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Libero - La Stampa Rassegna Stampa
25.08.2010 Somalia in balia dei fondamentalisti islamici
Commenti di Carlo Panella, Maurizio Molinari, Domenico Quirico

Testata:Libero - La Stampa
Autore: Carlo Panella - Maurizio Molinari - Domenico Quirico
Titolo: «È la disfatta della politica Onu. Mogadiscio in balìa degli estremisti - L'Africa di Bin Laden»

Sull'attentato di ieri a Mogadiscio per mano di terroristi suicidi di al Qaeda, riportiamo da LIBERO di oggi, 25/08/2010, a pag. 23, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " È la disfatta della politica Onu. Mogadiscio in balìa degli estremisti". Dalla STAMPA, a pag. 8, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "I nuovi taleban d’Africa. Lapidato chi vede la tv  ", a pag. 1-29, l'articolo di Domenico Quirico dal titolo " L'Africa di Bin Laden  ".
Ecco gli articoli:

LIBERO - Carlo Panella : "  È la disfatta della politica Onu. Mogadiscio in balìa degli estremisti"


Carlo Panella

Il “la” alla incredibile sequenza di follie strategiche nella lotta al terrorismo in Somalia fu dato il 13 dicembre del 1992 dal generale Usa che comandava sul campo l’operazione Restor Hope, voluta da George Bush per riportare la pace nel paese dilaniato dalla guerra civile dopo la caduta del regime di Siad Barre. Dopoun clamoroso sbarco in puro stile hollywoodiano in mondovision, installatosi aMogadiscio il generale Robert B. Johnston, che comandava ben 28.000 militari delle Nazioni Unite, si fece fotografare mentre stringeva la mano ai due signori della guerra che controllavano la capitale (e che si scannavano tra di loro), Mohamed Farrah e Aidid Ali Mahdi. Johnston impiegò qualche tempo - troppo - ma alla fine capì che tutte le imboscate e gli attentati contro i suoi uomini (inclusa la battaglia al check point Pasta in cui morirono tre soldati italiani), erano scatenati proprio da quei suoi troppo improvvisati amici.
RIDARE SPERANZA
Restore Hope, come si sa, resta una delle pagine più ingloriose dell’Onu, perché dopounanno, dopo i 18 rangers Usa uccisi nella caduta dell’elicottero Black Hawkdel 3 ottobre 1993, la missione si chiuse alla chetichella e la Somalia fu abbandonata in una situazione ben più grave di quella del 1992. Da allora il multilateralismo, i formalismi dell’Onu e soprattutto l’assoluta incapacità dei governi africani di governare le crisi, hanno prodotto una situazione che ha del demenziale. Dopo la fallita pacificazione tentata dall’esercito etiope, dopo infiniti scontri con le Corti Islamiche, Hizbul Islam e al Shabab, dopo 3 anni di impiego di Amisom, il corpo di spedizione dell’Unione Africana a cui l’Onu ha dato mandato di difendere il legittimo governo somalo, la sconfitta è totale, come si è ben visto ieri. Ahmed Sharif, presidente del governo provvisorio riconosciuto dall’Onu, vive barricato in una villla; Amisom controlla solo tre quartieri di Mogadiscio, e molto male, tanto che gli attentatori ieri hanno agito indisturbati e infine due terzi dell’intero territorio somalo è oggi in mano a Shabab o a altri gruppi di estremisti islamici. Il che significache sonocontrollati dalla galassia di Al Qaeda, che ormai usa del sud della Somalia, come prima dell’11 settembre usava l’Afganistan del Mullah Omar. È dunque indispensabile comprendere come questo sia potuto accadere, analisi peraltro non è difficile. LE CAUSE
Si sono sommate infatti una totale sottovalutazione del problema somalo da parte dell’Eu - ropa e dei paesi africani, questa, ha prodotto l’impossibilità per amministrazione di George W. Bush di aprire - come intendeva fare - un fronte di intervento militare anche nel Corno d’Africa; infine, questa paralisi dell’unila - teralismo bushiano, ha prodotto il solito caos del multilateralismo dell’Onu. Caos moltiplicato per mille dalla inettitudine dei governi africani, che in Somalia - come in Darfur - fanno solo “ammuina”con le loro svogliate truppe, che ben si guardano dal fare radicali interventi militari, mentre i veti incrociati, impediscono ogni iniziativa politica. Una situazione in piena cancrena, dunque, che offre ad al Qaeda un comodo santuario e retroterra per la sua azione in Yemen, Arabia Saudita e Sudan. Per completare il quadro della disfatta, va infine notato ricordato che cresce nell’Onu e nell’Ua la fazione di chi sostiene che l’unica via d’uscita per laSomalia sia un accordo politico con gli Shabab, alleata di al Qaeda, che conseguirebbe così una vittoria strategica, con tanto di sigillo diplomatico e notarile dell’Onu.

