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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica - L'Unità Rassegna Stampa
14.06.2009 Ora Obama deve scegliere: accettare l’atomica o bombardare
Cronaca di Andrea Nicastro. Le opinioni di Daniel Pipes, Bahman Ghobadi, Shaul Mofaz, Azar Nafisi, Karim Sadjadpour, Nicola Pedde

Testata:Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica - L'Unità
Autore: Andrea Nicastro - Ennio Caretto - Viviana Mazza - Rina Masliah - Francesca Caferri - Alix Van Buren - Gabriel Bertinetto
Titolo: «Guerriglia nelle strade di Teheran Gelo degli Usa su Ahmadinejad - Pipes: 'Obama deve scegliere accettare l’atomica o bombardare' - Il regime vacilla. Ora il dialogo sarà più difficile - Rubati i nostri voti ma i giovani e le donne cambieranno il Paese -»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/06/2009, a pag. 2, la cronaca di Andrea Nicastro dal titolo " Guerriglia nelle strade di Teheran Gelo degli Usa su Ahmadinejad ", l'intervista di Ennio Caretto a Daniel Pipes dal titolo " Pipes: «Obama deve scegliere accettare l’atomica o bombardare» " e quella di Viviana Mazza a Bahman Ghobadi dal titolo " Non credo a questo risultato, è falso Ho paura di una Tienanmen iraniana ". Dalla STAMPA, a pag. 2, l'intervista di Rina Masliah a Shaul Mofaz, ex ministro della difesa israeliano, dal titolo " Il regime vacilla. Ora il dialogo sarà più difficile  ". Dalla REPUBBLICA, a ag. 9, l'intervista di Francesca Caferri a Azar Nafisi, scrittrice iraniana, dal titolo " Rubati i nostri voti ma i giovani e le donne cambieranno il Paese " e quella di Alix Van Buren a Karim Sadjadpour, esperto d´Iran, dal titolo " E´ l´ayatollah Khamenei a manovrare il regime ". Dall'UNITA', a pag. 27, l'intervista di Gabriel Bertinetto a Nicola Pedde, direttore dell’istituto Globe Research, dal titolo " Con lui Pasdaran e contadini. I  riformatori un’élite " preceduto dal nostro commento. Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Andrea Nicastro : " Guerriglia nelle strade di Teheran Gelo degli Usa su Ahmadinejad  "

