sabato 18 maggio 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






L'Opinione - La Stampa - Corriere della Sera - Il Manifesto Rassegna Stampa
19.02.2010 Omicidio a Dubai: tutti pronti a incolpare il Mossad.
Qualcuno ne approfitta per accusare Israele dell'omicidio di Arafat. Commenti, cronaca, intervista di Michael Sfaradi, Francesca Paci, Francesco Battistini

Testata:L'Opinione - La Stampa - Corriere della Sera - Il Manifesto
Autore: Michael Sfaradi - Francesca Paci - Francesco Battistini - Maurizio Matteuzzi
Titolo: «Omicidio a Dubai, perché è difficile che sia stato il Mossad -Mossad, giallo da Dubai a Dublino - A Beirut nel 1990 era riuscito a scappare»

Riportiamo dall'OPINIONE di oggi, 19/02/2010, l'articolo di Michael Sfaradi dal titolo "Omicidio a Dubai, perché è difficile che sia stato il Mossad". Dalla STAMPA, a pag. 17, l'articolo di Francesca Paci dal titolo "Mossad, giallo da Dubai a Dublino   ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 18, l'intervista di Francesco Battistini al fratello del terrorista di Hamas ucciso a Dubai dal titolo " A Beirut nel 1990 era riuscito a scappare ". Dal MANIFESTO, a pag. 9, l'articolo di Maurizio Matteuzzi dal titolo " L’Istituto, un mito costruito sui cadaveri ", preceduto dal nostro commento. Ecco i pezzi:

L'OPINIONE - Michael Sfaradi : " Omicidio a Dubai, perché è difficile che sia stato il Mossad "


Michael Sfaradi

Come una scheggia impazzita la notizia dell’assassinio di Mahmoud al Mabhouh, esponente di Hamas, rimbalza sui media che, senza prove, hanno già emesso la loro sentenza e puntano il dito contro i servizi segreti israeliani. Anche se le possibilità che il Mossad sia l’artefice di questo omicidio mirato sono molto alte, per una volta vogliamo fare la parte dell“avvocato del diavolo” perché crediamo che la vicenda debba essere valutata in base alle prove che la polizia di Dubai ha raccolto e non in base dei “sentito dire”. Mahmoud al Mabhouh, responsabile anche del rapimento e dell’uccisione di due militari israeliani, era da tempo segnato come obiettivo, era uno di quelli che in gergo sono chiamati “i morti che camminano”. Il suo omicidio è avvenuto il 20 gennaio scorso e nei primi giorni si era parlato di una morte per cause naturali, poi, a distanza di circa due settimane, la “morte naturale” è diventata un omicidio e non si sa se per soffocamento o per avvelenamento. Due settimane per visionare 24 ore di filmati francamente sembrano troppe, non è che forse sono servite per confezionare le prove che portano al colpevole predestinato? Al Mabhouh gestiva dalla capitale siriana i contatti con le potenze regionali alleate del movimento islamico, Iran innanzitutto, si occupava del reclutamento di addestratori e dell’acquisto di armi. Nonostante il suo incarico e il suo passato era riuscito a sopravvivere centellinando i suoi movimenti che erano segreti e decisamente prudenti; da qui sorgono tre quesiti: come mai era partito improvvisamente da Damasco per la capitale degli Emirati senza avvertire nessuno e portare con sé neanche un uomo della sua scorta? Visto che il viaggio era segreto… chi ha avvertito un gruppo così folto di persone che da mezzo mondo si sono dati appuntamento a Dubai e organizzato nel giro di poche ore un’azione così complicata? Secondo la polizia degli Emirati il “gruppo di fuoco” era composto da un numero nutrito di agenti, si è parlato di 11 persone, addirittura di 17, un piccolo plotone. Tutta questa gente per uccidere un solo uomo? Non sarebbe stato meno pericoloso usare un killer singolo con un’azione “mordi e fuggi”? Questi agenti sarebbero entrati negli Emirati usando documenti falsi, per lo più inglesi, irlandesi, tedeschi e francesi, arrivando alla spicciolata da diverse provenienze, alcune europee. Come mai le autorità aeroportuali francesi e tedesche non si sono accorte, nonostante il sistema intranet di controllo incrociato dei documenti fra i paesi aderenti al trattato di Shengen, che diverse persone si imbarcavano verso un paese mediorientale con documenti falsificati? Come lavora la polizia di frontiera degli Emirati, visto che è stata perforata da documenti falsi per 11 forse 17 volte nel giro di poche ore? Chi ha un poco di dimestichezza nel mondo dei servizi segreti sa che neanche dopo l’attentato alle Olimpiadi di Monaco ‘72 i sicari del Mossad che avevano il compito di eliminare i mandanti del “massacro olimpico” potevano operare su territori arabi; come mai proprio ora questa regola sarebbe stata disattesa? Alcune fonti hanno riportato che sette cittadini israeliani, il cui nome era scritto sui passaporti falsi utilizzati a Dubai, si sono presentati alla stampa per testimoniare la loro estraneità, in particolare un cittadino inglese residente in Israele. Sembra strano che un servizio segreto efficiente come il Mossad usi delle identità reali, addirittura di cittadini israeliani o di persone residenti in Israele, per compiere missioni di questo tipo. Significa lasciare la firma sul luogo del delitto. A questo punto le cose sono due: o i servizi segreti israeliani sono diventati una banda di boyscout alla gita domenicale, o queste prove sono state lasciate, o costruite in un secondo tempo, proprio per veicolare le indagini verso i servizi dello Stato ebraico. I nostri sono dubbi oggettivi, e non ci stupiremmo se poi dietro a queste prove si nascondesse un “bufala” clamorosa. Nell’antichità, in fondo, quando cadeva un fulmine dal cielo gli uomini non potendo dare una spiegazione logica credevano si trattasse delle ire degli Dei, ai tempi nostri, invece, quando non si riesce a spiegare ciò che accade nel mondo dello spionaggio automaticamente si pensa al Mossad.

