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Libero-La Repubblica Rassegna Stampa
06.07.2010 David Grossman e Abu Mazen
Due modi divergenti di vedere lo stesso problema

Testata:Libero-La Repubblica
Autore: La Redazione di Libero- David Grossman
Titolo: «Allarme del presidente palestinese: Hamas si sta riarmando-Il mio piano per Gaza»

Riprendiamo in questa pagina l'articolo di David Grossman, uscito oggi, 06/07/2010 a pag. 1-27, su REPUBBLICA con il titolo " il mio piano per Gaza ". Abbiamo scelto di farlo precedere da un breve pezzo uscito su LIBERO, nel quale viene esposto il pensiero del presidente Abu Mazen su argomenti simili a quelli trattati da Grossman.
La politica in mano agli intellettuali, per tanto bravi e famosi che siano, è pura astrazione dai problemi reali. Sono anni che David Grossman continua a parlare di pace senza mai confrontare le sue idee con la realtà. Si candidi in qualche lista elettorrale, entri sul serio nelle decisioni del governo invece di stare alla finestra, si troverà di fronte alla vita reale, non quella che lui immagina attraverso il solo potere della pagina scritta.
Ecco i due articoli:

Libero- " Allarme del presidente palestinese: Hamas si sta riarmando "


Abu Mazen

I negoziati indiretti tra palestinesi e israeliani, mediati dall’inviato Usa George Mitchell, non stanno portando ad alcun progresso. È la valutazione del presidente palestinese Mahmoud Abbas, incontrando i direttori di importanti giornali giordani ad Amman. «Di fatto - ha affermato - non vi è alcun progresso nei negoziati, e la situazione è rimasta com’è». Il presidente ha così di fatto smentito le affermazioni da parte Usa secondo le quali invece si sarebbero registrati importanti passi avanti. Abbas ha riferito che l’Autorità nazionale palestinese ha presentato all’amministrazione Usa una «visione completa per iscritto» sullo status finale, incluso questioni spinose come Gerusalemme Est, le frontiere e la sicurezza. «Se (il premier israeliano Benjamin, ndr) Netanyahu riconosce che tali questioni sono negoziabili - ha spiegato il leader palestinese - significa che è stato fatto un progresso, e allora passeremo ai negoziati diretti». Domenica Netanyahu, che oggi sarà a Washington per incontrare il presidente Usa Barack Obama, aveva auspicato di poter passare presto alla trattativa diretta.«Se invece - ha avvertito ancora Abbas - non otterremo una risposta entro settembre (la deadline fissata dalla Lega Araba per i negoziati indiretti, ndr) un nuovo incontro (dei ministri degli Esteri arabi ndr) si riunirà per decidere il prossimo passo». Abbas ha comunque sottolineato che i palestinesi «non rinunceranno» a Gerusalemme Est. Il capo dell’Anp ha d’altra parte definito «fruttuoso» un incontro con i leader ebraici Usa e ha annunciato un analogo incontro con la comunità ebraica francese. Non è mancato un attacco ai rivali di Hamas che controllano la Striscia di Gaza. Secondo Abbas il Movimento islamico starebbe riprendendo l’attività militare, «ogni settimana - ha dichiarato - scopriamo celle militari e depositi di armi e missili» per Hamas. Nei giorni scorsi Abbas aveva avuto un faccia a faccia a Ramallah con l’inviato americano Mitchell e aveva espresso la speranza di poter raggiungere un’intesa con gli israeliani sui confini e la sicurezza in modo da poter poi passare subito a negoziati diretti.