TEHERAN — I poliziotti an­ti- sommossa arrivano in moto­cicletta, uno guida, l'altro die­tro a menare manganellate sul­la folla. Il corteo si apre, la gen­te inciampa, si calpesta, cade nei canali che corrono sotto il marciapiede come a Parigi. Co­sì si sciolgono le manifestazio­ni. La cavalleria semina il pani­co e poi l’«artiglieria» di gas la­crimogeni e urticanti completa il lavoro.
Ma qualche volta non funzio­na. Ieri almeno cinque coppie di motociclisti sono caduti, le moto sono finite nelle mani dei dimostranti che le hanno incen­diate. In un caso, l’agente ha ri­schiato il linciaggio. La folla l’ha atterrato. In trenta, cin­quanta, cento gli sono stati ad­dosso. Il suo casco rosso è vola­to via. Pugni, calci. Il grido «Al­lah Akbar» è salito assieme a quello di «morte al dittatore». L’uomo si è salvato grazie alla ragionevolezza di alcuni.
Ore di guerriglia urbana a Teheran. La città non ha gradi­to la riconferma del presidente Ahmadinejad. Milioni di voti (l’affluenza sarebbe stata del­l’ 85%) hanno cambiato destina­tario, stando alle accuse. Il 62,6% ricevuto secondo il con­teggio ufficiale sarebbe frutto di brogli colossali, in tutta la na­zione con urne giunte ai seggi già riempite a metà e i risultati, comprese le percentuali, decise a tavolino settimana scorsa. «Personalmente e fermamente protesto — ha dichiarato il prin­cipale rivale del presidente, Mir Hossein Mousavi, fermato al 34,7% —. Sia chiaro che non mi arrenderò a questa pericolosa sciarada che rischia di condurci alla dittatura». La moglie è con lui: «Non dimenticheremo mai questo insulto all'elettorato».
I sostenitori di Mousavi l’hanno preso ancora più sul se­rio di quanto, forse, faccia lui stesso. Con Guardie della Rivo­luzione (Pasdaran) e poliziotti a minacciare di reprimere qua­lunque assembramento non au­torizzato sono scesi in strada a migliaia. Bruciati due autobus, infrante vetrine, auto private. I cassonetti della spazzatura in­cendiati per bloccare il traffico e impedire l’arrivo dei mezzi pe­santi di polizia ed esercito. Stes­se scene, sembra di sentire da fonti non ufficiali, in altre città iraniane. Da Nord a Sud.
Bloccato il sistema sms per tutta la giornata, a sera le com­pagnie telefoniche hanno inter­rotto anche i cellulari. Serviva­no ai manifestanti per coordina­re le apparizioni nelle piazze, creare massa critica e comincia­re a marciare chiamando i pas­santi: «Vieni, vieni, non aver pa­ura »; «L’Iran soffre come la Pa­lestina.
Perché stai seduto a guardare?». Slogan che richia­mano quelli delle rivolte stu­dentesche del ’99, ma anche del­la Rivoluzione islamica del ’79. I ragazzi nelle strade di Tehe­ran, però, sono soli. Il Segreta­rio di Stato Hillary Clinton ha detto che gli Usa valuteranno il risultato elettorale, «sperando che rifletta la volontà della gen­te ». Ha detto il portavoce del presidente Obama, Robert Gib­bs: «Come il resto del mondo siamo rimasti colpiti dal vigoro­so dibattito e dall’entusiasmo generato dalle elezioni in Iran, particolarmente tra i giovani. Continuiamo a monitorare da vicino la situazione, comprese le accuse di irregolarità». Lon­dra e Parigi hanno invece «pre­so atto dei risultati annunciati dalle autorità iraniane». «Preoc­cupata » l’Ue.
La partita non è chiusa. Per tutta la notte la capitale irania­na è stata attraversata da sirene e odore di gas. All’improvviso, gruppi di 50-100 persone si mettevano a scandire: «Iran, Iran, dove sei Iran?».
Dove sei, Mousavi? Bill Kel­ler, il direttore del
New York Ti­mes che si trova a Teheran, so­stiene che le autorità hanno vie­tato al candidato dell’«Onda Verde» di apparire in pubblico. Voci di arresti domiciliari: se­condo la tv del Golfo Al Arabi­ya, che ieri parlava di tre morti negli scontri, «le forze di sicu­rezza hanno predisposto un cor­done intorno al quartiere Jamran dove si trovano le resi­denze dei principali oppositori di Ahmandinejad: oltre a Mou­savi, Ali Akbar Rafsanjani e Mohammed Khatami»

CORRIERE della SERA - Ennio Caretto : " Pipes: «Obama deve scegliere accettare l’atomica o bombardare» "

