Riduci       Ingrandisci
Clicca qui per stampare

Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
01.09.2010 Per l'Iran Carla Bruni merita la condanna a morte
Perchè è donna e ha osato battersi contro la lapidazione di Sakineh

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Andrea Nicastro - a.g.
Titolo: «Anatema da Teheran: Carla Bruni deve morire - Non è il mio Iran. Offese contrarie alla nostra cultura - È donna, ma non è sottomessa perciò la trattano da prostituta»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 01/09/2010, a pag. 17, l'articolo di Andrea Nicastro dal titolo " Anatema da Teheran: Carla Bruni deve morire " e la sua intervista a Shirin Ebadi dal titolo " Non è il mio Iran. Offese contrarie alla nostra cultura ". Da REPUBBLICA, a pag. 6, l'intervista a Marek Halter dal titolo " È donna, ma non è sottomessa perciò la trattano da prostituta ".
Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Andrea Nicastro : " Anatema da Teheran: Carla Bruni deve morire "


Carla Bruni col marito, Nicolas Sarkozy

PARIGI — La Francia reagisce, il governo iraniano abbozza, ma l'ultraconservatore quotidiano Kayhan insiste. Carla Bruni, scriveva di nuovo ieri il giornale iraniano, non solo è la «prostituta italiana» che ha rovinato il matrimonio del presidente francese Nicolas Sarkozy, ma «vista la sua promiscuità sessuale, meriterebbe pure la condanna a morte per lapidazione».

Pagina due. Il titolo è: «L'attacco al nostro giornale della depravata moglie di Sarkozy». Nel testo si dà conto di «voci vicine all'Eliseo» o di «amici della cantante», voci che avrebbero riferito della «furia» di Carla Bruni contro il quotidiano

Keyhan. La linea editoriale però non si sposta: la Première Dame, per il suo spericolato passato sentimentale, è immorale come la donna iraniana condannata alla lapidazione Sakineh Ashtiani che proprio Carla Bruni ha tentato di difendere con una lettera aperta.

Ieri alla redazione di Kayhan rispondeva solo il redattore di guardia: «Mi spiace, tutti i giornalisti sono in vacanza, domani è il 21 di Ramadan, l'anniversario del martirio dell'Imam Alì, festa nazionale, torniamo al lavoro venerdì pomeriggio». Per tre giorni, quindi, non ci saranno altri insulti. Forse il tempo giusto per lasciar sbollire gli animi ed evitare una crisi più seria tra Francia e Repubblica islamica d'Iran.

L'Eliseo ha inviato per vie diplomatiche a Teheran una protesta ufficiale per i toni usati dal giornale. «Consideriamo inaccettabili le ingiurie rivolte da Kayhan e da altri siti iraniani a diverse personalità francesi tra cui Carla Bruni-Sarkozy». Il ministero degli Esteri di Teheran ha accolto la protesta e ha «invitato i media a fare attenzione al linguaggio adoperato dal momento che la Repubblica islamica non approva l'insulto contro i responsabili di altri Paesi». Ma intanto il messaggio alla Francia e al resto dell’Occidente è arrivato forte e chiaro: nessuno metta il naso nel dibattito iraniano pro o contro la lapidazione. Sarkozy che aveva dichiarato la donna «sotto la protezione francese» è avvisato. Il caso di Sakhine Ashtiani, condannata a morire a colpi di sassi per aver, secondo l'accusa, «aiutato un suo amante ad uccidere suo marito», deve rimanere cosa interna. La lapidazione è un argomento che fa da spartiacque nel l a politi caira ni a na. Nel 2002 i riformisti del presidente Khatami ottennero l'approvazione di una moratoria. Nel 2007, invece, il presidente Ahmadinejad si pronuncia a favore della ripresa delle esecuzioni con «pietre né troppo grandi da uccidere subito, né troppo piccole da non far male». Ora, assieme agli arresti, ai licenziamenti, alle impiccagioni degli oppositori, alla chiusura dei giornali riformisti, alla tortura sistematica anche il ritorno della lapidazione serve a marcare la vittoria dei conservatori. Dall'estero non si intromettano.

CORRIERE della SERA - Andrea Nicastro : " Non è il mio Iran. Offese contrarie alla nostra cultura "


Shirin Ebadi

PARIGI — «Non è Iran questo. Non è il mio Paese, il mio popolo. Gli insulti, le parolacce, le offese contro una donna, per di più straniera, non fanno parte della nostra cultura». Shirin Ebadi è abituata alle offese da parte del regime iraniano, eppure è scioccata, offesa. Parla al telefono dal suo interminabile esilio, con la traduzione dell'amica Ella Mohammadi.

Ebadi, nonostante il Premio Nobel per la pace del 2003, lei ha ricevuto un'enorme quantità di insulti sia da esponenti del governo sia da giornalisti iraniani. Come si reagisce?

