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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera-IlSole24Ore Rassegna Stampa
03.09.2011 Turchia: Cronache scorrette e una intervista degna del Manifesto
Battistini omette, Tramballi bacchetta Israele, Da Rold ossequia Amr Moussa

Testata:Corriere della Sera-IlSole24Ore
Autore: Francesco Battistini-Ugo Tramballi- Vittorio Da Rold
Titolo: «Ankara congela i rapporti con Israele-Ankara rompe con Israele-Gerusalemme deve cambiare la sua politica»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA e dal SOLE24ORE di oggi, 03/09/2011, le cronache di Francesco Battistini e Ugo Tramballi, più l'intervista di Da Rold, tutte precedute da un nostro commento.

Corriere della Sera-Francesco Battistini: " Ankara congela i rapporti con Israele"


Francesco Battistini

Battistini cade nella 'menzogna omissiva', perchè evita di ricordare che i soldati israeliani spararono quando vi furono costretti per legittima difesa. I pacifinti della Mavi Marvara stavano per sopraffarli e ucciderli. Omissione non da poco. Nell'ultima riga ipotizza un Erdogan 'spinto dalla piazza' , ma quando mai, il suo governo, come tutti quelli autoritari, le piazze le governano a loro discrezione, le riempiono e le svuotano a comando, non se n'era mai accorto Battistini ?
Ecco mil suo articolo:

GERUSALEMME — Era il 2005. S'abbracciarono tra fiori e flash: «Da adesso abbiamo un nuovo amico», disse Ariel Sharon, ricevendo a Gerusalemme il premier turco Tayyip Erdogan. Era un secolo fa: il vecchio Arik, pochi mesi dopo, sarebbe caduto in un coma da cui non s'è mai più ripreso; il suo nuovo amico, tempo qualche anno, si sarebbe aggrovigliato in una matassa di liti, dispetti, spari di cui non s'è più visto il bandolo. «Da adesso abbiamo un nuovo nemico», parafrasa un diplomatico israeliano.
Da ieri mattina, per l'esattezza: da quando il New York Times ha anticipato il rapporto Onu sulla strage della nave Marmara ed Erdogan, per l'ultima volta chieste (e non ottenute) le scuse ufficiali di Bibi Netanyahu, ha deciso la quasi rottura delle relazioni diplomatiche. Con passi che s'annunciano rapidi. Da mercoledì, se ne devono andare da Ankara l'ambasciatore israeliano Gabby Levi e la sua vice, peraltro già rimpatriati perché a fine mandato, con la rappresentanza ridotta al rango di secondo segretario. E poi: denuncia d'Israele alla Corte dell'Aja; stop all'acquisto di droni, di tank, di caccia israeliani; niente approdo nei porti turchi per i mercantili con la stella di David; sostegno a tutte le iniziative palestinesi in sede Onu; «libera navigazione» nel Mediterraneo orientale, ovvero scortando a Gaza future flotte pacifiste. Ultima freccia: l'ipotesi d'un viaggio dello stesso Erdogan nella Striscia, la tana di Hamas.
Tutto per un rapporto di 105 pagine. Quello redatto dalla commissione Onu guidata da un ex premier, il neozelandese Palmer, e incaricata di chiarire il sanguinoso blitz della Marmara: i marò israeliani che una notte di maggio 2010 arrembarono la flottiglia pacifista, decisa a rompere l'embargo di Gaza, si scontrarono con attivisti turchi, spararono, uccisero nove persone. La pubblicazione del rapporto, tormentatissima, è stata rinviata tre volte in un anno e mezzo. Alla fine, spartisce torti e ragioni: a Israele riconosce che il blocco della Striscia è «una misura di sicurezza legittima»; dei turchi, accoglie la protesta per l'uso «eccessivo e irragionevole» della forza. L'Onu ammette che «ci sono seri dubbi» sulla condotta degli attivisti musulmani Ihh, finanziati dal governo di Ankara, armati di sbarre e coltelli, che catturarono tre soldati e ne ferirono altri. Però «Israele non ha dato spiegazioni soddisfacenti sull'uso eccessivo delle armi e sui cadaveri, colpiti da più proiettili, anche alle spalle o da vicino».
Alla Turchia - che infatti ne rigetta le conclusioni, mentre Israele le accetta «con riserva» - il rapporto Onu non serve. Nemmeno s'aspetta che sia ufficiale: «Queste misure si dovevano prendere da tempo», ammette il presidente Abdullah Gul. Quel che ora si vuole, dice il ministro degli Esteri, Davutoglu, sono scuse formali e un risarcimento per le vittime: «E' ora che Israele paghi per le sue pretese di stare al di sopra della legge internazionale».
Netanyahu si limita a ripetere «il rammarico» per quei morti e non vuole pagare, temendo che ciò passi per un'ammissione di colpa: «Non ci scuseremo mai per un atto d'autodifesa dei nostri soldati». E' esclusa al momento una contromisura, «perché - scrivono i giornali israeliani - il rapporto andava recuperato prima»: dietro la scusa delle scuse c'è una tensione che si trascina da almeno 3 anni.
Lo strappo turco complica questo 2011 mediorientale. Dopo i morti di Eilat e la crisi con l'Egitto, che ha minacciato di richiamare l'ambasciatore, Israele perde in poche settimane un altro grande amico. Non solo per gli affari in ballo, tre miliardi di dollari l'anno: il neo-ottomanesimo di Erdogan raccoglie consensi in un'area rimasta senza leader e potrebbe trascinare anche l'ultimo buon vicino, la Giordania. Ad Ankara c'è un premier ambizioso che guarda all'Iran, più che all'Occidente, e una piazza che a questo lo spinge.