 Daniel Pipes

WASHINGTON — Da­niel Pipes non ha dubbi.
Per il massimo studioso americano dell’Islam, le ele­zioni in Iran sono la fine dell’ipotesi riformista, uno schiaffo a Obama. L’Iran, sostiene Pipes, non si de­mocratizza, e respinge l’apertura americana. Rima­ne una teocrazia, e non rinuncia al proprio riarmo nucleare. «Dopo queste elezioni — dichiara — Oba­ma è destinato a perdere, se conti­nuerà a giocare la carta della diplo­mazia ».
Ma l’esito delle elezioni non è dubbio?
«Per quanto ne sappiamo potreb­be averle vinte Mousavi: di certo la maggioranza degli iraniani voleva liberarsi di Ahmadinejad. Ma se Mousavi fosse stato eletto presiden­te non avrebbe fatto molta differen­za. In Iran il potere non è in mano al presidente, bensì in mano al lea­der spirituale supremo, l’Ayatollah Khamenei. Comunque, con la con­ferma di Ahmadinejad di fatto Kha­menei ha risposto a Obama: grazie, no, continuo per la mia strada».
Anni fa non fece qual­che differenza l’elezione di un altro moderato, Kha­tami?
«L’elezione di Khatami fu un’espressione della vo­lontà popolare, un’anoma­lia. Ma non portò a cambia­menti interni. Peggio, servì agli Ayatollah perché ci illu­se che avremmo potuto dialogare con l’Iran. Noi ci sbagliamo sul ruo­lo del presidente iraniano, esercita solo il
soft power, ad esempio sul­l’economia e sull’istruzione. L’hard power, ripeto, cioè l’esercito, la poli­zia, la giustizia, la politica estera, so­no di competenza di Khamenei».
Una situazione immutabile?

«Temo di sì, almeno al momen­to. Non è facile rendersene conto perché Khamenei rimane nell’om­bra. Non è un Gheddafi che visita Roma, incontra mille donne, ester­na, provoca. Ma è un leader a vita, con poteri assoluti, come il presi­dente egiziano Mubarak o il re Ab­dallah di Giordania. Decide lui, non decidono le elezioni, chi sarà il ca­po del governo, il volto pubblico dell’Iran, e lo ha dimostrato».
Che cosa potrà fare Obama se il dialogo sarà impossibile come lei sostiene?
«Dovrà scegliere. O accetterà che tra non molto l’Iran diventi una po­tenza nucleare, cosa estremamente pericolosa per gli equilibri medio­rientali, o per impedirglielo ne bom­barderà gli impianti. Sarebbe del tutto inutile imporre nuove sanzio­ni, non producono mai effetti».
Lei personalmente che cosa sce­glierebbe?
«Lei sa che io sono un conserva­tore e sono dalla parte di Israele. Io bombarderei».

CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Non credo a questo risultato, è falso. Ho paura di una Tienanmen iraniana "

