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Il Foglio - La Repubblica - Libero Rassegna Stampa
12.04.2011 Egitto, non c'è spazio per la democrazia con i Fratelli Musulmani
Analisi di Giulio Meotti, Matthew Kaminsky. Cronache di Redazione di Repubblica, Redazione di Libero

Testata:Il Foglio - La Repubblica - Libero
Autore: Giulio Meotti - Matthew Kaminsky - Redazione di Repubblica - Redazione di Libero
Titolo: «Gli islamisti si prendono la piazza e iniziano la campagna di 'purificazione' - Critica l´esercito, tre anni di carcere a un blogger egiziano - L’Egitto libera i sospetti del massacro di copti»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 12/04/211, a pag. III, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Gli islamisti si prendono la piazza e iniziano la campagna di 'purificazione' ", l'articolo di Matthew Kaminsky dal titolo "  Guardiamoci in faccia  ". Da REPUBBLICA, a pag. 19, l'articolo dal titolo " Critica l´esercito, tre anni di carcere a un blogger egiziano ". Da LIBERO, a pag. 15, l'articolo dal titolo " L’Egitto libera i sospetti del massacro di copti ".
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Gli islamisti si prendono la piazza e iniziano la campagna di 'purificazione' "


Giulio Meotti

Roma. La grande preghiera per chiedere la testa di Hosni Mubarak l’ha tenuta l’imam Safwat Hegazy, uno dei capi religiosi dei Fratelli musulmani bandito dal Regno Unito. Davanti a centinaia di migliaia di persone riunite a piazza Tahrir, il religioso ha detto: “Andremo noi a Sharm”, la nota località turistica dove Mubarak si è autoesiliato dopo la sua cacciata dal Cairo. E’ finita nel sangue la più grande manifestazione del dopo Mubarak. Ci sarebbero almeno due morti e decine di feriti. Era stata proprio la grande confraternita islamica a chiamare venerdì al raduno di massa per ottenere un giro di vite all’interno dell’ex regime di Mubarak. La risposta dei manifestanti è stata enorme. Nella giornata “del processo e della purificazione”, la piazza, dove ormai da due mesi ogni venerdì si tengono adunate e sit in, si è riempita al punto che sarebbe stata superata la quota fatidica di un milione di partecipanti. I Fratelli musulmani avevano organizzato un servizio d’ordine in ingresso e in uscita. I leader della confraternita sono stati portati in trionfo sulle spalle dalla folla, fra loro proprio l’imam Hegazy. A febbraio era stato un capo storico della Fratellanza, Youssef Nada, a chiedere per primo il processo a Hosni Mubarak per i suoi “crimini”. Il banchiere islamico aveva chiamato l’ex rais “Dracula”. “Oggi è la purificazione dell’Egitto”, diceva la nuova chiamata islamista. “La strada per la stabilità è ripulire il paese dalla corruzione”. Diverse migliaia di manifestanti hanno successivamente marciato sull’ambasciata israeliana, dove soltanto i cannoni puntati verso la folla hanno impedito un’irruzione. I manifestanti gridavano alla “liberazione della Palestina” e alla distruzione dello “stato sionista”, mentre numerose bandiere israeliane e manichini raffiguranti soldati israeliani sono stati dati alle fiamme. Gli islamisti si sono poi dati appuntamento per il 15 maggio, giorno in cui si auspica una “Terza Intifada”, per andare in massa al valico con Gaza e riaprire le frontiere con Hamas. Proprio da Israele è arrivata ieri la conferma che il Cairo ha sospeso ogni progetto di barriera al confine con Gaza. Mubarak aveva avviato questo gigantesco scudo d’acciaio al fine di impedire il passaggio di armi, attraverso i tunnel, dirette ai terroristi di Gaza. In campo sociale emerge sempre più chiaramente il movimento d’islamizzazione del paese. Non soltanto i Fratelli musulmani stanno studiando la creazione di una polizia della “modestia”, sullo stile di quella che opera in Arabia Saudita per combattere i comportamenti “immorali” nelle aree pubbliche. Sobhi Saleh, il capo del partito Libertà e giustizia che i Fratelli musulmani hanno scelto per presentarsi alle elezioni politiche di settembre, ha annunciato che, fra le misure contemplate dal movimento, “gli alcolici saranno banditi dai luoghi pubblici”. Alle donne sarà imposto l’uso del chador. Intanto nelle strade aumentano i casi di violenza religiosa. Pochi giorni fa a Qena, nel sud dell’Egitto, i fondamentalisti hanno tagliato un orecchio a un cristiano, colpevole ai loro occhi di avere una relazione con una musulmana. Altre centinaia di fanatici, in una cittadina del Delta del Nilo, hanno incendiato la casa di una donna, considerata di facili costumi. Sono state distrutte tombe dei santi musulmani locali, la cui venerazione è vista dagli islamisti come un’idolatria. Al Cairo è stato assaltato un negozio di alcolici, ucciso il proprietario, e assediata un’organizzazione caritativa copta a Giza, costringendo i sacerdoti locali a chiudere. E’ notizia che anche i salafiti, soppressi da Mubarak e che non hanno mai preso parte alla vita politica egiziana, si presenteranno alle elezioni col nome di “En Nahda”. “Vogliono creare un Egitto islamico perché pensano che ci sia un vuoto”, dice Hala Mustafa, direttore della Democracy Review. Non sembra rassicurare molto laici, cristiani e donne la dichiarazione dell’Alto Consiglio delle forze armate per cui “l’Egitto non sarà trasformato in un altro Iran”.

