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Il Foglio-Il Giornale-La Stampa Rassegna Stampa
06.06.2009 Obama-Pensiero parte 2a: I Commenti
di Giorgio Israel,R.A.Segre, 2 editoriali del Foglio+ una lettera

Testata:Il Foglio-Il Giornale-La Stampa
Autore: Giorgio Israel-R.A.Segre-
Titolo: «Così Obama ha svelato la sua visione del mondo alla rovescia- L'islam immaginario-Il medio oriente immaginario-L'ira dei moderati arabi: Barack tenero con gli estremisti-Obama e il califfo dimenticato»

Pubblichiamo, dal FOGLIO e dal GIORNALE, i commenti al viaggio di Barack Obama di Giorgio Israele e R.A.Segre. Dalla STAMPA la lettera di un lettore nella nuova rubrica dal titolo " l'editoriale dei lettori".

Il Foglio-Giorgio Israel: " Così Obama ha svelato la sua visione del mondo alla rovescia"

Dopo aver letto il discorso del presidente americano Barack Obama sorge la domanda: “E’ un discorso sincero?”. La risposta è: “Sì, è certamente sincero, molto sincero”. Altrimenti non potrebbe spiegarsi la sequela di dichiarazioni partigiane, di castronerie storiche, di gaffe di cui è disseminato. Emerge l’immagine di un uomo che adora l’islam, che non capisce la civiltà occidentale, che ama l’America soltanto nella misura in cui, oggi, decida di recidere le radici che la legano a quella civiltà, che non capisce e non ama Israele (come aveva avvertito lo storico Benny Morris). In definitiva, l’immagine di un relativista multiculturale radicale. Obama ha intessuto il suo discorso di un incontinente panegirico della storia gloriosa dell’islam. Ha presentato l’islam come la luce della conoscenza che avrebbe aperto la strada al Rinascimento e all’Illuminismo. Ha riscritto la storia in modo propagandistico dimenticando che – come scrisse Alexandre Koyré – la “fioritura della civiltà arabo-islamica fu di corta durata” e “il mondo arabo, dopo aver trasmesso all’occidente latino l’eredità classica che aveva raccolta, l’ha persa e persino ripudiata”, per “l’influsso di una reazione violenta dell’ortodossia islamica che rimproverava alla filosofia la sua attitudine antireligiosa, e per l’effetto devastatore delle ondate di invasioni barbare, turche, mongole che hanno distrutto la civiltà araba e hanno trasformato l’islam in una religione fanatica e ferocemente ostile alla filosofia”. Certo, non si poteva parlare così, perché Obama è un politico e non un professore di storia, ma si poteva evitare di dire cose ridicole: per esempio che l’islam ci ha dato la stampa – quale colossale gaffe nei confronti dei cinesi! – o che ci ha dato la comprensione delle malattie, come se la Scuola salernitana non fosse stata una sintesi di cultura medica greca, latina, araba, ebraica e cristiana e come se la rivoluzione che ci ha dato la medicina scientifica contemporanea (quella che domina negli Stati Uniti!) non fosse stata forgiata nell’Europa dell’Ottocento. Agiografia dell’islam: soltanto parodia? Questa agiografia incontinente non fa una piega: presenta una storia di cultura, di tolleranza, di rispetto dei diritti umani senza ombre, soltanto turbata oggi dalla minoranza “potente” ma ristretta dei fanatici di al Qaida. Una simile parodia potrebbe essere perdonata in nome dell’opportunità politica se non fosse che il presidente Obama non manifesta passioni neppure lontanamente paragonabili per il resto del mondo e della storia. Egli si dichiara cristiano ma mai rivendica il valoalre che ha per lui tale appartenenza. L’unico riferimento storico al cristianesimo allude allo spirito di tolleranza dell’islam nella Spagna medioevale “durante l’Inquisizione”, come se le grandi scuole di traduzione dei classici non fossero fiorite sotto i re cristiani. Quanto alla biografia personale, gli unici accenti commossi sono per l’infanzia trascorsa in Indonesia, il ricordo dell’invocazione dell’azaan e della tolleranza con cui erano trattati i cristiani. Tuttavia, esistono storie ben diverse dell’Indonesia, come quella di “Fedeli a oltranza. Un viaggio tra i popoli convertiti all’islam” del premio Nobel V. S. Naipaul in cui si narra di una società brutalmente distrutta dal potere della teocrazia islamica. Sono testimonianze di cui bisognerebbe tenere conto anche se vengono dalla cultura indiana. Ma nel discorso di Obama questioni epocali che riguardano il destino del mondo appaiono affidate a un dialogo a due, tra America e islam: scompaiono più di due miliardi di persone tra indiani e cinesi, mezzo miliardo di europei, per non dire del resto. L’interlocutore dell’islam è l’America, non l’occidente. Non una menzione delle radici della civiltà americana: religiosità giudaico-cristiana e Illuminismo razionalità e democrazia. Tutte cose che vengono dalla civiltà europea e che univano fraternamente gli illuministi francesi e la nascente democrazia