 Bahman Ghobadi

«Non posso credere che Ahmadinejad sarà presidente per altri 1500 giorni. Non si tratta di oggi e di domani. Stiamo parlando di quat­tro anni». Bahman Ghobadi parla al telefono da Berlino, subito dopo l’annuncio ufficiale della vittoria di Mahmoud Ahmadinejad alle elezioni. Nel suo ultimo film Nessuno sa nul­la dei gatti persiani, presentato a Cannes, il quarantenne regista iraniano ha raccontato la Teheran che Ahmadinejad reprime ogni gior­no: quella dei giovani che suonano rock, rap e heavy metal, costretti a nascondersi per sfuggire alla brutalità delle forze dell’ordine. Noto anche per la sua relazione con la giorna­lista americana Roxana Saberi, liberata a mag­gio dopo 100 giorni nella prigione di Evin, lo stesso Ghobadi è finito in carcere per una set­timana al ritorno da Cannes. Uscito su cauzio­ne, ha lasciato il Paese. «Adesso che Ahmadi­nejad è stato rieletto, è difficile che io possa ritornare in Iran nei prossimi 4 anni», dice. In Germania sta lavorando a un nuovo film: sto­ria di due iraniani, attivisti per i diritti umani (il titolo, Sessanta secondi su di noi, si riferi­sce al tempo che resta loro da vivere una vol­ta finiti davanti al plotone d’esecuzione).
L’avversario di Ahmadinajed, Mir Hossein Mousavi, ha denunciato «irregolarità e viola­zioni ». «Non posso credere a questo risulta­to. Non posso credere che Ahmadinejad ab­bia
ottenuto il 63%. Stanno mentendo. Io è da diversi anni che non voto. Sono curdo e sun­nita. Mio nonno e mio padre non si sono mai aspettati nulla dalle elezioni. Il sistema non accetta il popolo curdo. A volte mi sembra di non essere neppure iraniano. Ma due giorni fa avevo pregato Dio perché desse agli irania­ni un buon presidente, come Mousavi».
Moltissimi giovani, molti artisti e intellet­tuali come lei e come quelli del suo ultimo film si erano mobilitati per Mousavi. Che cosa significa questa sconfitta per loro?
«Ho parlato al telefono con un mio amico filosofo e scrittore oggi. Era molto turbato, si è messo a piangere. Chi non riuscirà ad andar­sene, ad emigrare, finirà per vivere alienato, al di fuori dalla società. Sono preoccupato per i giovani e per la cultura iraniana. I giova­ni sono il 60% della popolazione, hanno biso­gno di un presidente che capisca le loro esi­genze. Non possono andare al bar, non posso­no ballare, se si riuniscono dopo la mezzanot­te la polizia interviene. Le ragazze non posso­no uscire dopo le 9 di sera, sennò finiscono in prigione. Hanno grossi problemi se voglio­no stare insieme a un ragazzo. I giovani po­trebbero creare un paese nuovo. Ma nel go­verno non c’è nessuno che sia giovane. Il si­stema è dominato da sessantenni e settanten­ni ».
Ahmadinejad ha 52 anni. Era il più giova­ne tra i candidati alla presidenza: Mousavi ne ha 67. Karroubi 72, Rezai 54.
«No, Ahmadinejad è vecchio. Ha gli occhi chiusi, ha una visione ristretta, non sa nulla del mondo e non sa nulla dei giovani e di ciò che vogliono. I giovani iraniani hanno una grande energia, le ragazze special­mente. Anziché mettere migliaia di poliziotti a sorvegliare i rapporti tra ragazze e ragazzi, perché Ahma­dinejad non controlla i problemi veri, gli omicidi, le violenze dome­stiche, le rapine di cui si legge con­tinuamente
nei giornali?»
C’è chi ha espresso il timore di una «Tienanmen iraniana» .
«Ne ho paura anch’io. Il control­lo dei militari e della polizia però è fortissimo e credo che non permet­teranno nemmeno che le proteste prendano forma».
Quali altre conseguenze avrà la rielezione di Ahmadinejad?
«Ho paura di uno scontro tra l’Iran e Israele. È quasi evidente a tutti in Iran che qualcosa succederà, che il conflitto è imminente. Per 8 anni l’Iran è sta­to in guerra contro l’Iraq. Adesso non c’è una guerra, ma dal punto di vista economico è co­me se ci fosse. Mia madre mi ha chiesto di farle avere del riso e del pane in modo da te­nerne una scorta nella sua stanza, nel caso in cui la prossima settimana scoppi la guerra. Ogni mattina, nei giornali iraniani, non si par­la che di politica e di guerra. È così da 30 an­ni. L’America, Israele, Hezbollah. E la gente?
Questo non è ciò che serve alla gente».

La STAMPA - Rina Masliah : " Il regime vacilla. Ora il dialogo sarà più difficile "

