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Corriere della Sera - Il Manifesto Rassegna Stampa
28.01.2009 Lorenzo Cremonesi a intermittenza:prima informa, e da fastidio a molti, poi ritratta
un articolo dell'inviato del Corriere sul regime di Hamas, un attacco del quotidiano comunista, una smentita che non convince

Testata:Corriere della Sera - Il Manifesto
Autore: Lorenzo Cremonesi - Vittorio Arrigoni
Titolo: «Hamas, censure e minacce nella Striscia - Cattivo giornalismo. Sulle ambulanze Hamas non c'era, io sì»

A pagina 6 del CORRIERE della SERA del 28 gennaio 2009 riportiamo l'articolo di Lorenzo Cremonesi "Hamas, censure e minacce nella Striscia":

GAZA — Le immagini erano forti. Il 28 dicembre, all'inizio dei bombardamenti israeliani su Gaza, viene colpita ripetutamente Saraia, la prigione più importante. Accorre una troupe locale di Al Jazeera. E filmano in diretta: fiamme, morti, feriti. Improvvisamente dalle macerie fumanti emergono decine di militanti di Fatah, da mesi tenuti segretamente in cella. «Hamas assassini, venduti. Volevano farci morire sotto le bombe sioniste», gridano furiosi. Molti sono feriti. I giornalisti mandano in onda. Ma poi arrivano negli studi di Al Jazeera i militanti di Hamas e chiedono che le trasmissioni vengano interrotte. «Non si possono mostrare le divisioni interne», dichiarano. Lo stesso avviene per Al Arabiya.
Qui però riescono a trasmetterlo più volte. «Non sono filo-Hamas come
Al Jazeera », dicono i reporter pro-Fatah.
Censure simili si ripetono quando i giornalisti della Striscia intervistano civili che accusano Hamas di usarli come «scudi umani». O cercano verifiche del numero delle vittime. O, peggio, incontrano persone che criticano «la guerra suicida». Il loro numero è in aumento. C'è stato a Gaza un momento di confusione che ricorda ciò che avvenne in Iraq dopo la fine dell'attacco Usa. L'autorità centrale era caduta e la popolazione si sentiva libera di parlare. Ma è un momento che qui sembra stare già tramontando. E a farne le spese è la libertà di stampa. Non è molto diverso per i giornalisti di Hamas sotto l'autorità di Abu Mazen in Cisgiordania e non lo era per loro a Gaza sino alle elezioni 2006, quando comandava Fatah. Ma a Gaza oggi il peso della censura è particolarmente oppressivo. I 29 reporter di
Wafa, la vecchia agenzia stampa dell'Olp, ricevono il salario da Ramallah, ma non lavorano. Il loro posto è stato preso dalla nuova agenzia di Hamas, Al Bayan. Lo stesso vale per le radio.
Salim Nafar, noto poeta della sinistra laica, è stato minacciato di morte. Saed Swerki, l'autore di una controversa opera teatrale, Watan,
che nel 2007 condannava la guerra civile interpalestinese, è stato censurato. Prima che scoppiasse il conflitto, il parlamento di Gaza stava per approvare la «legge della punizione» contro chi offende «gli interessi dello Stato». Commenta Saek Abu Suliman, docente di letteratura araba: «Siamo sempre più sotto un regime totalitario che cerca di imporre la sharia, qui regna il silenzio». Così diventa difficile investigare il vero numero dei morti tra la muqawama, la resistenza. Girano notizie che ci sarebbero ancora decine, centinaia, di cadaveri sepolti nei tunnel bombardati da Israele. I giornalisti parlano di «bilanci di sangue imposti dall'alto» e «cimiteri e fosse comuni segreti». «Siamo come sotto il regime di Saddam», dicono i reporter più arrabbiati. Nessuno è pronto a dare il suo nome. Hanan Musri, corrispondente locale di Al Arabiya, è come in attesa di giudizio. Durante la guerra disse in diretta che Hamas sparava missili dal palazzo dove lavora, lo Shuruk, nel centro di Gaza City. Ma ora un altro problema preoccupa le decine di giornalisti (di Reuters, Nbc, Sky e altri media) che hanno uffici nello Shuruk. All'ultimo piano si è installata la sede di Al Aqsa, la tv di Hamas. «Dobbiamo andarcene, non c'è alternativa. Questo posto non è più sicuro. Israele potrebbe bombardarlo in ogni momento. Se Hamas vuole usarci come scudi si sbaglia», dicono tra gli altri i colleghi della Reuters. Timori comprensibili. «Il quartier generale della nostra tv fu colpito da Israele nelle prime ore di bombardamenti, una postazione mobile distrutta», conferma il vicedirettore di Al Aqsa, Mohammad Thuraia. Che poi aggiunge, come se fosse la verità più evidente della terra: «Ogni guerra di liberazione ha un prezzo. Ci saranno ancora tante vittime purtroppo. La guerra è appena iniziata. Dopo ogni tregua ricominceremo il conflitto perché gli ebrei sono in essenza traditori, lo dice anche il Corano. Ma non abbiamo paura, Allah ci aiuta. Alla fine gli ebrei se ne andranno dalle nostre terre e, magari non mio figlio Alì di 5 anni, ma i miei nipoti vedranno la libertà».

