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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Foglio - La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
01.12.2009 La Svizzera non vuole essere islamizzata
Le dichiarazioni di Ulrich Schlüer, un attacco ingiustificato a Geert Wilders e l'analisi delirante di Tahar Ben Jelloun

Testata:Il Foglio - La Stampa - La Repubblica
Autore: La redazione del Foglio - Marco Zatterin - Tahar Ben Jelloun
Titolo: «'La Svizzera non vuole essere islamizzata', ci dice Schlüer - Ora l'Europa teme l'ondata estremista - Se l´Islam fa paura agli ignoranti»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 01/12/2009, a pag. 3, l'articolo dal titolo " 'La Svizzera non vuole essere islamizzata', ci dice Schlüer ". Dalla STAMPA, a pag. 3, l'articolo di Marco Zatterin dal titolo " Ora l'Europa teme l'ondata estremista " preceduto dal nostro commento. Dalla REPUBBLICA, a pag. 1-33, l'articolo di Tahar Ben Jelloun dal titolo " Se l´Islam fa paura agli ignoranti ", preceduto dal nostro commento. Ecco gli articoli:

Il FOGLIO - " 'La Svizzera non vuole essere islamizzata', ci dice Schlüer "

Roma. “Con questo voto, la Svizzera ha mostrato che cosa non vuole: non vuole moschee, non vuole muezzin, non vuole sharia. In una parola, non vuole essere islamizzata”. Chi parla è Ulrich Schlüer, 65 anni, autore della proposta antiminareti approvata domenica con un referendum molto discusso. Schlüer è un deputato dei Popolari (Pps), il primo partito del paese. In patria, il 57 per cento dei cittadini ha promosso il quesito che impedisce di costruire nuove torri islamiche, ma nel resto dell’Europa le reazioni sono dure. Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, si dice “preoccupato” così come il presidente di turno dell’Unione europea, lo svedese Carl Bildt. Il responsabile del Pontificio consiglio dei migranti, monsignor Antonio Maria Vegliò, è “sulla stessa linea dei vescovi svizzeri”, che definiscono il voto “un duro colpo alla libertà religiosa e all’integrazione”. E c’è chi, come Amnesty International, non esclude di ricorrere al Tribunale europeo. “Le critiche erano prevedibili – commenta Schlüer con il Foglio – L’unica cosa che conta è il risultato delle urne e quello è stato impressionante. Non esiste opinione che può rovesciare una volontà così forte: nessun governo può ignorare le scelte del popolo”. In Svizzera ci sono quattro minareti, 150 centri di preghiera e 400 mila persone di fede islamica. La maggior parte arriva dai Balcani e non mostra grande interesse per le pratiche religiose. Eppure, sostiene Schlüer, la situazione è già a livello di guardia. “Nel mio paese ci sono 17 mila matrimoni combinati e questo significa che 17 mila donne non sono libere – dice il deputato – E’ uno scandalo, è una contraddizione rispetto alle nostre leggi”. Il Pps è noto per le campagne al limite dell'oltraggio. I manifesti stampati per il referendum mostrano una donna con lo sguardo torvo sotto il burqa. Schlüer è uno dei politici più discussi di questo movimento: nel 2007 criticò un inviato dell’Onu, Doudou Diéne, che aveva espresso perplessità sulla “dinamica xenofoba e razzista” che guidava la campagna dei popolari. “Lui arriva dal Senegal, un paese che ha molti problemi – disse allora – Non capisco perché sia venuto qui anziché pensare agli affari della sua nazione”. I popolari vinsero con il 28 per cento dei voti. Schlüer non teme che Berna diventi la capitale di una Repubblica islamica nel cuore delle Alpi: il modello che vuole evitare è quello di Francia, Olanda e Spagna, dove i musulmani possono aprire moschee in nome del pluralismo religioso. “La Corte europea dice che dobbiamo togliere i crocefissi dalle scuole e permettere l’apertura di nuove moschee – spiega – Io ritengo invece che i minareti devono essere respinti perché rappresentano il desiderio di introdurre un nuovo ordine in Europa. In Svizzera ne abbiamo quattro e questo significa che possiamo ancora fare qualcosa per opporci all’islamizzazione della nostra cultura. Guardate Parigi, Berlino e Londra: ci sono interi quartieri che vivono in una dimensione parallela, hanno le loro leggi, i loro costumi e il loro ordine. Non esiste alcuna possibilità di rimettere le cose a posto. Se un giorno avremo cento o duecento minareti anche in Svizzera, non saremo più in grado opporci”. Quello che colpisce non è tanto la percentuale delle persone che hanno votato “sì”, quanto la dimensione geografica del successo: 22 cantoni su 26 hanno approvato la proposta del Partito popolare: la Svizzera, dice Schlüer, non sarà mai come la Francia.

