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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Repubblica-Libero Rassegna Stampa
15.09.2011 Palestina: il giornale dell'Ing.De Benedetti ignora le ragioni di Israele
nel commento di Bernardo Valli. L'analisi corretta di Carlo Panella

Testata:La Repubblica-Libero
Autore: Bernardo Valli-Carlo Panella
Titolo: «La Palestina sfida l'Onu sullo Stato promesso- Il riconoscimento della Palestina e le ombre di hamas e Intifada»

I giornali dell'Ing. Carlo De Benedetti, Repubblica in testa, sono scatenati nel diffondere disinformazione sulla richiesta di Abu Mazen per ottenere all'Assemblea generale dell'Onu il riconoscimento dello Stato di Palestina. Fin dal titolo, "La Palestina sfida l'Onu sullo Stato promesso ", il pezzo di Bernardo valli su REPUBBLICA di oggi, 15/09/2011, a pag.1/35, rieccheggia altri 'stati promessi', anche se si trattava di una terra non ancora Stato. Nel pezzo di Valli sono assenti le ragioni di Israele, e quelle dei palestinesi edulcorate fino al punto da omettere qualsiasi accenno alla sicurezza di Israele.
Quando ci si chiede come sia possibile tanta propaganda nel nostro paese, e di conseguenza tanta ignoranza e disinfromazione, pensiamo all'impero mediatico dell'Ing. De Benedetti. Lì sta la risposta, ben esemplificata da Valli nel pezzo che segue.

Per una analisi corretta, segue il pezzo di Carlo Panella, su LIBERO di oggi, a pag.19, con il titolo "Il riconoscimento della Palestina e le ombre di hamas e Intifada ".

Repubblica-Bernardo Valli: " La Palestina sfida l'Onu sullo Stato promesso "

Tra cinque giorni, il 20 settembre, sarà presentata alle Nazioni Unite la candidatura della Palestina come Stato indipendente. L'incertezza sussiste, poiché in queste ore sono in corso frenetiche azioni diplomatiche. C'è chi tenta di impedire (o edulcorare) l'iniziativa; e chi al contrario vuole solennizzarla, darle un carattere storico.

Dopo un periodo di stagnazione e di frustrazione, la questione israelo-palestinese sta per diventare di nuovo dinamica (e incandescente). A 64 anni dalla nascita dello Stato ebraico, il promesso, rifiutato, rivendicato, demonizzato, auspicato Stato palestinese da affiancargli è alla vigilia di un riconoscimento formale da parte della stragrande maggioranza della società internazionale espressa nell'Assemblea generale dell'Onu. Benché questo non significhi che lo Stato ripudiato o invocato stia diventando miracolosamente una realtà, la consacrazione formale segna una svolta non solo in Medio Oriente.

Ron Prozor, rispettato ed esperto ambasciatore di Israele presso le Nazioni Unite, ha comunicato di recente una notizia sgradevole alla coalizione (di centro e di estrema destra) formata da Netanyahu, da Lieberman e da Barak, rispettivamente primo ministro, ministro degli Esteri e della Difesa, al governo a Tel Aviv. Con un telegramma segreto, rivelato dal quotidiano Haaretz, il diplomatico ha fatto sapere che Israele non aveva alcuna possibilità di impedire il riconoscimento dello Stato palestinese. Dopo sessanta e più incontri con i suoi colleghi del Palazzo diVetro, Prozor ha concluso di poter contare unicamente sull'astensione di alcuni paesi (sui 193 rappresentati) o sull'assenza di altri. Soltanto una manciata di Stati voteranno contro la candidatura palestinese. Nell'Unione europea, secondo Prozor, gli unici sicuri sarebbero la Germania, l'Italia, i Paesi Bassi e la Repubblica ceca. La promozione a Stato della Palestina infliggerà una profonda ferita al governo di Israele.

Per il presidente degli Stati Uniti l'appuntamento del 20 settembre nel Palazzo di vetro di New York è un dilemma diplomatico lacerante. Opporsi a un gesto di autoderminazione dei palestinesi, dopo avere appoggiato apertamente i popoli arabi (in Tunisia, in Egitto e in Libia) a liberarsi dei loro raìs, non appare molto coerente. Ma Barack Obama deve fare i conti con i vecchi legami dell'America con Israele, con l'opposizione al Congresso che minaccia di tagliare gli aiuti ai palestinesi, e anche con la convinzione che la via migliore per arrivare a uno Stato palestinese sia quella dei negoziati. In verità da tempo interrotti per il rifiuto israeliano di congelare gli insediamenti di coloni in Cisgiordania, per la questione di Gerusalemme Est e per il rifiuto palestinese di riconoscere il carattere "ebraico" dello Stato di Israele (che finirebbe con l'escludere i cittadini musulmani di Israele).

