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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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L'Unità - Il Manifesto Rassegna Stampa
19.10.2011 Gilad Shalit: i diffamatori all'attacco
Umberto De Giovannangeli, Michele Giorgio, Marco D'Eramo non perdono nemmeno questa occasione

Testata:L'Unità - Il Manifesto
Autore: Umberto De Giovannangeli - Michele Giorgio - Marco D'Eramo
Titolo: «Il vero vincitore? È il partito trasversale della trattativa - Lo scambio di prigionieri è andato a buon fine - Fattori di conversione e algebra umana»

Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 19/10/2011, a pag. 21, l'articolo di Umberto De Giovannangeli dal titolo "  Il vero vincitore? È il partito trasversale della trattativa". Dal MANIFESTO, a pag. 9, gli articoli di Michele Giorgio e Marco D'Eramo titolati "  Lo scambio di prigionieri è andato a buon fine" e " Fattori di conversione e algebra umana".
(a destra, 'Amiamo i nostri ragazzi più di quanto odiamo i nostri nemici')
Ecco gli articoli, preceduti dai nostri commenti :

L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Il vero vincitore? È il partito trasversale della trattativa "


Mahmoud Abbas con Yasser Arafat

Udg coglie l'occasione della liberazione di Gilad Shalit per attaccare Lieberman e lodare Mahmoud Abbas (Abu Mazen) : "Ingeneroso, e politicamente errato, sarebbe affiancare a Lieberman, nell’albo dei vinti, Abu Mazen. In questa vicenda, il raìs palestinese è un «non perdente», e lo è perché, come sottolineato dai suoi più stretti collaboratori, può affermare che anche gli irriducibili di Hamas «hanno dovuto seguire la strada del negoziato con Israele». ". La via scelta da Abu Mazen per i suoi rapporti con Israele non è quella del negoziato, come dimostrato dal fallimento delle ultime trattative. Fallimento dovuto al rifiuto di Abu Mazen di raggiungere una qualunque forma di compromesso.
Come scrive anche Lucio Caracciolo su Repubblica, Abu Mazen è il vero sconfitto di questa situazione. Il fatto che Hamas questa volta abbia 'negoziato', richiedendo la scarcerazione di 1027 criminali e terroristi in cambio della libertà di Gilad Shalit non significa che lo farà ancora in futuro, nè che un giorno riconoscerà Israele.
Ecco l'articolo:

