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La Stampa - Il Manifesto - Corriere della Sera Rassegna Stampa
10.03.2009 Una manciata di odiatori
Vattimo,Cocco,Bonada,Galloway

Testata:La Stampa - Il Manifesto - Corriere della Sera
Autore: Gianni Vattimo - Michelangelo Cocco - Maria Delfina Bonada - Francesco Battistini
Titolo: «Due popoli e un piano Marshall - Adesso processiamo Tel Aviv - Israele? Un pretesto. Perchè l'Italia dice no - Il ribelle Galloway a Gaza dopo tre arresti e una rissa»

Rassegna di diffamazioni su Israele e sull'operazione Piombo Fuso. Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 10/03/2009, a pag.30, l'articolo " Due popoli e un piano Marshall " di Gianni Vattimo, dal MANIFESTO, a pag. 11, gli articoli di Michelangelo Cocco e Maria-Delfina Bonada intitolati " Adesso processiamo Tel Aviv " e " Israele? Un pretesto. Perchè l'Italia dice no " e dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Il ribelle Galloway a Gaza dopo tre arresti e una rissa ". Ecco gli articoli:

La STAMPA - Gianni Vattimo : " Due popoli e un piano Marshall "

L'articolo di Gianni Vattimo è un condensato di bugie e diffamazioni su Israele. A partire dall'inizio, dove si legge di"indizi piuttosto pesanti sull’uso da parte israeliana di bombe al fosforo" . Forse Vattimo era sulla Luna quando la Croce Rossa Internazionale ha smentito queste accuse...o forseera semplicemente distratto.
Segue una frase sullo stereotipo, molto caro ai diffamatori alla Vattimo, su Gaza che sarebbe una prigione a cielo aperto (per colpa d'Israele, non di Hamas)
"da mesi la Striscia di Gaza era diventata una prigione a cielo aperto dove, anche senza i bombardamenti, si moriva di morte «naturale» per la mancanza dei beni di prima necessità.". A Vattimo che parla di mancanza di beni di necessità, rispondiamo che, se questi scarseggiano, non è colpa di Israele, ma di Hamas che li intercetta per venderli, invece di distribuirli alla popolazione. Vattimo scrive: "l’eccesso di legittima difesa da parte dello Stato ebraico; senza contestare il suo diritto di reagire al continuo lancio di missili sulle città al confine (missili che peraltro hanno fatto un numero di vittime assai limitato), è parso a molti, anche amici di Israele, che la rappresaglia superasse ogni limite accettabile.". Israele ha diritto a difendersi, ma non troppo...chiediamo a Vattimo quali sono le modalità corrette di difesa per uno Stato minacciato di distruzione e bersagliato quotidianamente dai razzi qassam di Hamas (che fanno poche vittime e, quindi, non sono una cosa grave). Fare le pernacchie? I gestacci? O lasciarsi distruggere in silenzio? Forse questa sarebbe la difesa migliore?
Hamas, secondo Vattimo, è salita al potere democraticamente con elezioni regolari:
"Hamas, che è il governo democraticamente eletto dai cittadini di Gaza....Hamas solo governo legittimo di Gaza, che Israele non vuol riconoscere perché lo considera fatto di terroristi.". Israele sbaglia a non trattare con Hamas perchè non è un'associazione terroristica (peccato che non sia solo Israele a ritenerla tale...).
Ecco l'articolo:

 

