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La Repubblica - La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
22.08.2010 L'Iran inaugura il reattore nucleare di Bushehr grazie all'aiuto della Russia
A che cosa sono servite le sanzioni? Cronache e commenti di Maurizio Molinari, Vanna Vannuccini, Vittorio Emanuele Parsi, Aldo Baquis, Lorenzo Cremonesi

Testata:La Repubblica - La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Vanna Vannuccini - Vittorio Emanuele Parsi - Aldo Baquis - Maurizio Molinari -Lorenzo Cremonesi
Titolo: «Iran, nuova sfida di Ahmadinejad apre la prima centrale nucleare - L’allarme di Allawi per il suo Iraq: 'Teheran manovra contro di noi'»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 22/08/2010, a pag. 13, l'articolo di Vanna Vannuccini dal titolo " Iran, nuova sfida di Ahmadinejad apre la prima centrale nucleare ". Dalla STAMPA, a pag. 1-29, l'articolo di Vittorio Emanuele Parsi dal titolo " La Russia è il vero vincitore  ", a pag. 2, l'articolo di Aldo Baquis dal titolo " Da Israele arriva subito l'altolà: 'è inaccettabile in un Paese così' ", a pag. 3, l'intervista di Maurizio Molinari a Joseph Cirincione dal titolo " Il rischio? Una gara tra big i mediorientali ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 17, l'intervista di Lorenzo Cremonesi a Iyad Allawi dal titolo " L’allarme di Allawi per il suo Iraq: 'Teheran manovra contro di noi' ".
Ecco gli articoli:

La REPUBBLICA - Vanna Vannuccini : " Iran, nuova sfida di Ahmadinejad apre la prima centrale nucleare "