Ora che Gilad Shalit è tornato a casa, ci si chiede chi siano i vinti e chi i vincitori dello «scambio del secolo». Ora che i primi 477 dei 1027 palestinesi liberati in cambio del caporale di Tsahal, sono tornati a Gaza e in Cisgiordania, è iniziata la disputa politica tra Hamas e l’Anp su chi esce davvero rafforzato da una vicenda lunga 1940 giorni. A vincere sono certamente in tre: Benjamin Netanyahu, Hamas e l’Egitto.
Tra i vinti, almeno stavolta, c’è il super falco della destra israeliana, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, colui che ha definito lo scambio di prigionieri un «cedimento ai terroristi». Ingeneroso, e politicamente errato, sarebbe affiancare a Lieberman, nell’albo dei vinti, Abu Mazen. In questa vicenda, il raìs palestinese è un «non perdente», e lo è perché, come sottolineato dai suoi più stretti collaboratori, può affermare che anche gli irriducibili di Hamas «hanno dovuto seguire la strada del negoziato con Israele». «Il presidente Abu Mazen si felicita calorosamente della conclusione dell’accordo di scambio che è un successo nazionale palestinese», sostiene il capo negoziatore dell’Anp, Saeb Erekat.
Un successo che in molti, troppi, rivendicano a sé, in termini assoluti.A cominciare da Hamas. Il movimento islamico, al potere nella Striscia di Gaza, aveva bisogno di un «evento», politico e mediatico, che oscurasse o comunque fosse all’altezza del «trionfo», politico e mediatico, conquistato da Abu Mazen, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Per centrare l’obiettivo,Hamas ha dovuto rivedere la lista dei liberati, rinunciando ad alcuni esponenti di primo piano del fronte radicale palestinese.
Oltre 100mila palestinesi hanno accolto a Gaza una parte dei 477 «eroi» che hanno riconquistato al libertà. Quella folla in delirio racconta una verità con cui Israele ha dovuto fare i conti: Hamas è parte significativa della società palestinese; unaparte che non puòessere cancellata con la forza militare. Ma Hamas non è un monolite, al suo internoc’è un’ala più «pragmatica», sociale, che guarda con attenzione alla Turchia di Erdogan piuttosto che all’Iran di Ahmadinejad: la stretta sullo scambio, è indubbiamente una vittoria dei «turchi» di Hamas, che hanno nel «primo ministro» di Gaza, Ismail Haniyeh, il loro riferimento principale.
A uscire rafforzato dalla «diplomazia dello scambio» è anche l’Egitto del dopo-Mubarak, non a caso stretto alleato di Ankara sullo scacchiere mediorientale. I vertici politici e militari israeliani hanno riconosciuto pubblicamente il ruolo decisivo avuto dall’Egitto nella chiusura dell’accordo con Hamas. È il segnale di un recupero nel rapporto tra Tel Aviv e Il Cairo, incrinatosi, senza mai rompersi del tutto, con l’assalto all’ambasciata dello Stato ebraico nella capitale egiziana. Ha vinto Netanyahu, perché i sondaggi della vigilia indicavano che il 70% degli israeliani concordano con lo scambio, e vince perché a livello internazionale ritrova creditocomeleader pragmatico, disposto anche a concessioni. Il Quartetto sul Medio Oriente (Usa, Onu, Russia, Ue) ha annunciato la ripresa, il 26 ottobre, di incontri, per il momento separati, con Israele e Anp. La macchina del dialogo sembra, sia pur faticosamente, rimettersi in moto. È una buona notizia, tutt’altro che scontata.
In Medio Oriente vige un assunto corroborato dalla storia: quando la diplomazia e la politica latitano, quel vuoto è subito riempito da quanti mirano a chiudere, spesso col sangue, ogni spazio di dialogo. Con l’arma del terrore - le fazioni radicali palestinesi - o con l’illusione - alimentata nello Stato ebraico dagli oltranzisti - che la sicurezza d’Israele possa fondarsi sulla potenza di fuoco di Tsahal. Ambedue si sono rivelate scorciatoie tragicamente illusorie. Il negoziato non ha alternative. Il ritorno a casa del soldato Shalit, la liberazione dei prigionieri palestinesi, raccontano questa verità. Una «verità» che va coltivata, rafforzata da atti concreti che ne confermino l’efficacia. Israeliani e Palestinesi, nella loro maggioranza, reclamano la pace, agognano una vita normale, e per ottenerla sanno di doversi incontrare a metà strada.
Sanno, per dirla con Amos Oz, che l’essenza di questa tragedia mediorientale è che a scontrarsi non è il Bene contro il Male, il Torto contro la Ragione, ma due ragioni,due diritti egualmente fondati. I due popoli hano bisogno di leadership coraggiose, lungimiranti. La speranza è che la «diplomazia dello scambio» ne sia l’avvisaglia.

Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " Lo scambio di prigionieri è andato a buon fine "


