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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa-Tg 1 - Il Manifesto Rassegna Stampa
07.11.2009 Cosa insegna la strage di Fort Hood
L'analisi di Maurizio Molinari, lo stupore del Tg1, il titolo del Manifesto

Testata:La Stampa-Tg 1 - Il Manifesto
Autore: Maurizio Molinari-Monica Maggioni
Titolo: «E il medico modello gridò Allah è grande»

Come avevamo già scritto ieri su IC, la strage di Fort Hood ha rivelato che il pericolo dell'islamismo fondamentalista si trasforma in terrorismo soprattutto grazie alla sua sottovalutazione. Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 07/11/2009, a pag. 11, l'analisi di Maurizio Molinari dal titolo "E il medico modello gridò Allah è grande ". Questa sottovalutazione è risultata chiarissima nel servizio del TG 1 Rai delle ore 20 di ieri sera, nel quale una stupita Monica Maggioni , inviata a Fort Hood, si chiedeva incredula, dopo aver decantato tutte le virtù dell'assassino, come era mai potuta accadere  una cosa simile, e concludeva "sarà stata la paura della guerra per la quale stava per partire ". Se uno non vuole andare in guerra - in Usa il servizio è volontario - ha solo da non andarci. Invece Malik Hasan ha ucciso 13 suoi compagni all'urlo di Allah è grande, esattamente come fanno tutti i terroristi musulmani suicidi. A lui è mancato il coraggio per togliersi la vita, ma la dinamica non lascia dubbi. La versione del MANIFESTO è esemplare , da questo giornale riprendiamo solo il titolo, a pag. 9: " Sconvolto dalla guerra, Nidal spara sul suo incubo ", non spara sui suoi compagni uccidendone 13, ma sul suo incubo. Vergognoso.

 Fort Hood

La Stampa- Maurizio Molinari: " E il medico modello gridò Allah è grande "

Sparando sui commilitoni gridava «Allah-u-Akbar», poche ore prima della strage aveva salutato i vicini di casa portandogli dei regali e chi lo ha conosciuto da vicino ne ricorda le doti di medico stakanovista come anche il fatto di essere un musulmano devoto alle prese con l’islamofobia. Nel profilo di Nidal Malik Hasan, il killer che ha fatto strage nella base militare texana di Fort Hood, si sovrappongono più identità che in comune hanno la caratteristiche di essere estreme. A 39 anni lo psichiatra con i gradi di maggiore dell’Us Army è infatti tanto un medico coperto di plausi e riconoscimenti quanto un simpatizzante islamico che scrive su siti Internet fondamentalisti paragonando i kamikaze della Jihad ai «soldati coraggiosi che si gettano a corpo morto sulle bombe per salvare la vita dei compagni d’armi».
A descrivere i meriti professionali di Hasan è il colonnello Kimberly Kesling, che lo ha avuto alle dipendenze nel «Darnall Medical Center», descrivendolo come «un valore aggiunto per il nostro team». Nei sei anni passati in precedenza all’ospedale Water Reed di Washington il curriculum di Hasan è disseminato di encomi, premi e ringraziamenti da parte dei militari reduci dal fronte che gli devono il recupero dallo stress di guerra. Se è vero che all’inizio della carriera vi fu un episodio di «temperamento turbolento» per anni è stato solo considerato un incidente di percorso. I testimoni che l’Fbi sta ascoltando in queste ore confermano il profilo di un medico dedito alla missione di dare seguito al giuramento di Ippocrate così come i vicini di casa raccontano che nelle ore precedenti alla strage è stato minuzioso nel tentativo di lasciare il migliore ricordo di sé. Patricia Villa, che gli abita a fianco, non aveva mai parlato con lui ma giovedì se l’è visto presentare di fronte alla porta di casa con in mano una confezione di broccoli congelati, degli spinaci, alcune magliette, un materasso ad aria, una lampada e un Corano nuovo di zecca, offerti come regalo d’addio prima della prevista partenza per l’Afghanistan.
La premura nei confronti delle persone del quartiere sembra la fotocopia di quella dimostrata per i pazienti ma il profilo del medico buono e lavoratore contrasta con i racconti fatti da alcuni commilitoni si «forti diverbi» avuti negli ultimi tempi sulle guerre in corso in Iraq e Afghanistan. È lo stesso periodo nel quale scriveva su alcuni siti islamici con toni da jihadista e il grido «Allah è Grande» lanciato al momento in cui ha fatto fuoco sembra avvalorare l’ipotesi che sia stato contagiato dalla matrice fondamentalista.
La zia di Hasan, Noel, ne attribuisce la rabbia a una serie di episodi di islamofobia del quale sarebbe stato vittima in ambienti militari dall’indomani degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, incluso quanto avvenuto di recente quando anonimi hanno strappato l’adesivo «Allah is love» (Allah è amore) dalla sua auto, graffiando poi la fiancata della vettura con una chiave. «Alcune persone riescono a sopportare tali fatti, altre no» aggiunge la zia, unendosi comunque al resto della famiglia nell’esprimere la «condanna ferma e totale dell’orrendo gesto».
Di sicuro il maggiore nato nel Nord della Virginia non ha mai celato il fatto di essere un musulmano devoto E si recava spesso in moschea indossando la tradizionale jalabiya. Poco tempo fa fu il veterano Edgar Booker che gli chiese cosa provava ad essere un musulmano credente destinato a servire con l’esercito americano in Medio Oriente. La risposta arrivò di scatto, tradendo un evidente nervosismo: «Sarà una cosa molto interessante».

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