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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Foglio-La Stampa-IlSole24Ore Rassegna Stampa
17.09.2011 Abu Mazen all'Onu, chi è corretto e chi fa propaganda
Carlo Panella, Aldo Baquis, poi il disinformatore Ugo Tramballi

Testata:Il Foglio-La Stampa-IlSole24Ore
Autore: Carlo Panella-Aldo Baquis-Ugo Tramballi
Titolo: «Abu Mazen alza la posta all'Onu e sfida la diplomazia di Obama-Abu Mazen, all'Onu non ci piegheremo-La sfida disperata di Abu Mazen»

Abu Mazen, voto all'Onu, le polemiche con Hamas, Israele. Tutti i quotidiani oggi, 17/09/2011,ospitano cronache e analisi. Scegliamo la cronaca di Aldo Baquis, dalla STAMPA, il commento di Carlo Panella sul FOGLIO, e il pezzo di Ugo Tramballi sul SOLE24ORE, quale esempio di livore e ostilità contro le ragioni di Israele, fino al punto di attribuire intenzioni e manovre al governo israeliano che rivelano, come veritiera, soltanto la disinformazione dello stesso Tramballi.

Invitiamo i nostri lettori a scrivere al SOLE24ORE per esprimere le più forti proteste per la continua propaganda contro Israele contenuta negli articoli di Ugo Tramballi, letterealsole@ilsole24ore.com
Ecco gli articoli:

Il Foglio-Carlo Panella: " Abu Mazen alza la posta all'Onu e sfida la diplomazia di Obama"

Roma. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, è disposto a riconoscere un “upgrading” della presenza dell’Autorità palestinese all’Onu, ma a una condizione: che questo non comporti la definizione di stato di Palestina. Se così fosse, infatti, poiché non può esistere uno stato senza confini definiti, la più alta sede della legalità internazionale approverebbe anche i confini del 1967. Questo riconoscimento metterebbe Israele in grandi difficoltà negoziali e aprirebbe la strada a sentenze vincolanti della Corte internazionale dell’Aja, che potrebbe dichiarare illegittimi gli insediamenti futuri e quelli del passato, inclusa larga parte del territorio metropolitano di Gerusalemme. Questa eventualità chiarisce i termini della battaglia che si sta conducendo in questa “undicesima ora” in vista dell’Assemblea generale dell’Onu che si apre il 20 settembre. Abu Mazen ha dichiarato ieri che presenterà al Consiglio di sicurezza una risoluzione che riconosce la Palestina come stato (oggi l’Anp è “entità osservatrice”). E’ una sfida a Israele e a Barack Obama, che ha già annunciato che gli Stati Uniti opporranno il veto, ma in fondo teme questa scelta perché comporterebbe una rottura col mondo arabo-islamico (i dirigenti sauditi già minacciano la rottura diplomatica con Washington, nel caso questo accadesse). Abu Mazen minaccia il ricorso al Consiglio, per obbligare America ed Europa ad accettare quantomeno l’alternativa già preannunciata: una risoluzione che definisca la Palestina “stato non membro”, come il Vaticano.Questa risoluzione necessita non dell’autorizzazione del Consiglio di sicurezza ma soltanto del voto assembleare (i palestinesi dispongono di un minimo di 130 e di un massimo di 150 voti su 193) e ha il pregio di conseguire l’obiettivo reale: fissare per sempre, per lo meno sul piano formale, i “confini del 1967”. L’Europa sta tentando di trovare un accordo: Francia e Spagna propongono con forza che l’Ue garantisca l’approvazione (o che al limite si astenga) della risoluzione sullo “stato non membro”. Ma il ministero degli Esteri di Gerusalemme ha convocato gli ambasciatori di Francia, Gran Bretagna, Spagna, Germania e Italia per notificare con forza che questa posizione “contrasta con gli interessi di Israele” e ha chiesto che venga abbandonata. L’Alto rappresentante per la politica estera europea, Catherine Ashton, tenta una funambolica mediazione: l’introduzione nello statuto dell’Onu di un nuovo status giuridico che assegni all’Anp una membership superiore a quella di “entità osservatrice”, ma inferiore a quella di stato, formalizzando l’attesa che diventi stato. La stampa araba, con al Hayat, dà conto di un’altra via d’uscita proposta da ambienti europei che comporterebbe la rinuncia a ogni risoluzione palestinese da sostituire con un documento in 20 punti che dia alle parti sei mesi di tempo per definire modalità concordate per la nascita dello stato di Palestina (ma Abu Mazen è contrario). Nonostante questa confusione, il segretario di stato americano, Hillary Clinton, ha detto che l’abbandono della risoluzione sullo stato di Palestina “raccoglie sempre più consensi”. Ma, come scriveva ieri il Washington Post, gli avvertimenti degli emissari americani, Dennis Ross e David Hale, “sono ignorati non soltanto dalla leadership palestinese che si sente tradita da Obama, ma anche dal governo israeliano che riceve dagli Stati Uniti miliardi di dollari l’anno di aiuti militari e di altro tipo: Netanyahu teme di più la rabbia della destra israeliana di Avigdor Lieberman di quella di Obama”. Così, per un non raro paradosso mediorientale, il più grave colpo alla mossa palestinese viene ora da Hamas, che continua a boicottare ogni accordo per un governo unitario con Abu Mazen e che stronca ora come “atto solo simbolico” la risoluzione, accusando: “Al Fatah ha agito da sola, senza prendere in considerazione le condizioni avanzate da Hamas”.

