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Il Manifesto - La Stampa - L'Opinione Rassegna Stampa
24.02.2009 Attentato a Il Cairo: Igor Man dà la responsabilità a Israele. Lo smentisce il Manifesto
Con la cronaca di Dimitri Buffa

Testata:Il Manifesto - La Stampa - L'Opinione
Autore: Michele Giorgio - Igor Man - Dimitri Buffa
Titolo: «Solo attacchi amatoriali contro Mubarak - Nel mirino c'è chi tratta con Israele - Egitto : il ritorno dell'incubo terrorismo»

Attentato al Cairo: riprendiamo dai quotidiani di oggi, 24/02/2009, l'intervista di Michele Giorgio a Diaa Rashwan, del Centro al Ahram di Studi Strategici dal MANIFESTO, l'analisi di Igor Man dalla STAMPA e la cronaca di Dimitri Buffa dall'OPINIONE. Eccogli articoli:

LA STAMPA - Igor Man : " Nel mirino c'è chi tratta con Israele "
La tesi sostenuta da Igor Man è che l'attentato sia stato compiuto contro Mubarak, perchè "colpevole" della  politica egiziana di apertura nei confronti dell'occidente e di Israele. Questa tesi piace a Igor Man, ma, a smentirla, è  persino il MANIFESTO (con l'articolo riportato sotto), quotidiano notoriamente antiisraeliano. Ecco l'articolo:

Un incidente», così titola «al Ahram» un breve articolo sull’attentato di ieri al Cairo, nel medievale suq Khan el-Khalili. «Al Ahram» è il quotidiano ufficiale dell’Egitto, un giornale per molti versi storico, letto in tutto il mondo islamico, già tribuna d’un grande giornalista, Mohammed Heikal, ispiratore di Nasser e di Sadat. Paradossalmente il fatto che un tale quotidiano definisca un attentato con un morto e trenta feriti «un incidente», è l’involontaria ma chiara conferma dell’attentato in piena regola.
Tutta la stampa islamica spara la notizia in prima pagina con l’attentato «visto da destra-visto da sinistra». Vista da destra, la bomba (rudimentale?) del Khan el-Khalili mira a sabotare la risorsa prima dell’Egitto: il turismo. Vengono, così, accusati gli uomini («assassini selvaggi») di quel morto vivo chiamato Bin Laden. Visto da sinistra, l’attentato denuncia «il disagio delle masse di fronte alla svendita della Palestina».
In fatto l’attentato è uno schiaffo sulle guance del potente Omar Suleiman, abile capo dei Servizi egiziani. Alternando bastone e carota, Suleiman è riuscito a mettere la mordacchia ai leader del terrorismo che si rifà alla galassia detta Jamaa Islamiya. Nata dalla costola degli egiziani Fratelli Musulmani oggi è in libera circolazione avendo sciacquato i panni nel Nilo della politica. Il Khan el-Khalili in artiglieria lo chiamerebbero «falso scopo»: si mira al tetto per colpire la piazza. Cioè Suleiman, l’artefice della attuale «tregua» in Palestina, colui che gestisce i tunnel che collegano Gaza all’Egitto. Dominus della difficile trattativa per il rilascio del caporale israeliano Gilat Shalit.
La cronaca chiude con l’attentato in Algeria, a un passo dal cantiere degli Astaldi. Nove morti, alcuni feriti. I nostri stanno tutti bene. E’ scattato l’allarme rosso ma gli attentatori sono «cani sciolti». Li unisce solo l’odio per Mubarak, il «faraone» accusato di «complicità con Israele».

Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " Solo attacchi amatoriali contro Mubarak "
La domanda "
Lei perciò non vede collegamenti diretti tra questo attentato e la politica del regime verso Gaza, di appoggio all’assedio israeliano, contestata dalla popolazione egiziana? " ci sembra posta male dal momento che Israele non ha assediato Gaza. Inoltre Mubarak non ha appoggiato nulla, dato che i tunnel del confine Egitto/Gaza sono rimasti aperti e funzionanti durante l'operazione Piombo Fuso grazie alla polizia egiziana compiacente. Ecco l'articolo:

Le autorità egiziane non sembrano avere ancora alcun indizio preciso sui mandanti dell’attentato che domenica, nei pressi del suq di Khan al Khalili, una delle aree turistiche più famose del Cairo, ha ucciso una studentessa francese e ferito altre 24 persone. Inizialmente si era parlato del fermo di un uomo e due donne, poi di tre giovani arrestati. Tutti però sarebbero stati rilasciati. Resta perciò il mistero intorno ad un’esplosione causata da un ordigno rudimentale simile a quello che nel 2005, nella stessa zona, colpì altri turisti stranieri. Ne abbiamo parlato con Diaa Rashwan, del Centro al Ahram di Studi Strategici, esperto egiziano di gruppi armati. Possiamo parlare, come nel 2005, del coinvolgimento di un cosiddetto «gruppo di famiglia» e non di una grossa organizzazione armata? Credo che si tratti di un altro «gruppo di famiglia», persone con legami di sangue o forse amici, come quattro anni fa. L’ordigno rudimentale, che ha causato un bilancio minimo di vittime, esclude automaticamente che dietro l’attentato ci sia una grossa organizzazione come, ad esempio, al Qaeda, Chi sono e perché colpiscono? Sono pochi individui, forse non più di dieci, che condividono esperienze di grossa insoddisfazione verso la realtà egiziana, verso la politica del regime e colpiscono dove credono di poter far più male e scalpore. Khan el Khalili è un posto indicato per questo tipo di attentati perché simboleggia l’industria del turismo aiutata e protetta dal governo. In ogni caso sono persone disorganizzate, con una conoscenza approssimativa di armi ed esplosivi, quindi in grado di compiere solo piccoli attentati. Lei perciò non vede collegamenti diretti tra questo attentato e la politica del regime verso Gaza, di appoggio all’assedio israeliano, contestata dalla popolazione egiziana? Direi di no, altrimenti chi ha ideato l’attentato avrebbe cercato di colpire in modo devastante luoghi frequentati anche da israeliani come è avvenuto qualche anno fa nel Sinai e non a Khan el Khalili. Avrebbe preso dimira sedi diplomatiche o uffici pubblici per dare un segnale forte che invece domenica non c’è stato. Che effetto sta avendo in Egitto il dibattito infuocato in corso da un paio d’anni tra l’ex teorico e fondatore del Jihad, Imam Abdelaziz Sharif (noto come «dottor Fadl»), e il suo ex compagno di lotta e attuale numero due di al Qaeda, l’egiziano Ayman Zawahri? Sharif condanna apertamente il «Jihad globale » di Bin Laden e Zawahri che a suo dire non ha portato alcun risultato ma avrebbe solo favorito l’occupazione Usa di Iraq e Afghanistan. In realtà questo dibattito più che in Egitto avviene all’estero e in internet. Le posizioni di «dottor Fadl» sono accettate da un po’ i jihadisti egiziani che avevano partecipato alla guerra con lo Stato avvenuta negli anni Ottanta e Novanta. I fautori (in Egitto) della guerra santa come strumento di lotta contro il potere hanno posto fine agli attacchi contro obiettivi civili già da molti anni. Al contrario vengono respinte da Zawahri che le ritiene frutto di una collaborazione tra «dottor Fadl » e le autorità di governo. Il dibattito comunque è aperto tra i gruppi qaedisti che operano nella regione e, probabilmente, nella stessa al Qaeda.

L'OPINIONE - Dimitri Buffa : " Egitto : il ritorno dell'incubo terrorismo "

Già i turisti in Egitto per via della crisi economica mondiale erano diminuiti del 30% negli ultimi tre mesi. Ora però, dopo l’attentato che in pieno centro de Il Cairo ha provocato domenica mattina la morte di una turista francese e il ferimento di altri 25, venti dei quali oggi sono stati dimessi dagli ospedali, il rischio vero è che le piramidi la gente preferisca vedrele nei servizi televisivi di Voyager o nello speciale “Super Quark” di Piero Angela. E proprio l’emittente satellitare Al jazeera ieri raccontava come bar e bazaar del centro storico antico della capitale siano stati pressochè deserti dai visitatori. Come se non bastasse, l’attentato e le successive retate di polizia hanno anche fatto saltare l’incontro previsto sempre per ieri tra il nostro presidente della Camera Gianfranco Fini (che si è dovuto accontentare di imncontrarsi con l’imam di Al Azhar) e il presidente egiziano Horsni Mubarak. E così l’Egitto si trova per l’ennesima volta solo di fronte al mostro terroristico che pure ha in parte nutrito in seno consentendo che la società venisse islamizzata dai fratelli mussulmani, cioè gli ideologi del terrore che fornivano la dottrina ad hamas prima che il movimento che comanda a Gaza passasse al soldo dell’Iran. Per la cronaca ieri ci sono stati anche cinque arresti di sospetti tra cui due donne che la stampa locale ha descritto come “interamente coperte dal velo”. Stando a testimoni oculari, l'ordigno dentro una borsa di plastica nera sarebbe stato lanciato dal quarto piano di una pensione economica vicina al mercato di Khan el Khalili. L'ultimo attentato dinamitardo avvenuto nello stesso quartiere del Cairo risale all'aprile 2005, quando persero la vita due turisti e altri 18 rimasero feriti. Naturalmente esistono anche gli “ipocriti islamici”, oltre a quelli cattolici, e così ieri a prendere le distanze dall’attentato si è registrata anche la voce dei Fratelli mussulmani, quelli che uccisero Sadat nel 1981, verosimilmente preoccupati di qualche ondata repressiva nei loro confronti. Peraltro sempre giustificabile, un po’ come le percosse che il cinese del proverbio da alla moglie quando torna a casa senza sapere, lui, il perché. Così la guida suprema dei Fratelli Musulmani egiziani, Muhammad Akef, ha condannato attraverso il sito internet del movimento l'attentato compiuto ieri nel cuore della capitale dell'Egitto, provocando la morte di una studentessa francese. “Un'azione del genere non è giustificata da nessuna legge o sharia - ha detto Akef - i Fratelli Musulmani la considerano come al di fuori dei principi islamici, che si ispirano alla riforma e al cambiamento attraverso strumenti pacifici e canali forniti dalla costituzione e dalla legge”. Sull'argomento è intervenuto anche l'esperto di terrorismo e avvocato di quasi tutti i detenuti islamici egiziani, Montaser al-Zayat, che al giornale egiziano 'al-Masrioon' (gli “egiziani”, ndr) ha dichiarato di ritenere che “i gruppi islamici, comprese la Jamàa al-Islamiya e la Jihad islamica, siano estranei a questa azione perché contraria alle indicazioni da loro date in passato.” “Ritengo utile- ha aggiunto al Zayat - che le autorità diano la possibilità ai capi di questi gruppi di intervenire attraverso i pulpiti delle moschee per spiegare ai fedeli quali siano le regole della sharia su questo argomento. Questo potrebbe portare maggiore stabilità nel paese”. Se poi la piantassero anche di odiare gli ebrei e i cristiani e cominciassero, invece di predicare l’odio tra le religioni, a parlare di reciprocità nel culto e di diritto a professare la propria fede, magari anche per i copti, le cose andrebbero sicuramente molto, ma molto, meglio.

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