La STAMPA - Marco Zatterin : " Ora l'Europa teme l'ondata estremista "

Nella prima parte del suo articolo, Marco Zatterin attacca duramente il politico olandese Geert Wilders (" destra radicale in Olanda, quello che per stabilire il parallelo fra il Corano e il Mein Kampf di Hitler ha pure fatto un film (...) Il suo Partito per la Libertà conta sulla carta sul 15% dei consensi nei Paesi Bassi, un seguito costruito alimentando lo scontro con gli immigrati, soprattutto di fede islamica (...) Ma questo non toglie che il voto elvetico rafforzi nettamente l'ossigenato leader xenofobo e che, in un futuro non lontano, le cose potrebbero andare diversamente ").
Geert Wilders non è islamofobo e non comprendiamo il motivo di tanto disprezzo nei suoi riguardi. Per quanto riguarda la libertà d'espressione, Geert Wilders, al quale la Gran Bretagna non ha concesso un visto d'ingresso per paura di disordini con la comunità islamica locale, sarà processato ad Amsterdam per averla esercitata. Ecco l'articolo:

 Geert Wilders

Geert Wilders ha colto la palla al balzo. Lui, l'uomo che guida la destra radicale in Olanda, quello che per stabilire il parallelo fra il Corano e il Mein Kampf di Hitler ha pure fatto un film, s'è subito preso la briga di invocare un referendum contro i minareti sulla falsariga di quello svizzero. Il suo Partito per la Libertà conta sulla carta sul 15% dei consensi nei Paesi Bassi, un seguito costruito alimentando lo scontro con gli immigrati, soprattutto di fede islamica. Eppure è difficile che la spunti. La coalizione che guida lo Stato Orange resta ancorata ai principi del liberismo e dell'apertura all'altro. Ma questo non toglie che il voto elvetico rafforzi nettamente l'ossigenato leader xenofobo e che, in un futuro non lontano, le cose potrebbero andare diversamente.
La consultazione popolare di domenica ha ringalluzzito gli schieramenti più estremisti anche in Belgio e Austria. Il Partito del popolo danese ha chiesto formalmente che si vada alle urne contro le torri della mezzaluna. Sono voci rumorose. Fuori dai governi, però. Nelle dichiarazioni ufficiali delle capitali il dissenso per la scelta svizzera è netto, le parole stigmatizzano una decisione «che divide e che può minare la costruzione di una società sana e multietnica». Riassume l'ex presidente della Commissione europea Jacques Delors, uno dei padri dell'Europa unita: «Sinora abbiamo vissuto con l'idea che le religioni diverse possano coesistere in uno Stato democratico con il rispetto di tutti e un minimo di diritti». Adesso, fa notare, ci sono pulsioni nuove. «E mi rattrista che si confonda la fede con l'origine».
Difficile avere un quadro esatto delle moschee in Europa, nessuno raccoglie i dati. Le stime variano comunque da 7 a 15 mila. In Francia negli ultimi anni si è avuto un vero e proprio boom di minareti, all'ombra dei quali ombra pregano i 5 milioni di musulmani dell'esagono. A Parigi è in funzione da tempo una Grande Moschea, mentre quella di Strasburgo - progettata dall'italiano Portoghesi - ha la cupola installata da venerdì. Dopo vent'anni di travagli dovrebbe aprire fra un anno.
Normale che il ministro degli Esteri Bernard Kouchner definisca i risultati svizzeri «espressione di intolleranza». E normale che il ministro dell'Interno spagnolo Alfredo Pérez Rubalcaba ribadisca che avrebbe votato contro la proibizione dei minareti. La più grande moschea d'Europa è stata inaugurata nel 1992 proprio a Madrid e in 4 delle diciassette regioni del Paese iberico dal 2005 nelle scuole si offre l'ora settimanale (e facoltativa) di islam. Per Rubalcaba «ciò che è successo in Svizzera non si ripeterà».
Qualche dubbio comincia a serpeggiare in Germania. Wolfgang Bosbach, il cristianodemocratico che guida la Commissione Interni del Parlamento, ha dichiarato all'Hamburger Abendblatt che le cronache svizzere riflettono «una diffusa paura dell'islam» presente anche nel suo Paese, dove le moschee turrite sono oltre duecento e un altro centinaio è in costruzione. Il governo non sembra però intenzionato a cambiar rotta. Nonostante qualche polemica persino nella supercattolica Colonia, patria del padre cristiano-conservatore della democrazia, Konrad Adenauer, prosegue l'attività nei cantiere della Grande Moschea, che avrà due minareti da 55 metri.

La REPUBBLICA - Tahar Ben Jelloun : " Se l´Islam fa paura agli ignoranti "