Mahmoud Ahmadinejad

Per Teheran è un segno di forza. L´Onu ha appena varato le sanzioni più dure per indurre l´Iran a sospendere il programma atomico, e il governo inaugura la prima centrale nucleare . Ci vorranno ancora due mesi prima che il reattore da 1000 megawatt venga collegato alla rete elettrica iraniana, ma l´operazione è ormai irreversibile. La tv ha mostrato in diretta il trasporto delle barre di uranio nel bacino interno al reattore di Bushehr sotto lo sguardo degli ispettori dell´Aiea. Entro due settimane il caricamento di 163 barre, pari a 80 tonnellate di uranio, sarà terminato. «Un giorno storico» ha detto il capo dell´Agenzia atomica iraniana Ali Akbar Salehi. «Bushehr è il simbolo della capacità di resistenza della nazione iraniana e della sua determinazione». Ha ringraziato Mosca per aver consentito all´Iran di far uso di questa moderna tecnologia. «La Russia da oggi avrà un posto nei nostri libri di storia».
La centrale non è considerata dagli esperti un rischio per la proliferazione atomica, anche se negli Stati Uniti la sua prevista entrata in funzione era stata criticata e Hillary Clinton aveva chiesto a Putin di rinviarla fino a che Teheran non avesse dato garanzie sufficienti di non voler costruire la bomba. L´ex rappresentante di Bush all´Onu, John Bolton, aveva addirittura invitato Israele a bombardare Bushehr prima che le barre di uranio fossero introdotte nel reattore. In serata, un portavoce del ministero degli Esteri israeliano ha dichiarato che l´apertura della centrale di Bushehr «è del tutto inaccettabile».
Alla conferenza stampa Sergej Kirienko, l´ex primo ministro che oggi è a capo della Rosatom, ha ribadito che nessun uso improprio del combustibile nucleare è possibile. La centrale di Bushehr è gestita dai russi e monitorata dall´Aiea. Sarà affidata ai tecnici iraniani tra tre o quattro anni. Il bacino dove sono depositate le barre di uranio è controllato dagli ispettori dell´Onu e il combustibile spento deve essere restituito alla Russia per impedire che se ne possa estrarre plutonio (con cui costruire una bomba). Per usare l´uranio a fini militari l´Iran dovrebbe perciò sottrarre le barre al controllo degli ispettori dell´Onu e arricchirle dal 3,5 al 90 per cento. «Tutti sanno che questo non è possibile», ha detto Kirjenko, ricordando fra l´altro che la costruzione della centrale era cominciata prima della rivoluzione islamica: «I tecnici russi e iraniani hanno realizzato questo progetto sulle basi gettate più di trent´anni fa dagli ingegneri tedeschi. Una lunga attesa che dà al progetto un importante valore simbolico». Prima di rivolgersi alla Russia, di cui Teheran è sempre stata storicamente diffidente, l´Iran aveva firmato accordi per il completamento di Bushehr con l´Argentina, la Spagna e altri paesi occidentali; ma tutti avevano sotto la pressione americana annullato gli impegni presi. Dalla loro prospettiva anche gli iraniani possono dire che l´occidente ha sempre dato scarsa prova di quella "fiducia" e "credibilità" che richiede loro.
Le preoccupazioni occidentali riguardano soprattutto l´impianto di Arak per il plutonio (che gli esperti considerano una via più rapida dell´uranio per costruire armi atomiche, mentre Teheran sostiene di averne bisogno per produrre isotopi destinati alla medicina nucleare) e il progetto, recentemente annunciato anche se a parere degli esperti piuttosto velleitario, di costruire dieci nuovi impianti per l´uranio. L´entrata in funzione di Bushehr potrebbe tuttavia costituire anche un segnale politico di segno positivo. «Dimostra che un paese che rispetta i trattati internazionali può accedere all´uso pacifico dell´atomo» ha sottolineato Kirijenko. La Russia fornirà a Teheran anche gli isotopi di cui ha bisogno per la medicina nucleare. Salehi a sua volta ha assicurato che l´Iran non continuerà «ad arricchire l´uranio all´infinito». E Ahmadinejad, pur non mancando, in un´intervista a un giornale iraniano, di minacciare una risposta "planetaria" contro un eventuale attacco israeliano, ha detto a Yomuri Shimbun che Teheran è pronta fin da questo mese a riprendere i negoziati sul dossier nucleare .

La STAMPA - Vittorio Emanuele Parsi : " La Russia è il vero vincitore "


