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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Foglio - Corriere della Sera - Il Giornale - La Stampa Rassegna Stampa
18.10.2011 Gilad Shalit è libero. Dossier sulla stampa italiana
cronache e commenti di Giulio Meotti, Francesco Battistini, Vittorio Dan Segre, Aldo Baquis, Daniele Raineri

Testata:Il Foglio - Corriere della Sera - Il Giornale - La Stampa
Autore: Giulio Meotti - Francesco Battistini - Vittorio Dan Segre - Aldo Baquis - Daniele Raineri
Titolo: «Messaggere di morte - È un patto col diavolo. Ma non è crollato il mondo - L’effetto Shalit? Non aiuterà la pace in Israele - Shalit, bufera in Israele: così liberiamo terroristi - A lato del negoziato per Shalit, Hamas tratta per tornare a casa in Egitt»

Gilad Shalit è stato liberato dai suoi rapitori. La notizia è stata trattata dai quotidiani italiani, soprattutto cronache, sostanzialmente corrette. Solo Il Manifesto è riuscito a distinguersi, associando la notizia a quella dello sciopero della fame dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane "Nelle carceri israeliane però andrà avanti lo sciopero della fame dei prigionieri politici palestinesi, cominciato il 27 settembre". I detenuti palestinesi sono in carcere perchè, dopo essere stati regolarmente processati, sono stati condannati. Non sono prigionieri politici. E non si capisce nemmeno che cosa abbiano a che fare con la liberazione di Gilad Shalit.

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 18/10/2011, a pag. 1-4, gli articoli di Daniele Raineri e Giulio Meotti titolati " A lato del negoziato per Shalit, Hamas tratta per tornare a casa in Egitto " e " Messaggere di morte ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 23, l'intervista di Francesco Battistini a Tom Segev dal titolo " È un patto col diavolo. Ma non è crollato il mondo ". Dal GIORNALE, a pag. 16, l'articolo di Vittorio Dan Segre dal titolo "  L’effetto Shalit? Non aiuterà la pace in Israele ". Dalla STAMPA, a pag. 15, l'articolo di Aldo Baquis dal titolo " Shalit, bufera in Israele: così liberiamo terroristi ".
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Messaggere di morte "