La STAMPA - Maurizio Molinari : " I nuovi taleban d’Africa. Lapidato chi vede la tv "


Maurizio Molinari

Barbe obbligatorie per gli uomini, divieto per le donne di uscire da casa non accompagnate da parte maschi, lapidazioni pubbliche e probizione assoluta di ascoltare musica occidentale, andare al cinema e guardare sport in tv. La raffica di editti emanati dalle milizie islamiche shabab nella Somalia del Sud e nei quartieri di Modagiscio da loro controllati ricordano da vicino le norme della Shaaria - la legge islamica - imposte in Afghanistan dai taleban fino al rovesciamento del loro regime a Kabul alla fine del 2001.
Del tutto identico è anche l’ordine impartito ad ogni gruppo famigliare di «contribure alla Jihad» garantendo almeno un figlio maschio alle milizie islamiche mentre i genitori che non ne hanno sono obbligati a versare cifre ingenti, che nel sud della Somalia raggiungono i 50 dollari al mese ovvero l’equivalente del reddito medio pro capite. Le similitudini con i taleban afghane sono tutt’altro che negate dai leader degli shabab, come nel caso del comandante Abu Dayid che all’Associated Press ha spiegato come «entrambi i nostri gruppi applicano una forma di Islam molto rispettoso della Sharia» oltre al fatto di essere accomunati «dal profondo odio nei confronti degli infedeli».
Vahid Mujdeh, autore afghano di un recente libro sui taleban, ritiene che «gli shabab stanno copiando quanto i taleban fecero nel mio Paese negli anni Novanta perché convinti che fu un successo» ovvero «consentì di governare un’intera nazione attraverso la più rigida interpretazione della legge islamica». Il fatto che gli shabab considerino i taleban degli eroi da prendere ad esempio rafforza i timori del Pentagono che ne abbiamo emulato anche la stretta alleanza con Al Qaeda.
Il fatto che il mese scorso, nel giorno conclusivo dei Mondiali in Sudafrica, gli shabab misero a segno una strage in Uganda - le vittime furono 76 - applicando la tattica degli attentati contemporanei, tradizionale firma di Al Qaeda, ha avvalorato tale sospetto e un ulteriore segnale in tale direzione viene dalla guerra dichiarata dagli shabab contro le truppe di pace dell’Unione Africana, che ricorda da vicino la campagna di attacchi dei taleban contro la Nato.
D’altra parte proprio Ayman al-Zawahiri, vice di Osama bin Laden, nel febbraio 2009, diffuse un video per plaudire alla cattura di Baidoa da parte delle milizie islamiche somale. «Shabab e taleban hanno in comune tanto il fatto di essere seguaci di una forma intollerante di Islam - ha spiegato al New York Times Letta Tayler, specialista di antiterrorismo di Human Rights Watch - quanto la convinzione che la maniera migliore per garantirsi il sostegno popolare è terrorizzare la gente comune».
Un esempio di tale imposizione del terrore sono le donne recentemente frustate in pubblico o imprigionate perché trovare a vendere tè lungo la strada svolgendo un lavoro che le fa entrare in contatto con «uomini non loro parenti». «E proprio come avveniva negli anni Novanta in Afghanistan con i taleban chi sostiene gli shabab - aggiunge Tayler - gli riconosce il merito di aver fatto bruscamente diminuire gli episodi di criminalità».
Ad accomunare shabab e taleban è anche il fatto di avere una struttura di comando che fa capo a leader locali, di reclutare volontari musulmani dall’estero (Stati Uniti inclusi) e di essersi impossessati del potere nei rispettivi Paesi in frangenti segnati dall’assenza di un forte potere centrale.