Vladimir Putin

Teheran esulta per essere riuscita nell’impresa nonostante il recente (blando) inasprimento delle sanzioni decretato dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ma è Mosca ad aver fatto bingo ieri, con l’attivazione della centrale nucleare di Bushehr nel Sud dell’Iran.
Ci sono voluti 35 anni per completare il vecchio impianto di concezione tedesca da parte dei nuovi fornitori russi, e solo la cocciuta ambizione nuclearista della Repubblica islamica ha consentito di evitare una plateale rottura con i russi, sospettati di tirarla per le lunghe allo scopo di evitare eccessivi attriti con l’Occidente. Ma, alla fine, Ahmadinejad può esibire un successo tanto in campo interno (i cittadini iraniani sono esasperati dai continui black out energetici), quanto internazionale (dimostrando le eccellenti performance del Paese). Nonostante continuino a essere preoccupati dai rischi di proliferazione, come dimostrato anche dall’adozione di sanzioni aggiuntive da parte della Ue, i Paesi occidentali ritengono soddisfacenti le modalità con cui i due reattori diventano operativi; la centrale sarà infatti gestita dai russi, che forniscono il combustibile nucleare e ritirano le scorie, e sarà aperta agli ispettori della Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica.
Proprio il pesante coinvolgimento russo è stato l’elemento chiave perché il progetto andasse a buon fine. L’impegno di Mosca a supervisionare l’intera operazione non poteva essere derubricato a una mera trovata propagandistica o a una strategia disinformativa, come invece accade regolarmente per le dichiarazioni iraniane. Ma il modo in cui Mosca ha giocato la partita le ha consentito di «rivendere» più volte e a più acquirenti la stessa prestazione, oltretutto senza mai deflettere dai propri obiettivi strategici. Vediamo perché.
La Russia è la seconda potenza nucleare mondiale ed è membro permanente del Consiglio di Sicurezza. Mosca sa benissimo che, dopo la Guerra Fredda, la sua posizione nel sistema politico internazionale è tale soprattutto per il suo status di potenza nucleare (oltre che per la ricca dotazione energetica). Se c’è un Paese che, quindi, ha più da perdere da un’eventuale proliferazione, questo è la Russia. Piuttosto che aderire acriticamente, e gratuitamente, alla posizione di fermezza occidentale, Mosca ha però scelto di trovare la via affinché il diritto iraniano allo sviluppo del nucleare civile (un diritto che nessuno mette formalmente in discussione) fosse concretamente realizzabile. Così, in cambio del suo sostegno all’ultimo round di sanzioni Onu, ha ottenuto che americani ed europei «sfilassero» di fatto la centrale di Bushehr dal dossier della «proliferazione nucleare iraniana» (un punto segnato a Usa ed Europa). In tal modo, la Russia ha ricevuto, oltre a un cospicuo contratto di fornitura, la riconoscenza non solo iraniana, ma anche di molti Paesi del Sud, che forse per un attimo sono tornati a guardare Mosca come un «alleato naturale», un po’ come avveniva ai vecchi tempi del terzomondismo e dell’Urss (un punto alla Cina).
Grazie a Bushehr, Mosca riacquista peso su tutta la vicenda del dossier nucleare iraniano, diventando il vero pivot del cosiddetto «5+1» (Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania), per essere, di tutto il gruppo, il solo naturalmente contrario alla proliferazione, leale sulle sanzioni e con entrature rilevanti a Teheran. E per questa via, il Cremlino torna a contare in Medio Oriente, come non avveniva più dalla guerra del 1990-91, quando l’Urss di Mikhail Gorbaciov dovette acconsentire alla guerra contro il suo alleato ed ex pupillo Saddam Hussein (un punto ancora agli americani e uno agli israeliani). A circa 20 anni di distanza, lo switch tra il cavallo iracheno e quello iraniano non si presenta esente da rischi, evidentemente: a iniziare dal fatto che la Repubblica di Ahmadinejad e Khamenei appare per nulla propensa a farsi cavalcare da chicchessia. Ma il rientro in un Medio Oriente che fino a pochissimi anni fa sembrava un esclusivo feudo americano giustifica un tale azzardo, nella speranza che a Mosca abbiano qualche idea su che cosa fare, una volta tornati nella scacchiera mediorientale. Certo è che i buoni uffici tra Occidente e Iran prestati da Mosca potrebbero indurre quest’ultima a tentare un’operazione simile con Damasco, alleato iraniano e il solo regime sopravvissuto dei vecchi clientes sovietici di un tempo: una variabile di cui tener conto da qui al 2 settembre, e anche dopo, ovviamente.

La STAMPA - Aldo Baquis : " Da Israele arriva subito l'altolà: 'è inaccettabile in un Paese così' "