americana, quando i salotti parigini accoglievano come un eroe Benjamin Franklin e Thomas Jefferson si formava alla cultura politica degli Idéologues. Niente: la cultura europea e la civiltà occidentale non esistono, come se l’America fosse una proles sine matre creata. Anzi, qualche accenno c’è: al colonialismo, al razzismo, alla tratta degli schiavi, insomma soltanto alle colpe dell’occidente, di cui è stato vittima il mondo islamico. Si arriva al punto che i fanatici estremisti di al Qaida con l’attentato alle Torri gemelle avrebbero strumentalizzato i risentimenti creati da queste colpe oltre che dai cambiamenti prodotti dalla modernità che “hanno indotto molti musulmani a considerare l’occidente come ostile alle tradizioni dell’islam”. Sembra di sentir parlare un Al Ghazali moderno. L’America no, è un’altra cosa. L’America si spiega in fondo col fatto di aver eletto un presidente dal nome Barack Hussein Obama. Un fatto non isolato, egli spiega, perché questa è l’America di oggi: il paese che ha vinto colonialismo e razzismo e integra perfettamente un mosaico di diversità. Questa retorica multiculturalista non è attraversata dall’ombra di un dubbio circa l’ingestibilità di un modello che rischia di portare alla crisi del tanto vantato melting pot. E’ il modello di una società che accetta ogni aspetto delle diversità, che punisce chi non lascia vestire le donne musulmane come vogliono e vuole permettere comportamenti in conflitto con le norme classiche della democrazia occidentale. Fuori dai paradigmi illuministici Qui siamo ormai fuori dei paradigmi illuministici della democrazia americana: l’adesione ai principi di libertà, uguaglianza, parità fra uomo e donna, i principi morali diventano un’opzione, una scelta su un piede di parità con altre idee diverse se non opposte. Certo, Obama patrocina il valore universale dei principi dei diritti dell’uomo ma con questo tono: “Credetemi, è meglio. Non ho intenzione di imporvi nulla e anzi rispetto le vostre scelte diverse, ma se fate come dico io sarà meglio per tutti”. Obama vanta le 1.200 moschee esistenti negli Stati Uniti ma non chiede nulla in cambio. Anzi presenta in maniera ridicola come campione di dialogo interreligioso il re di un paese, l’Arabia saudita, in cui il possesso del Vangelo porta in galera. Obama è allievo di quell’Edward Said che, nel suo “Umanesimo e critica democratica”, derideva la cultura umanistica americana classica, innamorata di Platone, Aristotele, Dante e Shakespeare, ed esaltava l’opera di distruzione che l’aveva sostituita con un “umanesimo” multiculturalista. Infine, come Edward Said, Obama non ama Israele, e – dopo le dichiarazioni di principio e l’apprezzabile condanna dell’antisemitismo e dei propositi di distruzione – gli riserva due colpi micidiali. Il primo consiste nel giustificare il diritto di Israele ad avere una patria soltanto con le persecuzioni antisemite. E’ l’argomento che usano gli avversari di Israele per dire: “Voi occidentali avete creato il problema, ora sbrigatevela voi”. Obama porta acqua al mulino di queste tesi, parlando di “displacement brought by Israel’s founding”, come se questo spostamento non fosse stato voluto dagli stati arabi che, rifiutando le risoluzioni delle Nazioni Unite, invitarono gli arabi – allora il termine “palestinesi” era inesistente – ad andarsene per rendere più facile la distruzione della neonata nazione. Barack Obama ha parlato soltanto del diritto dei palestinesi a una “homeland” di cui sono stati privati. Non ha detto una parola di altri diritti, come quello di centinaia di migliaia di ebrei “displaced” in modo feroce da tanti paesi arabi. I palestinesi e l’esempio personale Ma non basta. Incitando i palestinesi ad abbandonare la violenza ha evocato l’esempio dei negri americani che per secoli hanno sopportato la frusta come schiavi e l’umiliazione della segregazione e hanno ottenuto l’emancipazione per via pacifica, nonché l’esempio del Sudafrica, dell’Asia del sud, dell’Europa dell’est e dell’Indonesia. Insomma, Israele è paragonato a un regime schiavistico, a uno stato dell’apartheid, a un regime comunista. Conosciamo bene la matrice di questi confronti. E – secondo uno stereotipo collaudato – mentre rende questo pessimo servizio agli ebrei vivi, il presidente americano si reca a Buchenwald per commemorare gli ebrei morti. Tanto si tratta di deplorare le colpe dell’occidente… Questa è la situazione di fronte a cui ci troviamo: il relativismo multiculturale al potere negli Stati Uniti – un relativismo multiculturale che, come sempre, non è equanime, ma è schierato dall’altra parte, in questo caso quella che sta nel cuore del presidente. Quali processi incompresi o sottovalutati abbiano portato a questo esito è quel che occorrerà capire a fondo.

