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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Foglio-Corriere della Sera-Il Riformista Rassegna Stampa
13.06.2009 Il denaro non puzza, senza eccezione alcuna
Anche i pogrom nel DNA di Gheddafi

Testata:Il Foglio-Corriere della Sera-Il Riformista
Autore: La direzione del Foglio-Antonio Ferrari
Titolo: «Il colonnello bifronte-Gheddafi in difesa delle donne. Tranne le infermiere bulgare»

" Pecunia non olet ", è la morale da trarre dalla visita di Gheddafi a Roma. Tutti gli hanno stretto la mano, persino le donne, da lui paragonate al mobiglio di casa nel mondo arabo, l' hanno applaudito, Emma Marcegaglia in testa. Il denaro non ha odore, ne è esperto Massimo D'Alema, che è corso subito alla tenda per sincerarsi della salute del Rais, mentre Fini, dopo due ore di attesa, se n'è andato. Tralasciando le cronache, che ci sono state fornite in abbondanza, pubblichiamo due commenti, dal FOGLIO di oggi, 13/06/2009, a pag.3, e dal CORRIERE della SERA, di Antonio Ferrari, a pag.14. Mentre dal RIFORMISTA riprendiamo un articolo di M.I. Furina, con l'intervista a Raffaele Sassun che aveva otto anni, quando, nel 1967, si salvò dai pogrom del Colonnello Gheddafi, fuggendo in Italia con la famiglia. In chiusura di pagina, la lettera della prof. Bruna Ingrao al rettore della Sapienza che ha autorizzato l'incontro con il dittatore libico.

IL Foglio- " Il colonnello bifronte "

La divisa iperenfatica di Gheddafi, il distintivo che ricorda il periodo dell’oppressione italiana, l’attacco agli Stati Uniti, la sua richiesta di parlare della donna a un pubblico di italiane eminenti fanno parte di una strategia rivolta agli arabi per oscurare il fatto che egli sta spezzando il fronte petrolifero dell’Opec con un’integrazione degli interessi della Libia con quelli dell’Italia, come ha confermato ieri garantendo un occhio di riguardo per gli interessi e gli investimenti del nostro paese. Egli ha dichiarato che la Libia non favorirà la fornitura di gas e petrolio ad altri paesi a spese dell’Italia e che le imprese italiane avranno la priorità nel suo stato. La fornitura di gas libico all’Italia genera non solo la riduzione del potere contrattuale dell’Opec, ma anche di quello di Mosca che minaccia di interrompere le forniture di gas all’Ue qualora l’Ucraina non riconosca i debiti per il metano russo. Il che, in realtà, vuol dire che l’Europa e gli Stati Uniti devono accettare che l’Ucraina e gli altri stati vicini produttori di petrolio e gas – o essenziali per il transito dei rispettivi condotti – tornino sotto il controllo russo. Berlusconi sa che il ricatto dell’Iran per il petrolio, unito alle difficoltà d’aumento dell’offerta di idrocarburi iracheni e alla strategia paramonopolistica russa, si superano se si spezza questo blocco. Gheddafi, che ha sempre giocato un ruolo autonomo rispetto alla Lega araba, adesso ha bisogno di dare l’impressione di non essere un traditore dell’islam e dell’Africa, ma un loro paladino che opera in modo diverso. Il che, a parte la scenografia in cui fioriscono attacchi all’Italia coloniale e agli Stati Uniti, distanti dalla scena, è vero. Gheddafi è nemico degli ebrei e in Libia guida un regime di polizia, forse la nostra diplomazia poteva evitare un soggiorno così lungo e pieno di photo opportunity, ma con gli standard che si usano per criticare l’intesa con l’Italia bisognerebbe che gli Stati Uniti abrogassero l’alleanza finanziaria con la Cina e la Merkel avrebbe dovuto rifiutare l’offerta di Magna per Opel cui partecipa un tycoon russo arricchito con i beni sequestrati a Khodorkovski.