Il FOGLIO - Matthew Kaminsky : " Guardiamoci in faccia "


Matthew Kaminsky

Una settimana assieme ai Fratelli musulmani in Egitto. Ecco le loro risposte su Mubarak, Israele, l’estremismo e il futuro

Adue mesi di distanza dalla cacciata del presidente Hosni Mubarak, la politica egiziana è ancora in uno stato di estrema confusione. Si ha l’impressione che ogni giorno si formi un nuovo partito, ispirato di volta in volta a ideologie nasseriane, marxiste, islamiste o di qualche altro genere. Circola già una barzelletta secondo la quale il dieci per cento degli egiziani intende candidarsi a presidente. “Tutti gli egiziani ora pensano di essere Che Guevara, Castro o chissà chi”, dice Essam el Erian, un esponente di spicco della Fratellanza musulmana; e ridendo aggiunge: “Questa è la democrazia”. In mezzo a questo fermento politico, i Fratelli musulmani costituiscono un’eccezione: una forza ben organizzata e consolidata. Fondata nel 1928, la Fratellanza è anche l’antesignana di tutti i movimenti politici islamisti mediorientali. E’ stata bandita dalla scena politica per cinquantasette anni, e ha concentrato la propria attenzione in attività sociali, economiche e di beneficenza. Ma, in sostanza, ha sempre aspirato alla conquista del potere. Ora, però, le libere elezioni che si dovrebbero tenere nei prossimi mesi offrono una straordinaria opportunità. I Fratelli musulmani dichiarano di credere nella “democrazia islamica”. Ma che cosa significa realmente quest’espressione? Per scoprirlo ho trascorso una settimana con alcuni di loro, e il risultato è che le risposte non sono affatto univoche, e spesso tutt’altro che rassicuranti.