L'informazione sulla realtà di Hamas che inzia a filtrare
sui grandi quotidiani infastidisce i propagandisti del MANIFESTO e dell'International Solidarity Movement. Il quotidiano comunista pubblica a pagina 11 l'articolo di Vittorio Arrigoni (membro del gruppo di attivisti antisraeliani) "Cattivo giornalismo. Sulle ambulanze Hamas non c'era, io sì "

Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della Sera , ha molto da insegnare alle nuove leve del giornalismo col suo articolo del 21 gennaio, pure troppo. Io che non ho mandanti se non una morbosa ricerca della verità, e non sono un giornalista prefessionista, per la casacca che indossato durante tutto il massacro, non con la scritta press bensì l'emblema della Mezza luna rossa, dico a Cremonesi che le bugie hanno le gambe corte. Anche io posso benissimo trovare persone disposte a dirmi che è stato Hamas e non l'esercito israeliano a sterminare più di mille palestinesi, e vi assicuro che ve ne sono, specie fra coloro che mangiavano nel piatto ricco dei corrotti di Fatah. Sta a un serio ricercatore distinguere una fonte attendibile da un attentato all'informazione. Nessuna ambulanza durante queste 3 settimane è stata utilizzata dai miliziani di Hamas e ai loro alleati della Jihad islamica. Ne sono assolutamente certo, perché sulle ambulanze c'eravamo io e i miei compagni dell'Ism. Su quella ambulanze abbiamo rischiato la pelle, e un nostro amico paramedico, Arafa, ci è rimasto. 14 paramedici sono stati uccisi. I soldati israeliani sparavano alle ambulanze certi di quello che facevano, ovvero uccidere civili. Non abbiamo mai concesso a un solo membro dell' almukawama , la resistenza palestinese, di salire a bordo di uno dei nostri mezzi. Quelli che ci provavano erano spintonati giù, anche quando (è accaduto) il guerrigliero era il marito di una donna che portavamo di corsa in clinica a partorire. All'ospedale Al Quds sono tutti di Fatah, lo sanno pure i muri (le pareti infatti sono tappezzate di Arafat, neanche una icona di Ahmed Yassin), così come allo Shifa. Al Awada di Jabilia invece parteggiano quasi tutti per il Fronte Popolare. E' un'impresa trovare personale medico pro-Hamas in tutta la Striscia, tanto che quando Fatah chiamò allo sciopero generale, incrociò le braccia l'80% dei dottori. Se la resistenza avesse utilizzato gli ospedali come postazioni per combattere, i medici li avrebbero fatti evacuare rifiutandosi di curare i feriti. Un atteggiamento come quello descritto da Cremonesi equivarrebbe a un suicidio politico per Hamas, e Hamas non vuole suicidarsi, è un movimento ben radicato che vuole ampliare i suoi consensi. Scudi umani? A Tal el Hawa durante il massacro io c'ero, e nella zona abita il mio migliore amico, Abu Nader. Suo padre e i suoi amici sì sono stati usati come scudi umani: ma non da Hamas, bensì dai soldati israeliani che andavano casa per casa a caccia di combattenti. E' possibile che il conto delle vittime diminuisca di qualche decina di unità, o che invece aumenti. Nel raccogliere i dati per le mie corrispondenze da questo inferno non aspettavo certo l'imboccata di Hamas, come non accetterei l'imboccata di un giornale che imponga di scrivere contro il movimento radicale islamista per porre in secondo piano il massacro. Le mie fonti erano quelle utilizzate da giornalisti palestinesi e attivisti per i diritti umani locali: fonti ospedaliere indipendenti. Se poi i morti saranno anche cento in meno, non derubricherò il massacro come meno efferato. Al momento è l'esercito israeliano a smentire Cremonesi: un suo portavoce ha dichiarato al Jerusalem Post che le vittime palestinesi dell'offensiva «Piombo Fuso» su Gaza sono circa 1.300. E poi: 5 giornalisti palestinesi sono stati uccisi durante i bombardamenti, diversi i feriti. Distrutta la sede della tv Al Aqsa, e più volte attaccato il palazzo al centro di Gaza City che ospita Reuters Cnn e Al Jazeera. Si dice che la verità è la prima a morire durante una guerra. Qualcuno in via Solferino profana il suo cadavere. Restiamo umani.

