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L'Opinione - Il Tempo Rassegna Stampa
20.04.2011 Israeliani, vittime di serie B
Commenti di Stefano Magni, Maurizio Piccirilli

Testata:L'Opinione - Il Tempo
Autore: Stefano Magni - Maurizio Piccirilli
Titolo: «La triste Pasqua ebraica delle vittime dimenticate - I coloni israeliani vittime di serie B»

Riportiamo dall'OPINIONE di oggi, 20/04/2011, a pag. 12, l'articolo di Stefano Magni dal titolo " La triste Pasqua ebraica delle vittime dimenticate ". Dal TEMPO l'articolo di Maurizio Piccirilli dal titolo "I coloni israeliani vittime di serie B".

L'OPINIONE - Stefano Magni : " La triste Pasqua ebraica delle vittime dimenticate "


Stefano Magni, lo scuolabus su cui viaggiava Daniel Viplich

Il Medio Oriente torna ad essere al centro dell’attenzione dei media italiani. Eppure, in Israele, muore il sedicenne Daniel Viplich, ma nessuno sembra accorgersene. Sempre negli stessi giorni, vengono arrestati gli artefici del massacro di Itamar, cioè i due uomini che hanno sterminato la famiglia Fogel. Ma di queste notizie i media se ne occupano poco o nulla. Se ne è accorto praticamente solo il quotidiano Il Tempo, che ieri denunciava questo inspiegabile, assordante, silenzio.
Daniel Viplich non era un soldato al fronte. Era un ragazzo che tornava da scuola su un pacifico scuolabus. Ma è stato ucciso da un’arma da guerra, un razzo anti-carro sparato a bruciapelo, deliberatamente, contro il veicolo civile, con il chiaro intento di provocare una strage di innocenti. E’ stato solo per un caso “fortunato”, che il commando non abbia trovato lo scuolabus carico di ragazzini, sbarcati pochi minuti prima. L’autista è stato colpito dalle schegge, ma si è salvato. L’unico passeggero rimasto, comunque, Daniel Viplich, ha riportato ferite tali da non potersi salvare. Dilaniato dai frammenti del razzo, gravemente ferito alla testa, rimasto in coma per dieci giorni, la sua agonia è finita solo il 17 aprile. Nessun pentimento da parte dei suoi assassini: Hamas ha regolarmente rivendicato l’attacco terroristico, il primo atto di una serie di lanci di razzi e colpi di mortaio contro civili israeliani, a cui l’aviazione e l’esercito dello Stato ebraico hanno risposto prontamente. Una tregua ha posto fine al nuovo piccolo conflitto di Gaza e la questione è passata in secondo piano. Viplich è ora una vittima dimenticata da tutti, tranne che dalla sua famiglia di Beit Shemesh.
Tutti i media avevano parlato del massacro di Itamar. Peccato che pochi abbiano riferito anche la conclusione della tragedia: l’arresto dei due autori della strage e le loro agghiaccianti dichiarazioni. Amjad Awad, 19 anni e Hakim Awad, 18, palestinesi del villaggio di Awarta, hanno ammesso serenamente di essere entrati nell’insediamento di Itamar con l’intento di uccidere ebrei. Hanno dichiarato di aver pianificato la loro azione con cura, di aver chiesto (senza ottenerlo) il sostegno militare del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, di cui erano militanti sia il padre che lo zio (morto durante un’azione terroristica nel 2002) di Hakim Awad. Di aver rubato a un vicino dei casa dei Fogel un giubbotto anti-proiettile e un fucile M-16. Ma di aver preferito il coltello (più silenzioso) per sgozzare due bambini, la loro mamma e il loro papà, in casa loro, mentre riposavano. Poi, richiamati dagli strilli di Hadas, la più piccola dei Fogel, una bambina di tre mesi, sono tornati indietro e hanno pugnalato anche lei. Tutto questo lo hanno raccontato alla polizia israeliana. Sempre senza mostrare alcun segno di pentimento. Anzi, si sono rammaricati di non aver completato l’opera, quando hanno saputo che tre dei figli dei Fogel sono rimasti in vita. Attorno ai due assassini esisteva una rete di parenti complici nel villaggio di Awarta, dominato dalla famiglia Awad. Salah Aladin Awad, zio di Hakim e membro del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, avrebbe nascosto i due assassini e spedito le armi da loro rubate a parenti a Ramallah.
Si sorvola, comunque, su questi dettagli. Perché la prima tesi che era circolata sul massacro di Itamar era quella dell’auto-attentato israeliano. Sempre ragionando con la logica del “cui prodest”, a chi giova, si pensava che fossero stati gli israeliani stessi ad aver provocato la strage, per avere il pretesto di costruire nuovi insediamenti e ristabilire posti di blocco. Nessuna prova era stata trovata per corroborare quella tesi, ovviamente. Ma come sempre i complottisti mettevano in luce i particolari “strani” (“come mai dei palestinesi si introducono senza problemi in un villaggio fortificato?” “Come mai l’eccidio avviene proprio adesso?” “Come mai...”), per seminare dubbi che in realtà nascondono una sola certezza: il terrorismo è sempre provocato da Israele. Anche la morte di Daniel Viplich è “scomoda”, perché spiegherebbe la determinazione con cui l’aviazione e l’esercito israeliano hanno colpito obiettivi di Hamas a Gaza. Si preferisce dar risalto a quelle vittime palestinesi e a quei raid, più che all’azione terrorista che li ha provocati. Si preferisce dar risalto all’assassinio di Vittorio Arrigoni, ucciso, non da terroristi salafiti, ma da “sedicenti” tali. Perché, si lascia intendere, dietro all’omicidio “c’è l’interesse di Israele”. Se una notizia sconfessa queste tesi, parliamone pure. Ma sottovoce.