Il Foglio- " L'islam immaginario ", perchè i discorsi di Obama si rivolgono a un islam che non c'è.

L’islam tollerante, umanitario e rispettoso della libertà religiosa oltre che della dignità della donna, dipinto nel discorso di Obama è puramente illusorio. Basterebbe ricordare che il massimo responsabile culturale dell’Egitto, paese islamico tra i più “moderati”, ha ripetutamente affermato anche recentemente che i libri scritti da ebrei debbono andare al rogo. Obama lo sa ma ha scelto di mettere tra parentesi il terrorismo di matrice islamica, perché probabilmente è convinto che l’appello alla lotta antiterroristica ormai viene inteso da vasti settori delle popolazioni islamiche come un appello alla guerra contro i loro principi. Questo significa che si è convinto che la battaglia culturale tra i regimi moderati e le tendenze estremistiche vede in netto vantaggio le seconde sui primi. Ne ha indotto che invece di un confronto tra civiltà è necessario realizzare un confronto all’interno dell’islam, delle grandi masse dei credenti in Allah, tra un’interpretazione tollerante e umanitaria e quella dominante che è di tutt’altro segno. Si tratta di capire se questa strategia, che sarebbe ingenuo considerare ingenua, ha qualche possibilità di successo. L’islam finora ha visto come alternativa solo la secolarizzazione e ha reagito con un ritorno al tradizionalismo identitario che ha striature fondamentaliste. Obama propone una sorta di protestantesimo islamico, facendo appello non alla forza del consumismo ma a una diversa interpretazione dei valori morali. Si vede che è convinto che sia matura una crisi interna all’islam, della quale però mancano tracce visibili.

Il Foglio- " Il medio oriente immaginario ", Obama sbaglia se pensa che sia possibile fare i conti con un Iran atomico.