Giulio Meotti

Roma. Israele ha amnistiato un totale di 924 ergastoli per avere indietro il soldato Gilad Shalit. Fra i nomi della lista dei 477 detenuti palestinesi che Gerusalemme s’appresta a scarcerare ci sono guerriglieri invecchiati come Nail Barghouti, in carcere da trent’anni, o Abed al Hadi Ganaim, che nel 1989 scaraventò un autobus israeliano da un dirupo, uccidendo sedici persone. Svettano le menti di alcuni degli attentati più sanguinosi: Walid Anajas uccise una dozzina di israeliani al Moment Café di Gerusalemme; Abdul al Aziz Salaha fece a pezzi due riservisti israeliani a Ramallah (sue le mani sporche di sangue mostrate da una finestra ai fotografi); Nasser Yataima è autore dell’eccidio di trenta sopravvissuti all’Olocausto al Park Hotel di Netanya; Musab Hashlemon ha sedici ergastoli per aver spedito kamikaze a Beersheba; Ibrahim Jundiya ha firmato attacchi a Gerusalemme; Fadi Muhammad al Jabaa ha diretto la strage in un autobus di Haifa; Husam Badran ha ucciso venti ragazzini russi al Dolphinarium di Tel Aviv e quattordici persone al ristorante Matza. Poi ci sono i fondatori dell’ala militare di Hamas (Zaher Jabarin e Yihya Sanawar), i cecchini che hanno sparato ad automobili, uccidendo famiglie con bambini, e i “pugnalatori” che hanno ucciso a mani nude. Ma le storie più agghiaccianti sono quelle delle ventisette donne. Le “mantidi palestinesi”, madri di famiglia, ragazze col sorriso e laureate fanatiche che hanno scontato la pena all’Hasharon, il carcere di massima sicurezza detto “la tomba vivente”. Sulla stampa israeliana sono note come “le messaggere della morte”. Alcune indossano abiti lunghi e maniche chiuse al polso, come prevede l’islam. Altre, specie le militanti di Fatah, vestono all’occidentale. In arabo è la “istishhadiyah”, la versione femminile del martirio. Il giornale egiziano al Ahram evoca la “Giovanna d’Arco palestinese”. Lo Shin Bet, il servizio segreto interno d’Israele, ha scoperto che il 33 per cento di loro è laureato e il 39 diplomato con ottimi voti. Le chiamano “spose della Palestina” e “più pure delle api”. Il giornale egiziano al Akhbar loda così le donne terroriste rilasciate da Israele: “Hanno strappato via la classificazione di genere dai loro certificati di nascita”. Ahlam Tamimi faceva la giornalista a Ramallah. Prima ha fallito nel cercare di piazzare un ordigno in un supermercato di Gerusalemme. Poi ha avuto successo trasportando la bomba e il kamikaze che alla pizzeria Sbarro di Gerusalemme ha ucciso quindici persone. Usava le proprie credenziali giornalistiche per superare i controlli più stretti. “Non mi pento di quel che ho fatto, anzi lo rifarei”, ha detto Tamimi in una rara intervista. “Non riconosco Israele, questa è terra islamica”. Davanti a Barbara Victor, autrice del libro “Shahidas”, Tamimi ha rivendicato l’uccisione dei bambini: “Non mi pento per i bambini uccisi, dovrebbero tornare in Polonia o Russia”. Lo scorso marzo l’Autorità palestinese l’ha premiata come “eroica prigioniera”. Sarà rilasciata Kahira Saadi, madre di quattro figli, responsabile di un attentato in cui sono morti quattro israeliani, fu scelta per il suo “aspetto occidentale”. Uccise Zipi Shemesh, incinta di due gemelli, e suo marito Gad. A domanda se si sia mai pentita, Kahira ha risposto: “No, siamo in guerra”. Lasciò dei fiori al kamikaze prima di salutarlo. Esce dal carcere Wafa al Biss, voleva diventare martire fin da piccola: “Credo nella morte, volevo uccidere cinquanta ebrei perché una donna musulmana, da martire, diventa la regina delle 72 vergini”. Wafa cercò di farsi saltare in aria in un ospedale con nove chili di esplosivo fra le gambe. A domanda se fosse pronta a uccidere anche dei bambini ebrei, la donna ha risposto: “Sì, tutti, neonati e bambini”. Imam Razawi venne arrestata con quattro chili di esplosivo. Al Saadi al Qahara è madre di quattro figli e ha spedito un kamikaze in King George a Gerusalemme (tre morti). Daragmeh Ruma ha portato l’attentatrice di Afula (tre morti). Sarà liberata Mona Awana, anche lei giornalista, che con Internet ha attratto il sedicenne israeliano Ofir Rahum. Sarà spedita a Gaza, dove, si dice, Hamas è pronto a usarla come propagandista. La sua vittima, Ofir, trovò sul computer un messaggio di Mona. Senza dirlo a nessuno, Ofir si mise i vestiti migliori e prese il primo autobus. Mona lo venne a prendere a Gerusalemme. A Ramallah, dove il ragazzino neppure si accorse di essere entrato, Mona e compagni dopo averlo ucciso legarono il corpo al cofano di un’auto.

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " È un patto col diavolo. Ma non è crollato il mondo "


Tom Segev

MITZPE HILA (Israele) — Professor Tom Segev, lei è uno degli storici e commentatori più ascoltati in Israele: chi vince e chi perde, con questo scambio di prigionieri?
«Nessuno. È una brutta storia. È una di quelle decisioni che nell'immediato peggiorano la situazione sul campo. Da domani, non vorrei essere nei panni di Netanyahu: con quella gente in giro, alcuni davvero terroristi orrendi, è a rischio la sicurezza di tutti. E poi vorrei sapere che controllo abbiamo di Gaza, se in cinque anni i nostri 007 non hanno mai scoperto dove stesse Shalit».

L'80 per cento degli israeliani e la stragrande maggioranza dei palestinesi, però, sono favorevoli a questo accordo.
«Ma lo sono anch'io, ovvio! Il mio cuore è felice, a vedere Shalit a casa. Ed è interessante come questa storia abbia cambiato la nostra società: tutti considerano Gilad il figlio di tutti. Lo stesso vale per i palestinesi, con alcuni dei loro detenuti. Se fossero morti, nessuno se ne occuperebbe più. Invece, in società sempre meno solidali, il caso Shalit è stato un modo per pensare ai guai d'un altro, lontano o vicino che sia. Chissà, allora, che non nasca qualcosa d'altro...».

Per esempio?
«Ecco, questa è la parte positiva della storia. La grande novità storica è che Hamas e Israele hanno fatto un accordo. E il giorno dopo non è crollato il mondo. Hanno fatto un patto col diavolo, e il sole è sorto lo stesso. Le due parti hanno visto che ragionare intorno a un tavolo è possibile. Questo piccolo passo può portare un po' di razionalità e a qualcosa di diverso, nel futuro. Non succederà domani. Ma dopodomani, chissà».

La Primavera araba ha aiutato: caduto Mubarak, che non voleva danneggiare l'amico Abu Mazen favorendo Hamas, la mediazione del Cairo ha funzionato...
«L'unica primavera che conosco è quella meteo. Certo, la situazione dell'Egitto è in tale peggioramento da far pensare a Israele che questa fosse l'ultima chance: adesso la giunta militare vuole recuperare il rapporto con Netanyahu, ma siamo sicuri che fra qualche mese, al Cairo, ci saranno ancora interlocutori disponibili? E se la Siria non avesse dato un avviso di sfratto ai capi di Hamas, costringendoli a cercare ospitalità futura in Egitto, Hamas avrebbe accettato di pagare l'affitto al governo cairota liberando Shalit?».

Tutti a chiedersi come starà, il soldato liberato.
«La prigione è prigione. Mi viene in mente Vanunu, l'israeliano che per spionaggio ha passato 17 anni d'isolamento in un carcere israeliano ed è uscito pazzo. Temo per Gilad. L'ultimo video disponibile lo mostra in salute, ma triste. Hamas dice che gli hanno lasciato perfino leggere tutti i libri che voleva. Bontà loro: chissà se gli hanno dato anche uno dei miei... Quel che ci serve adesso, però, non è solo un soldato che torna a casa».

E che cosa, allora?
«Si ricorda come si guardavano Rabin e Arafat a Oslo? Si facevano schifo l'un l'altro. Però una stretta di mano ci portò un po' di pace. Vorrei che il sorriso di Shalit e di tutta questa gente liberata servisse, almeno, a una vera svolta politica. A un altro patto col diavolo».

Il GIORNALE - Vittorio Dan Segre : " L’effetto Shalit? Non aiuterà la pace in Israele "