Persino Guido Rampoldi, giornalista di REPUBBLICA in prima fila nell'accusare Israele, ha di fatto confermato che le ambulanze trasportano, eccome, i terroristi di Hamas. Si veda questo link

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=4&sez=110&id=27552

Lorenzo Cremonesi, il 24 gennaio 2009, ha per altro cercato di ritrattare, sul CORRIERE.IT la sua precendente corretta informazione. Di seguito, una lettera di Danielle Sussmann al direttore del CORRIERE della SERA, e l'articolo di Cremonesi


Gentile Direttore,

 Quando Lorenzo Cremonesi anticipa il suo articolo di oggi 24 gennaio, con la frase “il giorno dopo (l’articolo del 21-nda) si è prestato a interpretazioni in Israele e all’estero che mi sembrano non riflettere il senso originario del mio scritto.” ci sta semplicemente confermando la sua tradizionale posizione ambigua sul conflitto israelo-palestinese, a favore di Arafat prima e a favore di Hamas ad oggi. Inoltre, la conclusione sia di questo articolo che di quello del 21 gennaio scorso è sempre la stessa: i soldati israeliani miravano per uccidere e Israele avrebbe lanciato un’offensiva punitiva contro la Striscia di Gaza. (teoria sinistra della sinistra)

All’obiezione sul dubbio che fossero realmente soldati israeliani coloro che indossavano l’uniforme di Tsahal e che sparavano contro la sua auto, Cremonesi oggi specifica che “Alla fine fu solo l’ennesimo intervento dei portavoce militari a porre fine all’azione. Noi ci siamo salvati grazie a loro.” Tale affermazione, ineluttabilmente, confermerebbe che Cremonesi e la sua troupe siano stati effettivamente presi di mira (per due ore!!!) da un distaccamento dell’esercito israeliano, incapace e perditempo in tempo di guerra.

  Ora, abbiamo solo la versione di Cremonesi su tutti i fatti.

  Nessun altro quotidiano estero ha riportato le stesse affermazioni di Cremonesi che evidenzia come “Alcuni noti e rispettati giornalisti locali (tutti chiesero ovviamente il massimo anonimato per paura di rappresaglie) confermarono quel dato”. Forse che la stampa internazionale non abbia interesse a suicidarsi ulteriormente in aberranti tesi che favorirebbero solo i terroristi? Perché il punto è questo: è risaputo quanto i palestinesi abbiano sempre gonfiato i numeri delle loro vittime, altrettanto quanto le abbiano sacrificate sull’altare della  loro propaganda. Già il numero dubbio di 1300 morti e 5000 feriti dimostra la certezza che non si sia trattato di una spedizione punitiva. Ancor più il numero sicuramente al ribasso. Su una popolazione di 1 milione e 500 mila abitanti (in realtà: 1 milione e 400 mila abitanti) concentrata in un agglomerato ad alta densità abitativa come Gaza City, con una spedizione punitiva, le vittime sarebbero dovute almeno salire a 80/800 mila morti e il doppio in feriti, come è tradizione nelle offensive occidentali. Ogni attacco israeliano è stato preceduto da avvertimenti tramite cellulare, volantinaggio e bombe rumorose che davano ben 20 minuti di tempo (non i 15 secondi lasciati alla popolazione civile israeliana durante il  lancio indiscriminato di razzi dalla Striscia di Gaza su Israele) alla popolazione gazana per cercare un rifugio alternativo. Nessuna spedizione punitiva viene organizzata in questo modo, ma rade al suolo nemici ed innocenti in blocco come ha fatto l’Occidente in tutte le sue missioni di guerra.

