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Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 19/10/2011, a pag. 15, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Israele si sveglia all’alba per l’abbraccio a Shalit ", l'articolo di Fausto Biloslavo dal titolo " L’ordine segreto: sparate sui rapitori e sui rapiti ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Il soldato è a casa, ma Israele ha ipotecato molte vite innocenti ", l'articolo di Pio Pompa dal titolo " Quella volta che si poteva salvare Shalit, ma si perse tempo ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 17, l'articolo di Meir Shalev dal titolo " Salvare anche un solo uomo, ecco la forza di Israele ". Dall'OPINIONE, a pag. 6, l'articolo di Stefano Magni dal titolo " Idf e Shin Bet si chiedono perché non lo abbiano liberato loro ". Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Israele si sveglia all’alba per l’abbraccio a Shalit "
Israele ha messo la sveglia alle 5 di mattina per non perdere un attimo del ritorno di Gilad Shalit. Del corpo vivo di Gilad. Voleva, tutto quanto, assistere alla realizzazione della grande promessa di Israele, che dice: «Madre che temi per il tuo figliolo soldato, e qui una guerra può sempre accadere, non sarai abbandonata in nessun caso, nemmeno nella situazione più estrema». Voleva vedere la tradizione ebraica farsi politica con tutta la sua concezione utopistica, quella per cui ogni uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, vale tutto, e in ogni circostanza. E questo in particolare dopo che a mucchi, a schiere che restavano senza nome, gli ebrei sono stati sbriciolati dalle persecuzioni e dalla Shoah. Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Il soldato è a casa, ma Israele ha ipotecato molte vite innocenti "
E’ impossibile oggi non stringersi attorno alla silhouette sottile e fragile di Gilad Shalit, il caporale israeliano che ieri ha riabbracciato la famiglia in cambio di mille terroristi palestinesi. Lo scambio è emblematico dell’assedio del piccolo popolo ebraico nel mare del fanatismo arabo islamico. Ma l’allegria per la liberazione è concessa soltanto a chi ha la memoria corta. Nell’antinomia tragica dello scambio la deterrenza israeliana è radicalmente compromessa. Non passerà molto tempo prima che Hamas cercherà di rapire altri soldati. Nel 2006 Hezbollah rapì, assassinò e scambiò le salme di due soldati israeliani dopo che alcuni anni prima aveva visto liberare migliaia di miliziani in cambio di qualche povero cadavere ebraico. L’obiettivo, dice oggi Hamas, è “svuotare le carceri israeliane” e i nomi in cima alla lista sono il capopopolo Marwan Barghouti, l’assassino di settanta civili israeliani Ibrahim Hammed, il “meccanico”dei kamikaze Abdullah Barghouti e il capo del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, Ahmed Saadat. Non passerà molto tempo prima che i terroristi liberati tornino a uccidere. L’associazione Almagor calcola che 33 attacchi fino a oggi sono stati portati a termine da terroristi rilasciati in altri scambi e 177 israeliani vi hanno perso la vita. L’immoralità dello scambio giace qui: che al posto della testa di Shalit lo stato ebraico ha messo un’ipoteca sull’intera popolazione israeliana. I mandanti delle stragi del passato, da Barghouti ad Ahmed Yassin, furono liberati in scambi precedenti. Israele ha messo in secondo piano la rabbia di chi ha perso familiari per mano di questi killer e delle migliaia di disabili che oggi vedono i propri carnefici festeggiare a Gaza e Nablus. Avevano solo la certezza della pena: “nullum crimen sine poena”. Ieri alla Corte suprema Shvuel Schijveschuurder ha promesso di farsi giustizia da sé in nome della famiglia sterminata in una pizzeria. Anche i commandos sono furiosi, sanno che dopo Shalit il rischio di essere rapiti è altissimo. Con questo scambio, Hamas ha unificato i palestinesi, liberando in un colpo i suoi, gli sgherri di Fatah e persino arabi israeliani (è il sogno di uno stato islamico dal mare al mediterraneo). Infine dopo Shalit, Hamas può dire che l’uccisione di ebrei paga più delle chiacchiere all’Onu. Nessun altro paese al mondo avrebbe agito così, pegno della moralità d’Israele e della sua ossessione, contagiosa e fervorosa, per la vita. Ma la sete di sangue dei terroristi palestinesi è insaziabile. Capitolare porta solo a maggiori disastri. Il FOGLIO - Pio Pompa : " Quella volta che si poteva salvare Shalit, ma si perse tempo "