Vittorio Dan Segre

Ci sono vari modi di guardare «l'effetto Shalit», il caporale israeliano tenuto prigioniero per cinque anni da Hamas e che ritorna oggi in patria da eroe. C'è anzitutto il lato umano, l'ammirazione per la dignitosa lotta di un padre che per mantenere viva l'attenzione nazionale e internazionale per il figlio ha abbandonato la sua abitazione in Galilea per vivere sotto una tenda davanti all'abitazione di Netanyahu. C'è l'aspetto simbolico di una società israeliana (che in fondo non è altro che una grande famiglia allargata) che ha giurato - dopo l'abbandono degli ebrei da parte del mondo durante la Shoa - di proteggere e nel caso dei suoi cittadini di riportare a casa - vivi o morti - i suoi membri perseguitati. C'è il mistero di un negoziato internazionale durato quattro anni e una guerra di cui forse non sapremo mai gli accordi raggiunti, rotti e finalmente firmati anche se formalmente per interposta persona fra due nemici mortali come Israele e Hamas.
Eppure - pur premettendo che non bisogna farsi illusioni sull'effetto Shalit: la convergenza di interessi ha corto respiro. Con l'America così debole e l'Europa così assente, con l'eccezione forse della Germania, l'accordo per la liberazione non avrà conseguenze immediate e chi spera in nuove trattative di pace rischia di restare deluso - già oggi si possono vedere le convergenze che hanno portato a questo straordinario scambio di un israeliano vivo per 1027 palestinesi prigionieri. La convergenza di interessi di politica interna è evidente: tanto Netanyahu (pressato dalla rivolta sociale delle «tende»), quanto Hamas (pressato dalle rivolte arabe) avevano bisogno di un successo di prestigio di dimensioni mediatiche mondiali per rinforzare la loro posizione all'interno delle loro scricchiolanti strutture di potere. La convergenza di interessi di sicurezza è ugualmente evidente: Hamas ha bisogno di tempo per consolidare il suo potere. Non può permettersi un nuovo scontro con Israele che distruggerebbe il suo controllo su Gaza nel momento in cui l'Iran gli ha tagliato rifornimenti di armi e di quattrini e l'Egitto ha bloccato il contrabbando attraverso i tunnel di collegamento con un Sinai sempre più infiltrato da Al Qaida. Israele ha ottenuto che solo pochi terroristi liberati trovino residenza in Cisgiordania piuttosto che a Gaza o all'estero. È gente pericolosa ma controllabile e non è detto che fra loro non emerga qualche personalità di spicco a cui anni di prigionia in Israele potrebbe aver fatto cambiare idee.
C'è soprattutto la muta convergenza di due strategie ideologiche che per quanto opposte mirano allo stesso scopo: il controllo di una Palestina unificata. Netanyahu, il movimento dei coloni e la destra religiosa non hanno mai digerito l'idea di due Stati - uno arabo e uno israeliano - sulla Terra di Israele. Hamas non ha mai accettato l'esistenza n´ di uno Stato «democratico» arabo n´ di uno Stato ebraico sulla terra dell'Islam palestinese. Indebolire lo Stato palestinese in fieri di Abu Mazen è un interesse comune. Hamas non ha problemi a stabilire un armistizio a lungo termine con Israele, in attesa che si sviluppino le condizioni per distruggerlo; e la destra israeliana preferisce un nemico militarmente non preoccupante e inviso all'Egitto come all'Europa piuttosto che un'Autorità palestinese coccolata dall'Europa, sostenuta dagli antisemiti di destra e di sinistra e da una Onu impotente e pervasa di ostilità per Israele. Un'Autorità priva di legittimità interna che ha fatto del suo vittimismo un sistema di ricatto politico permanente, priva di capacità di negoziare direttamente compensi per qualsiasi concessione israeliana (se lo facesse sarebbe accusata di tradimento) o indirettamente attraverso i Paesi arabi. In questa prospettiva l'accordo per la liberazione di Shalit non sorprende. Deve essere visto come un tentativo di stabilire un equilibrio - molto sui generis - fra un piccolo Stato post moderno capace di difendersi e un movimento islamico come Hamas che affronta la modernizzazione guardando al passato.
Il New York Times ha pubblicato una caricatura che la dice lunga su questa convergenza di interessi. Mostra un palestinese scarcerato che dice: «Ho fatto i miei calcoli. Peso come 70 grammi di Shalit».