Corriere della Sera- Antonio Ferrari: " Gheddafi in difesa delle donne. Tranne le infermiere bulgare "

Che Gheddafi abbia a cuore la condizione delle donne è possi­bile, anche se i dubbi sono legittimi. Che denunci come nel mondo musulmano vengano trattate «da oggetti, da mobi­lia », e quindi le inciti alla rivoluzione, può stupire un uditorio superficiale. Pe­rò che spieghi ad una qualificata platea femminile italiana (che ha reagito con qualche infastidito mormorio) che in Eu­ropa l’emancipazione della donna non è una faticosa conquista ma è figlia della «costrizione» è francamente troppo. Il colonnello, le cui lezioni di «storia» so­no un happening di stridenti contraddi­zioni, può anche strappare un sorriso, niente di più. Come quando dice che le donne non devono fare lavori pesanti, da uomini appunto, mentre lui è circon­dato da decine di amazzoni, muscolose e inflessibili guardie del corpo del lea­der. E forse bisognerebbe spiegargli an­che il dovere dell’educazione diplomati­ca: dignitoso e bravo Fini!
Che nell’istrionico Gheddafi conviva­no anche sprazzi sentimentali è probabi­le. Visitando la sua stanza da letto, nella caserma di Tripoli, dopo il bombarda­mento americano del 1986, ci colpì il qua­dro, dietro la spalliera: non un ruvido di­pinto ambientato nel deserto della Cire­naica, ma un delicato plenilunio sul ma­re. Certo, c’era ben poco sentimentali­smo nelle vessazioni (e torture) alle qua­li furono sottoposte le infermiere bulga­re accusate ingiustamente di aver inietta­to su centinaia di bambini il virus dell’Ai­ds, condannate a morte e poi salvate gra­zie all’intervento del presidente francese Sarkozy.
Che il colonnello si scagli contro il mondo arabo, al quale appartiene, rite­nendolo colpevole di tutte le possibili ne­fandezze, non fa notizia. Ai vertici della Lega cui partecipa, il raìs è sempre prota­gonista di gravi provocazioni. I fratelli (quasi tutti) non lo sopportano e spesso lo temono. I sauditi lo accusarono di aver ordito un piano per assassinare il lo­ro re. E le donne arabe? Caro Gheddafi, vada a raccontare le sue teorie alle don­ne palestinesi, giordane, egiziane, ma an­che saudite che lottano per veder ricono­sciuti i propri diritti, e sentirà le rispo­ste.
Sicuramente non lusinghiere.

Il Riformista-Marco Innocente Furina: " Ricordo i pogrom del '67, poi la fuga "

«Quando mio padre, mia madre, i miei nonni ed io fummo costretti a lasciare la Libia avevo 8 anni. Eppure ricordo tutto benissimo. Ricordo un legame strettissimo con l’Italia, che era ovunque. Alla televisione, nei giornali, nell’abbigliamento. L’Italia era lì, dietro l’angolo. Si andava e si veniva. Era il punto di riferimento. Culturalmente, economicamente, idealmente. Ma noi eravamo e restavamo libici, anche se con un legame fortissimo con l’Italia e se di religione ebraica. La Libia di quegli anni la ricordo come un paese in fermento, ricordo un clima quasi di euforia portato dal petrolio. Ricordo un paese bellissimo, o forse così me lo raccontano i miei genitori, o, che vuole, sono i ricordi dell’infanzia». Poi la guerra dei sei giorni. «La tensione fra Israele e i Paesi arabi continuava a salire. Il 5 giugno del 67 la guerra. Fu l’orrore. Cominciarono i pogrom. Il popolino ci inseguiva per la strada. Se ci avessero preso ci avrebbero sgozzato vivi. Gli ebrei libici, lì da duemila anni, rischiavano lo sterminio. Molti si salvarono grazie all’aiuto degli arabi. La mia famiglia si nascose in casa di un ufficiale dell’esercito libico. Ma la situazione si era fatta insostenibile. Allora re Idris prese un’iniziativa estrema: condusse tutti i libici di religione ebraica nel paese di Gorgi, in un campo di concentramento. Fu un modo per salvarci la vita. Fummo trattati bene. Ma i giorni continuavano a passare, senza che le cose si sbloccassero. Sapevamo che se ci fossimo mossi ci avrebbero ammazzati. Dopo un mese fummo imbarcati per l’Italia. Senza altro bene che la voglia di dar-si da fare, che non ci è mai mancata ». Oggi Raffaele Sassun è un uomo felice. Sposato, padre di tre bambini, titolare di una società informatica, è impegnato col “Fondo nazionale ebraico” a favore dello stato di Israele, e in Libia non desidera affatto fare ritorno. Lui, come tanti altri ebrei libici ha trovato in Italia la sua nuova patria. Di Gheddafi si interessa poco («ci prende in giro»), è al governo italiano che chiede di prendere una posizione chiara sui risarcimenti dovuti agli ebrei di Libia: «Capiamo le ragioni del Governo, ma ora dopo aver lasciato mano libera al Colonnello, Berlusconi ascolti le nostre richieste. Vogliamo un risarcimento per gli espropri subiti. Il governo si deve fare interprete di questa richiesta nei confronti di Gheddafi. Basta con le buffonate». Nel 67 arrivarono sulle coste italiane circa 5 mila ebrei libici in fuga dal paese africano. Non erano clandestini, ma cittadini italiani. Il nostro governo alcuni anprima aveva concesso loro la cittadinanza perché gli era rifiutata quella libica. E perché, come scrisse Italo Balbo a Mussolini nel 39, chiedendo di escludere gli ebrei della Libia dalle leggi razziali, «senza di loro il paese non funzionerebbe». Di quell’ondata di profughi, allora ospitati a Gaeta, molti, la maggior parte scelse Israele. Quelli che rimasero in Italia fecero fortuna. Specie nel commercio, ma non solo. Sassun a otto anni ricorda l’arrivo a Roma quasi come una festa: «tutto mi sembrava migliore, più bello. Roma era una città, Tripoli un paesone». Non fu per tutti così però. «Per i miei nonni fu molto diverso. Non riuscirono mai ad integrarsi. Venivano da una struttura sociale troppo diversa. In Africa erano gli anziani, degni di rispetto. In un contesto come quello italiano le cose andavano diversamente. La loro dignità fu distrutta.Restarono convinti fino all’ultimo di tornare. Ma morirono qui»