Lunedì, poco prima della mezzanotte, Mohammed Baltagi entra nel suo ufficio, in un quartiere benestante del Cairo, e si scusa per la tarda ora. In questi giorni i leader della Fratellanza sono ovunque: nei talk show serali o nelle conferenze pubbliche, per organizzare il loro nuovo partito, chiamato Giustizia e libertà, o per dare consigli al regime militare sulla Costituzione ad interim. La rivoluzione ha reso il dottor Baltagi uno specialista in materia, un volto di spicco di quella che si potrebbe definire l’ala progressista della Fratellanza. Mohammed Baltagi, quarantasette anni, ha guidato una sezione ufficiosa dell’organizzazione all’interno del Parlamento egiziano dal 2005 al 2010 nell’ambito di un limitato esperimento democratico. Con il volto incorniciato dai baffi e vestito come un perfetto uomo d’affari, esprime il suo rammarico perché i diplomatici statunitensi hanno evitato di prendere contatti con lui e i suoi fratelli durante la loro permanenza in Parlamento. La bandiera verde della Fratellanza – con il motto dell’organizzazione: “L’islam è la soluzione” – sta in bella mostra sulla sua scrivania accanto al tricolore egiziano. Mentre tutti i membri di primo piano della Fratellanza si sono tenuti in disparte durante i primi giorni delle proteste anti Mubarak, Baltagi è sceso in piazza Tahrir fin dall’inizio della rivoluzione. E’ stato il solo a partecipare al comitato rivoluzionario: “Questa non è una rivoluzione dei Fratelli musulmani”, proclama, è “la rivoluzione di tutti gli egiziani”. Baltagi dice poi che gli islamisti preferiscono “un uomo, un voto, in un’unica tornata”. E aggiunge: “Per quanto ne so, in Algeria, Egitto e altri paesi, gli islamisti sono stati le vittime e non gli autori delle repressioni”. La teocrazia iraniana, per lui come per tutti gli altri membri della Fratellanza con i quali ho parlato, non è altro che un’apostasia sciita del tutto irrilevante per i paesi sunniti. I Fratelli musulmani hanno recentemente perso le elezioni per la leadership del sindacato studentesco dell’Università statale del Cairo, in passato dominato dall’organizzazione. “Abbiamo accettato il risultato. Noi accettiamo la democrazia”. Baltagi ritiene che la rivoluzione determinerà un profondo cambiamento all’interno della Fratellanza. Per la prima volta, la sua organizzazione ha come obiettivo per l’Egitto non la fondazione di uno stato religioso ma di uno stato civile e “laico” (nella misura in cui questo termine può applicarsi a un gruppo islamico). Dopo intense discussioni interne, i Fratelli musulmani hanno dichiarato che potrebbero accettare persino una donna cristiana come presidente del paese – sebbene si tratti soltanto di una concessione simbolica visto che le probabilità di un simile esito sodi Matthew Kaminski no meno di zero.

Qualsiasi spinta alla trasparenza si scontra con decenni di pratiche clandestine. “Lavoreremo apertamente di fronte allo sguardo di tutti”, dice Baltagi, “parlando liberamente dei nostri membri, dei nostri programmi e delle nostre raccolte di fondi”. Dunque, la prima domanda è: quanti sono i membri della Fratellanza? Baltagi fa un sorriso nervoso, quasi giustificatorio, e risponde: “Per il momento, questo è un segreto”. Non dice molto di più nemmeno sulla questione della raccolta di fondi, al di là del fatto che tutti i membri offrono una decima e che vi sono tra essi uomini d’affari molto generosi. La nuova situazione ha portato in superficie le tensioni interne. La cultura tradizionalmente conservatrice del movimento si scontra con quella dei suoi membri più giovani, particolarmente esperti nelle nuove tecnologie. La leadership ha annunciato che tutti i membri devono sostenere il nuovo partito Giustizia e libertà, irritando soprattutto i giovani. La settimana scorsa, di venerdì, la Fratellanza non ha invitato i suoi sostenitori a unirsi agli altri gruppi anti Mubarak per una manifestazione in piazza Tahrir, l’epicentro della “Rivoluzione del 25 gennaio”. Islam Lotfi, avvocato trentatreenne, è stato uno dei numerosi “giovani fratelli” che ci sono andati lo stesso. Le tensioni all’interno della Fratellanza, dice Lotfi, “sono del tutto normali. Si tratta di un gap generazionale”. Islam Lotfi ha un viso rotondo e completamente rasato e collabora con giovani attivisti di ogni schieramento politico. “Vogliamo più ampie opportunità per lavorare dall’interno” della gerarchia della Fratellanza. “Ma questo non viene accettato da una cultura che non crede nei giovani”. L’Egitto ha una popolazione di ottanta milioni di persone, e due terzi di esse ha meno di trent’anni. Abdel Moneim Aboul Fatouh, un leader della Fratellanza appartenente alla generazione di mezzo, ha recentemente appoggiato un partito rivale di ispirazione religiosa, cercando di portarsi dietro altri giovani fratelli. Il dottori el Erian, un medico che fa parte del comitato guida, composto da quindici persone, si impegna per evitare defezioni. “In Israele ci sono molti partiti religiosi. Anche qui potremmo avere diversi partiti islamici che rimangono uniti e stabiliscono reciproche alleanze” in un futuro Parlamento. La Fratellanza è già stata caratterizzata in passato da separazioni interne, ma senza gravi conseguenze. Quindici anni fa, Abou Elela Mady, allora uno dei più giovani membri del Consiglio consultivo, ha lasciato l’organizzazione per fondare il partito Wasat (“Centro”). Mady dice che le nuove e tolleranti posizioni della Fratellanza non sono altro che mosse “tattiche” per rassicurare gli egiziani più preoccupati, l’esercito e l’occidente. “La maggioranza dell’organizzazione – sostiene – è formata da vecchi pensatori. I giovani costituiscono ancora una minoranza. Mady, il cui partito sarà in concorrenza con la Fratellanza per conquistare il voto dei conservatori e degli strati più poveri della popolazione, dichiara di non essere disposto a formare una coalizione con i Fratelli musulmani. Il regime di Mubarak aveva definito il Wasat un cavallo di Troia per gli islamisti. Lui stesso paragona il proprio gruppo al partito turco al governo. Mady, un uomo di cinquantatré anni, rispecchia perfettamente il profilo di molti membri della Fratellanza. Nato in una famiglia di bassa estrazione sociale, è riuscito a distinguersi negli studi e ha ottenuto una laurea in ingegneria. E’ entrato nella Fratellanza alla fine degli anni Settanta, passando attraverso i sindacati universitari. La Fratellanza cerca di conquistare l’adesione di emarginati ambiziosi come Mady – una specie di fratellanza “geek” per coloro che studiano sodo e sono in imbarazzo con le ragazze. Ha lasciato il partito perché, come dice lui stesso, “volevo avere una mentalità più aperta. Ora posso guardare la tv, ascoltare musica e stringere la mano di una donna senza pensare di fare qualcosa di sbagliato. La maggior parte dei Fratelli disapprovano questo. Per la Fratellanza musulmana la sfida posta dall’ideale della libertà è ancora più minacciosa di quella rappresentata da un regime autoritario. Deve dare risposte concrete alle difficili domande” sul futuro dell’Egitto.