Shaul Mofaz

Per tutta la giornata i dirigenti israeliani hanno seguito con attenzione le notizie che giungevano dall'Iran ma, anche per la festività sabbatica, sono stati avari di commenti. In serata il ministro degli esteri Avigdor Lieberman ha comunque pubblicato un breve comunicato in cui ha fatto appello alla comunità internazionale affinché «obblighi l'Iran a bloccare i propri progetti nucleari, e a cessare la sua assistenza alle organizzazioni terroristiche che destabilizzano il Medio Oriente». Il «problema Teheran», secondo Lieberman, «non dipende da questa o quella personalità, ma dalla sua politica».
Fra i più interessati agli eventi iraniani vi era il numero due di Kadima Shaul Mofaz, ex capo di stato maggiore ed ex ministro della difesa, originario di Teheran dove è nato nel 1948 e dove ha vissuto fino al 1957, quando la sua famiglia è immigrata in Israele. Oggi Mofaz - che è stato anche il coordinatore del dialogo strategico fra Israele e Stati Uniti - è un uomo chiave nella politica israeliana: formalmente all’opposizione, ma ancora interessato ad un ingresso del partito di Kadima in un eventuale governo di unità nazionale, in primo luogo per la estrema gravità con cui vede i progetti nucleari iraniani.
Shaul Mofaz, quali saranno le conseguenze operative della vittoria di Ahmadinejad ?
«Si tratta di una grande sfida per il mondo, e in particolare per gli Stati Uniti. Israele dovrà mostrare determinazione, assieme con gli Stati Uniti, per impedire che l'Iran diventi una potenza nucleare».
Quali venti sembrano spirare oggi a Teheran?
«Secondo i dati ufficiali Ahmadinejad ha ricevuto oltre il 60 per cento dei voti, forse anche di più. Ma da quello che sento dall'Iran, anche dagli abitanti, dai commentatori, e dai notiziari, si percepisce una volontà di cambiamento. Si tratta di voci più forti oggi che in passato. Qualcosa là sta accadendo. Questa volontà di cambiamento dovrà essere analizzata».
Nel prossimo futuro per Israele l'Iran di Ahmadinejad continuerà comunque a rappresentare un pericolo diretto?
«Ahmadinejad ci minaccia in due modi. Il primo si esprime attraverso il rafforzamento delle forze sciite nella Regione. Ad esempio: gli Hezbollah in Libano. Ma l'Iran sostiene anche i palestinesi di Hamas, e altri ancora. Poi c'è la sua politica nucleare. Si tratta di una sfida molto grande per gli Stati Uniti, anche alla luce degli ultimi sviluppi nella Corea del Nord dove l'approccio del dialogo diplomatico non sembra aver sortito buoni frutti».
Quali dovrebbero essere allora le ripercussioni sul dialogo che il presidente Obama tenta di imbastire con Teheran?
«Io penso che quel dialogo debba essere limitato nel tempo. Voglio dire che non potrà durare anni, dovrà essere ridotto a mesi. È importante che l'arricchimento di uranio in territorio iraniano non prosegua. Se il dialogo poi non dovesse avere esito, occorrerà applicare sanzioni verso Teheran, molto più dure che in passato. Bisogna dunque rafforzare la determinazione statunitense, sia nel tentativo di dialogo, sia nelle eventuali sanzioni: anche perché in Iran il regime è rimasto lo stesso che era prima delle elezioni, e le sue intenzioni sono pure rimaste le medesime».

La REPUBBLICA - Francesca Caferri : " Rubati i nostri voti ma i giovani e le donne cambieranno il Paese "

Azar Nafisi

Nel buio delle immagini che arrivano da Teheran, Azar Nafisi riesce comunque a trovare uno spiraglio di luce: «La cosa più importante è che la gente ha detto quello che vuole. Lo abbiamo visto con le code in strada, con i giovani, con le donne. Il risultato è un´altra cosa, lo sanno tutti che è truccato. Ma quello che abbiamo visto è l´Iran che vuole cambiare». Se lo dice lei forse c´è da fidarsi: il suo "Leggere Lolita a Teheran" è il libro di maggior successo sulla Persia uscito negli ultimi anni.
Delusa, signora Nafisi?
«No. La cosa più importante è stata la reazione della gente. Voi occidentali sbagliate a focalizzare l´attenzione solo sulle élite politiche, gli iraniani hanno detto forte e chiaro cosa vogliono».
Ma ha vinto Ahmadinejad...
«Lo sanno tutti che il voto è stato truccato. Ma se anche Ahmadinejad avesse vinto davvero (mai con questi numeri) quella che ha espresso scontento è una minoranza sostanziale. Sono i giovani, le donne. Nessuno potrà fare finta di niente».
Allora per il fronte riformista questa non è una sconfitta vera?
«I religiosi sono divisi. La società civile si è mostrata forte e compatta. Questi sono segni positivi. Certo io, come molti altri, avrei voluto un risultato diverso. Ma non importa, questa storia non finisce qui, ci sono segni che non possiamo ignorare».
Come fa ad essere cosi sicura che il voto sia stato truccato?
«Non dico che nessuno abbia votato Ahmadinejad. Ma perché mai gli iraniani dovrebbero volerlo ancora? Non ha mantenuto le promesse verso i poveri. Ha aumentato la repressione sui giovani e gli intellettuali. Ogni volta che va all´estero getta vergogna sul paese. La popolazione in Iran è sempre più giovane e vuole essere libera. Questa è una pausa, non la fine del processo di apertura: i giovani non sceglieranno la violenza, perché è quello che vuole il regime, ma non smetteranno di chiedere più diritti».
Lei oggi vive negli Usa: come pensa reagirà Obama, che aveva scommesso sul cambiamento?
«Dovrebbe capire che il dialogo con l´Iran non si costruisce parlando solo con il regime. È la società civile quella su cui occorre puntare. Questo è il messaggio vero di queste elezioni».