Michele Giorgio, la terrorista Amna Muna

Il titolo del pezzo è scorretto. Gilad Shalit era un prigioniero. I 1027 palestinesi erano carcerati, stavano scontando una pena dopo essere stati processati e ritenuti colpevoli. Il Manifesto cerca di metterli tutti sullo stesso piano, ma non è così. Gilad Shalit è stato rapito sul suolo israeliano da terroristi di Hamas, non era in carcere per scontare una pena.
Giorgio scrive : "
Anni di trattative fallite più volte, segnati dalla davastante offensiva israeliana contro Gaza alla fine del 2008 e giunti a un improvviso quanto sorprendente accordo la scorsa settimana". La guerra a Gaza è stata la risposta israeliana al continuo lancio di razzi da parte di Hamas. Non ha attinenza col sequestro di Gilad Shalit.
Giorgio continua : "
a Gaza city, i leader di Hamas salutavano con un ricevimento grandioso i detenuti politici scarcerati da Israele". Come già ribadito, i detenuti palestinesi sono stati incarcerati dopo aver subito regolari processi ed essere stati riconosciuti colpevoli. A meno che per Giorgio far esplodere ordigni in locali affollati assassinando decine di persone, prendere parte ad attentati, commettere omicidi significhi essere 'detenuti politici'.
Giorgio scrive : "
Troppo spesso è stata spiegata, qui e all’estero, semplicemente come una lotta tra «il bene e il male », tra uno Stato democratico che si difende e una organizzazione terroristica, tra una famiglia che rivoleva a casa il figlio «tenuto ostaggio» e un gruppo di «assassini » che voleva sfuggire ad una giusta punizione". Proprio di questo si tratta, di una democrazia che si difende da un'associazione terroristica. Di un ragazzo israeliano rapito e tenuto ostaggio e 1027 criminali che sono riusciti a sfuggire alla loro pena in carcere. Giorgio snocciola, come al solito, numeri e scrive : ".Ma i prigionieri palestinesi, e ne rimangono ancora 5.000 nelle carceri israeliane, non sono tutti responsabili di attentati ". Nelle carceri israeliane ci sono anche criminali comuni. E, adesso, grazie ad Hamas, ci sono 1027 terroristi in libertà. Giorgio critica Israele per non averli liberati tutti, ma dovrebbe chiedere spiegazioni ad Hamas, dato che la lista di nomi l'hanno fatta i terroristi della Striscia. Non è stato Israele a scegliere i nomi di chi liberare in cambio di Gilad Shalit. 
Giorgio scrive : "
Ad alimentare, inconsapevolmente, la lettura deformata di questa vicenda è stato anche Ghilad Shalit. Esile, occhi bassi, il volto dello studente secchione, il militare catturato nel 2006 nei pressi di Kerem Shalom ha dato una immagine mite all’esercito israeliano, uno dei più potenti e meglio armati al mondo. Forze Armate altamente tecnologiche". Insomma, Gilad Shalit ha la faccia troppo 'buona', dà un'immagine sbagliata di Tzahal. L'esercito israeliano non può avere un'immagine positiva, non sarebbe compatibile con l'idea di esercito di occupazione ed oppressione che Giorgio ama contrabbandare per verità ai suoi lettori.
Giorgio conclude il suo pezzo con queste parole : "
A rallentare di un’ora le operazioni di rilascio è stato il rifiuto di due prigioniere residenti in Cisgiordania di andare al confino a Gaza: Amna Muna, condannata all’ergastolo dal 2003, e Mariam al- Tarabin, in carcere dal 2005 dopo una condanna a otto anni. Le due donne alla fine hanno accettato l’esilio in altri paesi: Muna dovrebbe andare in Giordania". E' incredibile il modo in cui Giorgio, sempre attento ai presunti crimini commessi da Israele, sia riuscito a glissare sul personaggio di Amna Muna. La terrorista è responsabile dell'assassinio di un 16enne israeliano. Dopo averlo adescato su internet lo assassinò a sangue freddo e non ha mai dimostrato di essersi pentita di ciò che ha fatto. Ma per Giorgio è solo 'Muna', anonima. Era una prigioniera politica anche lei? Persino Repubblica ha descritto ai lettori per quale motivo era in carcere e perchè la sua scarcerazione sia costata così tanto a Israele.
Ecco l'articolo:

Nello spazio di poche ore, ieri si è materializzato lo scambio di prigionieri tra Israele e Hamas e si è chiusa una vicenda durata oltre cinque anni. Anni di trattative fallite più volte, segnati dalla davastante offensiva israeliana contro Gaza alla fine del 2008 e giunti a un improvviso quanto sorprendente accordo la scorsa settimana. Il caporale Ghilad Shalit, promosso sergente lunedì sera, è stato liberato daHamas e, passando per l’Egitto, è rientrato a casa a Mitzpeh Hila, il suo villaggio in Alta Galilea affollato ieri di troupe televisive giunte da tutto il mondo e dimigliaia di sostenitori. Nelle stesse ore a Gaza city, i leader di Hamas salutavano con un ricevimento grandioso i detenuti politici scarcerati da Israele, mentre a Ramallah il presidente dell’Anp Abu Mazen ribadiva davanti ad un gruppo di prigionieri e a una folla di migliaia di persone l’impegno a costruire uno Stato palestinese indipendente. Tante parole e una affollata copertura giornalistica anche ieri hanno alterato una storia, non infrequente nel Vicino Oriente, che invece deve essere raccontata in tutti i suoi aspetti. Troppo spesso è stata spiegata, qui e all’estero, semplicemente come una lotta tra «il bene e il male », tra uno Stato democratico che si difende e una organizzazione terroristica, tra una famiglia che rivoleva a casa il figlio «tenuto ostaggio» e un gruppo di «assassini » che voleva sfuggire ad una giusta punizione.Ma i prigionieri palestinesi, e ne rimangono ancora 5.000 nelle carceri israeliane, non sono tutti responsabili di attentati. In cella ci sono, ad esempio, anche degli adolescenti – lo ricordava proprio ieri Defence for Children – e palestinesi agli «arresti amministrativi», ossia incarcerati per mesi (talvolta per anni) su ordine delle autorità militari sulla base di semplici indizi e mai processati. Nei Territori il semplice far parte di una organizzazione politica ritenuta terroristica dalle forze di occupazione può costare anni di carcere. Ad alimentare, inconsapevolmente, la lettura deformata di questa vicenda è stato anche Ghilad Shalit. Esile, occhi bassi, il volto dello studente secchione, il militare catturato nel 2006 nei pressi di Kerem Shalom ha dato una immagine mite all’esercito israeliano, uno dei più potenti e meglio armati al mondo. Forze Armate altamente tecnologiche in grado compiere con l’aviazione gli «omicidi mirati» di «terroristi» veri e presunti: palestinesi condannati di fatto a morte che non potranno mai difendersi in un’aula di tribunale. Oggi Gaza sarà uguale a ieri, nonostante la liberazione di Ghilad Shalit. Una fonte autorevole citata dalla radio statale israeliana ha chiarito che il blocco navale e tutte le restrizioni e misure di sicurezza ai valichi non verranno revocate. Ieri però hanno festeggiato tutti. Shalit al quale il suo villaggio Mitzpeh Hila, in Alta Galilea, e la sua famiglia hanno riservato una accoglienza straordinaria, fatta di canti, danze e lanci di fiori. «Mi è rinato un figlio», ha detto il padre Noam. E anche i 477 detenuti palestinesi scarcerati (450 uomini e 27 donne). Quelli confinati a Gaza non hanno impiegato molto a capire che da una piccola prigione sono passati in una prigione più grande, a cielo aperto. Shalit è stato accompagnato intorno alle 8 da Hamas a Rafah, al confine tra Gaza e l’Egitto. A trasmettere le prime immagini del soldato libero è stata la tv egiziana. Alle sue spalle c’era Ahmed Jaabari, comandante militare di Hamas. Durante un’intervista, il soldato, apparso in buone condizioni di salute, ha detto di aver saputo dell’accordo una settimana fa. Dicendosi felice per la liberazione di prigionieri palestinesi - ma, ha precisato, «a condizione che tornino alle loro famiglie e abbandonino la lotta» - , ha aggiunto di sperare che lo scambio tra Israele e Hamas «aiuti il processo di pace». Poi è stato portato in elicottero alla base israeliana nei pressi di Kerem Shalom e infine all’aeroporto militare di TelNof, vicino Tel Aviv dove ha riabbracciato i genitori, il fratello Yoel e la sorella Hadas. Qui hanno preso la parola il premier Netanyahu – che ha difeso l’accordo con Hamas dalle critiche, definendolo «il migliore possibile» – e il ministro della difesa Ehus Barak. Infine, sempre in elicottero, Shalit ha raggiunto Mitzpeh Hila. Ad accogliere i prigionieri palestinesi è stata la Croce rossa internazionale. I detenuti sono stati portati con i bus alle prime ore del giorno a Kerem Shalom, al confine con l’Egitto, e nella basemilitare di Ofer, vicino Ramallah. Le autorità del Cairo hanno preso in consegna inoltre una quarantina di prigionieri e limanderanno in esilio in Siria, Qatar e Turchia. I detenuti giunti a Ofer sono stati liberati in Cisgiordania poco prima di mezzogiorno: numerosi autobus sono arrivati a Ramallah dove si è tenuta la cerimonia di benvenuto alla Muqata, con il presidente AbuMazen e lo speaker del Parlamento Abdel AzizDweik (Hamas). Al valico di Beitunya sono divampati scontri tra palestinesi e militari israeliani quando si è saputo che i bus con i prigionieri liberati sarebbero passati per un’altra località. Folla in deliro a Gaza City, in piazza della Katiba, dove i detenuti (con fasce verdi e il tricolore palestinese), arrivati con otto autobus, sono stati scortati da tre automezzi militari di Hamas e accolti dal premier Ismail Haniyeh e da 200.000 persone. Nel suo discorsoHaniyeh ha annunciato una «sorpresa», ossia l’ingresso nella Striscia diMusa Abu Marzuk, il numero due del movimento in esilio a Damasco. A rallentare di un’ora le operazioni di rilascio è stato il rifiuto di due prigioniere residenti in Cisgiordania di andare al confino a Gaza: Amna Muna, condannata all’ergastolo dal 2003, e Mariam al- Tarabin, in carcere dal 2005 dopo una condanna a otto anni. Le due donne alla fine hanno accettato l’esilio in altri paesi: Muna dovrebbe andare in Giordania, al- Tarabeen in Egitto.