La STAMPA - Francesca Paci : " Mossad, giallo da Dubai a Dublino "


Mossad

E’ il 20 gennaio, mercoledì. Il fisioterapista trentasettenne Stephen Daniel Hodes gioca con i due figli nell'appartamento di Ramat Beit Shemesh, vicino a Gerusalemme, dove vive dal 2000, quando ha lasciato Londra per l'aliyah, il ritorno. Nelle stesse ore un altro Stephen Daniel Hodes si registra con il suo passaporto al Bustan Rotana Hotel di Dubai per uccidere il comandante di Hamas Mahmoud al-Mabhouh e dissolversi nel nulla. Sembra l'inizio sincopato d'un film di spionaggio ma è la fine della liaison diplomatica tra Israele e Gran Bretagna, novelli partner nella guerra globale al terrorismo. Mentre la polizia dell'emirato arabo accusa «al 99%» il Mossad dell'eliminazione di al-Mabhouh, il Foreign Office chiede spiegazioni all'ambasciatore israeliano Ron Prosor: come mai 6 degli 11 membri del commando incaricato di eliminare il leader di Hamas (che diventano 18 considerando i presunti fiancheggiatori) avevano documenti britannici? Da Berlino a Parigi, altre capitali decidono passi analoghi, interrogandosi su come siano finiti in mano ai killer passaporti dei loro paesi.
Per orientarsi nel labirinto delle domande bisogna fare qualche passo indietro. Mahmoud al-Mabhouh nasce nel 1960 in un campo profughi a Gaza. Meccanico di mestiere e bodybuilder per passione, si arruola presto tra le fila delle Brigate Ezzedin al-Qassam, il braccio armato di Hamas, e nel 1989, dopo la prova del fuoco nella prima Intifada, partecipa all'assassinio di due militari israeliani. Da quel momento svanisce. Lo ritroviamo a Beirut, dove scampa a un tentativo di avvelenamento, in Siria, sopravvissuto a un'autobomba, eminenza grigia in continuo movimento tra le capitali arabe da cui manovra il traffico di denaro e munizioni. Sostengono gli 007 di Tel Aviv che sia stato lui il tramite dei missili iraniani a lungo raggio forniti ai palestinesi. L'ultima apparizione il mese scorso a Dubai per incontrare un misterioso contrabbandiere d'armi di Teheran. L'esca. Sei ore dopo essere atterrato nell'emirato, al-Mabhouh giace senza vita nella lussuosa stanza al secondo piano del Bustan Rotana Hotel.
Cosa è successo nel frattempo? Sulla dinamica la polizia di Dubai non ha più dubbi. Dal momento del suo arrivo il comandante di Hamas ha alle costole 16 uomini e 2 donne dotati di cellulari con simcard austriaca e passaporti «non falsi», ladri d'identità speculari alle loro vittime ad eccezione della firma e della foto. Tre risultano irlandesi, uno tedesco, uno francese, sei hanno cittadinanza britannica e israeliana. Sarebbe questo elemento a suggerire la responsabilità del Mossad, già coinvolto in passato in omicidi mirati all'estero sotto copertura di documenti stranieri, anche se esperti d’intelligence come Ephraim Kam e Rafi Eitan invitano a leggere in profondità: «Il Mossad non avrebbe interesse a utilizzare nomi di cittadini israeliani».
Il capo dei servizi israeliani rischia il posto, la polizia di Dubai ne vuole l’arresto, ma il giallo è ben lungi dall'epilogo. Anche perché, nel frattempo, i fratelli coltelli di Hamas e Fatah, mai riconciliati dalla guerra civile del 2007, continuano ad accusarsi a vicenda d'intelligence con il nemico. A chi fanno capo i tre palestinesi complici del commando, gli unici nelle mani della polizia? Gli investigatori di Dubai stanno interrogando Ahmad Hasnain e Anwar Shekhaiber, ex funzionari dell'entourage del presidente Abu Mazen reinventatisi businessman negli Emirati che tra il 18 e il 19 gennaio avrebbero incontrato alcuni degli assassini prima di svignarsela in Giordania. «Ecco la prova del coinvolgimento di Fatah», tuona da Gaza Hamas. Che dire però di Nehru Massud, il fedelissimo del numero uno di Hamas Khaled Meshal sotto torchio a Damasco perchè sospettato d'aver aiutato gli israeliani a mettere a punto il colpo? Meshal nega, ma secondo il quotidiano kuwaitiano al Siyasah, che cita «una fonte bene informata», sarebbe Massud l'uomo visto in compagnia di al-Mabhouh, senza guardie del corpo, la mattina del 20 gennaio.
Quel giorno alle 8,24 Mahmoud al-Mabhouh torna al Bustan Rotana Hotel. Al desk intorno a lui le telecamere riprendono una donna con pantaloni bianchi e un cappello da mare a righe. C'è anche un tipo in panama. Al secondo piano stanno in agguato in quattro, berretti da baseball, t-shirt, il team esecutivo. Il tempo che il leader di Hamas entri in camera e gli sono addosso, uccidendolo con scariche elettriche. Poi gli assassini prendono l'ascensore e tornano sui loro passi. Dopo venti minuti lascia l'albergo l'ultimo membro del commando, l'irlandese Gail Folliard, occhiali da sole e parrucca nera. Fine della storia, per ora. Le Carrè non avrebbe potuto immaginare di meglio.