Il rilancio della simbiosi mutualistica, tra Hamas e la Fratellanza musulmana, ha finito con il trasformare la liberazione di Gilad Shalit nella quintessenza del processo evolutivo subìto dalla primavera araba in Egitto. La data del 18 ottobre 2011 non indica solo il giorno del ritorno a casa di Shalit ma sancisce definitivamente i mutamenti intervenuti negli equilibri mediorientali scanditi dalla deriva islamista dei sommovimenti avvenuti in quello scacchiere. Di qui la grandezza del coraggio d’Israele nel rimettere a piede libero un migliaio di terroristi per salvare la vita di un suo soldato, e la miopia della maggioranza dei paesi occidentali che ha preferito occuparsi della Libia piuttosto che dei loro veri nemici. Un simile scenario lo si era già vissuto nelle fasi precedenti il conflitto israelo-libanese del 2006. Subito dopo la notizia del rapimento di Shalit, il 25 giugno, alcune agenzie di intelligence occidentali, introdotte presso Hezbollah e Hamas, d’accordo con Israele assunsero l’iniziativa di proporsi come mediatori per il rilascio di Shalit. Il compito di apripista fu affidato a un servizio segreto ritenuto sia da Teheran sia da Damasco un interlocutore equilibrato e affidabile. Il 12 luglio un commando di Hezbollah varcò la frontiera uccidendo tre soldati israeliani e sequestrando i sergenti, rimasti feriti durante l’attacco, Eldav Regev e Ehud Goldwasser. A tale punto sembrò che tutto fosse perduto e la guerra inevitabile. Invece le dinamiche interne al quartetto composto da Iran, Siria, Hezbollah e Hamas fecero sì che si aprissero insperati margini di trattativa. Il capo del servizio segreto che fungeva da apripista fu contattato da emissari iraniani e siriani che gli trasmisero la decisione di consegnare a lui in persona Gilad Shalit e, vivi o morti, Eldav Regev e Ehud Goldwasser. Ottenuto il consenso e l’appoggio d’Israele, il capo di quel servizio compì tutti i passi formali necessari informando il suo governo dell’opportunità di salvare Shalit e di disinnescare l’avvio di un sanguinoso conflitto chiedendo l’autorizzazione per condurre a termine l’operazione recandosi nel luogo prestabilito per la consegna dei tre militari israeliani. Tutto era pronto e il volo speciale attendeva sulla pista dell’aeroporto militare. Ma quell’autorizzazione non arrivò mai. Le varie cancellerie avevano chiesto tempi di riflessione che la realtà della situazione non consentiva. Così, mentre Shalit si avviava verso la sua lunga detenzione, il conflitto tra Libano e Israele fu lasciato al suo destino. L'OPINIONE - Stefano Magni : " Idf e Shin Bet si chiedono perché non lo abbiano liberato loro "
La liberazione del caporale Gilad Shalit in cambio della scarcerazione di 1027 palestinesi provoca in Israele sentimenti molto contrastanti. C’è grande confusione fra il Giordano e il Mediterraneo, come rileva l’ultimo sondaggio pubblicato sul quotidiano Yediot Aharonot: il 79% degli intervistati si dice felice, ma una minoranza prova rabbia, frustrazione o terrore. Chiaramente le famiglie delle vittime dei terroristi che stanno uscendo di prigione sono in prima linea fra i critici. C’è dell’altro. Israele, che ha liberato, complessivamente, circa 13mila prigionieri in cambio di 16 suoi cittadini in cattività, dimostra di attribuire alla vita e alla libertà dei propri uomini molto più valore rispetto alla morte o alla prigionia dei suoi nemici. Ma non è più il Paese che, il 4 luglio 1976, mandò le sue forze speciali fino in Uganda per liberare i suoi ostaggi con un blitz militare. Israele, oggi, non conduce più azioni simili, ispirate al principio di salvare le vite ai propri cittadini senza scendere a compromessi con il nemico. E’ un cambiamento di mentalità o un