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Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 30/04/2009, a pag. II l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " L'ebreo rimosso ". Da REPUBBLICA, a pag. 19, l'articolo di Anais Ginori dal titolo " Giovani, spietati e antisemiti ecco i massacratori delle banlieue " preceduto dal nostro commento. Ecco gli articoli: Il FOGLIO- Giulio Meotti : " L'ebreo rimosso " Roma. Ieri Libération dedicava tutta la sua prima pagina a questo efferato “crimine antisemita”. I rapitori lo avevano organizzato con molta cura. Ma pensavano che tutti gli ebrei fossero ricchi e che la famiglia di Ilan Halimi avrebbe pagato il riscatto. Una bella ragazza era entrata nel negozio di telefoni cellulari di Parigi dove Ilan lavorava come commesso. Gli aveva dato appuntamento in periferia. Una trappola. Tre settimane dopo, Ilan viene trovato agonizzante, il corpo bruciato all’ottanta per cento, vicino alla stazione di Saint-Geneviève-des- Bois. Seminudo, con ferite e bruciature di sigarette spente sulla carne viva e in quasi tutto il corpo, Ilan è morto nell’ambulanza che lo trasportava all’ospedale. La madre Ruth, chiedendo un processo pubblico e aperto a tutti, perché tutti possano vedere quel che può succedere a un ebreo nel cuore di Parigi, dice in modo chiaro quel che pensa: “Sarebbe stato ucciso in quel modo se non fosse stato un ebreo?”. Ilan non era di famiglia benestante. Per non urtare la sensibilità della comunità musulmana delle periferie il caso venne fin dall’inizio tenuto su un registro basso, la polizia negava l’intento religioso. Ma dopo che l’allora ministro dell’Interno, Nicolas Sarkozy, annunciò che a casa del rapitore erano stati trovati scritti di Hamas e del Palestinian Charity Committee, fu tutto più evidente. Un ebreo torturato e ucciso nel cuore della Francia. Si è aperto ieri a Parigi il processo contro le ventisette persone accusate, a vari gradi, del sequestro e dell’assassinio di Ilan Halimi. Tra di loro Youssouf Fofana, capo della “gang di barbari”. L’uomo, 28 anni, è accusato, di “omicidio con premeditazione commesso a causa dell’appartenenza o della non appartenenza vera o presunta della vittima a una determinata religione”. Yedioth Ahronoth, il giornale israeliano che meglio ha seguito la vicenda, raccontava ieri di un clima sempre più antisemita in Francia in questi tre anni. “Va sempre peggio”, dice Serj Ben-Haim, presidente di una delle maggiori comunità parigine. “La morte di Ilan è un simbolo, l’antisemitismo continua a crescere”. Un mese fa Michael Benhamou venne aggredito e picchiato da un gruppo di arabi nella metro di Parigi al grido di “fottuto ebreo” e “ti uccidiamo ebreo”. Gli imputati al processo Halimi sono Jerome Ribeiro, detto “colpo di testa”, Samir Ait Abdelmalek alias “Smiler”, Fabrice Polygone, Yahia Kaba e Jean-Christophe G., unico minorenne del gruppo, soprannominato “Zigo”. Furono reclutati sulle strade di Bagneux da Fofana, il “boss”. “Dal primo giorno ho visto che l’ostaggio aveva tracce di ustioni da cicche sui fianchi e sulla schiena”, ha raccontato un carceriere sopraggiunto in un secondo momento, Cedric Birot Saint-Yves. Nonostante il leader della banda, Youssouf Fofana, avesse scelto Ilan nella convinzione che “gli ebrei sono tutti ricchi”, la famiglia Halimi, gente modesta che abitava nella stessa banlieue dei rapitori, non poteva pagare il riscatto preteso e il 13 febbraio Fofana ha inflitto a Ilan diverse coltellate per poi cospargerlo di benzina e dargli fuoco. Alla famiglia i rapitori hanno detto “se non potete pagare rivolgetevi alla sinagoga”. Nidra Poller sul Wall Street Journal scrive che “ciò che più disturba in questa storia è il coinvolgimento di parenti e vicini, al di là del circolo della gang, a cui fu detto dell’ostaggio ebreo e che si precipitarono a partecipare alla tortura”. La morte di Ilan Halimi non ha però meritato espressioni indignate da parte dell’opinione pubblica europea, non ha urtato la sensibilità di chi è sempre pronto a dichiararsi per il dialogo, la tolleranza, la convivenza civile. L’uccisione di Ilan è passata nel silenzio e nell’indifferenza, la sua fotografia non ha fatto il giro del mondo, i dettagli della sua morte sono stati criptati come degrado metropolitano. Ma Ilan è stato barbaramente ucciso perché ebreo. E il suo omicidio è avvenuto in Francia per mano di una banda di giovani islamici. Oggi riposa a Gerusalemme. Pare fosse sul punto di fare alyah prima che la gang islamica lo rapisse e torturasse a morte. La migliore eulogia non a caso l’ha scritta Judea Pearl, il padre del corrispondente del Wall Street Journal in Pakistan rapito e sgozzato come un animale da al Qaida dopo avergli fatto pronunciare queste parole: “Sono ebreo, mia madre è ebrea...”. “Come ha fatto questo clima disumano a infiltrarsi nel paese che ha dato al mondo libertà, uguaglianza e fratellanza?” chiede Judea Pearl. “Ilan non lo ha chiesto ai suoi rapitori, sapeva la risposta. Oh Ilan e Daniel, due bellissimi figli dell’occidente. Oh miei figli, non sono stati soltanto i barbari ad avervi uccisi, accanto a loro c’erano gli intellettuali. Vi hanno ucciso perché eravate l’anima della civiltà occidentale”.La REPUBBLICA - Anais Ginori : " Giovani, spietati e antisemiti ecco i massacratori delle banlieue " Ginori, nell'articolo, tralascia di specificare che, in casa degli assassini, era state ritrovate scritte legate ad Hamas. Questa "dimenticanza" fa sì che l'omicidio venga letto come un mero esempio di violenza urbana e il fatto che il ragazzo ucciso sia ebreo diventa un particolare quasi irrilevante. PARIGI - «Il problema oggi non è soltanto giudicare un crimine atroce, ma capire come sia potuto accadere». La mattina di tre anni fa, un gruppo di ventisette ragazzi di banlieue sequestrò, torturò e tenne in ostaggio per 24 giorni un altro giovane, agendo indisturbato, senza destare sospetti né incorrere in alcuna denuncia. Ilan Halimi aveva 23 anni, una fidanzata, vendeva telefoni cellulari e veniva da una famiglia ebrea di Bagneux, non lontano da Parigi. Fu ritrovato moribondo, il corpo nudo e seviziato, abbandonato sui binari della ferrovia. «È il silenzio che ha permesso di uccidere Ilan», spiega l´avvocato della famiglia. Per inviare la propria opinione a Foglio e Repubblica, cliccare sulle e-mail sottostanti lettere@ilfoglio.it rubrica.lettere@repubblica.it |
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