Il TEMPO - Maurizio Piccirilli : "I coloni israeliani vittime di serie B"

Autocensura. Meglio non far conoscere la ferocia degli «amici». I palestinesi, per molta stampa italiana, sono solo vittime. Infatti quando, come è accaduto per il massacro di Itamar vengono arrestati due palestinesi rei confessi di aver sgozzato tre bambini, uno in culla, è meglio ignorare la notizia. Soprattutto se questa arriva dopo l'altra verità scomoda: la morte di un italiano che ha sposato la causa di Hamas, ucciso a Gaza per mano degli uomini di Hamas.
La questione israelo-palestinese è complessa e non a caso è un conflitto tra i più lunghi della storia moderna. È lecito schierarsi. Coraggiosa la scelta di Vittorio Arrigoni che, coerente con le sue idee, ha deciso di stabilirsi a Gaza City e condividere le difficoltà dei palestinesi. Meno rispetto ha l'ipocrisia di coloro che sono pronti a puntare il dito e intingere la penna nell'inchiostro dell'odio a senso unico. In uno stato di guerra permanente è difficile fare distinguo, ma è altrettanto vero che la barbarie va condannata. E la strage della famiglia Fogel nell'insediamento di Itamar rientra in questo ambito. Non è stato il lancio di razzi per rispondere all'occupazione israeliana a ucciderli. Non è stato un conflitto a fuoco tra miliziani e soldati della Tsahal. La strage di Itamar è stata l'azione brutale di due studenti di 18 e 19 anni che volevano diventare «shahid». Due palestinesi che vivevano nella West Bank che sognavano di diventare mujaheddin, guerrieri santi. Uccidendo tre «pericolosi» israeliani di tre mesi, quattro e undici anni.
Una verità scomoda che racconta la ferocia e la violenza cieca, tranquillamente ignorata dalla stampa italiana. Appena un accenno alla fine dell'articolo su Arrigoni ne Il Messaggero. Gli altri quotidiani, da Repubblica, a Stampa, a Unità e al Corriere della Sera l'hanno ignorata. L'ha ignorata anche Il Giornale sempre pronto a schierarsi a favore di Israele. A volte la scelta di campo è tutta italiana. Fa parte dei giochi di potere e delle fazioni di casa nostra. E si perde la capacità di testimoniare i fatti. Così come la vicenda di Vittorio Arrigoni perde spazio sulla stampa libera e intellettualmente superiore. È difficile raccontare cosa si celi dietro certe morti assurde, seppur in una regione del mondo dove l'odio è il nutrimento quotidiano.
La Palestina di Hamas non è quella dell'Anp. C'è chi cerca il dialogo e chi vuole cancellare Israele. E poi ci sono i qaedisti che sognano l'Emirato di Palestina prodromo del ritorno del Califfato in tutta la Mezzaluna fertile. Un tuffo nel Medio Evo in nome dell'interpretazione distorta del pensiero di Maometto. Gli amici italiani della Palestina, di Gaza, cosa pensano dei diritti delle donne nella Striscia? Delle libertà individuali? Gli universitari a fine marzo hanno tentato una protesta a Gaza City sull'onda della Rivoluzione dei gelsomini: la polizia di Hamas li ha malmenati e arrestati così come fa quella del dittatore Assad in Siria o Gheddafi in Libia. Ma è meglio ignorare. I rapitori di Vittorio Arrigoni lo hanno accusato di introdurre a Gaza «costumi occidentali» e la «modernizzazione».
Tra l'altro Arrigoni era animatore di un gruppo di giovani palestinesi su Faceboook e i salafiti di Gaza poco tempo fa hanno distrutto alcuni internet point. Nella Striscia della milizia islamica il traffico di droga, di farmaci e di aiuti internazionali è il business più diffuso. Abu Khaled, l'uomo indicato come il trafficante di uomini che tiene prigionieri centinaia di eritrei nel Sinai, è un uomo di Hamas: controlla una rete di tunnel tra Gaza e l'Egitto, rilascia interviste da Gaza. Questi sono i personaggi che ispirano i giovani palestinesi a uccidere i bambini e lanciare razzi contro gli scuolabus. Il mito del kamikaze viene inculcato sin da piccoli. Un esempio? «Lotta con il martirio perché il martire è l'essenza della Storia»: con questa frase dell'ayatollah Khomeini prende il via un filmato di 52 minuti, prodotto da Hezbollah, dove si esalta la figura del «kamikaze» dove si vedono ragazzini di 7-8 anni con dei kalashnikov in mano. Ieri si celebrava Pesach, il passaggio dalla schiavitù verso la libertà. Un sogno per tanti in Medio Oriente. Non li aiuta un Occidente che racconta mezze verità.

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