Ci sono poi i sostenitori dell’islam salafita, che nella sua versione più estrema è praticato da Osama bin Laden. Dopo le proteste delle scorso venerdì, Salim Ghazor mi ha accompagnato a una grande manifestazione in un quartiere povero del Cairo. Un gran numero di autobus portava i fedeli da tutto l’Egitto nella moschea di Amr ibn al-As. Illuminati da una pallida luna, uomini barbuti e vestiti con la gallabiya sfilavano davanti a donne coperte da niqab neri ed entravano nella moschea. Su un cartellone si leggeva questa scritta : “L’islam è la religione e il paese”. I Fratelli musulmani, che preferiscono vestirsi all’occidentale e si radono la barba, si sono scontrati più volte con i salafiti, che fino alla rivoluzione avevano sdegnato la politica. Salim Ghazor, di professione insegnante, prima appoggiava la Fratellanza musulmana, ma poi è passato ai salafiti. “I fratelli si preoccupano più della politica che dell’applicazione dell’islam”. Ciononostante, i Fratelli musulmani tendono a praticare un islam di tipo salafita, il che fa supporre la possibilità di una “salafitizzazione” del loro movimento. Anzi, come dice lo stesso Ghazor, “la Fratellanza fa già parte integrante del salafismo”. Nell’Egitto post Mubarak i salafiti sono usciti dall’ombra. Durante la khutbah (il sermone del venerdì), il religioso Ahmed Farid dice nella predica: “Coloro che si rifiutano di seguire la legge islamica saranno destinati alle sofferenze e alla dannazione”. E Said Abdul Razim parla dei copti (circa il dieci per cento della popolazione egiziana) in questi termini : “Se vogliono la pace e la sicurezza, devono sottomettersi alla volontà della sharia islamica”.