Bibi Netanyahu

«È ragionevole supporre che né gli Stati Uniti né Israele abbiano mai progettato di colpire il reattore di Bushehr. Si tratta di un impianto con finalità civili, sottoposto al controllo della Russia e alle ispezioni della Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea)». Misura le parole Shimon Boyarski, un ex dirigente dell’intelligence militare, ma non lascia molti dubbi: non è quello l’impianto nucleare iraniano che turba i sonni dei dirigenti dello Stato ebraico.
Ma il governo di Gerusalemme non è altrettanto tranquillo. Il portavoce del ministero degli Esteri, Yossi Levy, ha subito alzato i toni: «È inaccettabile che un Paese che viola in modo così manifesto i trattati internazionali - ha dichiarato - possa godere dei frutti prodotti dall’uso di energia nucleare».
Non sono però parole che preludono a un attacco. Nei giorni scorsi ad alimentare la suspense era stato l’ex ambasciatore Usa alle Nazioni Unite John Bolton secondo cui invece Bushehr, pur col suo aspetto esteriormente innocuo, rappresenta un pericolo per la sicurezza internazionale e in primo luogo per Israele. Secondo John Bolton c’è da temere che malgrado le ispezioni dell’Aiea gli scienziati iraniani riescano a produrvi plutonio utilizzabile per fini militare. «Se Israele vuole agire, ha tempo fino al 21 agosto e non oltre. Dopo quella data - ha spiegato all’inizio della settimana - un attacco non sarà più possibile» perché sprigionerebbe radiazioni che investirebbero una vasta regione.
Ma secondo Uzi Eilam, ex presidente della Commissione israeliana per l’energia atomica, in questa circostanza Bolton ha preso una cantonata. «Anche se è figlio di un vigile del fuoco, ogni tanto sembra dilettarsi ad appiccare incendi» ha notato Eilam che, come Boyarsky, ritiene che da Bushehr Israele non abbia niente da temere direttamente. «È un reattore civile. I russi forniscono il combustibile necessario e poi lo ricevono indietro. Bombardare Bushehr - secondo Eilam - sarebbe un errore immane, con tutto il rispetto per Bolton».
Tuttavia la inaugurazione di ieri non è affatto un evento da sottovalutare, incalza Shimon Boyarsky, intervistato dalla radio delle forze armate. «L’Iran cerca in vari modi di apparire di fronte alla comunità internazionale come un Paese nucleare. Bushehr va dunque in quella direzione e rappresenta per l'Iran un successo importante». E un attacco statunitense? «Obaman non mi sembra incline a ricorrere all’opzione militare verso l’Iran, almeno fino a quando la sua iniziativa diplomatica non sia stata esplorata fino in fondo».

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Il rischio? Una gara tra big i mediorientali"