La Repubblica- David Grossman: "Il mio piano per Gaza "

 
David Grossman

Invece di intestardirsi per anni sul numero e sull'identità dei detenuti di Hamas da liberare o non liberare in cambio del rilascio di Gilad Shalit detenuti che Israele alla fine libererà in un modo o nell'altro, nell'ambito di questo o quell'accordo forse conviene che si rivolga ora a Hamas con una proposta molto più ampia e audace?
Una proposta per un'intesa che comprenda il cessate-il-fuoco totale, l'interruzione di tutte le azioni terroristiche da Gaza e la sospensione dell'assedio della Striscia. Un accordo, in cui la questione Gilad Shalit e detenuti di Hamas sia solo uno dei suoi paragrafi, quello che verrà applicato per primo, subito dopo l'apertura del negoziato?
E' chiaro che nella realtà che ci è nota cioè nella realtà che siamo stati abituati a vedere come tale un'idea del genere sembra assurda, ma è davvero così assurda?
Davvero lo Stato di Israele e il governo di Hamas non sono in grado di arrivare con la mediazione di elementi stranieri a un accordo del genere, parziale ma effettivo ?
Davvero un accordo del genere sarebbe una legittimizzazione di un'organizzazione terroristica , come sostengono gli oppositori a qualsiasi contatto con Hamas, o piuttosto si tratterebbe dell'atto sagace di uno stato che agisce con audacia ed elasticità, per migliorare la sua difficile situazione?
A proposito, nel negoziato condotto oggi con Hamas non vi è una forma di legittimazione di un'organizzazione terroristica ?
E perché limitarsi solo alla liberazione (per quanto agognata) di Gilad Shalit, quando è possibile a un prezzo che in definitiva non sarebbe molto più alto del prezzo finale che Israele pagherà in cambio di Gilad Shalit creare una situazione in cui i risultati ed i vantaggi sarebbero molto più grandi per Israele? Una pace vera e completa con Hamas Israele non potrà raggiungerla nel prossimo futuro e forse nemmeno in un futuro lontano. Hamas non riconosce Israele e condiziona un accordo dipace all'accettazione da parte dello Stato ebraico del principio del diritto al ritomo e del ritiro totale alle linee del 1967, condizioni che non vi è alcuna probabilità che Israele accetti.
Ma perché Israele non tenta almeno di arrivare a ciò che è dato arrivare in questa fase, in questa situazione così difficile fra esso e Hamas? Forse, in questo processo, si vedrà che anche Hamas è già maturo e persino si augura un qualche movimento dentro quella camicia di forza, che ha indossato con il suo rigido rifiuto?
E' imbarazzante individuare il modulo di comportamento a cui Israele è di  volta in volta condannato: come la squalifica totale, per decenni, dell'OLP in quanto interlocutore, come l'evacuazione degli insediamenti di Gush Katif, come il frettoloso ritiro dal Libano nel 2000, come con il caso della flottiglia che ha portato all'interruzione dell'assedio di Gaza Israele da anni presenta una posizione rigida, ristretta e unilaterale, gonfia sempre di più i muscoli e dichiara che non si tirerà indietro nemmeno di un millimetro, finché, tutto d'un colpo, nell'arco di un giomo o di una notte, la situazione si capovolge di 180 gradi, il terreno o il mare gli scivola sotto i piedi ed Israele è costretto a tirarsi indietro lungo tutta la linea, molto più di quanto avrebbe fatto nell'ambito di un dialogo negoziale (ed è ovvio che riceve anche un compenso molto più limitato in cambio delle sue rinunce).
Anche nella storia dolorosa e frustrante di Gilad Shalit, sembra che i fatti conducano a questo punto. Forse questa volta, per  quando le due parti sono intrappolate nelle loro posizioni e all'orizzonte non appare alcuna soluzione, avremo il coraggio di allargare tutto d'un colpo il punto di vista, di liberarci dai condizionamenti fissi e di stabilire, per nostra iniziativa (oh, parola dimenticata!), la portata dell'azione?
Hamas non sarà d'accordo? E' probabile. Sfidiamolo, forse ci sorprenderà? Hamas è un senz'altro un dominio fanatico, che ha agito più di una volta con sistemi obbrobriosi e inumani, anche nei confronti degli stessi palestinesi. Ma può questo giustificare la totale paralisi israeliana nei suoi confronti? Paralisi che non è per niente una paralisi, visto che, in fin dei conti, vi si svolge un processo in cui Israele è costretto a recedere sempre di pi dalle sue posizioni, senza ricevere nulla in cambio, come per il ritiro da Gush Katif e per il caso della flottiglia?