  Il chiarimento di  Cremonesi che anticipa il suo articolo di oggi, è la dimostrazione che il patto Cremonesi-Hamas è stato messo a rischio dal suo articolo del 21, anche se Cremonesi non ci spiega in quale modo sia stato malinterpretato in Israele e all’estero.

Cremonesi può scrivere ciò che vuole d’ora in poi, ma – come per le mafie ed altre organizzazioni criminali – anche il terrorismo non si fida più di chi sgarra. Proprio perché l’articolo del 21 scorso e la “pezza” di oggi, mettono in evidenza la propaganda menzognera del terrorismo palestinese, ed in causa: 1) l’attendibilità delle già controverse commissioni ONU ed ONG filopalestinesi presenti nella Striscia di Gaza. E questo è il fattore più importante; 2) le stesse istituzioni (in questo caso ministero della sanità) di Hamas nella Striscia di Gaza.

  Di fatto: chi ha consigliato a Cremonesi di dimezzare le vittime di Hamas per diminuire o revocare le sue criminali responsabilità nel farsi scudo di civili, gli ha reso il peggior servizio della sua vita, umana e  professionale. La stessa BBC non ha messo in onda una pubblicità per la raccolta di fondi di alcune ONG perché le motivazioni erano squilibrate e menzognere. Israele ha preparato la sua offensiva in tre anni. Questa volta con prove e controprove tali da annullare ogni menzogna. L’avesse fatto prima, si sarebbero risparmiate tante morti a causa dell’ego pilatesco, costellato di antisemitismo, occidentale.

L’articolo e pezza di Cremonesi sballano la credibilità delle commissioni palestinesi alle Nazioni Unite, dell’UNWRA e del HRW, che l’Occidente paga in centinaia di milioni di dollari con i soldi dei contribuenti. Cremonesi ha annullato di fatto la legittimità del fondamento stesso su cui reggono le menzogne arabe.

 Cordialmente,

  Danielle Sussmann

  l'intervento dell'inviato Lorenzo Cremonesi

La questione delle vittime palestinesi

L'esperienza insegna che nelle zone di guerra dove ci sono dei civili il rapporto tra morti e feriti gravi è 1 a 3

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GAZA - Ritengo importante chiarire alcuni punti sulla questione del numero delle vittime palestinesi nel corso della recente operazione israeliana nella striscia di Gaza. E ciò poiché il dato di «500 o 600» morti, da me riportato citando fonti mediche e giornalisti locali e pubblicato sul Corriere della Sera il 21 gennaio, il giorno dopo si è prestato a interpretazioni in Israele e all’estero che mi sembrano non riflettere il senso originario del mio scritto.

1) Premetto che quasi trent’anni di copertura giornalistica in zone di crisi belliche, soprattutto in Medio Oriente, mi rendono in genere molto cauto sui dati riguardanti il numero delle vittime segnalati dalle due parti in campo. Ma la sensazione che le vittime dei raid israeliani fossero forse meno di quelle riportate dalle autorità di Hamas a Gaza mi apparve subito il giorno della mia entrata nella striscia di Gaza dal confine egiziano di Rafah il 13 gennaio. Le ambulanze dalla zona di frontiera mi condussero all’Ospedale Europeo di Rafah. Qui vigeva l’emergenza al pronto soccorso e nelle unità di cura intensiva. Erano appena arrivati alcune vittime dei bombardamenti sui villaggi di Abasan e Khussa. Tra loro c’erano almeno due morti. Pure molti dei letti al pronto soccorso e nelle camerate ai piani alti erano vuoti. L’ospedale aveva ancora una forte capacità di accoglienza. Lo stesso osservai in serata all’ospedale Nasser di Khan Yunis. A detta dei dirigenti sanitari avrebbe dovuto essere in massima emergenza, ma non lo era. Il vicino ospedale privato Al Amal ha 150 letti. Il giorno 14 gennaio solo 5 erano occupati. Un situazione simile incontrai il 17 gennaio a Gaza city. Qui due grandi ospedali erano stati evacuati perché colpiti dai bombardamenti israeliani, lo Al Quds e lo Wafa, pure anche molti dei letti nelle camerate dello Shifah erano liberi. I feriti gravi meno di quanto mi fossi aspettato.