La REPUBBLICA - Alix Van Buren : " E´ l´ayatollah Khamenei a manovrare il regime "

Karim Sadjapour

«Un attacco militare da parte d´Israele contro l´Iran ora è più possibile che mai. A Teheran il re è nudo: il monumentale imbroglio elettorale fa uscire dall´ombra la Guida suprema Ali Khamenei. È lui a manovrare il potere. Ma il regime scricchiola, scosso da fratture interne senza precedenti. Il marciume è venuto a galla». Karim Sadjadpour è l´esperto d´Iran fra i più ascoltati a Washington. Parla dal Carnegie Endowment for International Peace, è chiamato a deporre al Senato americano e nelle stanze della Ue sulle più delicate alchimie mediorientali. L´umore oggi è cupo.
E adesso, come risponderà il presidente americano Obama? riconosce la vittoria di Ahmadinejad, malgrado le denunce di brogli?
«Adesso bisogna aspettare che la polvere si posi, capire che cosa farà Moussavi, se cioè chiederà l´annullamento del voto. In queste ore lui sta trattando con Khamenei. Ma è importante ricordare che Moussavi, benchè vesta i panni del riformista, è parte integrante della Rivoluzione islamica. La storia insegna che nessuno nei suoi ranghi ha acceso micce capaci di fare esplodere il sistema. In più, le Guardie rivoluzionarie sono maestre nell´intralciare le proteste popolari: con il bando degli sms, degli strumenti di mobilitazione di Moussavi, il movimento riformista è zoppo, muto e cieco».
Dunque Washington si rassegna a un nuovo mandato di Ahmadinejad?
«Piuttosto, ora si deve trattare direttamente con Khamenei. Per troppo tempo la Guida suprema è rimasta nell´ombra. Manovrando il risultato del voto, si è esposta. Khamenei è nudo: è lui l´ostacolo nel dialogo con l´Occidente, il responsabile della crisi economica e dell´isolamento politico dell´Iran. Deve assumersene il peso. Ahmadinejad è solo un facile bersaglio».
È la fine del dialogo proposto da Obama?
«Cambierà il tono, ma non la sostanza. Sarà un dialogo freddo, come con l´Urss. Però non c´è scelta: con l´Iran bisogna trattare. Piaccia o no, i dossier più aspri - l´Afghanistan, l´Iraq, il conflitto israelo-arabo, il terrorismo, la proliferazione nucleare - non troveranno soluzione senza l´accordo con Teheran.
Si riaffaccia la prospettiva di una soluzione militare?
«Se verrà riconfermato Ahmadinejad, quel rischio aumenta in misura esponenziale. Si aprirebbe un pessimo scenario».