Tahar Ben Jelloun critica la Svizzera per il referendum sui minareti. L'interpretazione che fornisce, però, è errata : "  Che si accolgono volentieri i musulmani in territorio svizzero, purché si rendano invisibili, discreti fino a scomparire dal paesaggio.  E rinuncino a erigere qualsiasi segno o simbolo che ostenti la loro presenza ". Il referendum non ha questo scopo, ma quello di bloccare la costruzione di nuovi minareti. Non riguarda quelli già esistenti (4) nè la costruzione di nuove moschee.
Tahar Ben Jelloun scrive : " 
Per quanto si sia detto e ripetuto che il burqa - usanza di certe tribù afgane o pachistane - non ha nulla a che vedere con l´islam e non è mai menzionato nei suoi testi, c´è sempre chi continua a confonderlo con una religione. ". Il burqa ha a che vedere con l'islam. Facciamo notare a Tahar Ben Jelloun che esso è in uso solo fra le comunità islamiche. Non esiste un corrispettivo del burqa nelle altre comunità religiose. A conferma di questo fatto, ricordiamo a Tahar Ben Jelloun la battaglia condotta quest'estate contro il burqini. A indossarlo erano donne musulmane.
Tahar Ben Jelloun scrive : "
Dello stesso ordine è il dibattito italiano sul crocifisso nelle scuole: un simbolo che non fa male a nessuno, ma nel momento in cui si vuole caricarlo di altri messaggi tutto si complica e si politicizza ". Il parallelo non regge: il risultato del referendum descrive la volontà della popolazione Svizzera. Non arriva dall'Unione Europea. In ogni caso noi siamo d'accordo con l'abolizione di tutti i simboli religiosi dai luoghi pubblici in quanto favorevoli alla laicizzazione della società.
la convivenza è qualcosa che si impara. E questo è possibile solo nel rispetto reciproco, che è anche rispetto delle leggi e del diritto. ". Rispetto reciproco, infatti. Tahar Ben Jelloun provi a costruire una chiesa o un tempio o qualunque altro edificio religioso che non sia moschea in un paese musulmano come il Pakistan, o l'Arabia Saudita e ci faccia sapere com'è andata. Ecco l'articolo:

 Tahar Ben Jelloun

La democrazia diretta, praticata nella Confederazione elvetica, è a volte fonte di aberrazioni. È accaduto domenica: il referendum contro i minareti ha ottenuto più del 57 per cento dei sì. Che cosa vuol dire? Che si accolgono volentieri i musulmani in territorio svizzero, purché si rendano invisibili, discreti fino a scomparire dal paesaggio. E rinuncino a erigere qualsiasi segno o simbolo che ostenti la loro presenza.
Vuol dire che l´islam continua a far paura. E che questa diffidenza, questa fobia è basata sull´ignoranza. I manifesti diffusi dai fautori della campagna referendaria sono abbastanza eloquenti: raffigurano minareti neri a forma di missili, piantati su una bandiera svizzera accanto a una donna in burqa. Per quanto si sia detto e ripetuto che il burqa - usanza di certe tribù afgane o pachistane - non ha nulla a che vedere con l´islam e non è mai menzionato nei suoi testi, c´è sempre chi continua a confonderlo con una religione.
Quel manifesto è al limite del razzismo: suggerisce idee e minacce che il buon cittadino percepisce come un avvertimento. Quanto al voto, non risolverà nulla, ma al contrario non farà che accentuare i contrasti tra la comunità musulmana, diversa e simile, e gli elvetici.
Sopprimere i minareti vuol dire attaccare un simbolo che è il segno di una presenza, e non ha in sé nulla di aggressivo, né di politico. E in nessun caso incide sui «diritti fondamentali in Svizzera», secondo quanto afferma il partito della destra populista.
Come ha detto alla televisione francese una giovane musulmana: ieri il velo, oggi il burqa, ed ecco anche il minareto! È vero che il disagio esiste: l´islam, anche quello pacifico - peraltro maggioritario - continua a dar fastidio. Meglio allora riprendere i testi e non ascoltare i falsificatori, i provocatori che utilizzano il dogma per istigare all´odio tra i popoli.
Con quest´attacco ai minareti, la Svizzera prende di mira il simbolo di una religione che vorrebbe far scomparire dal proprio contesto. Ma il referendum, lungi dal raggiungere il suo scopo, non fa che esacerbare le passioni, anche al di là dei confini elvetici. In Francia, il Fronte nazionale ha applaudito all´esito del voto e si augura di poter esercitare un giorno questa forma di democrazia diretta e popolare per esprimere il rifiuto dell´islam in Francia.
Dello stesso ordine è il dibattito italiano sul crocifisso nelle scuole: un simbolo che non fa male a nessuno, ma nel momento in cui si vuole caricarlo di altri messaggi tutto si complica e si politicizza. Come nel caso del dibattito francese sull´«identità nazionale», che arriverà anche in Italia. Questa questione dell´identità si pone dal momento in cui si avverte un cambiamento nei colori e nelle componenti del paesaggio umano di un dato Paese. È una questione che riguarda tutta l´Europa, perché dovunque l´immigrazione è una realtà, e i figli degli immigrati sono europei, talora musulmani ma anche animisti o senza religione. Bisogna pure accettarla, questa realtà. Non serve a nulla organizzare votazioni per eliminarla dal paesaggio o correggerla. Evidentemente, la convivenza è qualcosa che si impara. E questo è possibile solo nel rispetto reciproco, che è anche rispetto delle leggi e del diritto.
Infine, un ultimo punto: gli immigrati e i loro figli non se ne andranno. Fanno parte della storia europea. Sono persone che hanno bisogno della propria cultura, del proprio culto, come qualunque cittadino di accertate origini europee.

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