2) A questo proposito ci tengo a sottolineare un elemento. L’esperienza insegna che in generale nelle zone di guerra dove si trovano civili il rapporto tra morti e feriti gravi (tanto da dover essere ospedalizzati) è uno a tre. È ovviamente un dato molto generico. Eventi particolari possono stravolgerlo completamente. Ma io ebbi la sensazione più volte che i feriti fossero molto meno di quanto avrebbero dovuto essere. È vero che alcune decine vennero trasferiti via ambulanza in Egitto. Tuttavia non mi sembrava affatto che la proporzione tra morti e feriti rispettasse la gravità delle cifre ribadita dai dirigenti sanitari locali.

3) Fu a Gaza che un medico (non simpatetico con Hamas) mi disse che «molto probabilmente» il numero reale dei morti poteva essere più basso «forse la metà» dei quasi 1.300 riportati dal ministero della Sanità locale. Alcuni noti e rispettati giornalisti locali (tutti chiesero ovviamente il massimo anonimato per paura di rappresaglie) confermarono quel dato. Uno parlò di «forse poco più di 800 morti». Un altro ricordò che a Jenin nel 2002 ci era stato detto da parte palestinese vi fossero oltre 500 morti e alla fine scoprimmo la vera cifra, poco più di 50 (caso questo che curiosamente io stesso avevo citato nella mia lettera contro il blocco israeliano per i giornalisti a Gaza pubblicata da Haaretz ai primi di gennaio). Un altro ancora riportò che numerosi morti erano giovani uomini di età compresa tra i 17 e 23 anni. Alcuni medici francesi dissero che comunque la maggioranza delle vittime, morti e feriti, erano bambini, donne anziani, spesso con ferite gravissime. A Khan Yunis il 13 e 14 gennaio i medici francesi sostenevano di non avere prove dirette di bombe al fosforo, cosa che invece era stato detto loro fosse possibile per il nord di Gaza. Dunque non ho mai escluso che Israele avesse usato il fosforo, semplicemente io non possedevo testimonianze concrete.

4) Questi dati sono riferiti comunque per lo più a civili. L’impressione è che ora si debba fare molta attenzione alla propaganda delle due parti. Israele è interessato a diminuire il numero delle vittime civili ed enfatizzare invece quello dei combattenti. Hamas ovviamente l’opposto. Con un particolare in più emerso negli ultimi giorni. A Gaza si parla di camere mortuarie e cimiteri segreti per gli shahid, i guerriglieri. Hamas tende a nascondere i propri morti. I suoi portavoce parlano di 48. Un numero ridicolmente basso. In verità potrebbero essere molti, molti di più. Il numero da me riportato nell’articolo di 600 è riferito per lo più ai civili. È una dinamica che ricorda da vicino lo scenario della guerra in Libano nel 2006. Quanti furono davvero i guerriglieri morti di Hezbollah? Ancora oggi non c’è un numero verificato. E quasi certamente non lo sapremo mai. Lo stesso potrebbe essere per Gaza.

5) Tutto ciò non toglie la gravità degli effetti dei bombardamenti israeliani a Gaza. L’impressione che ebbi sin dal primo giorno fu che Israele non mirasse tanto a colpire militarmente Hamas, quanto piuttosto intendesse punire la popolazione civile. Il messaggio era chiaro: «Gente di Gaza guai a voi se lasciate che Hamas operi dalle vostre terre e spari su Israele! Non importa che voi siate consenzienti o meno. La nostra repressione sarà terribile». Non ho problema a sostenere che i bombardamenti israeliani rasentano il crimine di guerra. I soldati avevano il mandato per sparare impunemente sui civili. Ne feci personalmente le spese il 16 gennaio. Quando con il mio traduttore e autista di Khan Yunis provai a spostarmi a Gaza. La nostra vettura rimase sotto il fuoco di una pattuglia israeliana per quasi due ore all’incrocio di Netzarim. Più volte mi è successo di essere stato soggetto di spari o azioni ostili da parte di militari in Iraq, Afghanistan, Cisgiordania, Giordania, Libano. Ma sempre, dopo pochi minuti, una volta evidente che non ero un nemico, l’attacco è stato terminato. A Gaza invece i soldati hanno continuato a sparare, anche quando, in coordinamento con i portavoce militari israeliani provammo a scappare verso Khan Yunis. Alla fine fu solo l’ennesimo intervento dei portavoce militari a porre fine all’azione. Noi ci siamo salvati grazie a loro. Ma cosa sarebbe successo se, invece di essere un giornalista straniero in contatto con le autorità di Gerusalemme, fossi stato un padre palestinese con la sua famiglia?

Lorenzo Cremonesi
Inviato speciale del «Corriere della Sera» a Gaza
24 gennaio 2009

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