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " A Beirut nel 1990 era riuscito a scappare "


Il terrorista di Hamas morto

GERUSALEMME — «Mio fratello Mahmoud non contava niente? E allora perché sono andati a Dubai in 18, per ucciderlo?». La cosa che più spiace a Hussein Mabhouh, 55 anni, è che facciano passare il martire di famiglia per un signor nessuno. Pure lui dirigente di Hamas, Hussein parla da Jabalya, il campo profughi di Gaza: «È stato il Mossad, ovvio. Hanno sempre avuto interesse ad assassinarlo. Non m'interessa sapere se ci sono le prove. Quelle sono facce da ebrei. Era la quarta volta che ci provavano. Nel ’90, a Beirut, mandarono a rapirlo un egiziano e un sudanese. Affittarono una casa vicino alla sua, prepararono una barca per portarlo via. Ma lui riuscì a scappare. Altre due volte, gli misero dell’esplosivo sulla strada, nel campo di Yarmouk».
Suo fratello era l'armaiolo di Hamas? «Era un combattente palestinese, viveva nascosto. Sapendo d’essere nel mirino. Faceva il meccanico. A 18 anni conobbe i Fratelli musulmani e si mise a frequentare la moschea di Khosa. A quell’epoca, il movimento era all’inizio. Fu l’avvento di Khomeini a cambiare tutto. I Fratelli cominciarono a crescere e giovani come Mahmoud diventarono importanti, in tensione col Fatah. La sua scelta fu nel 1983, quando lo sceicco Yassin lo incaricò di procurare le prime armi. Ricordo quando arrivò a casa col primo kalashnikov. Tre anni dopo fu arrestato. La prigione gli servì: imparò a leggere e a scrivere in arabo, inglese ed ebraico. Quando uscì, nel 1988, partecipò alla fondazione di Hamas».