L’idea di un piano Marshall per la ricostruzione di Gaza, a cui anche l’Italia si è impegnata a contribuire con una somma non indifferente, è da salutare con estremo favore. A Gaza manca tutto, dopo l’operazione «Piombo fuso» con cui l’esercito israeliano ha prodotto i danni che tutti conosciamo attraverso impressionanti documentari. Che comprendono anche indizi piuttosto pesanti sull’uso da parte israeliana di bombe al fosforo, vietate dalle convenzioni internazionali. E non si tratta solo di ricostruire ciò che prima c’era, giacché già da mesi la Striscia di Gaza era diventata una prigione a cielo aperto dove, anche senza i bombardamenti, si moriva di morte «naturale» per la mancanza dei beni di prima necessità. Molti osservatori fuori di Israele hanno stigmatizzato per lo meno l’eccesso di legittima difesa da parte dello Stato ebraico; senza contestare il suo diritto di reagire al continuo lancio di missili sulle città al confine (missili che peraltro hanno fatto un numero di vittime assai limitato), è parso a molti, anche amici di Israele, che la rappresaglia superasse ogni limite accettabile. E sebbene durante i bombardamenti il ministro Tzipi Livni avesse negato che a Gaza ci fosse una situazione di emergenza umanitaria, oggi gli Stati «donatori» hanno riconosciuto che una tale emergenza esiste, e vi hanno risposto con l’idea benemerita del piano Marshall. Che hanno legato in qualche modo alla condizione di un rapido ristabilimento della pace nella zona. Una pace da costruire attraverso negoziati. Negoziati tra chi? Al tavolo delle trattative dovrebbero sedere, oltre forse al rappresentante piuttosto umbratile ed evanescente del famoso «quartetto», Tony Blair, i rappresentanti di Egitto, Israele e Autorità nazionale palestinese. Non però Hamas, che è il governo democraticamente eletto dai cittadini di Gaza. Se le cose andranno così, è difficile che il piano Marshall produca quegli effetti di pace che i «donatori» giustamente si propongono.
Quello che accadrà sarà solo la ripetizione di uno scenario già visto: Israele, in nome del diritto all’autodifesa, distrugge case e infrastrutture dove vivono i «terroristi» palestinesi; Unione Europea, Stati Uniti e altri donatori intervengono per finanziare la ricostruzione. Fino a quando? Non solo a Israele non si chiede di partecipare alla riparazione dei danni. Lo si mette anche in posizione di condizionare l’uso delle risorse donate per la ricostruzione - merci e materiali dovranno passare per i valichi su cui vigilano Egitto e Israele -; e senza trattare con Hamas, solo governo legittimo di Gaza, che Israele non vuol riconoscere perché lo considera fatto di terroristi.
Ci sentiamo ripetere che finalmente con la presidenza Obama si faranno passi avanti verso la soluzione dei «due popoli due Stati» e dunque che i soldi del piano Marshall saranno finalmente ben spesi. Ma come si può credere ancora a questa «soluzione», se la logica in cui si muove è del tutto coloniale? Si riuniscono al Cairo i soggetti interessati, salvo proprio quello con cui si dovrebbe trattare per arrivare alla pacificazione. Non è questione di riconoscere dei diritti (quelli di Hamas, nel caso), ma di domandarsi se un tale modo di procedere avrà gli effetti sperati. A giudicare da come le cose sono andate fino a oggi, pare proprio di no. I due Stati che si costituissero con questo metodo finirebbero per essere in perenne guerra tra di loro, che avrebbero bisogno di una presenza internazionale di interposizione fino alla fine dei secoli. L’unico vantaggio sarebbe forse che i combattenti palestinesi potrebbero finalmente avere una divisa, e non più considerarsi terroristi, come è stato finora in mancanza di uno Stato. Ma non sarebbe certo un grande guadagno. Almeno, non è per questo che possiamo sentirci impegnati a partecipare al piano Marshall per Gaza, pur augurandoci, contro ogni verosimiglianza, che abbia successo.

Il MANIFESTO - Michelangelo Cocco : " Adesso processiamo Tel Aviv "

