista a Shalit'. Israele protesta con l'Egitto»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 20/10/2011, a pag. 21, l'articolo di Giordano Stabile dal titolo " Tra i palestinesi liberati: noi non perdoniamo ". Da REPUBBLICA, a pag. 21, la breve dal titolo " 'Estorta l'intervista a Shalit'. Israele protesta con l'Egitto ".

Cliccando sul link sottostante, è possibile vedere e ascoltare l'intervento di Fiamma Nirenstein alla Camera in occasione della liberazione di Gilad Shalit

http://www.facebook.com/photo.php?v=264028733639570&set=vb.100000973369659&type=2&theater

Ecco i pezzi, preceduti dai nostri commenti :

La STAMPA - Giordano Stabile : " Tra i palestinesi liberati: noi non perdoniamo"


Gilad Shalit

Gli ex detenuti palestinesi tornati a casa diffondono la loro propaganda e il loro odio per Israele. Alcuni di loro sostengono di essere stati maltrattati in carcere, dichiarano che Gilad Shalit di sicuro è stato meglio di loro.
A sostenerlo è un palestinese che scontava una pena per omicidio al quale è stato permesso, sempre, di vedere i parenti e di essere visitato da medici. Anche Gilad Shalit ha potuto vedere i suoi genitori durante la sua prigionia? Anche Gilad Shalit è stato messo in prigione per aver commesso qualche crimine?
Anche Gilad Shalit è stato visitato dai medici?
Anche Gilad Shalit ha potuto rilasciare interviste con media internazionali durante questi cinque anni?
La risposta a queste domande è sempre la stessa, no.
Sul fatto che i palestinesi, una volta tornati a casa, avrebbero rilasciato dichiarazioni di questo genere, non c'erano dubbi. A lasciare perplessi è la totale mancanza, da parte di Giordano Stabile, di un commento al riguardo. Nessuna smentita, nessun richiamo a Gilad Shalit se non quelli fatti dai terroristi. Come se le parole di un terrorista valessero più della realtà dei fatti, e cioè che Shalit è stato rapito e nascosto non si sa dove per un quinto della sua vita, sorvegliato dai terroristi di Hamas e senza la possibilità di avere contatti con la sua famiglia, nè con la Croce Rossa Internazionale. I palestinesi erano in carcere per aver commesso dei crimini. Regolarmente processati, hanno goduto di tutti i diritti ed è stato permesso loro di ricevere visite.
Ecco l'articolo:

L’ accampamento del comitato pro Gilad Shalit, nel cuore di Gerusalemme vecchia, è abbandonato. Resta qualche tenda, gli striscioni con il volto del caporale, le sagome di lui con la divisa. Ormai inutili, lontanissime nel tempo, anche se la liberazione è arrivata appena da 24 ore. A un paio di chilometri in linea d’aria, nel campo profughi di Kalandia, altri striscioni sovrastano le viuzze strette, marciapiedi di cemento scrostato che si arrampicano sulla collina, legati da una finestra di una casa a quella di fronte, o a un ramo di qualche albero di gelso che spunta da un cortiletto. Foto e scritte in arabo che esaltano i prigionieri palestinesi tornati a casa.

Davanti a quella di Sana Shehadeh, in uno slargo, hanno piazzato un tendone e sotto una fila di sedie di plastica. C’è un viavai di gente. I parenti offrono caffè, dolcetti, baklawi. Strette di mano, congratulazioni. Qualcuno viene ammesso alla casa. Uno stanzone unico, fuori mattoni a vista, niente intonaco. Dentro tappeti e, su tre lati, poltrone di velluto. Seduta là centro c’è Shehadeh, 35 anni, al secondo giorno di libertà. Doveva scontare tre ergastoli. Nel 2002 fece da autista al kamikaze che si fece esplodere in King Street, a Gerusalemme vecchia, a un paio di chilometri in linea d’aria. Tre morti, decine di feriti. Il volto scavato, indurito, con gli occhi neri sprofondati nelle occhiaie, è quello delle foto sugli striscioni, avvolto in un velo viola arabescato, sopra una tunica marrone. Siede compostissima, attorniata da familiari. Non vuol parlare. S’irrigidisce. Con una carta d’identità israeliana per palestinesi, la carta verde, ha poche possibilità di movimento, e non vuol fare passi falsi. «I miei otto anni in prigione? Sono sicura che Gilad Shalit è stato trattato meglio di me». Un cugino quasi si scusa. «È stanca, frastornata. La pace? Noi la vogliamo. Ma ci vorrebbe un miracolo, non crediamo più alle trattative. È passato troppo tempo».