Obama non si è sottratto alla tradizione che ha prodotto i più gravi errori degli Stati Uniti in medio oriente e ha ispirato il suo discorso del Cairo alla compiacente analisi degli “arabists” americani, formatisi dal 1920 in poi nell’American University di Beirut, che hanno dell’islam una visione limitata alle cosmopolite élites libanesi e priva di riscontri nel mondo musulmano reale. Il ruolo degli “arabists” nell’invischiare gli Stati Uniti nelle peggiori crisi – vedi Carter nel 1978 – si è spesso incrociato con quello dei cremlinologi, in un combinato disposto che nacque nel 1947, quando gli uni e gli altri si opposero alla nascita di Israele, poi imposta da Truman. Seguendo quella tradizione, Obama si confronta oggi con l’aggressività dell’islam iraniano, rifiutando di cogliere il suo asse portante rivoluzionario e apocalittico, e ipotizza una trattativa tutta giocata su “zone di influenza regionali” (il Brzezinski di Carter, purtroppo, è oggi suo consigliere). Da qui il dialogo con Teheran, nell’illusione che si fermi ai nuovi Sudeti (Libano e Gaza), forse anche subendo la sua atomica, come ventilano vari consiglieri. Una strategia avventurista, che peraltro mai potrà essere accettata dai regimi del Golfo, dall’Egitto e dai paesi sunniti che già vedono a loro danno come proprio sulla deterrenza nucleare – già oggi che è semplicemente annunciata – gli ayatollah sappiano sviluppare una strategia di destabilizzazione ideologica e politica, per esportare la rivoluzione khomeinista.

Il Giornale-R.A.Segre: "  L'ira dei moderati arabi: Barack tenero con gli estremisti "

Ci vorrà tempo per sapere se le 5804 parole che Obama ha pronunciato alla Università del Cairo cambieranno i rapporti dell'America con il mondo musulmano. Ma poiché il fulcro della crisi internazionale oggi non si trova nè al Cairo nè a Gerusalemme ma a Pyongyang, occorre ricordare ciò che dice Kissinger: «La Corea del nord ha lasciato agli Usa due opzioni: accettare le sue bombe o agire davvero duramente». Perché è su come Obama si misurerà con Pyongyang che l'Iran trarrà le conseguenze del discorso del presidente Usa sulle sue ambizioni nucleari. Si vedrà allora se «lo tsunami oratorio» di Obama oltre a mettere fine alla teoria di Huntington sullo scontro di civiltà cambierà qualcosa sul terreno. Nel frattempo guardando con occhi medio-orientali alle parole di Obama, si possono fare alcune osservazioni.
1. Il discorso appare il prodotto dalla migliore competenza accademica islamica americana. In esso si percepisce la mano degli arabisti di Princeton e degli ebrei liberali di sinistra vicini al presidente, poco simpatizzanti del governo di Netanyahu oltre al desiderio di Obama di staccarsi nettamente dalle idee di Bush.
2. Il conflitto palestinese. Il fatto di essere elencato al secondo posto dei principali problemi che l'America deve affrontare la dice lunga su cosa pensano Obama e l'onnipotente capo di stato maggiore israelo-americano Rahm Emanuel. La denuncia dell'antisemitismo, della negazione dell'Olocausto, la difesa dell'alleanza con lo Stato degli ebrei, la menzione del piano di pace saudita come inizio non fine del negoziato sono pietre miliari a favore di Israele. Gerusalemme non può sottovalutarle soprattutto perché sono state lanciate al Cairo. Ci sono però silenzi - il ritorno dei rifugiati - e paragoni che Israele non può accettare. Per esempio l'equivalenza implicita fra Shoah e iniquità dell'occupazione; il paragone fra la lotta per l'uguaglianza dei diritti dei negri americani che non volevano distruggere l'America e quella dei palestinesi che vogliono diritti per distruggere Israele.
3. L'America di Obama è troppo debole per affrontare l'Iran, oggi nemico dei paesi arabi alleati dell'America non meno di Israele. Ha bisogno della Russia e della Cina che per motivi diversi non desiderano aiutarla a tornare superpotenza. Se Washington non riuscirà ad imporre sanzioni capaci di arrestare la corsa di Teheran al nucleare, la strada per una azione autonoma di Israele resterà aperta. Essa spariglierà le carte della diplomazia Usa nel mondo islamico o obbligherà Washington a pagare un prezzo considerevole per impedire a Israele di agire da solo.
4. Davanti a chi ha parlato Obama? Davanti a 3000 giovani entusiasti ma senza potere. Non ha parlato davanti alle folle che il potere non hanno e che l'inglese non lo capiscono. Ha parlato ai circoli che il potere detengono, che non sono disposti a lasciare ad una opposizione che potrebbe cadere nelle mani degli estremisti. I leader hanno dimostrato il loro imbarazzo attraverso l'astenersi di Mubarak (che del testo del discorso aveva avuto comunicazione) dal ricevere e accompagnare Obama all'aeroporto, seccato per aver dovuto acconsentire alla domanda dell'ambasciatrice americana di ammettere i rappresentanti del Fratelli Musulmani all'università. Non è piaciuto a molti arabi la ripetuta espressione usata da Osama: «dovete», tradotta in arabo col verbo jagib. È questa «l'umiltà» con cui tu vieni a parlarci? Si chiedevano molti nelle redazioni dei giornali. E i militari, la cui preoccupazione non è Israele ma l'espansionismo politico e religioso dell'Iran shiita, si chiedono di quale forza reale e di quale volontà di affrontare il nemico dispone ancora l'alleato americano. Quanto ai radicali islamici la risposta, netta, sprezzante, senza ombra di compromesso, l'ha data nel suo video il capo di al Qaida.
5. Infine è improbabile che il discorso del Cairo faccia effetto su Netanyahu. Su una cosa è certo d'accordo: per risolvere i conflitti ci vuole pazienza. Una pazienza che verrà messa alla prova per l'America dai risultati delle elezioni in Libano di domenica, da quelle dell'Iran ma soprattutto dalla Corea del nord. Non certo dagli insediamenti in Cisgiordania di Israele.