Michelangelo Cocco accusa Israele di aver commesso crimini di guerra a Gaza. Nella sua intervista all'avvocato Gilles Devers è il legale rappresentante presso la Corte dell’istanza di centinaia di organizzazioni non governative (ong) e associazioni che si sono costituite contro i crimini di guerra vengono stabilite le modalità di indagine sui presunti crimini di Israele: "Bisogna anzitutto stabilire i fatti, attraverso le testimonianze delle vittime e gli indizi raccolti, poi eserciteremo una forte pressione su Israele. Israele non è un blocco monolitico, ci sono giovani, soldati, giornalisti che ritengono che quello che è stato fatto a Gaza sia abominevole.Diremo a Israele: avete una coscienza, aiutateci a processare i criminali. Inoltre la Cpi ha dei mezzi di pressione, strumenti per indagare e raccogliere testimonianze. E se l’inchiesta dovesse morire perché non saranno stati trovati i responsabili materiali, avremmo comunque dimostrato che ci sono stati dei crimini. Dopo l’azione penale, arriverà quella civile.". Si tratta di un vero e proprio processo...peccato che a nessuno sia venuto in mente che, anche il peggiore dei criminali ha diritto alla difesa. Cocco e il suo intervistato vorrebbero ascoltare solo la campana palestinese. Piangono sui crimini di Israele e non notano quelli di Hamas. In ogni caso non è Israele il criminale da processare. Non è Israele a minacciare la distruzione dei palestinesi che sono vittime (di Hamas, però). Ecco l'articolo:

«Esiste una possibilità che ciò accada». Così l’altro ieri Luis Moreno Ocampo sulla possibilità di aprire presso la Corte penale internazionale (Cpi) un’inchiesta su «crimini di guerra» e «crimini contro l’umanità» nei confronti d’Israele per i massacri di palestinesi perpetrati durante l’operazione «Piombo fuso» a Gaza. Si tratterebbe di una rivoluzione, perché - ha sottolineato Perfil, il domenicale di Buenos Aires che ha riportato le dichiarazioni di Ocampo - sarebbe la prima volta che un organismo internazionale riconosce l’Autorità palestinese (Anp) come «stato indipendente ». «Stiamo valutando la questione - ha aggiuntoOcampo - siamo in una fase di analisi». L’avvocato Gilles Devers è il legale rappresentante presso la Corte dell’istanza di centinaia di organizzazioni non governative (ong) e associazioni che si sono costituite contro i crimini di guerra. Con Devers - ieri a Roma per illustrare l’iniziativa giuridica della società civile internazionale promossa in Italia dal Network degli Artisti italiani e lanciata dalla Rete dei Traduttori per la diversità linguistica Tlaxcala - abbiamo discusso del procedimento. Avvocato Devers, può spiegarci come è nata la vostra iniziativa? Si tratta di un’iniziativa militante, portata avanti da oltre 350 associazioni – europee, africane, mediorientali e sudamericane - testimoni dell’offensiva «Piombo fuso» contro la Striscia di Gaza. Il 22 gennaio abbiamo depositato la denuncia per «crimini di guerra» e «crimini contro l’umanità» presso La Corte penale internazionale (Cpi). Lo stesso giorno – questo è un elemento molto importante per la procedura – l’Autorità palestinese (Anp) ha dato competenza alla Cpi. Se gliel’avesse negata, solo un intervento del Consiglio di sicurezza dell’Onu avrebbe potuto obbligare la Cpi a indagare, come è avvenuto nel caso del Sudan. Cosa che però nel nostro caso sarebbe stata impossibile, per il veto che sicuramente avrebbero opposto gli Stati Uniti. Per questo prima le organizzazioni non governative (ong) hanno deciso di costituirsi come testimoni del crimine. Poi l’Anp - con un accordo politico tra Hamas e Fatah – ha riconosciuto l’autorità della Cpi Il procuratore Ocampo ha chiesto chiarimenti tra cui quello su chi rappresenti lo Stato a Gaza. A quel punto c’è stata una seconda visita all’Aja, da parte dell’ambasciatore, del ministro della giustizia e degli esteri palestinesi, per riunire tutti gli elementi e mostrare che l’Anp rappresenta il popolo palestinese e che se la Cpi invierà ispettori a Gaza, saranno ben accolti. MaIsraele non è firmatario del Trattato di Roma che nel 1998 istituì la Cpi: ciò non inficia il procedimento? La Cpi agisce nell’ambito del diritto penale, cioè della ricerca del criminale X, Y, o Z. Si occupa prima di tutto dei fatti: dove è stato commesso il crimine? A Gaza, e l’Autorità palestinese le ha dato competenza, dunque il la Corte può indagare a Gaza. Ci sono ancora dei dettagli da esaminare,ma credo si tratti di problemi superabili. Perché rivolgersi alla Cpi e non alle giurisdizioni nazionali, come avvenuto in passato per altri massacri a Gaza? Ci rivolgeremo anche ai giudici di singoli stati: all’inizio di aprile depositeremo a Madrid un dossier su un astrofisico della Nasa che lavora negli Stati Uniti ma ha famiglia nella Striscia. La sua abitazione era conosciuta da tutti i bambini di Gaza, alcuni dei quali hanno imparato a osservare le stelle col telescopio che aveva istallato sul tetto. Il figlio di questo signore è rimasto ucciso a causa del bombardamento della sua casa da parte dall’aviazione israeliana. Ci sono tanti altri casi simili. Faremo altre denunce, presso altre corti, in relazione alla nazionalità delle vittime. Cercheremo di presentare denunce in tutti e 47 i paesi del Consiglio d’Europa che dipendono dalla Convenzione Ue sui diritti dell’uomo. L’ex presidente della Cpi Antonio Cassese, ha detto che la Corte «può svolgere un’azione efficace solo con la cooperazione degli stati» e che «la giustizia internazionale deve essere prudente e saggia, altrimenti rischia di essere considerata poco credibile». La cooperazione c’è nel momento in cui 110 stati hanno firmato la ratifica della Cpi. Susan Rice, la rappresentante dell’Amministrazione statunitense presso l’Onu, nel suo discorso d’investitura ha dichiarato che la Corte è uno strumento degno di stima. Utilizziamo la procedura prevista dal Trattato di Roma e quindi non vedo rischi di minare la credibilità della Corte. Se la procedura divenisse d’ostacolo alla pace – nel caso domani si palesasse un accordo politico ed economico – il Consiglio di sicurezza avrebbe il potere di sospenderla per un anno (rinnovabile). La giustizia deve fare il suo corso affinché Israele e tutto il mondo comprendano che l’ordine mondiale non può essere fondato su dei crimini contro l’umanità. Quali indizi di «crimini di guerra» e «crimini contro l’umanità avete raccolto? Anzitutto una distinzione: i primi fanno riferimento a violazioni delle protezioni stabilite per i civili dalle leggi di guerra, i secondi a un crimine di guerra sistematico in cui, attraverso mezzi militari, si prende dimira la popolazione civile. Ad esempio, il primo giorno di guerra (il 27 dicembre 2008, ndr) è stato dato un ordine di bombardamento per quaranta caccia, alle 11,30, l’ora in cui i bambini a Gaza escono da scuola. Chi ha impartito quelle istruzioni sapeva che avrebbe ucciso dei bambini. I morti infatti il primo giorno sono stati oltre 200. Ancora, decine di abitanti di un quartiere erano stati rinchiusi in una scuola che il giorno dopo è stata bombardata: questo è un crimine contro l’umanità. Poi l’uso delle munizioni al fosforo bianco in pieno giorno e su aree densamente popolate, il che implica l’intenzione di bruciare emutilare il maggior numero possibile di persone. C’è ancora nel nostro dossier una cosa che non impressiona come il sangue ma che è altrettanto drammatica: durante «Piombo fuso», il 30% dei terreni di Gaza è stato devastato con i bulldozer. Per evitare che l’esercito sia danneggiato dai processi il governo israeliano ha proibito ai militari che hanno partecipato a «Piombo fuso» di farsi intervistare e fotografare. Come identificarli? Bisogna anzitutto stabilire i fatti, attraverso le testimonianze delle vittime e gli indizi raccolti, poi eserciteremo una forte pressione su Israele. Israele non è un blocco monolitico, ci sono giovani, soldati, giornalisti che ritengono che quello che è stato fatto a Gaza sia abominevole.Diremo a Israele: avete una coscienza, aiutateci a processare i criminali. Inoltre la Cpi ha dei mezzi di pressione, strumenti per indagare e raccogliere testimonianze. E se l’inchiesta dovesse morire perché non saranno stati trovati i responsabili materiali, avremmo comunque dimostrato che ci sono stati dei crimini. Dopo l’azione penale, arriverà quella civile. Israele può nascondere i suoi ufficiali e i suoi ministri, non se stesso. Come si fa a evitare, nel caso del vostro procedimento, accuse di antisemitismo come quelle già rivolte alla conferenza di Durban II? Penso che l’azione giuridica debba essere ben distinta da quella politica. Per non cadere nell’antisemitismo mentre si porta avanti una causa contro Israele è necessariomettere sul tavolo delle prove. Antisemitismo vuol dire generalizzare: Israele, gli ebrei. Questo non è il nostro punto di vista. Se si generalizza, possono sorgere tanti fraintendimenti. Se ci si rifà alla realtà giudiziaria, il discorso diventa chiaro. Bisogna analizzano insomma i fatti, mettendo da parte le ideologie.Mase non accetterà il confronto, sarà Israele a sollevare il vento dell’antisemitismo.