Lettera della prof.Bruna Ingrao al Rettore della Sapienza

Al Magnifico Rettore Prof. Luigi Frati
Al Senato accademico
Ai colleghi dell'Università di Roma "La Sapienza"


Magnifico Rettore, cari colleghi,

    apprendo con costernazione che l'Università di Roma "La Sapienza", che non ha saputo accogliere con rispetto e civiltà il papa Benedetto XVI, accoglierà il giorno 11 giugno il leader libico Moammar Gheddafi, che incontrerà la comunità accademica tutta in aula magna. Il comunicato reso pubblico recita che il sig. Gheddafi si rivolgerà in particolar modo ai nostri studenti.  
        Non so in quale sede accademica sia stata deliberata questa visita né per quali ragioni sia stata decisa.
       Esprimo la mia ferma protesta circa l'opportunità di invitare solennemente il sig. Gheddafi, leader di un regime dittatoriale, a parlare nella nostra Università, che mi auguro dedita con sforzo congiunto di tutta la comunità accademica -al di là di ogni differenza politica- alla tutela dei principi di democrazia e libertà, che sono a fondamento della Costituzione repubblicana, e a tenere vivi tra i nostri giovani studenti sentimenti  di profondo attaccamento alla libertà e alla pace.
        Ricordo che pochi giorni fa è morto, dopo sette anni di patimenti nelle prigioni libiche, Fathi Eljahmi, dissidente libico che ha patito nelle carceri l'oppressione del regime di Gheddafi insieme alla moglie a al figlio maggiore  solo per aver combattuto per il diritto di parola e per riforme democratiche. Mi chiedo se qualcuno nella comunità accademica della Sapienza potrà chiedere conto all'ospite del destino tragico di questo spirito libero e di tutti i suoi concittadini, meno noti, che per persecuzione politica sono stati costretti a tacere, sono stati imprigionati o sono stati espulsi dal paese.
Ricordo che i partiti politici sono vietati, che è vietato il diritto di sciopero, che la stampa è soggetta a censura, che la magistratura è controllata dal governo, che vi sono severe restrizioni al diritto di parola, di associazione, di manifestazione e alla libertà di religione. Ricordo che l'attuale regime libico ha espropriato ed espulso senza diritto di difesa le residue comunità ebraiche presenti in Libia e la Libia, storicamente centro di una fiorente comunità ebraica, è oggi uno Stato privo della presenza di qualunque cittadino di religione ebraica. Ricordo che nell'ambito delle Nazioni Unite il regime libico ha promosso ripetutamente campagne di attacco fazioso e violento contro lo Stato d'Israele ed è stato tra i promotori della conferenza Durban II, dalla quale l'Italia si è ufficialmente dissociata e alla quale si è rifiutata di partecipare.
      Mi chiedo quali insegnamenti il sig. Moammar Gheddafi potrà impartire ai nostri studenti e  perchè la nostra comunità accademica debba ascoltarlo senza una voce critica chiara e ferma. Se la diplomazia internazionale segue la propria strada, la comunità accademica dovrebbe sempre e comunque, con coraggio, parlare a tutela della libertà.

      Prof. Bruna Ingrao

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