La Stampa-  " Obama e il califfo dimenticato " di Enrico Verato

Aspettavo questo incontro tra Obama e il mondo islamico. Ero curioso di ascoltare che cosa avrebbe detto a quella gente e come lo avrebbe detto per capire quale potrà essere la considerazione che gli americani avranno nei confronti dei musulmani per i prossimi tre anni e mezzo. Non mi è piaciuto il discorso che ha tenuto al Cairo: non è stato piacevole sentire una sequenza di tentativi di ammiccamenti nei confronti dell’Islam, basati in troppi punti su falsi storici che tutti conoscono.
Non si può affermare, come ha fatto il presidente, che l’Islam abbia gettato le basi della conoscenza attraverso i secoli ponendo le basi per il Rinascimento e l’Illuminismo europeo. Se c’è una religione che ancora oggi antepone le verità contenute in un libro alla ragione è proprio l’Islam, che deve ancora affrontare il processo di razionalizzazione e di separazione tra fede e ragione. Certe affermazioni sono totalmente fuori luogo, specie in Egitto, patria di quella Biblioteca di Alessandria di fronte alla quale il califfo Omar ebbe il coraggio di affermare: «Se i libri contengono la stessa dottrina del Corano, sono inutili in quanto ripetizioni; se i libri non sono in accordo con la dottrina del Corano, non è il caso di conservarli».
Ci piacerebbe credere alle parole di Obama, che ha dipinto un Islam che ha offerto nel corso dei secoli un esempio senza precedenti di tolleranza religiosa e uguaglianza razziale. Devo dunque supporre che secoli di guerre contro l’invasione islamica sia sul fronte iberico sia quello balcanico abbiano mostrato un Islam che non ha nulla a che fare con quello attuale oppure ai giorni nostri il mondo musulmano, radicato non più solo nei paesi d’origine ma anche nel mondo industrializzato, è una pentola a pressione pronta a esplodere.
Obama parla del nostro debito nei confronti dell’Islam per il contributo che ha dato alla nascita della civilizzazione. Mi chiedo che livello avrebbe raggiunto tutta quella fascia di terre emerse se non fosse stata colonizzata da questa religione. Gli Stati Uniti, che ne sono rimasti immuni, sono andati sulla Luna. Ce l’avrebbero fatta anche gli arabi?
50 anni, filosofo, Poggibonsi

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