Il MANIFESTO - Maria Delfina Bonada : " Israele? Un pretesto. Perchè l'Italia dice no "

Nel suo articolo Maria Delfina Bonada riporta le dichiarazioni dell’osservatore per l’Onu sul razzismo Doudou Diène sulla decisione dell'Italia di non partecipare alla conferenza antisemita di Durban II.
Secondo Diène " 
non è corretto assimilare la critica della politica di uno stato, Israele, all’antisemitismo ". Da questo deduciamo che, a suo avviso, Durban II non sarebbe una conferenza antisemita per due motivi:
1) Chi è contro Israele non è contro gli ebrei (cosa falsa dal momento che Israele è uno Stato ebraico. Chi desidera la sua distruzione, desidera anche quella dei suoi abitanti, ebrei in maggioranza);
2) Durban II non è contro Israele, ma contro la sua politica (cosa falsa dal momento che si tratta di una farsa organizzata da Libia, Iran e Cuba per demonizzare e quindi delegittimare  Israele). 
Bene ha fatto il ministro Frattini a dire no a Durban II !

«L’Italia è l’esempio di una delle cause della crescita del razzismo nel mondo». Non usa mezzi termini l’osservatore per l’Onu sul razzismo Doudou Diène nel commentare il ritiro dell’Italia dalla conferenza sul razzismo Durban II che si terrà a Ginevra dal 20 al 24 aprile. Non sono parole a vanvera. Il professor Doudou Diéne, senegalese, prima di redigere il suo rapporto «molto critico» precisa, si è recato in Italia per la sua indagine. Ha visitato i campi rom, «oggi la categoria piu vulnerabile», e Lampedusa, e spiega: «Volevo verificare l’impatto della pressione migratoria sulla mentalità della popolazione. Oggi, in Italia c’è un partito, la Lega Nord, che promette, democraticamente, un programma razzista. Questi partiti (vale anche per la Svizzera) grazie ad alleanze, arrivano al potere politico inmaniera democratica e sono quindi in grado, tramite il processo elettorale ed il successo del loro programma razzista, di applicare, democraticamente, questo loro programma. Malgrado l’Italia, per la sua storia, sia una società profondamente pluralista, è stata impregnata dalla cultura razzista della Lega Nord e dal partito di Berlusconi nella lotta contro l’immigrazione». Ma allora, chiedo a Doudou Diène, sarebbe questo il vero motivo del ritiro dell’Italia dalla conferenza sul razzismo? «Penso che sia una delle ragioni profonde, risponde –. Ovvio che le misure prese dal governo italiano contro l’immigrazione, anche contro i rom, le impronte digitali dei bambini ad esempio, hanno fatto si che il governo Berlusconi abbia approfittato della controversia su Durban II per ritirarsi». La questione della conferenza sul razzismoDurban II ha ovviamente fatto irruzione al Fifdh, il festival del film e foro internazionale sui diritti umani, che si svolge in contemporanea al consiglio dell’Onu sui diritti dell’uomo. Un foro che, alla sua settima edizione, si rivela sempre piu come il vero protagonista della lotta per i diritti umani. Non foss’altro per le personalità che partecipano ai dibattiti che seguono ogni film e documentario. Insieme a Doudou Diène ad esempio, in materia di diritto di espressione, parlava l’ambasciatore di Francia Stéphane Hessel che fu redattore della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e che dall’alto dei suoi 92 anni ammonisce che tra i diritti fondamentali c’è anche quello, di criticare le opinioni o le religioni altrui, «e per fortuna» aggiunge, perché «sono argomenti che appartengono all’evoluzione della società » anche se riconosce che oggi «sarebbe molto difficile redigere un testo cosi ambizioso come lo fu la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo». Per ritornare all’Italia e alla conferenza sul razzismo chiedo a Doudou Diène se sono state le critiche a Israele che sono presenti nel documento a fornire all’Italia il pretesto per ritirarsi dalla conferenza. «Certo che Israele è un pretesto. Intanto Israele non è al centro del documento che, voglio ricordarlo, era stato approvato all’unanimità da tutti i paesi presenti a Durban, quindi anche dall’Italia. Soltanto Stati uniti e Israele si erano ritirati subito. E poi, lasciatemi dire, non è corretto assimilare la critica della politica di uno stato, Israele, all’antisemitismo. Il fatto è che ci sono gruppi ostili alllo svolgimento di questa conferenza. Per questo ribadisco: il ritiro dell’Italia è tragico». Ma quali possono essere le conseguenze? «E’ che indebolisce il fronte occidentale proprio mentre sta vivendo tensioni razziste e xenofobe espresse da alcuni partiti politici. Questo è di una gravità estrema, si tenta di demonizzare l’unico tentativo di risposta al razzismo nel mondo. Come ci si puo ritirare da un tentativo di elaborare una strategia mondiale contro il razzismo quando abbiamo assistito ultimamente a crimini di massa come nel Ruanda, a Sebrenica, quando si uccide perché sei nero, perché sei bianco, perché seimusulmano, perché sei ebreo o perchè sei cristiano? Se Durban II sarà boicottato dai paesi occidentali sarà una tragedia . Come potremo intervenire, con quali strumenti, nell’educazione, nell’informazione, nei quartieri, nelle città?». Il professor Diéne spera in una mobilitazione delle forze democratiche, dei media affinché non si lasci al governo Berlusconi la prerogativa di decidere da solo su una questione cosi importante. Il professor Diéne ignora forse che anche alcuni rappresentanti del Pd si sono affrettati ad aderire al boicottaggio della conferenza di Durban II magari senza conoscere i documenti ancora in fase preparatoria. Cosi come il ministro Frattini si è affrettato a seguire le orme di Washington forse senza sapere - come si spiega qui negli ambienti Onu di Ginevra – che gli Usa si sono ritirati dalla conferenza «provvisoriamente » in attesa della definizione finale del documento e che, nuovo segnale della diplomazia di Obama, gli Stati uniti parteciperanno in qualità di «o sservatori attivi» al Consiglio dei diritti dell’uomo dell’Onu che finora avevano disertato.

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Il ribelle Galloway a Gaza dopo tre arresti e una rissa "

Bene ha fatto Battistini a ricordare lo scandalo di Oil for Food. Ci chiediamo come mai Roberto Formigoni, implicato anche lui  nello scandalo proprio come Galloway, non goda gli onori della c ronaca.....

GERUSALEMME — Le missioni umanitarie britanniche s'arricchiscono d'un imperdibile personaggio: George Galloway, il deputato rosso che Blair cacciò dal partito per l'imbarazzante amicizia con Saddam Hussein. Ventiquattro giorni, 12mila chilometri, tre arresti e una rissa, ma alla fine, kefiah al collo, Galloway è stato ricevuto a Gaza dai capi di Hamas, dopo la fatica di portare, via Rafah, i suoi cento camion e il milione d'euro in medicinali. Non si sa quanto resterà nella Striscia. Vuole sbloccare gli aiuti, rimasti alla frontiera: «A meno che — ironizza un sito israeliano — non finiscano nell'Oil for food»: lo scandalo del cibo in cambio di petrolio, ai tempi di Saddam, che coinvolse anche lui.

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