La STAMPA - Aldo Baquis : " Shalit, bufera in Israele: così liberiamo terroristi"


Noam Shalit coi famigliari delle vittime dei terroristi palestinesi

Lacrime, urla, e anche minacce di ricorso alla violenza si sono avute ieri nella solitamente rarefatta aula della Corte Suprema di Gerusalemme dove tre giudici erano impegnati a stabilire la legalità della decisione di Benjamin Netanyahu di scambiare il caporale Ghilad Shalit con 1.027 palestinesi condannati a lunghe pene detentive per attacchi anti-israeliani.

Nel tentativo estremo di impedire quella massiccia liberazione di «professionisti della violenza», i parenti delle vittime hanno anche dato in escandescenze. Alcuni hanno minacciato il suicidio, altri di colpire fisicamente quanti attentarono alla vita dei loro congiunti. Altri ancora hanno riversato parole cariche di ira su Noam Shalit, il padre del soldato catturato da Hamas, e lo hanno invitato a meditare sulla realistica previsione che una parte dei palestinesi graziati adesso torneranno con nuovo impegno alla lotta armata contro Israele. «Cosa dirai allora - gli hanno chiesto - ai congiunti delle prossime vittime?».

Sul piano teorico, ha aggiunto un altro contestatore dell’accordo, con questo scambio «i terroristi di Hamas scardinano il nostro sistema giudiziario. Le condanne esemplari da voi spiccate in passato - ha rilevato, diretto ai giudici - vengono cancellate adesso con un colpo di spugna». Lo Stato di diritto, ha avvertito, non può resistere a questa ondata di liberazioni.

Netanyahu ieri ha scritto ai familiari delle vittime, sostenendo di condividere il loro dolore, ma di avere «il dovere di riportare a casa un soldato mandato a difendere Israele». Comunque, l’accordo indiretto fra Israele e Hamas gode del sostegno di otto israeliani su 10. Non solo: ha contribuito a migliorare le relazioni di Israele con la Turchia (che accoglierà alcuni degli espulsi) e l’Egitto. Il Cairo sta adesso studiando la possibilità di scambiare un israeliano arrestato mesi fa per spionaggio con 81 egiziani detenuti in Israele per contrabbando. Se non ci saranno imprevisti (ad esempio da parte della Corte Suprema), Shalit lascerà Gaza stamani e dopo una breve sosta in territorio egiziano rientrerà in Israele in prossimità del luogo dove fu catturato nel 2006. Nel pomeriggio sarà a casa, in Galilea. In parallelo Israele libererà 477 palestinesi: in parte in Cisgiordania, ma per lo più a Gaza dove, in uno stadio, Hamas ha preparato per loro un’accoglienza trionfale e «una sorpresa speciale» per elettrizzare i suoi sostenitori.

Il FOGLIO - Daniele Raineri : " A lato del negoziato per Shalit, Hamas tratta per tornare a casa in Egitto "