Nessuno tenta di spostare alcunché in questa realtà pietrificata, di iniziare un processo che possa costringere Hamas a cambiare qualcosa nel suo modo di agire non parlo del suo approccio nei confronti di Israele.
Nessuno fa nulla per migliorare la situazione di Israele: dire no non è una politica, è una fissazione della mente. E', alla fin fine, negare a noi stessi la libertà d'azione. Le tesi note, presentate al pubblico israeliano come se fossero un assioma consacrato, che il negoziato con Hamas danneggerebbe la leadership palestinese più moderata della Cisgiordania, devono essere anch'esse sottoposte a rinnovato esame: forse anche in questo caso come in quello dell'assedio di Gaza si scoprirebbe che da anni ci fanno ingoiare clichés che non si adattano a tutte le sfumature e a tutte le possibilità della realtà? Forse si scoprirebbe che il negoziato con Hamas in vista di un qualche accordo è in grado di spronare gli uomini dell'Autorità Palestinese ad accelerare da parte loro il processo di pace con Israele?
E forse si creerebbe una dinamica in grado di mettere in moto un processo di pacificazione nei rapporti fra le due parti nemiche del popolo palestinese, processo senza il quale non si arriverà mai ad un trattato di pace stabile, nemmeno con Abu Mazen ed i suoi seguaci?
Non è assurdo pensare che il modo più efficace di limitare la forza e l'influenza di Hamas a Gaza, riportandolo gradualmente alle sue dimensioni naturali, sia creare condizioni di pace e prosperità e di costruzione della nazione per i palestinesi della Cisgiordania. Se si formulasse anche fra una parte degli abitanti di Gaza che appoggiano Hamas una qualche speranza per il proprio futuro, calerebbe automaticamente l'attrattiva del fondamentalismo e del fantismo religioso e nazionalista. Si potrebbe anche arrivare ad immaginare una situazione in cui persino il ritorno a Gaza dei detenuti di Hamas, tutti quanti, fino all'ultimo, non crei immediatamente ed inevitabilmente una realtà in cui tutti riprendano l'attività terroristica.
E c 'è persino la probabilità che nella nuova situazione creatasi, non siano il terrorismo e la violenza l'unica loro scelta per difetto. Tutti questi sono pensieri con cui ci si può trovare d'accordo o che si possono cassare, o semplicemente chiudere gli occhi dinanzi a loro. Più che alle proposte stesse, vorrei che lo sguardo fosse rivolto alla loro motivazione: la sensazione che già da alcuni anni Israele sia intrappolato in una paralisi che continua a rallentare i suoi movimenti, fino al punto in cui ogni essere razionale vi riconosce ottundimento e incapacità e persino rarefazione del sano istinto vitale.
Questo è il vero pericolo per Israele, molto pi distruttivo di tutti i pericoli rappresentati da Hamas. Già da tempo il primo ministro israeliano avrebbe dovuto prendere in mano il mosaico ingessato e fossilizzato dell'immagine del conflitto, per tentare di creare con le stesse tessere conosciute, per quanto disperanti una nuova immagine.
Appunto questo è il compito di un leader. E' difficile capire perché Israele lo stato più potenze della regione non tenti di ritornare a dominare il proprio destino, mettendo in moto dei processi, invece di abbandonare, volta dopo volta, il proprio futuro in mani altrui.
Perché si intestardisce da decenni a discutere su piccoli particolari, importanti, ma non fatali, invece di tentare di cambiare sostanzialmente il quadro generale?
La tendenza tradizionale dei leader israeliani di sollevare senza sosta ragioni e scuse per la mancanza di azione e la loro incapacità di distinguere fra giganti e ombre giganti, fra pericoli reali ed echi di pericoli alla fine conducono Israele a pronunciare un no totale e comprensivo di fronte a tutta la realtà, anche di fronte alle minuscole probabilità che di tanto in tanto vi spuntano.
Questo rifiuto insistente è, come dire, ormai al di sopra dei nostri mezzi. In semplici termini di sopravvivenza, non ce lo possiamo permettere: che cosa deve ancora succedere perché ci scuotiamo e ci liberiamo di questo assedio che già da anni ci siamo imposti?
Traduzione di Mila Rathaus Sachs

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