calo di efficienza? Probabilmente pesa, psicologicamente, l’insuccesso storico del blitz per la liberazione di Nachshon Wachsman, nel 1994. Wachsman, in servizio presso la Brigata Golani, fu rapito da Mohammed Deif (attuale comandante delle Brigate al Qassam di Hamas) a Bnai Atarot, il 9 ottobre 1994, in pieno territorio israeliano. Hamas, allora, chiedeva la liberazione di 200 prigionieri. Il 14 ottobre, alla scadenza dell’ultimatum per lo scambio, un commando dell’Idf (forze di difesa israeliane) tentò il blitz, ma il comandante del gruppo fu ucciso e l’ostaggio venne trovato morto. Allora l’Idf aveva comunque individuato il nascondiglio dei rapitori. Nel caso di Shalit, a quanto risulta, l’esercito dello Stato ebraico non è mai riuscito a scoprire dove Hamas lo tenesse prigioniero. Nel dicembre del 2007 era già scoppiata una polemica sulla mancanza di dati di intelligence necessari a condurre un blitz di liberazione. Ami Ayalon, allora membro del ministero della Difesa, parlò di “fallimento dell’intelligence”. Rispondendo alle domande degli abitanti del kibbutz Moledet, aveva dichiarato: “Semplicemente non abbiamo sufficienti informazioni di intelligence. Questo è l’unico fattore che ci impedisce di passar subito all’azione” per liberare Shalit. Lo aveva solo parzialmente smentito Ehud Barak, allora, come oggi, ministro della Difesa: “Abbiamo già fatto molti sforzi (per liberare Shalit, ndr) e le informazioni non conducono necessariamente a un blitz militare. E’ vero che non abbiamo abbastanza dati per riportarlo a casa, ma stiamo lavorando con costanza su questo problema con la maggior determinazione”. A liberazione avvenuta, ieri, un ex ufficiale dell’Idf, il colonnello Ronen Cohen, ha parlato esplicitamente in termini di “fallimento” delle forze armate in un’intervista rilasciata al quotidiano Haaretz: “La fine dell’affare Shalit, nel modo che abbiamo visto, è un triste giorno per l’Idf”. Ronen Cohen imputa questa disfatta al trasferimento di tutta l’operazione di intelligence dall’esercito allo Shin Bet, l’agenzia di sicurezza. A sua volta, l’ex direttore dello Shin Bet, Yuval Diskin, in carica fino allo scorso maggio, considera la mancata liberazione del caporale come “un fallimento personale”. L’attuale direttore, Yoram Cohen, al momento del raggiungimento dell’accordo con Hamas, aveva dichiarato che non vi fossero soluzioni alternative possibili allo scambio di prigionieri. E’ questa sensazione di sconfitta, più che la liberazione in sé di un migliaio di palestinesi, che riempie di terrore una parte della cittadinanza israeliana. Hamas e il terrorismo jihadista in generale, hanno sempre dimostrato di saper sfruttare molto bene le debolezze del nemico. Il GIORNALE - Fausto Biloslavo : " L’ordine segreto: sparate sui rapitori e sui rapiti "
Israele, nella sua storia di oltre mezzo secolo, ha liberato 12482 prigionieri in cambio di 15 soldati dello Stato ebraico. Non solo: in alcuni casi ha ottenuto solo le ossa dei suoi uomini morti in battaglia. Un prezzo enorme che si basa sul concetto di non lasciare mai indietro nessuno. Hamas lo sa bene e poche ore dopo la liberazione di Shalit ribadiva che tutti i prigionieri palestinesi devono venir rilasciati «ad ogni costo», anche quello di nuovi sequestri di soldati d'Israele. CORRIERE della SERA - Meir Shalev : " Salvare anche un solo uomo, ecco la forza di Israele "
Di solito non guardo molta televisione, ma oggi l'ho accesa alle sette di mattina e fino ad ora — sette di sera — è ancora accesa. Guardo il ritorno dell'ostaggio israeliano Gilad Shalit dalla prigionia di Hamas fino a casa, passo di canale in canale e nonostante le grida contrarie di alcuni israeliani di destra e di alcune famiglie delle vittime del terrorismo mi identifico con la maggior parte dei cittadini israeliani che appoggiano questo scambio. Per inviare il proprio parere a Giornale, Foglio, Opinione, Corriere della Sera, cliccare sulle e-mail sottostanti segreteria@ilgiornale.it lettere@ilfoglio.it diaconale@opinione.it lettere@corriere.it |
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