«Non bisogna dargli peso. L'ho imparato sulla mia pelle, non bisogna lasciarsi ferire e spero che anche Carla Bruni riesca a reagire così. Il linguaggio impiegato dai governanti in Iran e dai giornali che sostengono il regime rappresenta solo loro stessi. Sono un corpo estraneo alla vera cultura degli iraniani. E, certo, anche ai nostri valori morali». Cosa direbbe a Carla Bruni? «Che mi dispiace, che a tutte le donne iraniane dispiace per come è stata apostrofata. Ma che non deve dare alcun peso a quelle parole. Deve ignorare il fango e continuare nella battaglia che ha intrapreso. Gli iraniani hanno bisogno che il mondo continui a guardare cosa succede loro. Non dobbiamo lasciar cadere nel silenzio prepotenze, illegalità e soprusi. L'Iran ha bisogno dell'aiuto di tutti».

Pensa che quest'attacco a forza di parolacce sia una strategia ordinata dal governo?

«Non saprei. Di certo il regime ha spesso adoperato un linguaggio offensivo e provocatorio per intimidire i suoi avversari, incutere paura».

Lei è stata l'avvocato di tanti prigionieri politici, non è più tornata in Iran dall'11 giugno dell'anno scorso. Perché?

«Dopo le elezioni truffa del presidente Mahmud Ahmadinejad, sono stata a lungo incerta se rientrare o meno, ma poi i miei amici e colleghi mi hanno convinta che piuttosto che in una prigione sarei stata più utile all'estero. A divulgare informazioni e a sensibilizzare il mondo su quel che succede nel mio Paese». In Iran c'è ancora chi porta avanti il suo lavoro? «Certo. Amici e colleghi coraggiosi. Vengono arrestati con accuse inventate e rilasciati. Tanti stanno soffrendo, ma continuano a scrivere, denunciare». Dove vive ora Shirin Ebadi? «Negli aeroporti. Mi sposto, partecipo ad incontri, dibattiti conferenze. Faccio anch'io quello che posso».

La REPUBBLICA - a.g. : " È donna, ma non è sottomessa perciò la trattano da prostituta "


Marek Halter

PARIGI - «Il regime iraniano si permette di insultare e minacciare Carla Bruni-Sarkozy solo perché è una donna». Lo scrittore Marek Halter è in prima linea nella difesa di Sakineh, ha firmato la petizione promossa da un gruppo di intellettuali europei che in Italia, attraverso il sito di Repubblica, ha raccolto oltre 80mila firme. «Ancora una volta - dice Halter - l´Iran si dimostra un paese totalitario, governato da un gruppo di estremisti».
Com´è possibile pubblicare quelle frasi sulla moglie del capo dello Stato francese?
«Carla Bruni-Sarkozy è come Sakineh: è colpevole solo perché ha alzato la voce. In Iran, una donna non sottomessa viene trattata da prostituta e condannata a morte. Da tempo mi batto contro il regime di Teheran, sostenendo pubblicamente l´opposizione. E per questo anch´io sono stato attaccato dalla stampa iraniana. Ma non mi hanno mai detto cose così orrende, perché sono un uomo».
Pensa che ci saranno conseguenze sui rapporti tra Francia e Iran?
«Un amico all´Eliseo mi ha raccontato lo stupore, direi quasi il terrore, per le parole sulla première dame. Nel Novecento, come diceva Goethe, il termometro per misurare l´umanità erano gli ebrei. Nel ventunesimo secolo, credo che siano le donne. Basta guardare come vengono trattate in un paese per capire qual è davvero la situazione. Per questo Sakineh è il simbolo di tutte le donne iraniane, e rappresenta una battaglia per la libertà di tutti gli iraniani».
Crede che la mobilitazione e gli appelli come quello che ha firmato possano cambiare qualcosa?
«Intanto i nostri governi democratici ci devono ascoltare, e farsi portavoce della protesta. Nella mia esperienza di combattente contro i regimi totalitari, ho capito che bisogna sempre trovare un volto intorno al quale radunare le forze. In passato, lo abbiamo fatto con Sakharov per l´Unione sovietica. Ora lo stiamo facendo con Sakineh per l´Iran. Le mobilitazioni a Parigi, Roma o Washington arrivano anche in Iran. Quando ero piccolo, gli assassini agivano di notte. La Gestapo o il Kgb uccidevano all´alba per non farsi vedere. Ma chi ha un riflettore acceso sul volto, non può essere ucciso. Fino a quando illumineremo il viso di Sakineh, lei sarà salva».
Eppure il regime di Teheran non ha dato finora risposte positive.
«Hanno detto che non è ancora prevista una data per l´esecuzione. È un primo cedimento, un modo di lasciare la porta aperta a una soluzione. Non basta. Bisogna continuare a protestare finché Sakineh sarà liberata. Il presidente Ahmadinejad deve capire che non molleremo. Non importa se dice che non abbiamo diritto di interferire negli affari interni iraniani. È un vecchio metodo. Nel 1939, alla Società delle Nazioni, un ebreo alsaziano portò le prove di come venivano trattati gli ebrei in Germania. Goebbels rispose: "Ogni carpentiere è maestro del suo operato". Era una frase terribile. Questa è la storia che si ripete. Ecco perché continuerò a battermi per Sakineh».

Per inviare la propria opinione a Corriere della Sera e Repubblica, cliccare sulle e-mail sottostanti


lettere@corriere.it
rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui