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A pagina 6 del CORRIERE della SERA del 28 gennaio 2009 riportiamo l'articolo di Lorenzo Cremonesi "Hamas, censure e minacce nella Striscia": GAZA — Le immagini erano forti. Il 28 dicembre, all'inizio dei bombardamenti israeliani su Gaza, viene colpita ripetutamente Saraia, la prigione più importante. Accorre una troupe locale di Al Jazeera. E filmano in diretta: fiamme, morti, feriti. Improvvisamente dalle macerie fumanti emergono decine di militanti di Fatah, da mesi tenuti segretamente in cella. «Hamas assassini, venduti. Volevano farci morire sotto le bombe sioniste», gridano furiosi. Molti sono feriti. I giornalisti mandano in onda. Ma poi arrivano negli studi di Al Jazeera i militanti di Hamas e chiedono che le trasmissioni vengano interrotte. «Non si possono mostrare le divisioni interne», dichiarano. Lo stesso avviene per Al Arabiya.
Quando Lorenzo Cremonesi anticipa il suo articolo di oggi 24 gennaio, con la frase “il giorno dopo (l’articolo del 21-nda) si è prestato a interpretazioni in Israele e all’estero che mi sembrano non riflettere il senso originario del mio scritto.” ci sta semplicemente confermando la sua tradizionale posizione ambigua sul conflitto israelo-palestinese, a favore di Arafat prima e a favore di Hamas ad oggi. Inoltre, la conclusione sia di questo articolo che di quello del 21 gennaio scorso è sempre la stessa: i soldati israeliani miravano per uccidere e Israele avrebbe lanciato un’offensiva punitiva contro la Striscia di Gaza. (teoria sinistra della sinistra) All’obiezione sul dubbio che fossero realmente soldati israeliani coloro che indossavano l’uniforme di Tsahal e che sparavano contro la sua auto, Cremonesi oggi specifica che “Alla fine fu solo l’ennesimo intervento dei portavoce militari a porre fine all’azione. Noi ci siamo salvati grazie a loro.” Tale affermazione, ineluttabilmente, confermerebbe che Cremonesi e la sua troupe siano stati effettivamente presi di mira (per due ore!!!) da un distaccamento dell’esercito israeliano, incapace e perditempo in tempo di guerra. Ora, abbiamo solo la versione di Cremonesi su tutti i fatti. Nessun altro quotidiano estero ha riportato le stesse affermazioni di Cremonesi che evidenzia come “Alcuni noti e rispettati giornalisti locali (tutti chiesero ovviamente il massimo anonimato per paura di rappresaglie) confermarono quel dato”. Forse che la stampa internazionale non abbia interesse a suicidarsi ulteriormente in aberranti tesi che favorirebbero solo i terroristi? Perché il punto è questo: è risaputo quanto i palestinesi abbiano sempre gonfiato i numeri delle loro vittime, altrettanto quanto le abbiano sacrificate sull’altare della loro propaganda. Già il numero dubbio di 1300 morti e 5000 feriti dimostra la certezza che non si sia trattato di una spedizione punitiva. Ancor più il numero sicuramente al ribasso. Su una popolazione di 1 milione e 500 mila abitanti (in realtà: 1 milione e 400 mila abitanti) concentrata in un agglomerato ad alta densità abitativa come Gaza City, con una spedizione punitiva, le vittime sarebbero dovute almeno salire a 80/800 mila morti e il doppio in feriti, come è tradizione nelle offensive occidentali. Ogni attacco israeliano è stato preceduto da avvertimenti tramite cellulare, volantinaggio e bombe rumorose che davano ben 20 minuti di tempo (non i 15 secondi lasciati alla popolazione civile israeliana durante il lancio indiscriminato di razzi dalla Striscia di Gaza su Israele) alla popolazione gazana per cercare un rifugio alternativo. Nessuna spedizione punitiva viene organizzata in questo modo, ma rade al suolo nemici ed innocenti in blocco come ha fatto l’Occidente in tutte le sue missioni di guerra. Il chiarimento di Cremonesi che anticipa il suo articolo di oggi, è la dimostrazione che il patto Cremonesi-Hamas è stato messo a rischio dal suo articolo del 21, anche se Cremonesi non ci spiega in quale modo sia stato malinterpretato in Israele e all’estero. Cremonesi può scrivere ciò che vuole d’ora in poi, ma – come per le mafie ed altre organizzazioni criminali – anche il terrorismo non si fida più di chi sgarra. Proprio perché l’articolo del 21 scorso e la “pezza” di oggi, mettono in evidenza la propaganda menzognera del terrorismo palestinese, ed in causa: 1) l’attendibilità delle già controverse commissioni ONU ed ONG filopalestinesi presenti nella Striscia di Gaza. E questo è il fattore più importante; 2) le stesse istituzioni (in questo caso ministero della sanità) di Hamas nella Striscia di Gaza. Di fatto: chi ha consigliato a Cremonesi di dimezzare le vittime di Hamas per diminuire o revocare le sue criminali responsabilità nel farsi scudo di civili, gli ha reso il peggior servizio della sua vita, umana e professionale. La stessa BBC non ha messo in onda una pubblicità per la raccolta di fondi di alcune ONG perché le motivazioni erano squilibrate e menzognere. Israele ha preparato la sua offensiva in tre anni. Questa volta con prove e controprove tali da annullare ogni menzogna. L’avesse fatto prima, si sarebbero risparmiate tante morti a causa dell’ego pilatesco, costellato di antisemitismo, occidentale. L’articolo e pezza di Cremonesi sballano la credibilità delle commissioni palestinesi alle Nazioni Unite, dell’UNWRA e del HRW, che l’Occidente paga in centinaia di milioni di dollari con i soldi dei contribuenti. Cremonesi ha annullato di fatto la legittimità del fondamento stesso su cui reggono le menzogne arabe. Cordialmente, Danielle Sussmann l'intervento dell'inviato Lorenzo Cremonesi La questione delle vittime palestinesiL'esperienza insegna che nelle zone di guerra dove ci sono dei civili il rapporto tra morti e feriti gravi è 1 a 3· NOTIZIE CORRELATE· «Così i ragazzini di Hamas ci hanno utilizzato come bersagli» L. Cremonesi (21 gennaio 2009)GAZA - Ritengo importante chiarire alcuni punti sulla questione del numero delle vittime palestinesi nel corso della recente operazione israeliana nella striscia di Gaza. E ciò poiché il dato di «500 o 600» morti, da me riportato citando fonti mediche e giornalisti locali e pubblicato sul Corriere della Sera il 21 gennaio, il giorno dopo si è prestato a interpretazioni in Israele e all’estero che mi sembrano non riflettere il senso originario del mio scritto. 1) Premetto che quasi trent’anni di copertura giornalistica in zone di crisi belliche, soprattutto in Medio Oriente, mi rendono in genere molto cauto sui dati riguardanti il numero delle vittime segnalati dalle due parti in campo. Ma la sensazione che le vittime dei raid israeliani fossero forse meno di quelle riportate dalle autorità di Hamas a Gaza mi apparve subito il giorno della mia entrata nella striscia di Gaza dal confine egiziano di Rafah il 13 gennaio. Le ambulanze dalla zona di frontiera mi condussero all’Ospedale Europeo di Rafah. Qui vigeva l’emergenza al pronto soccorso e nelle unità di cura intensiva. Erano appena arrivati alcune vittime dei bombardamenti sui villaggi di Abasan e Khussa. Tra loro c’erano almeno due morti. Pure molti dei letti al pronto soccorso e nelle camerate ai piani alti erano vuoti. L’ospedale aveva ancora una forte capacità di accoglienza. Lo stesso osservai in serata all’ospedale Nasser di Khan Yunis. A detta dei dirigenti sanitari avrebbe dovuto essere in massima emergenza, ma non lo era. Il vicino ospedale privato Al Amal ha 150 letti. Il giorno 14 gennaio solo 5 erano occupati. Un situazione simile incontrai il 17 gennaio a Gaza city. Qui due grandi ospedali erano stati evacuati perché colpiti dai bombardamenti israeliani, lo Al Quds e lo Wafa, pure anche molti dei letti nelle camerate dello Shifah erano liberi. I feriti gravi meno di quanto mi fossi aspettato. 2) A questo proposito ci tengo a sottolineare un elemento. L’esperienza insegna che in generale nelle zone di guerra dove si trovano civili il rapporto tra morti e feriti gravi (tanto da dover essere ospedalizzati) è uno a tre. È ovviamente un dato molto generico. Eventi particolari possono stravolgerlo completamente. Ma io ebbi la sensazione più volte che i feriti fossero molto meno di quanto avrebbero dovuto essere. È vero che alcune decine vennero trasferiti via ambulanza in Egitto. Tuttavia non mi sembrava affatto che la proporzione tra morti e feriti rispettasse la gravità delle cifre ribadita dai dirigenti sanitari locali. 3) Fu a Gaza che un medico (non simpatetico con Hamas) mi disse che «molto probabilmente» il numero reale dei morti poteva essere più basso «forse la metà» dei quasi 1.300 riportati dal ministero della Sanità locale. Alcuni noti e rispettati giornalisti locali (tutti chiesero ovviamente il massimo anonimato per paura di rappresaglie) confermarono quel dato. Uno parlò di «forse poco più di 800 morti». Un altro ricordò che a Jenin nel 2002 ci era stato detto da parte palestinese vi fossero oltre 500 morti e alla fine scoprimmo la vera cifra, poco più di 50 (caso questo che curiosamente io stesso avevo citato nella mia lettera contro il blocco israeliano per i giornalisti a Gaza pubblicata da Haaretz ai primi di gennaio). Un altro ancora riportò che numerosi morti erano giovani uomini di età compresa tra i 17 e 23 anni. Alcuni medici francesi dissero che comunque la maggioranza delle vittime, morti e feriti, erano bambini, donne anziani, spesso con ferite gravissime. A Khan Yunis il 13 e 14 gennaio i medici francesi sostenevano di non avere prove dirette di bombe al fosforo, cosa che invece era stato detto loro fosse possibile per il nord di Gaza. Dunque non ho mai escluso che Israele avesse usato il fosforo, semplicemente io non possedevo testimonianze concrete. 4) Questi dati sono riferiti comunque per lo più a civili. L’impressione è che ora si debba fare molta attenzione alla propaganda delle due parti. Israele è interessato a diminuire il numero delle vittime civili ed enfatizzare invece quello dei combattenti. Hamas ovviamente l’opposto. Con un particolare in più emerso negli ultimi giorni. A Gaza si parla di camere mortuarie e cimiteri segreti per gli shahid, i guerriglieri. Hamas tende a nascondere i propri morti. I suoi portavoce parlano di 48. Un numero ridicolmente basso. In verità potrebbero essere molti, molti di più. Il numero da me riportato nell’articolo di 600 è riferito per lo più ai civili. È una dinamica che ricorda da vicino lo scenario della guerra in Libano nel 2006. Quanti furono davvero i guerriglieri morti di Hezbollah? Ancora oggi non c’è un numero verificato. E quasi certamente non lo sapremo mai. Lo stesso potrebbe essere per Gaza. 5) Tutto ciò non toglie la gravità degli effetti dei bombardamenti israeliani a Gaza. L’impressione che ebbi sin dal primo giorno fu che Israele non mirasse tanto a colpire militarmente Hamas, quanto piuttosto intendesse punire la popolazione civile. Il messaggio era chiaro: «Gente di Gaza guai a voi se lasciate che Hamas operi dalle vostre terre e spari su Israele! Non importa che voi siate consenzienti o meno. La nostra repressione sarà terribile». Non ho problema a sostenere che i bombardamenti israeliani rasentano il crimine di guerra. I soldati avevano il mandato per sparare impunemente sui civili. Ne feci personalmente le spese il 16 gennaio. Quando con il mio traduttore e autista di Khan Yunis provai a spostarmi a Gaza. La nostra vettura rimase sotto il fuoco di una pattuglia israeliana per quasi due ore all’incrocio di Netzarim. Più volte mi è successo di essere stato soggetto di spari o azioni ostili da parte di militari in Iraq, Afghanistan, Cisgiordania, Giordania, Libano. Ma sempre, dopo pochi minuti, una volta evidente che non ero un nemico, l’attacco è stato terminato. A Gaza invece i soldati hanno continuato a sparare, anche quando, in coordinamento con i portavoce militari israeliani provammo a scappare verso Khan Yunis. Alla fine fu solo l’ennesimo intervento dei portavoce militari a porre fine all’azione. Noi ci siamo salvati grazie a loro. Ma cosa sarebbe successo se, invece di essere un giornalista straniero in contatto con le autorità di Gerusalemme, fossi stato un padre palestinese con la sua famiglia? Lorenzo Cremonesi lettere@corriere.it redazione@ilmanifesto.it |
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