 Joseph Cirincione

Per l’Iran è un giorno di orgoglio nazionale ma per il Medio Oriente significa l’inizio della corsa al nucleare». A dare questa lettura dell’attivazione della centrale di Bushehr è Joseph Cirincione, l’esperto di armi atomiche del Council on Foreign Relations e autore del best seller Bomb Scare (Paura della bomba) su «storia e futuro degli armamenti nucleari».
Qual è il motivo dell’orgoglio nazionale iraniano?
«Il fatto che Teheran diventa la prima nazione del Medio Oriente a possedere ufficialmente l’energia nucleare civile. È un grande traguardo tecnologico con importanti ricadute politiche e psicologiche. L’Iran punta da sempre ad imporsi come potenza regionale sui suoi vicini. L’attivazione della centrale di Bushehr è un motivo concreto per attestarlo».
Ciò significa che l’Iran è più vicino alla bomba atomica?
«Bushehr non comporta passi avanti verso la bomba. Anzi è l’esatto contrario. Il contratto siglato con i russi per la realizzazione dell’impianto è proprio il modello di intesa che vorremmo vedere con chiunque vuole il nucleare perché scongiura la proliferazione militare».
Perché, cosa distingue il contratto fra Russia e Iran?
«La Russia fornisce il carburante, l’Iran opera il reattore e poi la Russia torna in possesso di tutto il carburante lavorato dal quale è possibile estrarre plutonio utilizzabile a fini militari. Il risultato è che l’Iran ha l’energia nucleare ma non può adoperarla per ottenere l’arma atomica».
Ma l’Iran può tecnicamente impossessarsi del combustibile lavorato?
«Certo che può farlo ma sarebbe una violazione clamorosa del contratto, oltretutto impossibile da nascondere. L’Iran infatti dovrebbe togliere fisicamente il carburante lavorato dalle mani dei tecnici russi, immagazzinarlo altrove, portarlo in un centro di riprocessione e lì estrarne il plutonio. Sarebbe impossibile farlo in segreto e diventerebbe la prova lampante della volontà di costruirsi l’atomica, consentendo alle comunità internazionale di adottare in tempi rapidi le necessarie contromisure per impedirlo».
Come vede il ruolo della Russia in questa vicenda?
«Mosca dall’impianto di Bushehr punta a ottenere anzitutto valanghe di danaro. È un affare economico di dimensioni imponenti. E in secondo luogo fa della Russia la nazione indispensabile nella gestione della crisi internazionale sul nucleare dell’Iran».
Perché l’amministrazione Obama non si oppone a Bushehr?
«Perché Bushehr non ha nulla a che vedere con la corsa all’atomica ma anzi rappresenta una pedina importante per scongiurarlo. Washington infatti ha gioco facile ora a dire che Teheran l’energia nucleare ce l’ha e dunque non ha alcuna ragione per continuare l’arricchimento dell’uranio di cui il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha più volte chiesto l’interruzione. È questo motivo che spiega perché, ben prima di Obama, tanto Clinton che Bush non si opposero a Bushehr, limitandosi di chiedere a Mosca di ritardare il più possibile i lavori per esercitare maggiori pressioni su Teheran».
Perché ritiene che l’attivazione di Bushehr schiuda le porte alla corsa nucleare in Medio Oriente?
«Per due motivi. Il primo ha a che vedere con l’Iran: l’orgoglio del risultato raggiunto li spingerà ad accelerare i programmi nucleari che possiedono e di cui si sospetta la natura militare. Il secondo è ancora più importante: per i Paesi arabi la centrale di Bushehr significa che l’Iran è una nazione atomica dunque verrà accelerata la costruzione di simili centrali. Per non essere da meno. Egitto, Arabia Saudita, Giordania ed Emirati hanno già firmato accordi e stanziato fondi. Vogliono fare in fretta e non certo per inquinare di meno l’atmosfera quanto per disporre della stessa tecnologia degli iraniani. Bushehr apre la corsa al nucleare in Medio Oriente. Ora è un nucleare civile ma potrebbe diventare militare».
È d’accordo con l’amministrazione Obama che l’Iran è lontano almeno 12 mesi dall’atomica?
«La risposta è in quanto sta avvenendo nell’impianto di arricchimento dell’uranio di Natanz e nell’interrogativo se l’Iran ha costruito altri impianti segreti».

CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi : " L’allarme di Allawi per il suo Iraq: 'Teheran manovra contro di noi' "


Iyad Allawi

BAGDAD — «C’è almeno una conseguenza positiva dal ritiro delle forze combattenti americane: il nostro esercito non è pronto a prendere il loro posto e ciò costringerà tutti noi iracheni ad assumerci le nostre responsabilità. Dovremo maturare in fretta. Ne va del futuro del Paese». Iyad Allawi fa buon viso a cattivo gioco. Si rivela tuttavia preoccupato il leader politico che più di ogni altro dall’invasione americana del 2003 lavora per costruire l’identità laica dello Stato contro quelli che chiama «i settarismi religiosi». Sciita, ma votato in massa dai sunniti; ex baathista passato all’opposizione; da giovane compagno di strada di Saddam Hussein, poi suo nemico acerrimo, tanto che almeno quattro volte i sicari del vecchio regime hanno provato ad assassinarlo, oggi più di ogni altro teme «le ingerenze iraniane». «Il problema è che il nostro esercito non è in grado di controllare i confini del Paese. Può entrare chiunque. A Teheran ci sono forze che lavorano per destabilizzare il nuovo Iraq. Ogni tanto i militari americani lanciano l’allarme sulle armi e gli estremisti che arrivano da est. E gli iraniani neppure si sforzano di smentire», dice nell’ufficio al quartiere generale di Iraqya (il suo partito), dove ci riceve mentre sta preparando una visita a Mosca.