IlSole24Ore-Ugo Tramballi: " Ankara rompe con Israele"


Ugo Tramballi

In realtà Tramballi non fa una cronaca, ma - come suo costume- capovolge la realtà dei fatti. La crisi non iniziò con l'uccisione (per legittima difesa, ammessa persino dal Rapporto Palmer !) ma con il tenttaivo della nave Mavi Marmara di forzare il blocco navale a Gaza (anche questa azione sanzionata pesantemente dal Rapporto Palmer !), una nave sponsorizzata direttamente dal Governo turco. Il pezzo di Tramballi sembra uscito dall'ufficio stampa di Erdogan, pieno com'è di giudizi sprezzanti sul governo israeliano.
Si aggiunga il titolo, che esprime più il desiderio di Tramballi che non la realtà, il giornale della Confindustria impari dalla titolazione del CORRIERE della SERA, che, correttamente, titola "Ankara congela i rapporti con Israele", tra rompere e congelare c'è una grossa differenza.

Ecco l'articolo di Tramballi:

Henry Kissinger sosteneva che un problema dei Governi «è separare l'urgente dall'importante, facendo in modo di occuparsi dell'importante senza che l'urgente si sostituisca all'importante». Turchi e israeliani non ne sono stati capaci. Hanno perso di vista il punto e da vecchi amici sono praticamente diventati nemici. Il Medio Oriente, piuttosto in ebollizione, ora ha un nuovo problema serio.

Il Governo turco ha espulso l'ambasciatore israeliano Gabby Levi e la sua vice Ella Afek, riducendo le relazioni diplomatiche «al livello più basso possibile». Parole del ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu. Ha cancellato tutti i contratti nel campo della Difesa con il Governo israeliano. Sta pensando d'imporre sanzioni economiche allo Stato ebraico e ai suoi partner internazionali. «Ed è solo un inizio», insiste Davutoglu. L'anno scorso l'interscambio fra i due Paesi era da 3,443 miliardi di dollari. Non è facile conoscere la quantità di quello militare. L'ultimo dato noto spiegava che nel 2007 era il 69% degli scambi bilaterali.

Era stato l'ultimo anno senza nuvole di un'antica alleanza strategica dal punto di vista politico e militare, che preoccupava molto gli arabi. Alla fine del 2008 la guerra israeliana su Gaza aveva incominciato a cambiare le cose. Poi l'anno scorso ci fu la flottiglia di pacifisti partita dalla Turchia per rompere il blocco di Gaza. Gli israeliani la fermarono e uccisero nove turchi. Da allora il Governo di Ankara ha chiesto e atteso le scuse ufficiali mai arrivate. «Israele - ha dichiarato Davutoglu - ha sprecato tutte le occasioni che gli sono state date. Ora deve pagare per le sue misure illegali, e il primo costo per il fatto di essersi sentito al di sopra delle leggi internazionali è l'amicizia della Turchia».
Ciò che ha fatto esplodere ieri e non un altro giorno i turchi, è la pubblicazione sul "New York Times" del Rapporto Palmer che doveva stabilire per conto dell'Onu le responsabilità dell'accaduto. La relazione sostiene che il blocco navale di Gaza era legittimo. Implicitamente, dunque, l'azione militare israeliana è giustificata. «Non possiamo accettare il blocco di Gaza, non possiamo dire che il blocco è in linea con la legge internazionale», ha protestato Davutoglu. Ma il problema era diventato di orgoglio nazionale: l'urgente sostituiva l'importante. Chiarificatrici le parole del presidente Abdullah Gul: «Israele non ha capito quanto la Turchia fosse determinata a dimostrare di non aver dimenticato gli eventi del passato».