E rapì due soldati israeliani, mai tornati a casa.

«Era un sollevatore di pesi. Vinse anche delle gare. Per questo fu preferito, quando si trattò

d’organizzare i rapimenti di soldati: quello di Avi Sasportas lo fece da solo. Mia madre ne era fiera: "Dio benedica la donna che siede a tavola con te", gli disse. Al secondo sequestro, vennero a cercarlo. Scappò in Egitto. E poi a Damasco, dove aprì una sartoria. Si sentiva braccato. Ogni volta, ci chiamava da un telefono diverso».

I tre palestinesi arrestati per l’omicidio?

«Due li conosciamo. Sono di Gaza. Vogliamo sapere tutti i dettagli. E quale mano ha tradito. È tremendo vedere gli ultimi attimi della sua vita. Quel video sembra un film di Hollywood, senza lieto fine. Né per mio fratello, né per il Mossad: hanno preparato tutto, falsificato passaporti, cooperato con altri governi. E poi la bolla gli è esplosa in faccia».

Il MANIFESTO - Maurizio Matteuzzi : "  L’Istituto, un mito costruito sui cadaveri"

L'articolo di Matteuzzi mira a far passare il Mossad come agenzia di assassini, mentre è un regolare servizio per la sicurezza dello Stato.  L'articolo di conclude attribuendo al Mossad l'assassinio di Arafat.
Matteuzzi ha la mente offuscata dall'ideologia, vada a parlare con Ashraf al Kurdi, medico del defunto Yasser, per sapere la verità sulla sua morte. La causa è stata l'AIDS e non un'azione dei servizi segreti israeliani.
Ecco il pezzo:


Arafat

L’«Istituto» è per Israele quello che la «Compagnia» è per gli Stati uniti. Uno è il Mossad e l’altra è la Cia. Uno è l’ Institute for Intelligence and Special Tasks (in ebraico ha-Mossad le- Modi’in ule-Tafkidim Meyuhadim), l’altra è la Central Intelligence Agency. Stessa storia di operazioni coperte - lamaggior parte - e di operazioni aperte - in minima parte. La regola aurea è né conferme né smentite. Anche se alcune delle operazioni dell’ «Istituto» sono finite in fiaschi, il Mossad è un mito indiscutibile. E gli errori (come la «Operazione Lillehammer» in cui nel ’73 agenti del Mossad, forniti di passaporti canadesi, assassinarono in quella città della Norvegia un povero cameriere marocchino, Ahmed Bouchiki, scambiato con Hassan Salameh, il capo del commando palestinese responsabile della strage degli 11 atleti israeliani nelle olimpiadi di Monaco-72), nel clima di impunità garantito, sono stati messi a tacere dopo qualche «incidente diplomatico » presto dimenticato. Il Mossad naque il 13 dicembre ’49, come «Central Institute for Coordination », su suggerimento di colui che ne sarebbe stato il primo direttore, Reuven Shiloah, al primo ministro David Ben Gurion, con l’obiettivo di coordinare la cooperazione fra le altre branche dei servizi israeliani, lo Shin Bet (il servizio segreto interno) e l’Aman (l’ intelligence militare). Da allora il Mossad ha avutomano mano libera, al di fuori di ogni controllo e al di sopra di ogni critica. Deve rispondere solo e esclusivamente al primo ministro, cui spetta la nomina del direttore. I suoi 1200 uomini (cifra stimata) sono divisi in 8 dipartimenti. Fra cui quello per la raccolta dei dati, quello per l’azione politica e di collegamento, quello per la guerra psicologica, quello per la ricerca dei dati, quello tecnologico per la messa a punto delle tecnologie avanzate da mettere a disposizione dell’ultimo e più famoso, la «Special Operation Division», o «Metsada» in ebraico, quello a cui sono affidate lemissioni più «sensibili » e segrete condotte dai «katsa », gli agenti operativi sul campo e portate a termine dai «kidon» (baionetta, in ebraico), i killer dell’ «Istituto»: «assassiniimirati» (condannati da Onu e Amnesty come «esecuzioni extra-giudiziarie), sequestri, sabotaggi, torture, azioni paramilitari e guerra psicologica. In questi 60 anni, la lista delle operazioni del Mossad - quelle certe, quelle probabili, quelle possibili, quelle «né confermate né smentite » - è quasi infinita, come la striscia di cadaveri che di cui è lastricata la sua storia, e si spande nei quattro angoli del mondo senza badare a confini geografici e rapporti diplomatici. Ricordiamone alcune, alla rinfusa. Nel febbraio ’56 entrò anticipatamente in possesso di una copia del rapporto di Krusciov sui crimini di Stalin e lo passò a Washington che lo pubblicò provocando un forte imbarazzo a Mosca: uno scoop che ingigantì il prestigio del Mossad. Nel ’60 un’altra buona azione: il sequestro in Argentina del criminale nazista Adolf Eichmann (purtroppo fallì la cattura di Adolf Mengele). Sul fronte Europa: in Belgio nel ’90 fu ucciso Gerald Bull, un ingegnere canadese, esperto di balistica, che lavorava per l’iracheno Saddam. Nel ’72, ’73,’79, ’80, ’92 «assassinii mirati» di palestinesi a Parigi. Nel ’68 l’« Operazione Plumbat» in Germania: una nave tedesca carica di yellowcake sparita mentre era in navigazione da Anversa e Genova (lo yellowcake serviva per costruire le atomiche nei laboratori israeliani di Dimona). Un’operazione che ricorda fin troppo da vicino il caso della Artic Sea, il cargo, che forse trasportava missili russi verso l’Iran, sparito l’estate scorsa nel Baltico e ritrovato (vuoto) al largo di Capo Verde. A Roma l’assassinio di Wail Zweiter nel ’72 e il sequestro (con la complicità dei servizi poi della magistratura italiani) del tecnico nucleare israeliano Mordechai Vanunu. Sul fronteMedio Oriente l’elenco è sterminato: in Egitto, l’affare Lavon («The Unfortunate Affair») nel ’54 e il caso della spia Wolfgang Lotz del ’65. In Libano l’assassinio diHassan Salameh, nel ’79, e quello del poeta palestinese Ghassan Kalafani nel ’72. In Siria il caso della «Operazione Susannah» e della spia Eli Cohen (finito male: impiccato nel ’65) e l’assassinio a Damasco di uno dei leader degli Hezbollah libanesi, Imad Mughniyah, nel 2008. Nei Terrirori palestinesi, la «Operazione Collera di Dio» che eliminò uno a uno i componenti del commando palestinese di Monaco-72; nel 2005 l’assassinio mirato» a Gaza dello sceicco Ahmed Yassin, leader spirituale di Hamas. In Giordania dell’«amico» re Hussein, nel ’97 il tentativo di uccidere del laeder dell’ala armata di Hamas, Khaled Mashal (anche questo finì male: i due agenti del Mossad, dotati di passaporti canadesi, furono arrestati). In Iraq la partecipazione ai preparativi del bombardamento aereo del reattore nucleare di Osirak nell’81. In Africa: l’assassinio del n.2 dell’Olp, Abu Jihad, nell’88 a Tunisi; nell’84 in Etiopia l’organizzazione dell’ «Operazione Moses», il trasferimento in massa dei falashas (i presunti ebrei neri etiopici); in Uganda nel ’76 l’intelligence che portò alla soluzione del sequestro dell’aereo preso dai palestinesi nell’aeroporto di Entebbe; in Marocco, la (probabile) partecipazione al rapimento del generale Ben Barka (successivamente assassinato a Parigi nel ’65 dai servizi marocchini). In Iran uno dei capitoli più neri: la creazione nel ’57 e poi la collaborazione stretta con la Savak, la selvaggia polizia segreta della scià di Persia (e ora, a quanto si dice, tocca agli scienziati nucleari iraniani a far da bersagli). In Asia: l’accordo nel 2003 con il dittatore Zia ul-Haq per stabilire contatti fra il Mossad e l’Isi, i servizi pakistani (amici dei taleban...). Fino all’ Oceania: nel 2004 il tentativo di due spie del Mossad di ottenere passaporti intestati a disabili neo-zelandesi (che finìmale: arrestati e sanzioni di Wellington)... Senza parlare del mistero, mai chiarito, della morte di Yasser Arafat, per un misterioso avvelenamento, nel 2004 a Parigi.

Per inviare il proprio parere a Opinione, Stampa, Corriere della Sera, Manifesto, cliccare sulle e-mail sottostanti


diaconale@opinione.it
lettere@lastampa.it
lettere@corriere.it
redazione@ilmanifesto.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT