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Corriere della Sera - Il Foglio - La Repubblica - L'Unità - Il Giornale - Libero Rassegna Stampa
27.01.2009 Antisemitismo: il caso del vescovo negazionista
la cronaca di Gian Guido Vecchi, le opinioni di Pierluigi Battista, Alberto Melloni, Adriano Prosperi, le difese a oltranza del Vaticano

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio - La Repubblica - L'Unità - Il Giornale - Libero
Autore: Gian Guido Vecchi - Maria Antonietta Calabrò - Paolo Conti - Roberto Zuccolini - Pierluigi Battista - la redazione - Adirano Prosperi - Umberto De Giovannageli
Titolo: «Bagnasco: contro il Papa accuse strumentali - Le comunità ebraiche, il Vaticano faccia un gesto - Così si disorienta la Chiesa - Il ritorno all' ovile può servire a battere l'antisemitismo - L'intollerabile - I cattotradizionalisti - A destra di Lefebvre»

Il concilio cancellato -Il Vaticano mina la riconciliazione tra la Chiesa e gli ebrei

Di seguito, una selezione di articoli pubblicati il 27 gennaio 2009 sul caso del vescovo negazionista e antisemita Richard Williamson.

Le sue farneticanti dichiarazioni sulla Shoah si possono ascoltare a questo link del CORRIERE della SERA on-line 


http://video.corriere.it/?vxSiteId=404a0ad6-6216-4e10-abfe-f4f6959487fd&vxChannel=Dall%20Italia&vxClipId=2524_7b9c4994-ebad-11dd-92cf-00144f02aabc&vxBitrate=300

Da pagina 2 del CORRIERE della SERA del 27 gennaio 2009, la cronaca di Gian Guido Vecchi,  "Bagnasco: contro il Papa accuse strumentali ":

CITTÀ DEL VATICANO — Porta al consiglio permanente dei vescovi tutte le questioni più urgenti, non elude critiche né risposte, soprattutto conferma la «collaborazione leale e incondizionata » a Benedetto XVI «in un momento nel quale non manca purtroppo nei media nazionali qualche voce di critica ideologica e preconcetta». Il cardinale Angelo Bagnasco, ieri pomeriggio, ha argomentato senza asprezze ma senza sottrarsi agli argomenti più caldi. A cominciare dal momento non idilliaco nel rapporto tra la Chiesa e gli ebrei. Così, nelle parole del presidente della Cei, c'è l'«apprezzamento per l'atto di misericordia del Santo Padre», la revoca della scomunica ai lefebvriani, e insieme il «disappunto» per le «infondate e immotivate dichiarazioni di uno dei quattro vescovi circa la Shoah», dichiarazioni peraltro «rese alcuni mesi or sono» e «solo adesso riprese con intento strumentale e già ripudiate dalla stessa Fraternità». E c'è anche un riferimento alle «singolari riserve » di «alcuni esponenti dell'assemblea rabbinica italiana» sul caso della preghiera in latino del Venerdì Santo, con relativa sospensione della giornata del dialogo e le accuse al Papa di aver cancellato cinquant'anni di storia: «Non possiamo certamente apprezzare le parole ingiuste pronunciate verso l'azione di Benedetto XVI: siamo testimoni della cordiale istanza teologica che muove irrinunciabilmente il Santo Padre verso questi fratelli, e tale atteggiamento noi lo condividiamo con lui». Del resto Oltretevere si continua a chiarire e distinguere: la revoca «riguarda l'evento dell'88», quando i vescovi vennero ordinati da Lefebvre e quindi scomunicati, e non c'entra con le posizioni «inaccettabili» di uno di essi, il vescovo Williamson, quello che nega sorridendo l'esistenza della Shoah. E il gesto di «riconciliazione » del Papa non è ancora la «piena comunione», spiega padre Federico Lombardi, portavoce vaticano: «Ci si aspettano risposte positive. È chiaro che anche loro devono mostrare di desiderarla, la comunione: il comportamento delle persone ha conseguenze sul cammino».
Pure l'Osservatore Romano
scrive che è «offensivo» pensare «che Benedetto XVI possa svendere anche in parte il concilio a chicchessia» e in un commento del vicedirettore Carlo Di Cicco ricorda: «Dall'accettazione del Concilio discende anche una limpida posizione sul negazionismo ». Perché la Nostra Aetate,
dichiarazione che nel '65 segnò la svolta conciliare nei confronti dell'ebraismo è «un insegnamento non opinabile per un cattolico ». È significativo che il quotidiano della Santa Sede abbia dedicato due pagine al Giorno della memoria della Shoah. Con un articolo sul negazionismo della storica ebrea Anna Foa in prima pagina: «Il negazionismo è menzogna che si copre del velo della storia, che prende un'apparenza scientifica, oggettiva, per coprire la sua vera origine, il suo vero movente: l'antisemitismo».
La Santa Sede ha fatto sapere al rabbino Rosen che la posizione di Williamson le è estranea. Lo stesso cardinale Walter Kasper, responsabile vaticano dei rapporti con l'ebraismo, è «sconvolto » e prova «orrore»: «Questa data ci ricorda lo sterminio di sei milioni di ebrei: è bene ripetere il numero. Negare questo sterminio, una vergogna per la Germania e l'Europa, è una nuova ingiustizia verso le vittime. Bisogna fare memoria per il futuro: educare i bambini e i giovani perché questo crimine inaudito non si ripeta».

Da pagina 3, un articolo di Maria Antonietta Calabrò, "Le comunità ebraiche, il Vaticano faccia un gesto""

ROMA — Gli ebrei chiedono al Papa che decida sul vescovo lefebvriano negazionista: «aspettiamo un gesto» su quello che a tutti gli effetti è «un'infamia». Il caso Williamson, deflagrato a pochi giorni dalla data del 27 gennaio, scelta in Europa per ricordare la Shoah, rimbalza sulla Cnn, e in tutto il mondo, dopo aver conquistato la prima pagina del New York Times e dell'Herald
Tribune e del quotidiano politico più venduto in Gran Bretagna (Williamson è inglese), con il 61 per cento di lettori conservatori, il Daily Telegraph.
Mentre in Germania il monsignore diventa eroe nei siti d'estrema destra tedeschi, tipo Deutsche Wehrmacht o Störtebeker-Netz (come riporta lo Spiegel online), innescando ulteriori proteste della comunità ebraica tedesca.
Il presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna, è tornato anche lui sulla polemica suscitata dalla decisione di papa Benedetto XVI di «riabilitare » i quattro vescovi della Comunità di San Pio V. E rincara la dose sollecitando di nuovo una esplicita presa di distanza del Vaticano dalle parole del vescovo Williamson che ha affermato che le camere a gas non sono esistite e che nei campi di sterminio non sono morti 6 milioni di ebrei. La remissione della scomunica «è una questione che deve essere tenuta separata dalle opinioni storiche. La prima è un fatto interno alla Chiesa su cui non abbiamo niente da dire, sulle tesi negazioniste, invece, abbiamo molto da dire perchè sono un'infamia», ha detto Gattegna. «In questo momento — spiega Gattegna — siamo attenti osservatori delle decisioni che la chiesa prenderà in merito a chi sostiene tesi negazioniste. Ci auguriamo che ci sia una smentita di queste tesi che chiarisca ogni dubbio ».
Anche per il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni «il problema non è il ritiro della scomunica, su questo non dobbiamo interferire». «Il problema» — afferma Di Segni — «è un altro: è lo spazio e la dignità dati non soltanto ad un singolo negazionista, ma a un movimento che sul tema teologico che riguarda gli ebrei non accetta le posizioni del Concilio». Nei giorni scorsi il rabbino Rosen — che pure si era adoperato nei mesi scorsi per chiudere l'incidente relativo alla preghiera del Venerdì Santo del Messale tridentino — aveva parlato di una Chiesa «contaminata» da affermazioni antisemite. Critico anche il presidente della comunità ebraica di Milano, Leone Soued. La decisione di togliere la scomunica ad un negazionista, anche se è stato chiarito che si tratta di sue affermazioni personali, «deve portare — sottolinea — a una profonda riflessione nei rapporti con la Chiesa, che ultimamente sono stati difficili ma devono assolutamente continuare». Mentre il rabbino Shloma Bekhor è stato più esplicito:«La Chiesa con Karol Wojtyla ha fatto passi avanti per la pacificazione con il mondo ebraico. Ora si rischia di tornare indietro».
Quanto alla Giornata di oggi, Gattegna ha aggiunto che «noi non rivendichiamo nessuna esclusiva sulla Memoria, ma lavoriamo perché essa diventi condivisa, patrimonio di tutti: il ricordo della Shoah è un contributo che gli ebrei danno al progresso dell'umanità ».
Giornata della memoria

Da pagina 2, l'intervista di Paolo Conti allo storico del Concilio Alberto Melloni: "Riassorbire i negazionisti? Così si disorienta la Chiesa":

ROMA — Ma è stato bene o male chiudere lo scisma lefebvriano e includere un negazionista come il vescovo Williamson, Alberto Melloni, storico della Chiesa? Andrea Riccardi della Comunità di Sant'Egidio dice che è stato un bene. «Io uso un altro punto di vista. E non commento le opinioni di un amico. Williamson rappresenta una punta estrema ma non si può far finta di non sapere che l'antisemitismo è non un accessorio ma una parte costitutiva del lefebvrismo. Lefebvre si battè nel Concilio Vaticano II contro l'abbandono dell'interpretazione degli ebrei come "popolo deicida" perché contraddiceva l'insegnamento dei Pontefici del passato. Impossibile non saperlo. Un conto è cercare di capire perché un Papa, per un suo particolare sentimento, antepone il nodo dello scisma ad altri, in discontinuità con i predecessori. Un conto è sostenere che non c'era alternativa. Qui c'è stata una rapidità di esecuzione che non ha calcolato le conseguenze».
Quali conseguenze, Melloni?
«Questi vescovi lefebvriani rientrano nel collegio episcopale. Ma come? È quasi nata una prelatura personale. Non è risolvere uno scisma: è patteggiare. Si rischia di procedere per aggiustamenti che aumentano il disorientamento. Nessuno desidera lo scisma né pensa si debba anteporre una banalità disciplinare alla comunione con Roma. Ma il Vaticano II è un atto col quale cattolici e non cattolici si devono misurare o è un optional da cui ciascuno può esentarsi?».
La ricomposizione non è «una grande opera di Benedetto XVI»?
«C'è una sensazione di confusione che pervade molti ambienti: fedeli, vescovi, cardinali si chiedono se il Vaticano II sia diventato un elemento facoltativo. La formula di sottomissione dei lefebvriani chiarisce che si desidera la comunione con Roma, si accettano la sottomissione al Papa e gli insegnamenti della Chiesa cattolica romana ma non includendo il Vaticano II. Quando è chiaro che la questione era tutta qui».
Si dice che ora la vicenda diventerà «oggetto di riflessione» anche organizzativa nella Chiesa.
«L'atto pubblicato si propone la grazia verso vescovi che hanno accettato un'ordinazione "valida ma illecita". Un atto di grazia è sempre possibile e auspicabile, come dimostra ciò che è avvenuto con la Chiesa della Cina Popolare. Ma poi si dice che bisognerà trovare "piena comunione con la Fraternità". Un'ennesima condizione negoziale. Mi ricorda di quando Lefebvre trattava in Vaticano, ascoltava le condizioni e usciva dicendo che la Santa Sede gli dava ragione... Non accettare il Vaticano II significa contraddire ciò che Pio IV, Pio IX e Paolo VI hanno ribadito in diverse occasioni storiche: non è possibile permanere nella Chiesa cattolica se non si accettano le decisioni adottate da un Concilio».

Intervistato da Roberto Zuccolini, lo storico Paolo Prodi sostiene l'acrobatica  tesi per la quale la riammissione dei lefebvriani, incluso il negazionista Williamson, favorirebbe la lotta all'antisemitismo. A pagina 3, "Il ritorno all' ovile può servire a battere l'antisemitismo":

ROMA — La premessa è che «tutto il processo avvenga alla luce del sole» e i lefebvriani arrivino a «riconoscere il Concilio Vaticano II». Ma, detto questo, per Paolo Prodi, professore di storia moderna a Bologna, fratello di Romano, il «ritorno all'ovile» degli ormai ex scismatici «potrebbe anche favorire la battaglia contro l'antisemitismo ». E quindi contro le teorie negazioniste dell'Olocausto, professate proprio da Williamson, uno dei vescovi «riaccolti». Ma allo stesso tempo per Prodi è arrivato il momento di chiedersi «che cosa voglia dire, ai giorni nostri, una scomunica e quali siano i suoi confini, dato che appaiono estremamente incerti».
Ha quindi ragione lo storico Andrea Riccardi quando afferma che «se la ricomposizione dell'unità andasse avanti, probabilmente avrebbe un effetto positivo, proprio riguardo ai negazionisti»?
«Il percorso verso l'unità è importante e può favorire un condizionamento delle posizioni estremiste, in questo caso di quelle antisemite. Ma deve essere vero».
Uno dei quattro vescovi lefebvriani, Richard Williamson, arriva a negare le camere a gas.
«Tutto ciò è aberrante, inaccettabile. Per questo auspico che il processo appena iniziato si sviluppi con la chiarezza dovuta davanti a tutto il popolo di Dio».
Perché sia tutto chiaro anche per il mondo ebraico?
«Penso che in questo momento si debba guardare a Giovanni Paolo II che ha chiamato gli ebrei nostri "fratelli maggiori" e agli enormi cambiamenti avvenuti negli ultimi cinquant'anni nei rapporti tra Chiesa ed ebraismo».
Frutto della svolta impressa dal Vaticano II, il Concilio che determinò lo scisma lefebvriano.
«Infatti. I lefebvriani dovranno dichiarare la loro adesione al Vaticano II. È fondamentale che il loro cambiamento nei confronti degli ebrei sia reale. Passando per la condanna di ogni tesi negazionista, ma non limitandosi a questo: dovranno anche loro un giorno considerarli come "fratelli maggiori". Resta però un interrogativo sulle censure operate dalla Chiesa ».
Intende dire sulla scomunica?
«Occorre chiedersi che cosa voglia dire oggi in una società ben diversa da quella medievale. Il problema è che i suoi confini appaiono incerti e le procedure poco chiare. Bisogna inoltre evitare che venga trattata come fosse una vicenda politica. Occorre fare emergere invece la sua vera natura che è prettamente ecclesiale. Anche per eliminare tutti gli aspetti che oggi appaiono problematici».

Chiarezza morale nell'editoriale di Pierluigi Battista, in prima pagina e a pagina 38 del CORRIERE della SERA : "L'Intollerabile"

 ll negazionismo sulla Shoah non è un'opinione personale, la carta d'identità di una congrega minoritaria di lunatici che giocano con la frequentazione provocatoria del Male. Non è neanche più, a differenza dei decenni scorsi, una fandonia che rivendica il rango di controstoria, un vaniloquio travestito da disputa storiografica che ambisce alla riscrittura del passato. Il negazionismo è oramai diventato una poderosa macchina simbolica e ideologica che, contestando lo sterminio degli ebrei di ieri, mette violentemente in discussione il diritto alla sopravvivenza degli ebrei di oggi. Vuole cancellare l'immane debito del passato per destituire di ogni credito l'identità ebraica del presente. Vuole togliere agli ebrei lo statuto di vittime per consegnarli interamente al ruolo di carnefici.
Non si comprende l'ossessione negazionista di Ahmadinejad se sfugge la logica che connette la cancellazione dell'Olocausto al progetto di annichilire la presenza degli ebrei e di Israele che è la loro casa: il bisogno di riunire a Teheran l'internazionale degli antisemiti per mettere sotto processo la veridicità della Shoah si giustificava con la necessità di spogliare di ogni legittimità le pretese degli ebrei di oggi. Ricollocato e rivitalizzato negli schemi di una jihad globale che vuole ripulire il mondo dall'«impurità » ebraica, il negazionismo vecchio stampo riacquista un significato e un'eco sconosciuti nell'infetto recinto neonazista in cui era confinato. Nel percorso di Roger Garaudy, ex comunista eretico passato nello stato maggiore dei negazionisti d'Occidente e infine convertitosi all'Islam, si condensa il senso di questa trasformazione, l'approdo di un pregiudizio ideologico che infine trova il suo compimento in una dichiarazione di guerra: contro gli ebrei, il progetto di annientamento cominciato con la Shoah non è ancora finito. Anzi, può conoscere un nuovo inizio con la distruzione dello Stato di Israele.
E' in questa tragica guerra non conclusa che gli ebrei, proprio quando si celebra il Giorno della Memoria, apprendono sgomenti che un negazionista dichiarato come il lefebvriano Richard Williamson («neppure un ebreo è stato ucciso nelle camere a gas») possa diventare, per effetto della revoca della scomunica ai seguaci dello scismatico Marcel Lefebvre decisa da Benedetto XVI, un «vescovo » della Chiesa cattolica di Roma. Conforta certo sapere che nel mondo cattolico le parole di Williamson siano considerate «aberranti» e del resto lo stesso direttore dell'«Osservatore Romano» Giovanni Maria Vian ha sostenuto che «ogni affermazione negazionista è un insulto alla memoria del martirio del popolo ebraico». Ma il negazionismo, appunto, non è un'opinione privata o un terreno su cui possa esercitarsi un legittimo diritto di espressione a proposito di una controversa pagina della storia. Non è un affare interno alla Chiesa (lo è invece la decisione di riaccogliere i lefebvriani), ma una prova di tolleranza verso l'intollerabile. E le comunità ebraiche, saggiamente, non entrano nel merito delle scelte dottrinarie della Chiesa: chiedono solo che il negazionista Williamson non sia più «vescovo». Solo questo, ma niente di meno.
Sbaglierebbero i cattolici a considerare la reazione ebraica come una patologica manifestazione di «ipersensibilità». Non è «ipersensibilità»: è la normale sensibilità di chi, a ragione, si sente ancora mortalmente minacciato. E mentre Bin Laden chiama alla guerra santa contro i «crociati» cristiani e gli «ebrei», l'ebraismo di Israele e della diaspora chiede concordemente il sostegno e l'appoggio della cristianità. Non è per «ipersensibilità» che sono state accolte con incredulo sbalordimento le dichiarazioni con cui il cardinal Martino ha paragonato Gaza a un «campo di concentramento», come se davvero nei campi della morte di Auschwitz ci fosse qualcosa di lontanamente simile alla guerra dei razzi scatenata da Hamas contro i civili delle città di Israele. È lo stesso, micidiale cortocircuito che ha sciaguratamente indotto il governo della Catalogna a ridimensionare le celebrazioni del Giorno della Memoria per protesta contro l'intervento militare di Israele. E' il silenzio assoluto della cultura europea di fronte a grottesche manifestazioni come quelle della civilissima Amsterdam in cui, presenti due deputati socialisti, è echeggiato il lugubre slogan «viva Hamas, gli ebrei nelle camere a gas». Gli Stati dell'Occidente pensano di tacitare la loro coscienza con la retorica ufficiale dei riti della memoria o con leggi censorie ad hoc che dovrebbero mettere la museruola ai nazi-negazionisti. Più che il bavaglio (sempre ingiusto e sempre a rischio di derive illiberali) conviene piuttosto ricordare l'impresa di Pierre Vidal-Naquet, che con il suo Gli assassini della memoria (ora riproposto in una bellissima edizione da Viella) mise stoicamente a freno il suo furore di figlio di deportati nei campi di sterminio e impartì una memorabile lezione agli «Eichmann di carta», mostrando la nullità dei loro pseudoargomenti, demolendo una a una le bugie diffuse nelle loro pubblicazioni, sbriciolando con paziente tenacia ogni parvenza di scientificità in testi («la menzogna di Auschwitz») impregnati di pregiudizi maniacali e di incontenibile odio antisemita.
Contro la guerra di sterminio antiebraico caldeggiata da Ahmadinejad l'esempio eroico di Vidal-Naquet potrebbe consigliare una guerra culturale difficilissima, ma appassionante. Potrebbero (dovrebbero?) prendervi parte gli intellettuali dell'Occidente che versano lacrime di commozione assistendo a «Schindler's List», ma restano glaciali e imperturbabili se a Israele viene negato lo stesso diritto all'esistenza attraverso l'infamia dell'invocazione esplicita di un nuovo Olocausto. Non dovrebbe disertare nemmeno la Chiesa cattolica, che pure conosce il dramma della persecuzione patita dove comanda il fondamentalismo islamista, a cui si chiede di non consentire che la malattia del negazionismo possa allignare tra i suoi vescovi, nemmeno come «opinione» personale o privata manifestazione di eccentrica aberrazione. Perché una sciagurata distrazione non diventi, per riprendere le parole di Vian, un terribile «insulto» al popolo ebraico.

Sul FOGLIO le analisi su tradizionalismo cattolico e antisemitismo di Gad Lerner, Massimo Introvigne e Roberto De Mattei.
Quest'ultimo arriva a dichiarare che l'antigiudaismo cattolico non è mai esistito.

"I cattotradizionalisti", pagina 1


Milano. I tradizionalisti lefebvriani sono antisemiti, Benedetto XVI revoca la scomunica ai tradizionalisti lefebvriani, Benedetto XVI avalla l’antisemitismo. Un sillogismo troppo rozzo per poter reggere a una seria disamina. Ma allo stesso tempo l’esistenza nella chiesa cattolica, e in posizione per nulla scismatica, di correnti di pensiero critiche con le innovazioni del Vaticano II – tra i cui documenti storicamente più rilevanti figura la “Nostra Aetate” in cui si riconosce “il patrimonio spirituale comune a cristiani e a ebrei” – fa porre la domanda se la chiesa abbia davvero rigettato e rinnegato in toto la sua controversa tradizione antigiudaica, o se tracce di quegli atteggiamenti permangano. E, ancor più, se siano rintracciabili nelle posizioni dell’attuale pontefice. Sono i dubbi, anzi molto più che dubbi, che Gad Lerner dolorosamente fa suoi, accantonando come “un errore politico” la faccenda del vescovo negazionista Williamson: “Il punto su cui rifletto è che quell’errore nasce da un’inadempienza teologica della chiesa, molto più grave delle presunte manovre congiunte di ebrei e cattolici progressisti per screditare Benedetto XVI”, spiega al Foglio Lerner. “E’ vero che il Concilio ‘prese le distanze’ dalla ‘teologia della sostituzione’, ma ciò in realtà ha lasciato un grande vuoto teologico che non è stato riempito: la chiesa non ha ancora riconosciuto, motivato, ricompreso il mistero dell’ebraismo, della sua persistenza nella storia”. Ed è questo al fondo, molto più che le questioni politico-diplomatiche, “ad aver causato anche l’incomprensione della chiesa per la nascita di Èretz Israèl: la chiesa dovrebbe rispondere teologicamente a quella domanda, ricomprendere il senso della persistenza del popolo ebraico, questo l’aiuterebbe a comprendere che la nascita di Israele ha in sé anche un aspetto provvidenziale, anche per i cristiani”. Lerner ricorda le parole di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Magonza, quando disse che l’alleanza tra Dio e il popolo ebreo è ancora “pienamente valida”; Wojtyla lo disse del resto altre volte, ad esempio l’11 settembre 1987 a Miami, alle organizzazioni culturali ebraiche, parlando di “un’alleanza d’amore che non è mai stata revocata”. Invece, per Lerner, “Benedetto XVI non ha potuto trasformare quel giudizio in una questione teologicamente definita, nel 2000 la ‘Dominus Jesus’ è stata una doccia fredda, un passo indietro che ha impedito quel passaggio teologico”.Paradossalmente, per Lerner, il riconoscimento del significato spirituale di Israele finisce per essere maggiore in certe correnti dell’evangelismo protestante, in modo però strumentale, mentre la chiesa cattolica rischia di tornare su posizioni in cui l’antico antigiudaismo torna a emergere. Per Massimo Introvigne, studioso di fenomeni religiosi ed esponenti di spicco di un’organizzazione “tradizionalista” come Allenza cattolica, le cose non stanno invece così: “L’antisemitismo di un monsignor Williamson è in realtà minoritario anche all’interno della comunità lefebvriana di San Pio X. Nello stesso Lefevbre questo aspetto è probabilmente riconducibile al suo antico rapporto con Vichy, o l’Action française, ma non è riscontrabile nelle nuove generazioni dei sacerdoti lefevbriani, né in gran parte del movimento cosiddetto tradizionalista”. E’ una realtà, spiega Introvigne, che oggi conta nel mondo circa centomila fedeli, assai frastagliata, “in cui, anzi, in molti gruppi soprattutto statunitensi, ma anche europei, è presente un forte atteggiamento filoisraeliano e filoamericano. Il contrario dell’antisemitismo”. Nel movimento tradizionalista, dice Introvigne, l’aspetto più forte è oggi un’attenzione alla liturgia, di cui il ritorno alla messa in latino è un aspetto importante, “ed è a questo che Benedetto XVI ha mostrato attenzione, non certo all’antigiudaismo. Del resto, bisogna ricordare che il grande ed epocale lavoro per smantellare la teologia della sostituzione non è nemmeno un frutto del Concilio, che non affrontò direttamente il tema, ma proprio del cardinale Ratzinger: come si può ignorare che le prese di posizione di Giovanni Paolo II sugli ebrei furono pronunciate proprio sulla scorta del lavoro teologico di Ratzinger? Bisogna dare a Pietro quel che è di Pietro”. Ancora più a fondo si spinge il professor Roberto De Mattei, presidente dell’Associazione Lepanto: “Mi sembra si stia usando l’argomento di un inesistente antigiudaismo della chiesa per attaccare in realtà l’apertura di Benedetto XVI al movimento tradizionale, per decenni demonizzato dai progressisti cattolici e laici”, dice. “Inoltre va distinto l’antisemitismo, che è una corrente estranea alla chiesa, da quello che è stato definito antigiudaismo cattolico. L’antisemitismo oggi coincide con l’antisionimo ed è patrimonio di certa sinistra e dell’islamismo radicale. E non si possono certo accusare la chiesa di Benedetto XVI o i tradizionalisti di averci a che fare. Quanto all’antigiudaismo, se lo distinguiamo correttamente dai comportamenti individuali, mi pare che non sia stato ‘superato’ dal Concilio, ma che non sia mai esistito. A meno di considerare ‘antigiudaico’ il desiderio che ha per la conversione di tutti gli uomini”.

Reazioni vaticane e dei movimenti sedevacantisi "a destra di Lefebvre", a pagina 1 e 4: "Vaticano e Cei a difesa del Ratzinger conciliante con i vescovi lefebvriani":

Roma. Il cardinale Bagnasco ha aperto il consiglio permanente della Cei difendendo la decisione del Papa di riabilitare i lefebvriani e definendo “infondate e immotivate” le frasi di uno dei vescovi lefebvriani sulla Shoah. E per rispondere alle “paure diffuse” innescate dalla revoca della scomunica ai quattro vescovi ordinati da Lefebvre nell’88 (di cui uno dichiaratamente negazionista), gesto che ha aperto uno scisma nella chiesa, l’Osservatore Romano pubblica in prima pagina una nota siglata dal vicedirettore Carlo Di Cicco. Secondo il giornale della Santa Sede, in questi giorni “è andato in scena un copione sbagliato” che ha trasformato “un gesto di riconciliazione” in un “caso mediatico”. “Con tempismo frettoloso si è addossata a Benedetto XVI la colpa non solo di resa a posizioni anticonciliari, ma perfino, se non la connivenza, almeno l’imprudenza di sostenere tesi negazioniste sulla Shoah”, alla stregua del vescovo lefebvriano Williamson. Errori di valutazione che, secondo il giornale vaticano, ignorano il curriculum conciliare di Joseph Ratzinger e comunque danno per conclusa “una vicenda dolorosa come lo scisma lefebvriano” che concluso non è. Anzi, ribaltando il discorso Di Cicco – ratzingeriano di sinistra non certo simpatizzante dei tradizionalisti – invita a leggere il decreto come “un magnanimo gesto di misericordia ispirato al nuovo stile di chiesa voluto dal Concilio che preferisce la medicina della misericordia alla condanna”. Insomma, è “offensivo pensare che Benedetto XVI possa svendere anche in parte il concilio a chicchessia. Come è retorico il ricorrente chiedersi di alcuni se il Papa sia davvero convinto del cammino ecumenico e del dialogo con gli ebrei”. Il fatto che l’Osservatore noti come le domande siano ricorrenti e specifiche suggerisce però che dietro il “caso mediatico” c’è una sostanza che non può essere elusa. Tant’è che nelle pagine interne il giornale vaticano dà ampio rilievo al Giorno della Memoria che si celebra oggi Oggi parleranno di Olocausto Anna Foa a Giulia Galeotti, dalla “bambina che non volle uccidere il comandante di Auschwitz” al ricordo di un incontro con Primo Levi. Il contrario di ogni riduzionismo o negazionismo. Ribadito che “la revoca della scomunica non è ancora la piena comunione”, l’Osservatore ricorda che “il percorso di riconciliazione con i tradizionalisti è una scelta collegiale e già nota della chiesa di Roma e non un gesto repentino di Benedetto XVI”. Il problema è che nel termine tradizionalisti si riassume una galassia di movimenti e di sigle in perenne mutamento, a dispetto della ragione sociale comune. Accanto ai più noti lefebvriani della Fraternità di San Pio X ci sono i sedevacantisti, che non riconoscono l’autorità dei Papi del postconcilio, e i tradizionalisti liturgici di Una Vox fedeli a Roma e altri gruppi più piccoli, in totale poche migliaia di persone in Italia. E se l’antisemitismo negazionista è una patologia relativamente facile da isolare, l’antisemitismo non negazionista è qualcosa di più ramificato e complesso: a volte si limita a essere un antigiudaismo culturale e teologico, a volte è un’opzione politica precisa come nel caso di Militia Christi che oggi organizza una conferenza per “ricordare le vittime ebree e per fermare il carnefice sionista”, con la foto della locandina che accosta Auschwitz e Gaza. Perché l’ostilità all’Israele biblico e/o storico accomuna numerose associazioni (ultra)tradizionaliste in Italia e all’estero e funziona da catalizzatore. Giovedì scorso, appena diffusa la notizia del decreto di revoca, don Francesco Ricossa, contattato dal Foglio era compiaciuto per la “resa diplomatica” dei lefebvriani, da cui lo stesso Ricossa si era staccato nell’85 per fondare un movimento sedevacantista, l’Istituto Mater Boni Consilii di Verrua Savoia (Torino). “La fraternità di San Pio X ha ceduto – diceva Ricossa – ma se sono arrivati a questo punto è perché il Papa ha avuto delle garanzie. E’ un compromesso. Ma come faranno per i punti di dissidio dottrinale? E poi il decreto arriva durante la settimana dell’unità dei cristiani: lefebvriani, neocatecumenali e luterani, tutti insieme”. Ricontattato ieri, don Ricossa non aveva più voglia di parlare, risentito per la polemica sull’antisemitismo. Forse non è un caso che nella sua predica dell’altroieri (ascoltabile all’indirizzo cattolicesimo.eu) commentando san Paolo annunciava l’inferno per il giudaismo “come religione e società” in quanto “riprovato da Dio”, secondo la tradizionale teologia della sostituzione. Ragionamenti raffinatissimi rispetto alla poltiglia propagandistica di holywar.org, sito web già oscurato per istigazione all’odio razziale. Resta il fatto che fu proprio Marcel Lefebvre a intervenire al Concilio per difendere l’espressione “deicidio” riferita a Israele.

Dalla REPUBBLICA del 27 gennaio 2009 "Il Concilio cancellato", dello storico Adriano Prosperi, in pirima pagina

Domenica scorsa ricorrevano cinquant´anni esatti dall´annuncio del futuro concilio dato da papa Roncalli in una celebre allocuzione. È stata una ricorrenza importante.
Come l´abbia celebrata il mondo vaticano risulta dalla prima pagina dell´Osservatore Romano, appunto di domenica. Il commento del suo direttore aveva questo titolo: «Il Vaticano II e il gesto di pace del Papa». Nel breve spazio di una smilza colonnina erano messi insieme il ricordo dell´annuncio di cinquant´anni fa e il «gesto di pace» con cui il papa regnante ha cancellato la scomunica del plotoncino dei vescovi ordinati da monsignor Lefebvre. Dopo avere legato insieme le due cose l´articolo si concludeva così: «A mezzo secolo dall´annuncio, il Vaticano II è vivo nella Chiesa». Singolare affermazione, visto che la ragione della scomunica «latae sententiae» fulminata nel 1988 da papa Giovanni Paolo II era stato il rifiuto di quei vescovi di accettare il Concilio. E non sembra che i seguaci di monsignor Lefebvre abbiano cambiato idea al riguardo.
Dunque chi ha cambiato idea è il Vaticano. Quel che se ne ricava è una semplice constatazione: non accettare il Concilio non costituisce una frattura con la Chiesa. Buono a sapersi per tanti cattolici: c´è ancora fra di loro qualcuno che non accetta il dogma dell´infallibilità papale stabilito dal Concilio Vaticano I? Bene, potrà prendere argomento da questa storia per mantenere le sue riserve, per fare per così dire «obiezione di coscienza», quella che secondo il vescovo Poletto dovrebbero fare i medici negli ospedali pubblici italiani per disobbedire alla sentenza della Cassazione sul caso Englaro.
Adesso possiamo mettere in serie tutti gli atti che hanno preparato questa scelta. Sono stati molti. E qui potremmo anche lasciare ai cattolici di tutto il mondo il compito di fare i conti con le svolte ad angolo acuto che il supremo timoniere imprime alla navicella di San Pietro. Ma non ce lo possiamo permettere. E non solo perché il modo in cui la Chiesa cattolica volta le spalle all´eredità del Concilio Vaticano II comporta conseguenze pesanti per i valori della tolleranza e per il rispetto dei diritti di libertà. In questa decisione di abbracciare come fratelli quei quattro vescovi c´è qualcosa che iscrive d´ufficio le autorità della Chiesa cattolica tra coloro che Pierre Vidal-Naquet ha definito «gli assassini della memoria». Lo capiremo meglio se si terrà conto della singolare coincidenza tra questa decisione papale e la doppia ricorrenza non solo del cinquantenario del Concilio Vaticano II ma anche dell´appuntamento annuale del «giorno della memoria». È proprio la memoria della Shoah che subisce un´offesa diretta e frontale da questa decisione di papa Ratzinger. Non è certo un caso se proprio un vescovo di quel gruppetto di lefebvriani, monsignor Richard Williamson, ha scelto questa ricorrenza annuale per fare pubblica professione di negazionismo. Come abbiamo letto sui giornali nei giorni scorsi, il vescovo ha dichiarato al canale televisivo svedese Svt1 che secondo lui «le camere a gas non sono mai esistite». Il monsignore si è addentrato con passione in calcoli precisi ai quali aveva evidentemente dedicato molto tempo: ha parlato di altezza e forma dei forni crematori dei lager e ha sostenuto che gli ebrei uccisi sarebbero stati non sei milioni ma «solo» due o trecentomila. Ma il suo non è un deprecabile caso privato, come vorrebbe far credere l´ineffabile direttore dell´Osservatore Romano. Monsignor Williamson non è un negazionista occasionale. Lui e i suoi compagni di ventura – lo svizzero Bernard Fellay, il francese Bernard Tissier de Maillerais e lo spagnolo Alfonso de Galarreta – seguirono monsignor Lefebvre sulla via del rifiuto del Concilio per ragioni che hanno a che fare proprio con la questione del giudizio della Chiesa cattolica sugli ebrei. Per questi uomini e per la piccola chiesa che hanno guidato finora Papa Giovanni XXIII era un infiltrato di una congiura giudaica, il suo concilio era il prodotto di un complotto contro la vera Chiesa, quella di San Pio V, quella della guerra senza quartiere agli eretici e agli ebrei. Forse non tutti sanno che le ragioni della scissione di monsignor Lefebvre hanno un rapporto molto preciso con lo sterminio degli ebrei. Ciò che spinse il prelato francese a ribellarsi alla Chiesa fu la dichiarazione sulla libertà religiosa e l´apertura verso l´ebraismo. Cercheremmo invano la sua firma sotto la «Nostra aetate», il documento fondamentale sulle relazioni tra la Chiesa cattolica e le altre religioni: un documento che si apriva con queste parole: «Nel nostro tempo in cui il genere umano si unifica di giorno in giorno più strettamente e cresce l´interdipendenza tra i vari popoli, la Chiesa esamina con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni non-cristiane». E proseguiva con giudizi positivi sulla religione mussulmana e soprattutto su quella ebraica, voltando le spalle a secoli di aggressioni contro gli ebrei e affermando solennemente che «gli Ebrei non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura».
Quei documenti sono diventati sempre più desueti negli ultimi anni grazie a una serie continua di atti papali e di decisioni della Congregazione per la Dottrina della Fede. E la marcia di avvicinamento alle posizioni del nucleo dei lefebvriani si era resa evidente in molte scelte simboliche oltre che nell´impulso dato a quella Congregazione, dove si è rinverdita la radice antica dell´Inquisizione. Ma il direttore dell´Osservatore Romano si sbaglia se crede di potersela cavare con quelle parolette finali: secondo lui la bontà della scelta fatta «non sarà offuscata da inaccettabili opinioni negazioniste e atteggiamenti verso l´ebraismo di alcuni». E invece lo sarà, anzi lo è già, irrimediabilmente. Quella che è stata offuscata dalla decisione papale è l´immagine della Chiesa cattolica nella coscienza civile del mondo intero.

L'intervista di Umberto De Giovannangeli al rabbino David Rosen "Il Vaticano mina la riconciliazione tra la Chiesa e gli ebrei", dall'UNITA' a pagina 5:

Un colpo durissimo al dialogo interreligioso. Con la revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani, tra i quali il vescovo negazionista Richard Williamson, il Vaticano «mette seriamente a repentaglio il futuro della storica riconciliazione tra la Chiesa cattolica e il popolo ebraico». Asostenerlo èuna delle figure più autorevoli dell’ebraismo mondiale: il rabbino DavidRosen, presidente dell’International Jewish Committee for Inter-religious Consultations (Ijcic) e direttore internazionale per gli affari religiosi dell’American Jewish Committee (Ajc). Il rabbino Rosen è attivamente coinvolto nel dialogo tra l’Ebraismo e la Chiesa cattolica. RabbinoRosen,comevaluta ladecisionedella Santa Sede di riammettere nel suo seno il vescovo «negazionista» lefebvriano RichardWilliamson? «Èunascelta chemi addoloraprofondamente e m’inquieta. Riammettere al proprio interno una persona chiaramente antisemita qual è Williamson, è un passo che contamina l’intera Chiesa cattolica». Cosac’è,asuoavviso,dietroquestadecisione che ha scatenato la protesta della Diaspora ebraica? «Non serve fare dietrologia. Il meno che si possa dire è che vi è stata una superficialità che mostra gravi lacunenel funzionamento interno del Vaticano. Ma più che fare esercizi dietrologici, ritengo che sia importante sottolineare che la revoca della scomunica al vescovo Williamson non è soltanto una ferita per il popolo ebraico, è molto di più...». Cos’ altro è, rabbino Rosen? «Accettare una persona (Williamson) chiaramente antisemita è farsi gioco di Giovanni XXIII, di Giovanni Paolo II e di tutti i papi che hanno agito per rafforzare il dialogo tra le religioni. È un inquietante ritorno al passato, a prima del Concilio Vaticano II». Nel dialogo tra la Chiesa cattolica e l’Ebraismo,unruolomoltoimportante lo ha svolto Giovanni Paolo II. «È così. Ricordo il viaggio di Papa Wojtyla a Gerusalemme (maggio 2000, ndr.). Ricordo ancora con emozione le sue parole allo Yad Vashem, il suo raccoglimento al Murodel Pianto...Fuun viaggio ricco di contenuti e di una non meno importante valenza simbolica. KarolWojtyla seppe parlare al cuore e allamentedi ogni ebreo, di ogni cittadino d’Israele. Ha definito l’antisemitismo un peccato contro Dio. La negazione della traboccante documentazione della Shoah è antisemitismo nel modo più sfacciato. Nell’accogliereun negazionista nella Chiesa cattolica senza alcuna ritrattazione da parte sua, il Vaticano si è fatto beffa del ripudio e della condanna commovente e determinata dell’antisemitismo fatta da Giovanni Paolo II...». La Santa Sede ha assicurato di restare fedele alla «Nostra Aetate»... «Non conta ciò che il Vaticano dice, conta ciò che il Vaticano fa. E fino a quando la Santa Sede non esigerà unaritrattazione (delle dichiarazioni negazioniste del vescovo Williamson) è l’intera Chiesa che è contaminata. Alla base della scomunica dei vescovi lefebvriani vi è l’opposizione alle riforme del Concilio Vaticano II sutemicomel’ecumenismo, il rapporto con gli ebrei, le relazionicon i musulmani.Nonmi pare che i lefebvriani abbiano rivisto le loro posizioni. Per costoro, il popolo ebraico era e resta il popolo deicida». Insisto. Di fronte alle polemiche la Santa Sede ha affermato che la revoca della scomunica è una questione interna alla Chiesa... «Lo è, una questione interna alla Chiesa fino a quando resta fedele e conseguente a Nostra Aetate. Ma se diventa un abbraccio a chi nega la Shoah è molto grave. Da uomo impegnato nel dialogo spero che il Vaticano affronterà con urgenza questa materia. Attendo un segnale. Stenta a manifestarsi, e ciò accresce la nostra preoccupazione».


Difese a oltranza della decisione vaticana sul GIORNALE (pagina 28, L'Olocausto non c'entra Il Pontefice vuole sanare uno scisma", di Gianni Baget Bozzo) e su LIBERO (pagina 1 e 18 "Gli ebrei, il vescovo negazionista e quelli che danno lezioni al Papa")

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