Domenica scorsa mi sono recato ad Alessandria per incontrarmi con l’astro nascente della Fratellanza musulmana. Sobhi Saleh, cinquantotto anni, è un avvocato ed ex parlamentare, scelto dai militari per far parte del comitato che ha formulato una serie di emendamenti per la Costituzione ad interim. Nessun altro gruppo politico anti Mubarak ha avuto un proprio rappresentante all’interno di questo comitato. Nel prossimo Parlamento, Sobhi Saleh contribuirà probabilmente alla stesura di una nuova Costituzione. “La gente si stupirà della nostra apertura mentale”, promette. Sobhi Saleh descrive ed esamina i piani della Fratellanza per “purificare le leggi” e “implementare la sharia” in Egitto. Nulla a che vedere con la versione talebana. L’alcol, naturalmente, sarà proibito in ogni luogo pubblico. Le donne avranno l’obbligo di indossare l’hijab, ma non il niqab. Queste leggi avranno lo scopo di “proteggere le nostre posizioni di società islamica”. Quanto ai diritti dei copti, Saleh sostiene che “i musulmani hanno il dovere di proteggere i copti”, una visione paternalistica condivisa da parecchi islamisti (Mohammed Baltagi, invece, afferma che i copti “sono nostri concittadini a pieno diritto”). Nazionalista di sinistra quando era giovane, Saleh si sbarazza con un colpo di spazzola delle rimostranze riguardo a un eventuale monopolio della Fratellanza sulla vita politica del paese: “Non mi importa nulla dell’opinione dei laicisti che sono contro la propria religione. Se fossero degli autentici liberali dovrebbero accettare le posizioni altrui e il diritto di ciascuno a esprimere le proprie convinzioni”. Ma i Fratelli musulmani non cercano forse di limitare proprio il loro diritto di esprimersi liberamente? “Intendiamo proibire questo genere di attività nella piazza pubblica, non nello spazio privato. L’islam è contro la diffusione di un comportamento non etico, ed è proprio questa la differenza tra la democrazia islamica e la democrazia occidentale. Nell’islam tutto ciò che è contro la religione deve essere proibito in pubblico. L’occidente proibisce in modo selettivo. Noi, invece, siamo soltanto contro coloro che si oppongono alla religione e cercano di screditarla”. Insomma, si tratta di una posizione che sembra permettere una limitata tolleranza del dissenso e dei diritti delle minoranze. La Fratellanza ha rinunciato alla violenza contro il governo egiziano negli anni Settanta, ma appoggia Hamas e altri movimenti islamici armati. Ogni membro con il quale ho parlato ritiene che gli accordi di Camp David firmati nel 1979 tra Egitto e Israele potranno essere ridiscussi dal prossimo governo egiziano. I liberali egiziani sono della stessa opinione. “Israele ci tratta come nemici”, dice Saleh. Gli chiedo: “Israele ha diritto all’esistenza?”. “Se accetta i diritti della nostra gente”, risponde Saleh, riferendosi implicitamente al popolo palestinese, “ne possiamo discutere”. Data la mancanza di adeguati sondaggi, così come di libere elezioni e di veri partiti ormai da moltissimo tempo, rimane difficile stabilire il peso e il richiamo esercitato dalla Fratellanza. L’organizzazione ha ottenuto il 20 per cento di preferenze in un contestato sondaggio parlamentare del 2005, e nelle prossime elezione conta di conquistare almeno un terzo dei seggi del Parlamento. La Fratellanza non presenterà un proprio candidato presidenziale: una scelta alquanto saggia, intesa a non suscitare nervosismi e a evitare responsabilità di governo in un Egitto ancora molto inquieto e confuso. Può benissimo aspettare. In ogni caso, i militari sembrano preferire personaggi come Amr Moussa, già capo della Lega araba. I partiti laici sono ancora troppo immaturi, sfaccettati ed elitari – non un buon auspicio per un successo elettorale. “Nessuno deve avere timore di noi – dice el Erian – Ora abbiamo bisogno di cinque anni di consenso nazionale per fare le riforme e promuovere un nuovo sistema democratico; poi potremmo aprire la strada per un’aperta competizione politica”. La validità di queste rassicurazioni dipende dal fatto se la Fratellanza si trasformerà in un partito politico all’interno di un Egitto più libero o se invece resterà un movimento di carattere religioso. “Ottimismo scettico” è una frase che si sente spesso ripetere nell’Egitto di questi giorni. La religione non è stata la scintilla scatenante della rivoluzione egiziana, e l’islam politico della Fratellanza appare attardato rispetto alle idee di libertà che hanno entusiasmato le folle in piazza Tahrir. Qui non ribolle quell’estremismo religioso che percorre le strade del Pakistan. Se i militari o il prossimo regime permetteranno lo sviluppo del pluralismo, l’Egitto potrebbe consolidare le sue deboli fondamenta e accogliere una mutata Fratellanza musulmana. Questo significherebbe che i peggiori istinti dell’autoritarismo, militare o religioso che sia, saranno tenuti a bada e che la transizione democratica del più importante paese arabo continuerà a procedere per la strada più sicura.