Accusato di non essersi impegnato in tempo per disinnescare l'appuntamento del 20 settembre, Obama ha spedito d'urgenza i suoi inviati in tutte le direzioni: a Ramallah da Mahmud Abbas (detto Abu Mazen), a Gerusalemme da Benjamin Netanyahu, e in tante capitali mediorientali. L'opposizione americana al riconoscimento di uno Stato palestinese, o in tutti i casi i tentativi di limitarne la portata, rischiano di riaccendere l'antiamericanismo, finora del tutto assente dalle piazze tunisine, egiziane e libiche della "primavera araba".

Non sarà agevole convincere Mahmud Abbas, presidente dell'Autorità Palestinese, a non presentare la candidatura, o ad alleggerirla al punto da limitarne il significato. Tuttavia la minaccia del Congresso americano di sospendere gli aiuti non può lasciarlo indifferente. La Cisgiordania vive un boom economico senza precedenti nei quarantaquattro anni di occupazione israeliana e le sovvenzioni provenienti dagli Stati Uniti vi hanno contribuito. Ma è difficile che Abbas possa rimangiarsi quel che i leader mediorientali hanno ormai acquisito come una parola d'ordine. Nabil el-Araby, segretario della Lega araba, sottolinea in queste ore l'ovvietà dell'iniziativa all'Assemblea generale dell'Onu; e Recep Tayyip Erdogan, il primo ministro turco, l'ex alleato in aperta polemica con Israele, insiste dicendo che il riconoscimento dello Stato palestinese "non è una scelta ma un obbligo".

Il voto dell'Assemblea generale darebbe alla Palestina lo status di osservatore permanente delle Nazioni Unite, come "Stato non membro". La stessa situazione del Vaticano. O per lunghi anni della Svizzera. Adesso la Palestina è una semplice "entità". Per diventare il 194esimo membro a pieno titolo dell'Onu essa avrebbe bisogno del voto del Consiglio di Sicurezza. Ma là l'aspetta il veto degli Stati Uniti. Ed è assai probabile che dopo il riconoscimento formale dell'Assemblea non si vada oltre. Anche se il presidente Abbas sostiene, con una calma non più tanto remissiva, che i palestinesi ricorreranno fino al Consiglio di Sicurezza per ottenere la piena appartenenza alle Nazioni Unite.

I vantaggi acquisiti dello Stato palestinese sarebbero comunque consistenti dopo il voto dell'Assemblea. Esso avrebbe ad esempio accesso alla Corte internazionale di Giustizia dell'Aja e a quella penale internazionale, con la facoltà di denunciare Israele per le sue eventuali azioni come forza di occupazione. E potrebbe usufruire delle istituzioni finanziarie, economiche e commerciali. Potrebbe soprattutto esigere di trattare alla pari con lo Stato di Israele, non più nel quadro del Quartetto (Usa, Russia, Europa, Onu), ma in quello dell'Onu e sulla base delle risoluzioni. Sempre ammesso che Israele accetti le regole imposte dal nuovo status della Palestina. Già traumatizzata dai cambiamenti provocati dalla "primavera araba" in Egitto, e dall'accresciuta ostilità della Turchia, non più alleata, la società israeliana risentirà ancor più l'isolamento, dopo il probabile voto all'Assemblea generale che gli Stati Uniti cercano in queste ore di scongiurare. La rinuncia alla candidatura, imposta o ottenuta dagli Stati Uniti, provocherebbe in tutti i modi reazioni in molte capitali del Medio Oriente. Lo stesso riconoscimento incompleto o puramente formale dell'Assemblea generale potrebbe non bastare alle piazze arabe, le quali potrebbero esigere il voto decisivo del Consiglio di Sicurezza.

Le forze centrifughe e la storia hanno frantumato negli anni la Palestina in cinque zone o entità. La prima dell'elenco può essere Gaza, abitata da un milione di uomini e donne che vivono come in un limbo rispetto al resto dei palestinesi. Un limbo non facile, sotto l'autorità intollerante di Hamas, e in una società più islamista, più tradizionalista ed esclusa dal crescente benessere di cui gode la Cisgordania. Isolata, Gaza è rivolta all'Egitto. Seconda zona o entità la West Bank, la Cisgiordania. Là vivono due milioni e seicentomila palestinesi, governati dall'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), oggetto di indulgenza da parte di Israele, i cui soldati occupano una larga porzione del territorio. Una certa sicurezza e un evidente progresso economico hanno creato una stabilità che ha favorito uno status quo, da non pochi osservatori definito prerivoluzionario. Pur godendo di una situazione favorevole rispetto a quella dei connazionali di Gaza, i palestinesi della West Bank non si sentono garantiti da uno stato di diritto. Restano cittadini sotto un'occupazione straniera e non nutrono grande fiducia nei loro corrotti amministratori dell'Olp.
La terza entità palestinese vive a Gerusalemme Est e conta trecentomila uomini e donne. Circa il 38 per cento della popolazione. Gli abitanti non sono cittadini israeliani, ma residenti permanenti costretti a temere notte e giorno la perdita del diritto di residenza. Le barriere imposte nella vita quotidiana aumentano il senso di precarietà. Essi pagano le tasse allo Stato israeliano e usufruiscono, in tono minore, dei diritti all'assistenza sanitaria e alla scuola. In questo sono favoriti rispetto ai palestinesi della West Bank. La quarta entità è la più numerosa. Conta cinque milioni di uomini e donne registrati come profughi. Vivono in cinquantotto campi, diventati grossi borghi, in Giordania, in Siria, in Libano, nella West Bank e a Gaza. Sognano il ritorno in una patria che non c'è più o che è stata dimezzata. Il riconoscimento formale dello Stato palestinese riaccenderà molte speranze.