Nel 2005, a 60 anni, si era illuso di poter assurgere a grande traghettatore dalla dittatura alla democrazia. Il giugno dell'anno prima era stato scelto quale premier ad interim dopo il governatorato dell’americano Paul Bremer. Sperava di venire confermato. Dopo tutto era stato lui il primo a sostenere che la conquista da parte degli sciiti della guida del Paese (sono ben oltre il 60 per cento della popolazione) doveva evitare la ghettizzazione dei sunniti.

Soprattutto aveva condannato con veemenza lo smantellamento americano del vecchio esercito baathista. E invece vinsero le liste sciite. Lui rimase all’opposizione. Cinque anni dopo, alle elezioni dello scorso sette marzo, ottiene la maggioranza relativa sui 325 seggi del Parlamento: 91, contro gli 89 ricevuti dal premier sciita Nouri al Maliki. A lui il merito di aver politicamente sdoganato i sunniti. Ma da allora è stallo. Un vuoto di potere terrificante: economia paralizzata con i ministeri che non concludono contratti di miliardi già pronti con le grandi compagnie straniere; produzione petrolifera ferma a due milioni di barili quotidiani; disoccupazione; ritorno della violenza; paura diffusa inasprita dal ritiro Usa; soprattutto disillusione crescente della popolazione nei confronti dei politici e del sistema democratico. Allawi non esita a gettare le responsabilità su Maliki. «Con la sua politica di piccolo cabotaggio e la richiesta stupida di ripetere gli scrutini ha ottenuto solo un grande spreco di tempo e la delegittimazione del voto», esclama. Però non minimizza la posta in gioco. «Chi accusa indistintamente tutti i politici iracheni di essere egoisti chiusi nelle loro piccole scaramucce di potere non ha ancora compreso che qui si sta combattendo la battaglia cruciale per l’identità del Paese. L’Iraq resterà settario, dominato da divisioni confessionali, tribali, oppure diventerà finalmente uno Stato laico, moderno, democratico? Meglio perdere qualche settimana in più, che rifuggire dalle grandi questioni», spiega. E quando si farà il governo? «Probabilmente non alla fine del Ramadan, verso la metà di settembre, come dicono a Teheran. Magari un mese dopo. Ci volle tanto tempo anche dopo il voto di cinque anni fa», risponde.

È cauto. In ogni senso. Solo un mese fa ha d e nunci a t o l ’ e nnes i mo complotto alla sua vita. «I cecchini mi attendevano sulla via dell'aeroporto — dice —. Noi siamo deboli. E i nostri vicini ne approfittano. Dopo il voto di marzo hanno invitato a Teheran gli esponenti delle liste sciite e curde. Noi no, volevano estrometterci. Non sono gravi ingerenze queste? Più tardi, e solo quando abbiamo protestato, ci hanno convocato. Ma io non sono andato, ho inviato quattro nostri rappresentanti». Negli ultimi giorni i complessi negoziati per l’eventualità di un governo di unità nazionale (si lavora sulla formula Maliki premier e Allawi capo di una commissione interna con diritto di veto sul gabinetto) sono entrati in crisi quando il primo ministro ha accusato Iraqya di essere un «partito settario sunnita».

«Devono chiederci scusa. Il 30 percento dei nostri elettori sono sciiti. Siamo un partito nazionale. Questi fraintendimenti sono anche frutto della mancata ricostruzione nazionale dopo la guerra del 2003», replica duro citando gli «errori» americani di sette anni fa. «Non basta vincere la guerra. Bene che sia caduta la dittatura. Ma poi è mancato un progetto. Nessuno aveva pianificato la ricostruzione. Esercito, polizia, autorità giudiziaria fanno acqua da tutte le parti. E ne paghiamo ancora le conseguenze».

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