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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera - Libero - La Repubblica Rassegna Stampa
28.09.2011 Fondamentalismi vari in Arabia Saudita, Pakistan, Iran
Cronache di Cecilia Zecchinelli, Redazione di Libero, Vincenzo Nigro

Testata:Corriere della Sera - Libero - La Repubblica
Autore: Cecilia Zecchinelli - Redazione di Libero - Vincenzo Nigro
Titolo: «Guidava l'auto, 'multata' con dieci colpi di frusta - Perseguitata a 13 anni per un errore a scuola - Impiccate quel pastore cristiano»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/09/2011, a pag. 23, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " Guidava l'auto, 'multata' con dieci colpi di frusta ". Da LIBERO, a pag. 19, l'articolo dal titolo "Perseguitata a 13 anni per un errore a scuola". Da REPUBBLICA, a pag. 19, l'articolo di Vincenzo Nigro dal titolo " Impiccate quel pastore cristiano ".
Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Guidava l'auto, 'multata' con dieci colpi di frusta "

«Siamo sorprese, scioccate, furiose. Non hanno voluto che la nostra gioia durasse più di un giorno, è una notizia terribile per noi saudite e per tutti gli uomini che appoggiano la lotta per arrivare alla parità». Najla Haddad, capo della campagna Biladi (mio Paese) per il diritto al voto delle donne in Arabia, al telefono da Gedda commenta a caldo l'ultima notizia: la condanna a dieci frustate di una giovane donna, Shayma Ghassaniya, per aver guidato in luglio nel Regno. Una cosa mai successa nel solo Paese al mondo che proibisce alle sue cittadine di prendere il volante, nonostante non esistano leggi in proposito, solo un vago editto religioso e il rifiuto delle autorità di rilasciare loro patenti. Una doccia fredda dopo l'annuncio di re Abdullah, domenica, che le saudite potranno votare e candidarsi alle amministrative nel 2015, concessione che la stessa Najla aveva salutato come un «primo passo» nonostante per molti (e molte) sia troppo poco e lontana nel tempo.

«Il giudice di Gedda che ha condannato Shayma alla frusta ha lanciato un chiaro messaggio: voi donne siete sempre sotto il nostro controllo, non illudetevi. Ma è inaccettabile, come lo è il fatto che altre due guidatrici, Najla Hariri e un'altra, rischino ora la stessa condanna», continua Haddad, per la quale poco cambia che Shayma sia ricorsa in appello e la pena per il momento non venga inflitta. Finora, come per gli uomini sorpresi a guidare senza patente, la polizia si limitava a multare le saudite che osavano sfidare il divieto, per altro tutte in possesso (come Shayma) di patente internazionale. Lo scorso 17 giugno erano state più di 200 a farlo: oltre alla multa, se fermate, avevano dovuto firmare un impegno a «non farlo mai più», i mariti (o padri) erano stati convocati in commissariato, qualcuna aveva passato un po' di giorni in cella. Ma nessun caso era finito in tribunale. E le frustate, previste dalla sharia solo per delitti gravi, non erano state nemmeno immaginate, anche se accanto al fiorire di pagine Facebook delle attiviste, negli ultimi mesi altre ne sono state create dai (tanti) sostenitori delle punizioni corporali per mogli o sorelle dai comportamenti «indecenti», guida compresa.

Proprio su Facebook, Twitter e via sms, la rabbia ieri è esplosa in Arabia. Intanto Mohammad Al Qathani, capo dell'Associazione per i diritti civili, da Riad denunciava l'arresto di un'altra guidatrice e la repressione di una mini-protesta di donne davanti al ministero dell'Istruzione, pure questo un inedito o quasi. «Ma molte di noi, e io concordo, preferiscono non sfidare apertamente il governo, la forza serve poco in questo Paese — sostiene Haddad —. Il che non significa rassegnarsi, anzi: stiamo mandando una petizione a re Abdullah perché intervenga nel caso di Shayma e ne eviti altri, lavoriamo su una nuova campagna. E visto che il diritto al voto è previsto solo per il 2015 abbiamo chiesto al sovrano che parte dei consiglieri che spetterà a lui nominare nei nuovi consigli comunali, già nei prossimi giorni, siano donne. Stiamo aspettando la sua risposta».

LIBERO - " Perseguitata a 13 anni per un errore a scuola "


Pakistan

Un errore d’ortografia, nella zona di Abbottabad, può costare una condanna per blasfemia e, in definitiva, la vita. Se Osama bin Laden aveva scelto come proprio rifugio quella località in Pakistan, dev’essere anche perché vi si pratica una versione particolarmente intollerante del’islam. Nella provincia nord occidentale di Khyber-Pakhtunkhwa, da circa una settimana, una ragazzina cristiana di 13 anni è stata costretta a fuggire con la propriafamigliadopoessere stataaccusatadi blasfemia dai fondamentalisti. Faryal Bhatti, espulsa dalla scuola di Sir Syed nei pressi di Abbottabad, è stata minacciata di morte e oggetto diunaferoce campagna di odio religioso diffusa tramite sms. L’accusano di avere offeso il nome di Maometto durante un compito in classe, sbagliando a scrivere la parola “naat”, cioè “poesia di lode” in urdu e rendendola con “lanaat” (maledizione), anche se nella versione scritta i due termini sono molto simili. La ragazza sostiene che si sia trattato di un’in - comprensione. Non le ha creduto l’insegnante Fareeda Bibi che, letta la parola offensiva, ha subito convocato Faryal per una ramanzina a cui è seguita una punizione fisica. L’incidente non si è fermato lì perchè la notizia si è poi propagata ai vertici dell'istituto e da qui negli ambienti integralisti islamici del quartiere. Dopo un serie di dimostrazioni, i fondamentalisti hanno chiesto alla scuola di denunciare la studentessa e di prendere provvedimenti più severi. Il preside ha quindi espulso l’adolescente, mentre la madre, infermiera, è stata licenziata. Non contenti, i leader religiosi locali hanno quindi chiesto alla famiglia di lasciare la propria abitazione. La ragazza si trova ora in una località sconosciuta, ma l'interacomunità cristiana vive nel terrore La legge pachistana contro la blasfemia è una delle più severe al mondo, maè spesso usata per perseguitare le minoranze religiose. Attualmente Asia Bibi, madre di 5 figli, è detenuta in seguito a una condanna a morte inflittale nel novembre 2010 in seguito all’accusa di aver usato parole blasfeme durante un diverbio con delle musulmane.

La REPUBBLICA - Vincenzo Nigro : " Impiccate quel pastore cristiano "


Yousef Nedarkhani

Padre Yousef Nedarkhani, 34 anni, una bella moglie, due bambini di 9 e 8 anni, è un pastore evangelico. Iraniano. Oggi dovrebbe comparire ancora una volta in tribunale del suo paese, dove un giudice potrebbe confermare la sentenza di impiccagione per apostasia, condanna che gli era già stata comminata ma poi sospesa dal tribunale supremo iraniano. Nella cittadina settentrionale di Rasht, sul Mar Caspio, un giudice tornerà a chiedere a padre Yousef se è pentito di aver abbandonato l´Islam, se è pronto a ritornare alla religione dei suoi. Ma l´avvocato di Nadarkhani conosce già la risposta: ha detto che il giovane pastore ha rifiutato, e lo farà ancora. «Pentirsi vuol dire tornare indietro, ma dove dovrei tornare? Alla blasfemia di cui mi nutrivo prima della mia fede in Cristo?» aveva risposto con sfida il religioso durante l´udienza di domenica scorsa. Quando il giudice aveva insistito, chiedendogli semplicemente di abbracciare «la religione dei suoi genitori», padre Yousef aveva insistito secco «non posso».
La vera storia di padre Yosef Nadarkhani, non è solo una vicenda giudiziaria emblematica, una contesa in cui gli esecutori legali della Repubblica islamica prendono di mira i cristiani iraniani. Anche questa è figlia dello scontro fra religioni, culture, ideologie e comportamenti: ma all´essenza è anche la battaglia di un cittadino diverso, di una famiglia convinta e devota a qualcosa di differente dal potere dominante. Il suo avvocato, Mohammad Ali Dadjah, spiega che il giudice seguendo una interpretazione iraniana della sharia, la legge islamica, dovrà chiedere tre volte, in tre sedute diverse, di abbandonare Cristo per rientrare nella umma dell´Islam. Ma padre Yousef non vuole tradire Cristo, e neppure se stesso.
L´iter legale prevede che in caso di nuova condanna a morte, l´avvocato possa provare ancora a fare ricorso alla corte suprema iraniana. Ma se il tribunale rigettasse la possibilità del nuovo ricorso, già da domani in teoria il pastore evangelista potrebbe essere pronto per la pena di morte.
Padre Nadarkhani si era convertito al cristianesimo a 19 anni: di recente era diventato pastore di un gruppo cristiano evangelico che fa capo a una serie di chiese-famiglia, comunità in cui il culto cristiano viene custodito nel privato delle abitazioni. Fu arrestato per la prima volta nell´ottobre 2009 perché aveva rifiutato di insegnare l´Islam ai bambini cristiani nelle scuole iraniane. Era già stato condannato a morte per impiccagione un anno fa, verdetto che sembrava esser stato ribaltato in appello da una sentenza del tribunale supremo. Ma poi si è capito che la sentenza prevedeva che l´imputato rinnegasse appunto il suo credo, una scelta del tipo «pentiti o muori». Anche se membro di una chiesa diversa da quella di Roma, padre Yousef sarà evocato nelle discussioni che quattro parlamentari iraniani avranno in questi giorni in Vaticano: i quattro sono ayatollah membri del Majlis di Teheran, deputati e leader religiosi con cui papa Benedetto ha deciso di continuare il dialogo anche per difendere i cristiani in Iran.

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