Il MANIFESTO - Marco D'Eramo : " Fattori di conversione e algebra umana "


Marco D'Eramo, Gilad Shalit fra Bibi Netanyahu e suo padre Noam

Marco D'Eramo rileva il fatto che Israele, pur di riavere Gilad Shalit a casa, sia stato disposto a cedere 1027 terroristi. Questo fatto avreppe potuto scalfire l'immagine negativa che il quotidiano di Rocca Cannuccia dà dello Stato ebraico ogni giorno. Perciò, con un tentativo maldestro e mal riuscito, cerca di convincere che lo scambio c'è stato perchè per Israele i palestinesi valgono poco, sono merce di scambio da poco prezzo : "Un israeliano scambiato per 1.027 palestinesi.(...) Ovvero: un palestinese vale 0,00097 israeliani. In termini di peso, un palestinese vale 77 grammi di un israeliano di 80 kg". In realtà, la filosofia dietro allo scambio di Gilad Shalit coi 1027 terroristi palestinesi è ben descritta dall'illustrazione in alto a destra in questa pagina : "We love our children more than we hate our enemies " (amiamo i nostri ragazzi più di quanto odiamo i nostri amici). Un ragionamento al di fuori della portata dell'odiatore Marco D'Eramo, troppo occupato a fare equazioni assurde per comprenderlo.
Ecco il suo articolo:

Un israeliano scambiato per 1.027 palestinesi.Due israeliani scambiati per 81 egiziani. Ovvero: un palestinese vale 0,00097 israeliani. In termini di peso, un palestinese vale 77 grammi di un israeliano di 80 kg. Un egiziano invece valedi più: ben 0,0246 israeliani (un israeliano è scambiato per 40,5 egiziani), ovvero pesa 1,975 kg di un israeliano di 80 kg. Ma in quest’algebra umana, si possono effettuare altre operazioni: applicando la proprietà transitiva, si scopre che 41 egiziani valgono (per Israele) 1.027 palestinesi. Ovvero: 1 egiziano equivale a 25,045 palestinesi. In termini di peso, un palestinese vale 3,19 kg di un egiziano di 80 kg. Non è la prima volta nella storia che si usano tavole di conversione. Per esempio, se togliere una vita rende negativa l’unità e la fa precedere da un segnomeno (–), allora per laGermania nazista, durante la guerra, – 1 tedesco equivaleva a – 10 cittadini occupati (cioè ogni tedesco ucciso doveva esere risarcito da 10 morti nemiche): così il 24 marzo 1944 alle Fosse ardeatine 335 romani furono uccisi per «bilanciare» lamorte di 33 soldati tedeschi il giorno prima. Anche nell’attuale caso delMedio Oriente, si può supporre che il fattore di conversione stabilito per scambiare i prigionieri valga anche col segnomeno. Approssimativamente è già vero: cioè già oggi è dell’ordine delle migliaia di morti palestinesi il fattore di conversione per la morte di unità israeliane. Bisognerebbe proporre di estendere l’uso del fattore di conversione ad altri conflitti e in base ai risultati ottenuti ridisegnare la carta del mondo, un po’ come fanno da tempo i cartografi dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales a Parigi, che dilatano o contraggono le superfici degli stati e dei continenti in proporzione al loro Pil, o alla loro parte nel commercio internazionale: con questi criteri l’Italia diventa grande come un terzo d’Africa e l’Africa si riduce a un mignolino. Si potrebbe applicare l’algebra umana alla guerra in Iraq e vedere a quantimorti iracheni equivalgono i 4.796 soldati americani uccisi o, se si considera quella guerra come cieca (e per altro ingiustificata) vendetta per l’11 settembre 2011, aggiungervi anche le 2970 vittime di quegli attentati. Si scoprirebbe che anche qui il fattore di conversione è dell’ordine di grandezza del centinaio, cioè di un centinaio di iracheni uccisi per ogni americano morto. Non sempre quest’algebra umana è cosciente e precisa. Più spesso è inconscia e all’ingrosso. Così, una catastrofe in Africa non è nemmeno presa in considerazione se non viene declinata in milioni di vite (africane): ben lo sanno le ong che devono raccogliere fondi per i sinistrati e che a questo scopo gonfiano ormai da anni le dimensioni dei disastri nel Terzo mondo, che altrimenti cadrebbero nell’indifferenza generale: segnalo l’interessante articolo di David Rieff sull’ultimo numero di Foreign Policy, dal titolo espressivo: «Milioni muoiono.. o forse no. Come pompare i disastri è diventato un grande business globale». Come si vede, l’algebra umana è una disciplina in pieno, e promettente, sviluppo.

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