La REPUBBLICA - " Critica l´esercito, tre anni di carcere a un blogger egiziano"


Maikel Nabil

IL CAIRO - Il blogger egiziano Maikel Nabil è stato condannato a tre anni di carcere per aver scritto un articolo dal titolo "L´esercito e il popolo non sono mai dalla stessa parte" e vari messaggi on line che criticavano il comportamento delle forze armate. Il tribunale militare lo ha considerato colpevole di «insulto all´esercito» e «disturbo della sicurezza pubblica». È la prima volta che un blogger viene condannato da un tribunale militare da quando il Consiglio supremo delle forze armate ha assunto il comando del Paese.
L´avvocato difensore di Nabil, Gamal Eid, che dirige la rete araba di Human rights information, ha dato la notizia precisando che il verdetto è stato consegnato segretamente e prevedendo la preoccupazione e l´agitazione che si sarebbero scatenate fra i blogger egiziani, come poi è puntualmente successo, con commenti su tutti i siti Internet.
Negli Emirati Arabi Uniti intanto sono stati arrestati due attivisti e blogger, Nasser Bin Gait e Fahad Salem Al Shehi. Venerdì scorso era stato arrestato anche l´intellettuale e oppositore Mohammad al Mansour. Sono i primi tre arresti negli Emirati.

LIBERO - " L’Egitto libera i sospetti del massacro di copti "

L’Egitto senza Mubarak è peggio dell’Egitto governato dal raìs. Il dittatore veniva accusato di censurare con la violenza l’opposizione, ma oggi l’eser - cito - che “gestisce” la cosiddetta transizione verso la democrazia - incarcera chi critica il nuovo regime e lascia liberi i sospetti autori di violenze sulla minoranza cristiana. Insomma, l’ennesima conferma, se ce ne era bisogno, che esiste un patto fra i militari e gli islamici più radicali, come i Fratelli Musulmani. Ieri ad esempio le autorità egiziane hanno scarcerato tutte le persone arrestate nei mesi scorsi nell’ambito delle indagini sulla strage compiuta a Capodanno contro la chiesa copta di Alessandria. Secondo quanto riporta il giornale “al-Dustur”, il capo della giunta militare, generale Mohammed Hussein Tantawi, ha ordinato personalmente la scarcerazione di tutte le persone sospettate. Si tratta di 20 persone tra cui Ahmed Farid, il primo sospettato dall’inizio delle indagini, e il salafita Ibrahim Ibata. Alcuni degli imputati terranno dopodomani una conferenza stampa nella quale denunceranno di aver subito torture nel corso della detenzione. L’attentato contro la chiesa copta di Alessandria ha provocato la morte di 24 persone e il ferimento di altre 95. Durante la rivoluzione egiziana del 25 gennaio, da più parti si è parlato di un coinvolgimento dell’ex ministro dell’Interno, Habib al- Adli, nella strage. Nel frattempo, un tribunale egiziano ha condannato a tre anni di carcere Maikel Nabil Sanad, 20 anni, il blogger pacifista che aveva criticato le forze armate, scrivendo sul suo blog che l’esercito e il popolo «non sono mai stati in sintonia» e accusando i soldati di essere collusi con Hosni Mubarak. A riferirlo è il quotidiano Al-Ahram. Il ragazzo, già obiettore di coscienza, era stato arrestato il 28 marzo con l’accusa di aver insultato i militari e «turbato l’ordine pubblico». «Purtroppo la corte militare di Nasr City lo ha condannato a tre anni» ha confermato il suo avvocato, Gamal Eid. «I legali non erano presenti, il verdetto è stato emesso quasi in segreto». L’esercito, aveva ammonito Maikel sul suo blog, non è mai stato dalla parte della piazza, come ritiene il popolo credendo a un falso mito. Al contrario ha fornito munizioni alla polizia che sparava sulla folla ed ha partecipato ad arresti e torture compiuti prima e dopo le dimissioni del rais. «Ha adottato una posizione di passiva neutralità ma in realtà ha continuato a sostenere la polizia e i criminali di Mubarak», aveva scritto il blogger. Parole che gli sono valse un subitaneo arresto seguito dalla condanna a tre anni.

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