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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera - L'Opinione Rassegna Stampa
14.01.2009 Un antisraeliano a Roma
commenti alle ultime dichiarazioni di Massimo D'Alema

Testata:Corriere della Sera - L'Opinione
Autore: Pierluigi Battista - Dimitri Buffa
Titolo: «Baruffe nostrane - Non solo D’Alema, c’è anche Celentano contro Israele»

Dalla prima pagina del CORRIERE della SERA del 14 gennaio 2009, l'editoriale  di Pierluigi Battista "Baruffe nostrane":

Ma è possibile svilire una crisi internazionale nelle beghe della provincia italiana? È possibile rimpicciolire la tragedia umanitaria di Gaza alle baruffe politiche italiane, alle rese dei conti nel cortile di casa, alle rivalità che fioriscono all'ombra delle nostre redazioni e negli angoli dei palazzi romani?
Se questo accade, come accade, è un vero peccato. Peccato perché è difficile trovare la strada giusta in un conflitto dove le ragioni e i torti non sono purtroppo concetti astratti e disincarnati. In una guerra che travolge fatalmente ogni confine tra la dimensione militare e l'esistenza di centinaia di migliaia di civili, tra l'incubo dei razzi Qassam che Hamas lancia sulle città di Israele e il terrore che attanaglia la gente di Gaza in balia dei soldati israeliani. Ci si accosta a quella guerra con timore e senza iattanza. Lo sappiamo al «Corriere», dove la comprensione per le ragioni di Israele non ha messo a tacere le voci critiche nei confronti del governo israeliano, da Amos Oz a Saeb Erekat, uno dei principali negoziatori palestinesi, allo scrittore franco-algerino Yasmina Khadra.
È sorprendente, perciò, che per spirito di baruffa polemica, il «manifesto» faccia nomi e cognomi di una pattuglia di editorialisti «pasdaran », deprecati come soldati della penna «allineati e coperti » sulla linea degli «aggressori » israeliani. Una legittima critica politica, beninteso, che tuttavia, visto il contesto, dovrebbe pur porre ai colleghi del «manifesto » il problema di interpretazioni, per così dire, molto più «radicali» e sbrigative. Come è sintomo di un'incoercibile inclinazione alla rissa la reiterata attitudine del Massimo D'Alema di questi giorni ad accompagnare le sue pur interessanti analisi con battute rancorose sulla «rozzezza propagandistica di certi editorialisti nostrani » e sulla «tv italiana che è di fatto un bollettino israeliano ». Giudizi sommari, pronunciati con una verve bellicosa in singolare contrasto con la compostezza che, su diversi fronti, stanno conservando il ministro Frattini e tutti, ma proprio tutti gli altri esponenti di spicco del Partito democratico. Parole, queste sì, dall'inconfondibile sapore «nostrano»: mentre il mondo discute del pericolo iraniano o della posizione del presidente eletto Obama, noi invece veniamo investiti da una piccola polemica casalinga, come se il dramma mediorientale si confacesse ai toni adoperati nelle guerricciole che dilaniano il Pd campano.
Rifiutando la rissa, e riflettendo sul D'Alema che equipara l'intervento in Israele a Gaza a una sproporzionata «spedizione punitiva», sarà invece il caso di fare attenzione ai conteggi (s)garbati di Andrea Marcenaro che sul «Foglio», commentando le osservazioni dalemiane secondo cui «non si può definire guerra un conflitto in cui muoiono 900 persone da una parte e 10 dall'altra», ricorda gli oltre 500 civili periti nelle scuole, negli ospedali, nelle ambasciate, negli autobus, nelle redazioni tv, nei treni, nelle carceri durante i «78 giorni di bombardamenti Nato» sulla Serbia e sul Kosovo nella guerra del '99 notoriamente condivisa dallo stesso D'Alema: 500 vittime contro zero. Per meditare sugli orrori e gli squilibri di ogni guerra, anche di quella più «giusta», e per non disperdersi, attratti dalle ossessioni del cortile, in piccole diatribe «nostrane». Meno cruente, per fortuna.