Israele in effetti non ha davvero capito, per quante ragioni potesse avere sulla questione della flottiglia. A gennaio il viceministro degli Esteri Danny Ayalon aveva pubblicamente umiliato l'ambasciatore turco. Lo aveva convocato al ministero, lo aveva fatto sedere su una sedia più bassa della sua, senza una bandierina turca ma circondato da una con la stella di David. Poi aveva chiamato le televisioni, sottolineando agli operatori i dettagli dell'umiliazione. Uno spettacolo da repubblica asiatica ex sovietica. Ayalon è un diplomatico arrogante e il suo ministro, Avidgor Lieberman, è ancora più arrogante di lui, inviso alla diplomazia mondiale. Non poteva che finire così. «Israele ha buttato al vento tutte le opportunità per porre fine alla crisi» dice ora Ahmet Davutoglu, promettendo nuove ritorsioni.
A parte i morti della flottiglia per Gaza, rompendo con Israele la Turchia alla fine ha ascoltato il richiamo della geopolitica. Il Paese economicamente rafforzato, l'unica democrazia islamica conosciuta, credibile a Ovest e a Oriente, sa di avere nel mondo arabo una potenziale sfera d'influenza dalle dimensioni illimitate. Rompere prima con la Siria di Bashar Assad e poi con Israele di Bibi Netanyahu fa della Turchia la guida del nuovo Medio Oriente in costruzione. Israele lo sapeva ma è come se non avesse colto il pericolo, ci è finito dentro con grande presunzione. Ad Ankara possono fare a meno di Israele. Gli israeliani vivono molto meno agevolmente senza la Turchia. Soprattutto adesso che l'altro vecchio alleato regionale, l'Egitto, non è più quello di Hosni Mubarak.

Non è una buona notizia per nessuno perché quando si sente isolato, Israele non mette in moto la diplomazia ma le sue forze armate. La sensazione dell'accerchiamento diventa ancora più pericolosa quando governa un Esecutivo i cui diplomatici sono più combattivi degli stessi generali.


IlSole24Ore-Vittorio Da Rold: " Gerusalemme deve cambiare la sua politica"


Amr Moussa             Lega araba

Non critichiamo la scelta di intervistare Amr Moussa, già capo della Lega Araba, e ora uno dei leader che chiedono in Egitto l'instaurazione della Sharia e la revisione del trattato di pace con Israele. Due progetti che avrebbero dovuto consigliare, almeno, un'altra intervista a qualcuno che esprimesse un diverso parere. Sulla questione palestinese è noto il disinteressa dell'Egitto, proprio quando Amr Moussa dirigeva la Lega Araba. Nell'intervista le spara grosse, e Da Rold non gli ricorda che fino al '67 Gaza apparteneva all'Egitto. Non se n'era mai accorto Amr Moussa ? Ma Da Rold soffre anche lui, come tanti nostri giornalisti di quel virus che abbiamo chiamato 'menzogna omissiva', che consiste nel fare domande facili facili, come quelle fatte dall'intervistatore all'intervistato. Tutto questo sul quotidiano della Confindustria !
Ecco l'intervista:

«Israele deve cambiare la sua politica nell'interesse di tutto il Medio Oriente», dice Amr Moussa, 64 anni, per dieci anni segretario generale della Lega Araba (2001-2011) e per altrettanti ministro degli Esteri egiziano (1991-2001). Moussa sta preparando la prossima sfida, quella che lo vede come uno dei più quotati candidati alle elezioni presidenziali del dopo Mubarak.

Come valuta oggi le relazioni tra Israele ed Egitto?

Il problema è uscire dall'impasse. È nell'interesse di tutti risolvere la questione palestinese subito, con urgenza e di permettere ai palestinesi di avere il loro Stato, uno Stato sovrano, perché se questo non dovesse accadere tutti noi dovremmo pagare un prezzo per questo.

Prima le elezioni presidenziali in Egitto e dopo quelle parlamentari. È d'accordo su questa tempistica?
No, avrei preferito prima le elezioni presidenziali e poi quelle politiche per il nuovo parlamento ma ora non è il momento di fare polemiche, meglio andare avanti. Spero però che le elezioni presidenziali seguano velocemente quelle di novembre.

Ha paura di un successo della Fratellanza musulmana a novembre?

Perché aver paura, questa è la democrazia. In democrazia ci sono vincitori e sconfitti, ma non ci sarà una maggioranza e una minoranza. Prevedo un esito del voto che porterà a un Parlamento con molti partiti che porterà a un Governo di coalizione. Qualcosa come accadeva in Italia quando un governo durava sei mesi perché un piccolo partito usciva e una altro ne antrava nella compagine governativa. Non vogliamo ripetere quell'esperienza, ma non bisogna dimenticare che stiamo ricostruendo una nuova nazione.

Cosa pensa dei prestiti dell'Fmi?

Non sono contrario ai prestiti agevolati. Abbiamo bisogno di investimenti stranieri, investimenti arabi, joint-venture e prestiti agevolati e aiuti.

Cosa pensa del modello turco?

C'è un esempio turco ma abbiamo creato altri esempi, come quello egiziano, di raggiungere nel modo giusto la democrazia. Vediamo il risultato delle elezioni, parlamentari e presidenziali, e quale via l'Egitto prenderà.

È finita la crisi libica?
No, non è finita affatto, ma è chiaro lo sviluppo, il percorso: in Libia c'è stata la rivoluzione e credo che la pace arriverà.

Cosa pensa della Primavera araba?

La Primavera prevarrà e raggiungerà i suoi scopi. Non ci sono dubbi in proposito. Alla fine la Primavera vincerà, questo è il trend della storia.

Anche in Siria?

In ogni luogo.

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