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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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L'Opinione - Il Manifesto Rassegna Stampa
29.09.2011 Gilo è un quartiere di Gerusalemme, non una colonia
Ma Michele Giorgio scrive il contrario. Commento di Stefano Magni

Testata:L'Opinione - Il Manifesto
Autore: Stefano Magni - Michele Giorgio
Titolo: «La nuova lite su Gerusalemme - Colonie, Netanyahu è un bulldozer»

Riportiamo dall'OPINIONE di oggi, 29/09/2011, a pag. 6, l'articolo di Stefano Magni dal titolo " La nuova lite su Gerusalemme ". Dal MANIFESTO, a pag. 8, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo "  Colonie, Netanyahu è un bulldozer", preceduto dal nostro commento.
Ecco gli articoli:

L'OPINIONE - Stefano Magni : " La nuova lite su Gerusalemme "


Stefano Magni

Il Ministero degli Interni israeliano ha dato il via libera alla costruzione di 1100 nuove unità abitative a Gerusalemme, per espandere il sobborgo di Gilo. Il solo annuncio del nuovo progetto edilizio ha provocato una bufera internazionale. E’ intervenuta Hillary Clinton, che lo ha definito “controproducente per il processo di pace”. Ha protestato Catherine Ashton, commissaria agli esteri dell’Ue, che ha invitato urgentemente Gerusalemme a “revocare” il suo piano. E’ intervenuto anche il nostro ministro degli Esteri Franco Frattini: “L’Italia - si legge nella nota della Farnesina - esprime forte delusione per la decisione assunta oggi dalla Commissione Edilizia del Comune di Gerusalemme di autorizzare la realizzazione di più di mille nuove unità oltre la linea verde, che contrasta con la ripresa del clima di fiducia fra le parti auspicato dalla comunità internazionale a New York”. Per non parlare delle reazioni nei vicini arabi: il governo militare egiziano ne approfitta per dire al mondo che “... questo passo riflette la scelta israeliana di andare avanti con le sue politiche di provocazione”. E intanto, per la quinta volta dalla rivoluzione contro Mubarak, è stato sabotato il gasdotto del Sinai, che porta gas allo Stato ebraico. E, puntualmente, è arrivata la condanna dall’Autorità Palestinese, che definisce il progetto: “Una mossa unilaterale di Israele per sabotare gli sforzi palestinesi tesi a costruire uno Stato indipendente con Gerusalemme Est sua capitale”. Perché tanta furia per l’espansione di un quartiere, con un progetto che prevede una nuova scuola, un centro commerciale e aree residenziali? Perché i palestinesi vogliono che il Consiglio di Sicurezza, nelle prossime settimane, voti a maggioranza (servono 9 mani alzate, per ora se ne sono assicurate 6) per il riconoscimento di una Palestina indipendente con Gerusalemme Est (incluso Gilo) sua capitale. La maggioranza del Consiglio di Sicurezza che appoggia Israele contro il riconoscimento unilaterale della Palestina, trova “controproducente” la scelta di questo momento per costruire altre case ebraiche in territorio arabo. Netanyahu, però, deve difendere anche gli interessi e le aspirazioni dei cittadini che lo hanno votato. La sua promessa elettorale numero 1 è sempre quella: Gerusalemme è una, indivisibile ed è la capitale di Israele. Proprio questo momento è particolarmente delicato per lui, considerando che almeno 15 membri del suo stesso partito, il Likud, assieme ad altri deputati di Unione Nazionale, Shas e Habayit Hayehudi hanno votato una mozione per chiedere l’annessione immediata dei territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania, per i palestinesi) abitati da ebrei, quale risposta alla proclamazione unilaterale di indipendenza palestinese. Il Medio Oriente è sempre una questione di politica interna.

Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " Colonie, Netanyahu è un bulldozer "