Più a est, dopo la spianata di terra e macerie che doveva essere l’aeroporto di Ramallah, una serie di striscioni in una via di case popolari appena costruite indica un altro prigioniero rilasciato. C’è il tendone, in un cortile. Le seggiole, i parenti, gli amici. Ahmad Amireh, 43 anni, ne ha passati 24 nelle carceri israeliane, per aver fatto parte di un commando che uccise un militare. È seduto accanto al padre: «Per vent’anni l’ho visto attraverso un vetro. Solo lui e mia madre. Nessun altro. Mi hanno tagliato fuori da tutto. Gilad Shalit? Lui era un soldato, era di pattuglia, è diverso. A me sono venuti a prendermi, di notte, in casa mia. Solo perché ero un attivista del Palestinian Democratic Party. Il Feda. E protestavo contro l’occupazione. Gilad Shalit? L’hanno trattato meglio di quanto sono stato trattato io. Al cento per cento. Non ho visto un avvocato per mesi. Mi legavano a una sedia e picchiavano. Stavo in un buco di cella. Solo dopo la condanna le cose sono andate meglio. Se sono contro il terrorismo? Per loro anche chi protesta è un terrorista. E allora come la mettiamo? Io non posso dimenticare né perdonare».

Per tornare indietro, verso Gerusalemme vecchia, bisogna costeggiare un pezzo del Muro. La barriera costruita anche dopo attentati come quello di King Street. Per la strada i resti dei petardi sparati per festeggiare, martedì. Più in là si vedono i palazzi lindi, nuovi di zecca, dell’insediamento di Pisgat Zeev, oltre la linea di confine del 1967. Al centro di un contenzioso inconciliabile. Oltre il Muro, la barriera, il rilascio dei primi 477 prigionieri palestinesi ha riaperto ferite, riacceso angosce. Due coloni di un insediamento poco distante, quello di Yitzhar, accanto a Nablus, hanno messo una taglia da 100 mila dollari sui due palestinesi che 13 anni fa uccisero loro figlio, liberati anche loro in cambio di Gilad. La gioia per il rilascio del caporale è già lontana nel tempo. «Sono felice per lui – dichiara Frimet Roth, madre della quindicenne Malki, uccisa nell’attentato alla pizzeria Sbarro del 2001 -. Provo sollievo. Ma ci sono anche altri sentimenti. Sgomento. Rabbia. Dobbiamo aver tempo per digerirli. E anche paura. Che possano colpire di nuovo. Io ho molta paura. Non sarà il ritorno di Gilad a darci il miracolo della pace».

La REPUBBLICA - " 'Estorta l'intervista a Shalit'. Israele protesta con l'Egitto"


Shahira Amin

Secondo la redazione di Repubblica, i terroristi (non miliziani, come sempre scrive Repubblica) di Hamas che hanno accompagnato Gilad Shalit all'intervista con Shahira Amin si sarebbero allontanati durante il colloquio. Peccato che foto dimostrino il contrario (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=120&id=41883).
Ecco la breve:

L'intervista della Tv pubblica egizia-naaGiladShalit, subitodopolasualiberazione, maquando ancora non aveva raggiunto Israele e riabbracciato la sua famiglia, rischia di trasformarsi in una fonte di nuove polemichetra i due paesi che, proprio intorno alla liberazione del soldato ottenuta grazie alla mediazione del Cairo, avevanoritrovato una certa armonia dopo mesi di tensione. Ladiscussioneruotaintornoalladomanda: eraopportuno, viste le condizioni in cui si trovava Shalit, chiedergli di rispondere alle domande della giornalista Shahira Amin, o, come ha dichiarato un responsabile israeliano, si è trattato di «un'intervista forzata, in violazione delle regole deontologiche elementari del giornalismo»? Criticata peravercondotto l'intervista, ShairaAmin, 52 anni, ha difeso il suo scoop, sostenendo di aver chiesto a Shalit se se la sentiva di rispondere alle sue domande «e — ha aggiunto — se si fosse rifiutato non avremmo insistito». In secondo luogo, ha definito il suo operato una «scelta professionale». Shahira ha confermato che Shalit era stato accompagnato nello studio improvvisato nella terra di nessuno al valico di Rafah da due miliziani di Ha-mas che, però, al momento dell'intervista, si sarebbero allontanati.

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