L'UNITA' - Gabriel Bertinetto : " Con lui Pasdaran e contadini. I  riformatori un’élite "

Nicola Pedde

Pedde dichiara che " «Gli Usa devono andare avanti con le aperture, tenendo conto del risultato. L’interlocutore è chi governa. Sarebbe un errore fare marcia indietro». ". Non siamo convinti che la via migliore per risolvere la situazione iraniana sia il dialogo. L'Iran è sempre più vicino alla costruzione della bomba atomica, un pericolo per tutto l'occidente, non solo per Israele.
In ogni caso l'ultima parola non spetta ad Ahmadinejad, ma all'ayatollah Khamenei il quale si è dichiarato favorevole alla distruzione di Israele e ha ribadito più volte di non essere interessato al dialogo con gli Usa. Ecco l'intervista:

L’Occidente ha proiettato i propri desideri sulla realtà iraniana, immaginandola molto diversa da quella che esce dal voto. L’Iran non è solo Teheran. Le campagne hanno votato per Ahmadinejad. Con lui i Pasdaran e gli apparati di sicurezza. Così Nicola Pedde, direttore dell’istituto Globe Research, spiega l’esito delle presidenziali.
L’opposizione non accetta il risultato e denuncia brogli. Un’ipotesi plausibile secondo lei, professore?
«Sembra difficile spiegare in quel modo tutti i 10 milioni di voti che separano Mousavi da Ahmadinejad. Certo lo shock per un risultato così sbilanciato a favore del capo di Stato uscente è forte anche in Occidente, dove si tifava per Mousavi e dove spesso si ragiona secondo metri di valutazione che non si adattano alla realtà dell’Iran. Ammesso che l’esito delle elezioni sia quello che conosciamo dalle prime notizie ufficiali, la prima riflessione che bisogna fare riguarda la forte diversità del voto urbano rispetto a quello rurale, e dei ceti medi istruiti rispetto al resto della popolazione. Si ha anche l’impressione di una compatta adesione al campo presidenziale da parte degli apparati di sicurezza e dei Pasdaran in particolare. Questi ultimi non sono solo una struttura militare, ma una forza politica ed economica. Dai loro ranghi in passato nacque il movimento riformatore. Ora sono spostati sul campo degli ultraconservatori perché evidentemente ritengono sia quella la via migliore per una transizione politica che li porti a poco a poco ad essere sempre più capillarmente presenti nelle strutture di potere».
I rivoluzionari laici prendono il posto del clero sciita ai vertici dello Stato?
«Distinguiamo in primo luogo all’interno del clero, fra coloro che si limitano al loro ruolo strettamente religioso e coloro che hanno fatto la rivoluzione, il cosiddetto clero combattente. Questi ultimi hanno avuto ed hanno molto potere, ma nelle strutture di comando diventano sempre più minoritari, mentre si estende la presenza dei Pasdaran ovunque nei centri di potere. Un ex-generale dei Pasdaran, Mohsen Rezaie, si è candidato contro Ahmadinejad. Ma il grosso dei Pasdaran sembra essersi pragmaticamente schierato con colui che è poi risultato il vincitore, ritenendo che la stagione del riformismo in Iran sia stata solo una perdita di tempo».
Come spiega il fatto che la cattiva gestione dell’economia imputata ad Ahmadinejad dai suoi avversari non gli abbia alienato le simpatie di molti che potevano ritenersi delusi per la promesse non mantenute?
«Ahmadinejad ha investito molto denaro in vista delle elezioni, distribuendo sussidi statali sotto forma di sostegno alle famiglie ed ai lavoratori. In un’economia disastrata come quella iraniana, ciò potrà provocare contraccolpi negativi in seguito. Ma al momento può avergli recuperato consensi. L’iraniano medio purtroppo non sa che farsene della democrazia e della libertà. Del resto nessun candidato ha insistito molto sui diritti umani e civili».
A questo punto che ne sarà del dialogo proposto da Obama?
«Gli Usa devono andare avanti con le aperture, tenendo conto del risultato. L’interlocutore è chi governa. Sarebbe un errore fare marcia indietro».

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