Michele Giorgio

Michele Giorgio disapprova la decisione del governo Netanyahu di costruire nuove abitazioni nella propria capitale e critica la comunità internazionale perchè si è limitata ad esprimere rammarico senza prendere provvedimenti al riguardo : "Tante belle frasi per la critica rituale della colonizzazione dei territori occupati palestinesi. Ma nessuno farà un passo concreto per fermarla. A cominciare dagli Stati uniti. ". Gerusalemme è la capitale di Israele e Gilo ne è un quartiere. I nuovi appartamenti potranno essere abitati da chiunque, arabi compresi, non è ben chiaro, perciò, nè perchè siano arrivate proteste al riguardo, nè perchè qualche Stato sarebbe dovuto intervenire concretamente per bloccare le costruzioni.
Giorgio cita l'opinione del Vaticano riguardo allo status di Gerusalemme e allo Stato palestinese : "
Sulla questione dello stato di Palestina è da notare la posizione del Vaticano. Dominique Mamberti, segretario per le relazioni della Santa Sede con gli Stati, martedì ha parlato all'Assemblea Generale dell'Onu riconoscendo come legittima l’aspirazione dei palestinesi e ha richiamato la risoluzione 181 delle Nazioni Unite, del 29 novembre 1947, sulla spartizione della Palestina, che, peraltro, sancisce lo status internazionale di Gerusalemme. ". Le risoluzioni Onu vengono reinterpretate a proprio piacimento, a seconda del vento che tira? La risoluzione 181 prevedeva la spartizione dell'area con la nascita di due Stati, quello ebraico e quello palestinese e lo status internazionale di Gerusalemme. Lo Stato ebraico è nato ed è stato immediatamente attaccato da quelli arabi limitrofi i quali speravano di riuscire a cancellarlo subito e hanno sempre rifiutato quello palestinese. Non ce ne sarebbe stato bisogno se il piano di distruggere Israele avesse funzionato. Per quanto riguarda Gerusalemme, la risoluzione prevedeva che avesse uno status internazionale. Perciò, se si insiste nel volersi aggrappare alla risoluzione 181, Israele non avrà diritto di costruire case a Gilo, ma nemmeno i palestinesi avrebbero diritto di reclamarla come propria capitale, nè la città intera, nè alcune zone.
Giorgio conclude l'articolo con queste parole : "
nelle carceri israeliane è cominciato lo sciopero della fame di numerosi prigionieri politici palestinesi che protestano contro una serie «misure punitive» adottate di recente nei loro confronti. Fra queste: l'obbligo a vestire una tuta arancione da internati; l'obbligo di sottoporsi alla conta; ed il divieto di seguire i programmi televisivi di emittenti arabe. In prima linea nella protesta si trovano i detenuti del Fronte popolare per la liberazione della Palestina che chiedono la revoca dell'isolamento del loro leader, Ahmad Saadat, recluso in isolamento da ormai tre anni. ". I prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane non sono prigionieri 'politici'. Sono prigionieri e basta. Sono in carcere perchè sono stati riconosciuti colpevoli di qualche crimine dopo essere stati regolarmente processati.
Godono di tutti i diritti, stanno semplicemente scontando una pena. A loro, contrariamente al prigioniero di Hamas Gilad Shalit, è permesso di ricevere visite dei parenti, parlare coi media, essere visitati dai medici. Il loro sciopero della fame a che cosa è dovuto?
Devono indossare una tuta arancione. La preferirebbero di qualche altro colore? O magari vorrebbero qualcosa di più elegante, un frac o uno smoking, magari?
Devono sottoporsi alla conta, come tutti gli altri detenuti di un carcere. La prigione implica questo, non si può uscire a proprio piacimento e si viene contati, controllati, in modo da evitare evasioni.
E un altro motivo di protesta è che non possono seguire programmi arabi alla tv. Questa è proprio l'umiliazione peggiore, non poter seguire la tv dell'Anp, che istiga alla violenza contro Israele. A parte il fatto che la TV israeliana di Stato ha le sue regolari trasmissioni in lingua araba, compresi i TG.
Sul fatto che i prigionieri sono in carcere per aver assassinato israeliani con attentati terroristici, nessuna parola. Rovinerebbe il ritratto immacolato che ne traccia Giorgio.
Ecco l'articolo:

Il Segretario di stato Usa Hillary Clinton ritiene che la decisione di Israele di avviare la costruzione di 1.100 nuove case per coloni nella zona palestinese (Est) di Gerusalemme sia «controproducente». La Cina si dice «rammaricata»mentre Mosca è «molto preoccupata». L'Egitto da parte sua spara a zero sul governo israeliano. «Questa misura illegale rappresenta una nuova ed evidente sfida alla comunità internazionale», ha protestato il ministro degli esteri Mohammed Amr. Persino il governo Berlusconi, alleato stretto di Israele, ha espresso «forte delusione» per la decisione di autorizzare le nuove abitazioni a Gerusalemme Est. Tante belle frasi per la critica rituale della colonizzazione dei territori occupati palestinesi. Ma nessuno farà un passo concreto per fermarla. A cominciare dagli Stati uniti. Nonostante sia totalmente illegale per la legge internazionale: una potenzamilitare occupante, Israele, non può insediare popolazione civile in un territorio occupato. Ma a Barack Obama che punta al secondo mandato la legalità internazionale interessa poco. Un sondaggio pubblicato ieri dal Jerusalem Post, rivela che la sua popolarità è in crescita tra gli israeliani ebrei (54% contro il 12% dello scorso maggio) e tra gli americani ebrei che lo avevano abbandonato in massa quando, all’inizio del suo mandato, aveva adottato una linea in apparenza più equilibrata nel Vicino Oriente. Un balzo in avanti frutto del discorso pronunciato da Obama all’Onu il 21 settembre contro l’adesione dello stato di Palestina. Qualcuno lo ha descritto come il discorso più schierato dalla parte di Israele mai pronunciato da un presidente Usa al Palazzo di vetro. E quando si hanno le spalle ben coperte è normale continuare a fare ciò che si vuole. Il governo del premier israeliano Netanyahu ieri ha respinto le critiche sui suoi programmi d'espansione edilizia a Gerusalemme Est, spiegando che «non contraddice » nessuna precedente proposta di pace. «In ogni piano di pace posto sul tavolo negli ultimi 18 anni, Gilo faceva comunque parte della Gerusalemme ebraica», ha detto un alto funzionario israeliano all'agenzia stampa tedesca Dpa. «La proposta - ha aggiunto il funzionario - non contraddice in alcun modo il nostro impegno per una soluzione con due stati». Poco dopo il vicepremier e ministro dello sviluppo regionale, Silvan Shalom, ha aggiunto che Gilo «non è un insediamento, ma un quartiere di Gerusalemme ». Una affermazione contraria alle risoluzioni internazionali che includono Gilo tra gli oltre 150 insediamenti colonici costruiti a Gerusalemme Est e in Cisgiordania dopo il 1967. Intanto il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, dove incombe il veto statunitense all’adesione piena dello stato di Palestina, ieri ha formalmente deferito la richiesta presentata dai palestinesi alla commissione competente, in base all'articolo 59 della carta procedurale. La prima riunione della Commissione, che dovrà esprimere la sua raccomandazione al CdS prima di arrivare al voto, si terrà domani. Il rappresentante palestinese all’Onu, Riyad Mansour, ha confermato che la procedura «sta andando avanti passo dopo passo» e si è augurato che i 15 Stati membri del CdS «Approvino la richiesta inviandola all'Assemblea generale». Mansour, che non ha commentato la posizione americana, ha colto l'occasione per denunciare il piano israeliano per la realizzazione dei nuovi alloggi a Gilo. «Questa azione è chiara: Israele ha scelto di dire 1.100 volte “no” alla possibilità di riprendere i negoziati», ha affermato il rappresentante palestinese, facendo riferimento alla condizione più volte ribadita dal presidente dell’Olp e dell’Anp Abu Mazen di un ritorno al tavolo delle trattative solo dopo lo stop completo della colonizzazione. Immediata la reazione dell'ambasciatore israeliano all'Onu, Ron Prosor, che ha definito la questione un «pretesto» per non riprendere il negoziato. Sulla questione dello stato di Palestina è da notare la posizione del Vaticano. Dominique Mamberti, segretario per le relazioni della Santa Sede con gli Stati, martedì ha parlato all'Assemblea Generale dell'Onu riconoscendo come legittima l’aspirazione dei palestinesi e ha richiamato la risoluzione 181 delle Nazioni Unite, del 29 novembre 1947, sulla spartizione della Palestina, che, peraltro, sancisce lo status internazionale di Gerusalemme. Ma se il fermento diplomatico è forte per la richiesta di adesione all’Onu dello Stato di Palestina, sul terreno non è cambiato nulla. I Territori occupati sono stati sigillati ermeticamente in occasione del Capodanno ebraico mentre nelle carceri israeliane è cominciato lo sciopero della fame di numerosi prigionieri politici palestinesi che protestano contro una serie «misure punitive» adottate di recente nei loro confronti. Fra queste: l'obbligo a vestire una tuta arancione da internati; l'obbligo di sottoporsi alla conta; ed il divieto di seguire i programmi televisivi di emittenti arabe. In prima linea nella protesta si trovano i detenuti del Fronte popolare per la liberazione della Palestina che chiedono la revoca dell'isolamento del loro leader, Ahmad Saadat, recluso in isolamento da ormai tre anni.

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