Daniele Raineri

Il Cairo, dal nostro inviato. Hamas molla Damasco e torna alle origini egiziane. Tra i tanti accordi sottobanco che assieme fanno il negoziato per la restituzione del soldato israeliano Gilad Shalit in cambio di mille prigionieri palestinesi, c’è anche un nuovo patto tra l’Egitto e Hamas. Il governo del Cairo ha promesso al gruppo di Gaza, o meglio, alla sua leadership in esilio pericolante in Siria, la possibilità di trasferirsi nella capitale egiziana in cambio di flessibilità nelle trattative appena concluse con Israele. Il capo di Hamas, Khaled Meshaal, è già al Cairo da una settimana, ufficialmente per seguire da vicino la fase finale del grande scambio, in realtà per parlare del trasloco definitivo di tutto il centro di comando e controllo del gruppo in Egitto. Meshaal, che ha passaporto giordano ma non può rientrare in Giordania perché sarebbe arrestato, d’ora in poi – dicono al Cairo – “mangerà meno shawarma siriane e più kosharì”, il micidiale impasto di pasta, riso e legumi che alimenta mezzo paese con un trionfo di carboidrati a prezzo irrisorio. Il capo delle Brigate Ezzedine al Qassam, l’ala militare del gruppo, Ahmed Jabari, è già al Cairo da tempo imprecisato. Durante i colloqui con gli egiziani, secondo il giornale israeliano Haaretz, ha respinto due volte l’offerta del capo dello Shin Bet, il servizio segreto di Israele, Yoram Cohen, disposto a scendere in Egitto per un faccia a faccia personale. Se l’Alta corte di Israele non ha accettato all’ultimo minuto le quattro petizioni dei famigliari delle vittime del terrorismo che vogliono bloccare la liberazione, oggi lo scambio comincerà con la consegna dentro Gaza del caporale, ieri promosso a sergente maggiore, Shalit a un rappresentante della Croce Rossa o a un ufficiale egiziano. Subito Israele libererà 27 detenute, come prima tranche. Quindi l’israeliano sarà portato al valico di Rafah e su territorio egiziano, dove resterà 15 minuti, il tempo di trasferirlo in Israele. In quell’intervallo cominceranno le scarcerazioni dei palestinesi. Non tutti saranno restituiti alle loro case. I più pericolosi della lista saranno consegnati a paesi terzi, dove resteranno senza poter tornare per un periodo di tempo non definito. segue dalla prima pagina) I paesi ospiti saranno la Siria, la Turchia e il Qatar – ormai il regno del Golfo è una star onnipresente nei negoziati complessi. Hamas al Cairo sarebbe un ritorno alla culla, perché Hamas è costola della Fratellanza musulmana, e infatti anche i Fratelli hanno preso parte a questi negoziati, a suggellare alleanza e unione di intenti. Furono i Fratelli a creare quella rete di centri di assistenza, mense e scuole che nel 1987, anno della fondazione di Hamas, spalancarono le porte tra i palestinesi al gruppo armato contro i rivali del partito Fatah. Quando gli uomini di Meshaal presero possesso armi in pugno della Striscia nel 2007 si è trattato per la Fratellanza della conquista fisica di un territorio, per la seconda volta. La prima era arrivata con Omar Bashir in Sudan nel 1989. Il trasloco egiziano sembra un effetto laterale dello scambio Shalit, ma è una scossa di terremoto. La strana alleanza di Hamas – movimento ferocemente sunnita – con l’asse formato da Iran e Siria – un regime sciita e uno alawita – era sempre sembrata un matrimonio di convenienza che sarebbe durato fino a quando fosse durato il nemico comune, Israele. Si sta invece dissolvendo davanti alle rivolte nel mondo arabo, che prima in Egitto hanno azzerato il blocco anti Fratellanza musulmana costituito dal presidente Hosni Mubarak e dal suo capo dei servizi, Omar Suleiman, e poi, e soprattutto, hanno spinto Hamas contro il regime di Damasco. In Siria appartenere alla Fratellanza musulmana è reato da pena di morte secondo la legge d’emergenza 43, Hamas era tollerata soltanto per realpolitik. Ma da quando è scoppiata la rivolta della maggioranza sunnita contro la minoranza alawita, l’imbarazzo è cresciuto fino a diventare intollerabile. Il gruppo si sforza di fare buon viso davanti al massacro dei correligionari e impedisce agli abitanti della Striscia di manifestare in solidarietà ai profughi bombardati nel porto siriano di Latakia, ma non basta. Damasco accusa i palestinesi di aiutare i ribelli e l’Iran ha sospeso i preziosi finanziamenti perché Hamas non esprime il suo sostegno al regime siriano. Il risultato è che 40 mila dipendenti della macchina amministrativa di Gaza sono rimasti senza stipendio per due mesi. E’ questa condizione di debolezza che spinge Meshaal alla trattativa con il primo ministro Netanyahu, che nel 1997 diede al Mossad l’ordine di ucciderlo e per poco non ci riuscì.

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