La quinta e ultima entità palestinese conta un milione e trecentomila persone, con la nazionalità israeliana. Come creare un comun denominatore di interessi e di aspirazioni in un popolo frantumato e represso resta un problema. Ma certo la nascita di uno Stato formalmente riconosciuto susciterà emozioni e rianimerà progetti e ideali.

Libero-Carlo Panella: " Il riconoscimento della Palestina e le ombre di hamas e Intifada "

Per la prima volta nella sua storia la leadership palestinese è riuscita a varare una iniziativa diplomatica di grande effetto, che mette in seria difficoltà Israele e che non è priva di elementi di raffinatezza. La Lega Araba, infatti, presenterà alla prossima Assemblea Generale dell’Onu che si aprirà il 20 settembre una risoluzione, o più probabilmente, due risoluzioni dal doppio taglio. Non si tratta infatti della dichiarazione unilaterale di indipendenza dello Sato di Palestina – espressa - mente proibita dagli accordi di Oslo e Madrid del 1993 – ma di un riconoscimento dello Stato di Palestina o quale «Stato membro dell’Onu» o, come è ben più probabile come «Stato non membro dell’Onu» (Oggi la Autorità Nazionale Palestinese è «Entità osservatrice»). Un mutamento della memberhip Onu solo sul puro piano diplomatico, che non avrà alcun effetto pratico sul terreno, ma che contiene in sé un enorme vantaggio per i palestinesi: se una delle due mozioni passerà (e Abu Mazen sostiene di avere già assicurati i due terzi dei voti dell’Assemblea), la più alta sede della legalità internazionale riconoscerà la piena validità dei «confini del 1967». Questo riconoscimento dei «confini» è il vero obiettivo che si prefiggono i palestinesi a scapito del fatto che in realtà non esiste alcun «confine del 1967», ma solo una linea negoziale di cessate il fuoco, senza alcuna caratteristica legale di «confine», stabilita tra Gerusalemme e i Paesi confinanti nel 1948. Qualsiasi trattativa futura, infatti, una volta accettata dall’Onu una di queste due risoluzioni, vedrebbe estremamente rafforzato il potere negoziale dei palestinesi. Questo percorso evidenzia il grande cambiamento prodotto dalla fine del regime di Hosni Mubarak e l’emergere di una leadership morale su tutto il Medio Oriente da parte della Turchia di Tayyp Erdogan, grande e convinto sponsor dell’iniziativa (preparata anche cinicamente con la rottura delle relazioni diplomatiche della Turchia con Israele). Gerusalemme si oppone con forza a queste due risoluzioni, non senza forti e determinanti ragioni, a partire dal fatto che oggi non esiste neanche in nuce nessuno Stato palestinese ma esistono addirittura due «Stati» palestinesi contrapposti, uno a Gaza con governo Hamas e l’altro in Cisgiordania con governo Olp, che hanno stretto a maggio un accordo di pura facciata per fingere di fronte all’Onu una unitarietà statuale che non esiste, che vede Abu Mazen e Hamas reduci da una guerra civile palestinese e incapaci da ben 5 mesi a trovare una intesa per un governo unitario. Ma in Medio Oriente la verità dei fatti non sempre corrisponde alla verità politica e il sottile «trucco» palestinese ha tutte le possibilità di affermarsi, anche se probabilmente non si arriverà a una membership palestinese quale «Stato membro» (che abbisogna del voto di un Consiglio di Sicurezza sicuramente bloccato dal veto Usa), ma quale «Stato non membro» (come il Vaticano), per cui è sufficiente il voto assembleare. Inutilmente Israele tenta di bloccare questa iniziativa e ancora più inutilmente si spende in queste ore, ma con abituale ritardo, anche Barack Obama che giudica questa mossa «un diversivo che non servirà a risolvere il problema mediorientale». Ma la vera incognita di questa partita è quanto accadrà dopo. Abu Mazen ha promosso dal 20 settembre manifestazioni in tutta la Palestina con lo slogan «194!» (193 sono a oggi gli Stati membri dell’Onu) e ha allertato i servizi di sicurezza palestinesi per garantire che siano pacifiche. Indubbiamente, Abu Mazen ha tutto l’interesse a che così sia e ha tutto da perdere se queste manifestazioni si trasformeranno in una terza Intifada. Ma non è questo l’interesse di Hamas, che può cogliere questa scadenza per scatenare una nuova fase di violenze. Questa è la certezza del ministro degli esteri israeliano Avigdor Liebermann che prevede un «bagno di sangue», smentito però da report delle stesse forze armate israeliane. Un tornante decisivo, dalle molte incognite e non scevro di molti pericoli.

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