Da L'OPINIONE, il commento di Dimitri Buffa:

Non sarà, forse, un socio di Hamas come dice lui con quell’ironia che non fa ridere quasi nessuno se non i suoi adulatori più interessati, ma un “anti-israeliano a Roma”, per parafrasare la nota pellicola di Steno con Alberto Sordi come indimenticabile protagonista, quello certamente sì. Ieri infatti è stata decisamente la giornata delle dichiarazioni più assurde sullo Stato di Israele mai pronunciate da Massimo D’Alema da qualche anno a questa parte. Di buon mattino il direttore di Radio Radicale Massimo Bordin quasi trasaliva nel leggere l’intervista del direttore de “Il Riformista” Antonio Polito al “leader Maximo” del Pd nel punto in cui parlava “non di guerra ma di spedizione punitiva di Israele” per rappresentare la crisi in atto a Gaza. Passano poche ore e “Baffino” è ospite dell’Associazione della stampa estera. Qui si scatena con dichiarazioni di questo tipo: “In Italia è tabù parlare male di Israele” e “Rimpiango la politica estera di Craxi e Andreotti”. La sera nuovo convegno a via del Seminario, insieme a Fassino, Veltroni, Sergio Romano, Lucio Caracciolo, l’ambasciatore israeliano in Italia Gideon Meir e il rappresentante palestinese in Italia Sabri Ateyeh. Titolo? “Non rassegnarsi alla guerra, costruire la pace in Medio Oriente”. Sostanza? Tutti contro uno, l’ambasciatore israeliano.

Viene da chiedersi, a tutti i disorientati sostenitori di una possibile amicizia tra il Pd e gli ebrei israeliani e non, quale sia la linea del partito. Quella di Fassino? Quella di Furio Colombo? Il buonismo di Veltroni? O quella spudoratamente filo-araba di D’Alema?

Almeno a destra una cosa è chiara (con qualche eccezione, come Ida Magli, Franco Cardini, Pietrangelo Buttafuoco e Marcello Veneziani): tutti ma proprio tutti sono dalla parte dello Stato ebraico e della lotta al terroirsmo islamico. Ma nel Pd uno di chi si dovrebbe fidare? Intanto sempre ieri si è saputo che dall’inizio delle ostilità a Gaza, cioè poco più di due settimane, in Francia si sono registrati ben 55 episodi di aggressioni antisemite. A riferirlo è stato Raphael Hadad, presidente dell’Unione francese degli studenti ebraici, secondo cui la situazione di queste settimane “è molto più seria di quanto non lo fosse nei giorni della Seconda Intifadah”. Last but not least c’è una nuova recluta tra i predicatori di pace a proposito di Gaza: Adriano Celentano. Il quale dalle colonne del “Corriere della Sera” ci porge un sermone: “una riflessione di Adriano sul sabato sera italiano mentre a Gaza è l’inferno”. Celentano rifà a modo suo la storia della nascita dello sttao di Israele.

Così: “Un insediamento che pur se ottenuto con la violenza ha avuto, a torto o ragione, il riconoscimento di tutte le nazioni per l’immane tragedia subita dai nazisti durante l’Olocausto”. Il riconoscimento internazionale di Israele, per Celentano, è dunque stato “un gesto probabilmente dovuto agli ebrei, che così tanto han sofferto e non avevano un posto dove stare”. Però per favorire i ricchi ebrei, così finisce la predica, ci si è dimenticati dei poveri palestinesi. Certo lui si è sempre definito “il re degli ignoranti”, e quindi forse non sa che i ricchi sceicchi giordani e palestinesi già dai primi del ‘900 avevano ceduto quelle terre apparentemente desertiche agli ebrei. Certo lui non saprà della militanza nazista dei palestinesi durante l’ultimo conflitto mondiale. Ma l’informazione italiana, stretta tra Celentano, D’Alema, Sergio Romano e Lucio Caracciolo, non rende un bel servigio alla causa della verità storica sul conflitto mediorientale.

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