La STAMPA - Domenico Quirico : " L'Africa di Bin Laden "

Bush aveva ragione. Quando accusava gli islamisti somali di uscire dalla officina dell’Internazionale del fanatismo, impegnata ad aprire un nuovo fronte nel Corno d’Africa.
Gli «shebab» che ieri hanno fatto strage di deputati a Mogadiscio sono diventati dei veri talebani. Nel frattempo il fronte su cui si combatte è lungo già migliaia di chilometri, va dal Mar Rosso all’Atlantico, corre lungo quella faglia traballante di miseria e disperazione che separa l’Africa del deserto da quella delle savane. La Somalia, il suo eterno orrore che dura da 30 anni, sfilando giorno dopo giorno sotto la nostra distratta rassegnazione, è diventato il capitolo di una guerra più grande. Che può riservare all’Occidente, timoroso di nuovi «crociate» scomode e impopolari, terribili sorprese. L’Africa viene islamizzata a forza, con il forcipe del terrore e del fanatismo? Non esistono, è vero, legami operativi tra le varie sigle di questa armata. Ma il risultato finale si compone come un ben dosato mosaico. L’Occidente, taccagno, pensava di poter avvolgere Mogadiscio, quel caos indecifrabile e sanguinario, nella bambagia di una dimenticanza protettiva. Le uova del serpente si sono scoperchiate, moltiplicandosi.
Al Qaeda-Maghreb, commistione di emiri fanatici e capi-briganti, tiene in pugno il nord del Mali, vaste zone del Niger e della Mauritania; fa affari con i narcos di Medellin lungo la nuova via della droga, sequestra occidentali, incassa ricatti miliardari, si fa mercante di uomini, i clandestini che sognano l’Europa. Chiama le sue squadre «katiba», legandosi al mito terzomondista della guerra di liberazione algerina. Nel nord della Nigeria, immersa nel petrolio, i «Boko haram» erodono uno Stato scardinato da odi etnici ed economici abissali. Il deserto assomiglia sempre più alle distese dell’Asia centrale, all’area pachistano-afgana: un mare attraversato da tensioni profonde dove si può costruire una minaccia globale. Gli shebab, coalizione di fanatismo e clanismo, hanno smantellato a cannonate la Somalia, setacciano facendosi pirati i mari del petrolio e degli stretti strategici. Li separa dal potere solo una scalcinata armata di africani, senza mezzi, mal pagati, ma che si fanno ammazzare senza rimpianti e senza cerimonie televisive. Al posto dei caschi blu che l’Occidente non ha mai concesso. Gli shebab hanno colpito in Uganda a luglio, settanta morti. Terrorizzano già l’Africa Australe, tiepida di genocidi e di tribalismi satanici.
Bush sbagliò affidandosi a una risposta solo militare, la guerra per procura, appaltata a regimi che erano la causa del male. Ora la nuova America di Obama, affascinata dal ripiegamento, convinta che solo l’Afghanistan valga lo scandalo di morire, rischia di regalare l’Africa a Ben Laden. Dimenticando che nessuna guerra è giusta ma ogni tanto qualcuna è necessaria

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