La Stampa-Aldo Baquis: " Abu Mazen, all'Onu non ci piegheremo"

Incurante delle energiche pressioni internazionali degli ultimi giorni, il presidente dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen ha ieri informato il suo popolo, con un discorso trasmesso in diretta dal quartier generale di Ramallah, di essere determinato a rivolgersi al Consiglio di sicurezza per esigere una piena ammissione all'Onu dello Stato di Palestina.

Per una volta, sono i palestinesi ad aver isolato non solo Israele ma anche gli Stati Uniti. Dopo aver ricordato di aver ormai ottenuto l'assenso di due terzi dei Paesi al mondo (126 Paesi nei conteggi del leader dell’Anp), Abu Mazen ha ricordato che era stato proprio il presidente Usa Barack Obama a fissare come obiettivo politico l'ingresso dei palestinesi all'Onu entro il settembre 2011.

Adesso gli Stati Uniti si accingono a porre un veto: eppure - ha incalzato beffardo Abu Mazen - lo stesso Quartetto aveva indicato il settembre 2011 come la data di traguardo per le trattative con Israele; e la Banca Mondiale, da parte sua, ha appena pubblicato un lusinghiero documento che elogia i palestinesi per i livelli di sicurezza raggiunti in Cisgiordania, per il successo dell’economia, per la solidità delle strutture, per la gestione dei fondi pubblici. «Siamo l'unico popolo al mondo sotto occupazione - ha lamentato Abu Mazen -. Anche le isole hanno una loro bandiera da innalzare, ed un posto all'Onu; si è fatta eccezione solo per i palestinesi. Chiediamo: perché?».

Abu Mazen ha poi assicurato che il suo obiettivo non è isolare Israele, né delegittimarlo. I palestinesi vogliono semmai «delegittimare l’occupazione», mettervi fine. Una volta che i loro territori, secondo le linee in vigore nel giugno 1967, saranno stati riconosciuti come «Stato sotto occupazione» riprenderanno le trattative con Israele per definire le questioni aperte: Gerusalemme, le colonie, i profughi, la sicurezza.

Per motivi diversi, Abu Mazen è riuscito a scontentare sia Israele sia Hamas. «La pace non si raggiunge con mosse unilaterali all’Onu né stringendo alleanze con i terroristi di Hamas, bensì con trattative dirette con Israele» ha osservato Benjamin Netanyahu, che mercoledì vedrà Obama. Anche Hamas ha denunciato l’iniziativa di Abu Mazen, trovandola avventata e pericolosa per gli interessi nazionali dei palestinesi. In particolare gli islamici trovano fuori luogo il riferimento alle linee dell’armistizio del 1967 che implicitamente sembra significare una rinuncia al resto della «Palestina storica»: ossia il territorio israeliano.

Abu Mazen ha quindi lanciato un appello ai palestinesi affinché la settimana prossima non si abbandonino a violenze («per non fare il gioco di Israele»quando pronuncerà il suo storico discorso alle Nazioni Unite.

IlSole24Ore-Ugo Tramballi: " La sfida disperata di Abu Mazen"


Nella storia del conflitto fra israeliani e palestinesi sta per accadere un altro dei suoi momenti storici del tutto inutili alla pace. Il 23 settembre Abu Mazen, il presidente dell'Olp e dell'Autorità palestinese, dovrebbe presentare al Consiglio di sicurezza dell'Onu la richiesta di ammissione di un nuovo Stato, il 194°, la Palestina. La rivendicazione di un diritto evidentemente giusto, tuttavia, sarà l'inizio di un nuovo conflitto.

Il meccanismo delle Nazioni Unite prevede che la richiesta debba essere approvata all'unanimità dal Consiglio di sicurezza. Gli Stati Uniti hanno già garantito che porranno il veto. La pratica passerà, forse il 27, all'Assemblea generale che tuttavia non può ammettere un nuovo Stato. Con maggioranza di due terzi, 129 voti (140 Paesi hanno promesso il sì), l'assise può solo promuovere i palestinesi dalla condizione di "Osservatore" che l'Olp già possiede, a quella di "Stato non membro osservatore", come il Vaticano. Con diritto di entrare nelle agenzie e nelle istituzioni come per esempio la corte penale internazionale dell'Aja.
L'occupazione militare di territori altrui è una delle più evidenti violazioni dei diritti umani. I palestinesi potrebbero chiedere l'intervento della Corte criminale. Ma non è esattamente per questo che Israele e Usa si oppongono alla mossa palestinese: anche come semplice Osservatore l'Olp poteva appellarsi all'Aja ma non lo ha mai fatto. Gli israeliani semplicemente non vogliono e Barack Obama per esigenze elettorali interne, li sostiene. Abu Mazen sta compiendo una fuga in avanti che avrebbe potuto essere fermata tornando alla trattativa di pace - c'è stato un anno di tempo - o semplicemente evitando la drammatizzazione del voto.

Dall'evento che non porterà all'indipendenza palestinese attesa dal 1947, non porrà fine all'occupazione israeliana e forse infiammerà un Medio Oriente già a fuoco, non è così difficile individuare i responsabili: tutti, chi più, chi meno. L'ostinazione israeliana: il Governo ultra-nazionalista di Bibi Netanyahu non ha nessuna intenzione di riconoscere una Palestina sotto qualsiasi forma. Netanyahu invoca un ritorno al dialogo pretendendo condizioni inaccettabili. La disperazione palestinese: non era a questo punto che Abu Mazen voleva arrivare, sperava di essere fermato prima con una proposta che non gli facesse perdere la faccia. Una volta di più ha dimostrato di non essere un leader. Senza ottenere l'indipendenza si alienerà gli americani, perderà aiuti economici fondamentali e l'occupazione israeliana si farà ancora più dura. L'inadeguatezza americana: Barack Obama prima ha illuso i palestinesi con promesse che non poteva mantenere, poi ha dimostrato di essere troppo debole per imporre qualcosa a chiunque. Le colonie in costruzione in Cisgiordania sono proporzionali ai voti dell'elettorato ebraico persi in America. L'irrilevanza europea: non esiste una linea comune nemmeno sul voto all'Onu. Ieri gli ambasciatori di alcuni importanti Paesi Ue, Italia compresa, sono stati convocati a Gerusalemme da un oscuro vicedirettore del ministero degli Esteri e minacciati nel caso non voteranno come chiede Israele. Silenzio europeo sulla "soft diplomacy" di Avgdor Lieberman: mai Israele ha avuto un ministro degli Esteri così.

Nell'attesa sempre più disperata che qualcuno corra a salvarlo con un'idea migliore, Abu Mazen cammina a testa alta verso il disastro. Ieri ha ribadito che non andrà subito all'Assemblea generale per avere il più facile status di "osservatore non membro" ma al Consiglio di sicurezza a chiedere il pieno riconoscimento. Non lo avrà, costringendo gli Usa a un solitario veto che noteranno tutti. Il mondo garantirà ad Abu Mazen simpatia e comprensione. Non l'indipendenza.

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