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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Foglio-La Repubblica Rassegna Stampa
20.12.2008 Vaticano-Ebrei, l'ultimo scritto di Giovanni XXIII
con l'opinione di Giorgio Israel,Rav Di Segni, Rav Arbib

Testata:Il Foglio-La Repubblica
Autore: Giulio Meotti-Orazio La Rocca
Titolo: «Le difficoltà ebraiche con il Papa della Dominus Jesus, parlano i rabbini»

Sulle polemiche nate dopo il mantenimento dell'intenzione del Vaticano di procedere nel processo di beatificazione di Pio XII, escono oggi, 20/12/2008, due articoli. Il primo, una intervista di Giulio Meotti a Giorgio Israel sul FOGLIO a pag.2, nel quale riporta anche le opinioni di Rav Di Segni e rav Arbib. Il secondo, su REPUBBLICA a pag. 47, un articolo di Orazio La Rocca, che rievoca l'ultimo scritto di Papa Roncalli prima della morte. Un testo che alcune autorità vaticane dovrebbero leggere e meditare prima di esaltare il comportamento della chiesa cattolica nei confronti degli ebrei dopo duemila anni di persecuzioni.  Ecco il primo:

IL FOGLIO - Giulio Meotti: " Le difficoltà ebraiche con il Papa della Dominus Jesus, parlano i rabbini "

Roma. E’ sulla preghiera del venerdì santo e sulla causa di beatificazione di Pio XII che nelle scorse settimane si è innescato un moto di inimicizia fra la chiesa cattolica e il mondo ebraico. Ne parliamo con due fra i maggiori rabbini italiani e con il saggista Giorgio Israel, che sul Corriere della sera assieme a Guido Guastalla ha criticato la decisione del rabbinato di sospendere la giornata del dialogo. “L’importante è che si discuta”, ci dice il rabbino di Roma, Riccardo Di Segni. “E’ un rapporto che ha difficoltà oggettive legate alla storia e alla teologia cattoliche. E che emergono nei momenti di crisi. Karol Wojtyla era cerimoniale e spettacolare, Joseph Ratzinger ha un altro modo di comunicare. Questo Papa ha spinto per un miglioramento dell’atteggiamento della chiesa verso la questione della sicurezza dello stato d’Israele. Benedetto XVI è però convinto che gli ebrei, come depositari della prima alleanza, debbano sempre arrivare alla verità salvifica del cristianesimo, fino all’eskaton, la fine del mondo. E’ il pensiero del Papa della ‘Dominus Jesus’. Il problema è come conciliare questa affermazione di supremazia con la comunicazione con il mondo. E se la prima esigenza diventa centrale, non resta altro spazio”. Di Segni rintraccia un problema latente nel silenzio del cristianesimo sullo sterminio degli ebrei. “Esiste una grande sensibilità del mondo cattolico per i diritti umani e la chiesa di oggi non è quella di un tempo. Ma un conto è affermare i diritti umani in tempo di quiete, altra cosa era farlo allora, durante la guerra. E un tempo costava”. Anche secondo Alfonso Arbib, nuovo rabbino capo di Milano, la situazione attuale è “una pausa di riflessione, non vogliamo interrompere il dialogo. Ma c’è stato un problema e si è trattato di un incidente che ha dimostrato una scarsa e profonda insensibilità cattolica. La rivendicazione dell’identità cattolica è forte nel Papa e non ho da obiettare, è legittima. Ma si deve tener conto anche delle sensibilità altrui. L’incidente sulla preghiera del venerdì, più che una scelta, è stato un problema di scarsa sensibilità verso l’ebraismo. I cattolici non possono chiedere la conversione. Ci sono invece elementi comuni da cui bisogna partire per accettare le differenze”. Anche Arbib giudica irrisolto il nodo della Shoah, come quello su PioXII. “Il silenzio europeo durante la Shoah è stato doloroso e problematico. I maestri dicono che ci possono essere ottime ragioni per non reagire davanti all’ingiustizia. Ma se veramente quell’ingiustizia è inaccettabile, io reagisco. Il problema del silenzio è quanto tutto ciò fosse inaccettabile”. Giorgio Israel parte da una prospettiva diversa, legge la crisi del dialogo dal punto di vista di un’involuzione dell’ebraismo italiano. “A mio giudizio il pontificato ha impostato il dialogo in modo corretto, ma tende anche a riaffermare con forza l’identità cattolica. E persino sul pianto rituale, con la preghiera del venerdì santo. E’ difficile da accettare dal punto di vista ebraico, perché avviene in un momento in cui da alcuni anni l’ebraismo italiano è entrato in una fase identitaria marcata, basata sul recupero dell’ortodossia. Secondo me questo irrigidimento del rabbinato finirà per condurre a un lento azzeramento dell’ebraismo italiano. C’è una pesantissima mentalità da ghetto che dimentica il profetismo messianico che parla a tutti. Per Gershom Scholem l’ebraismo si è retto sulla siepe della Torah e sull’utopia messianica, come quella sionista che guarda al futuro. E quella più vitale è stata questa”. Secondo Israel, il dialogo deve partire dal libro di Ratzinger su Gesù. “Dalla conversazione con il rabbino Jacob Neusner. Ratzinger dice che se il cristianesimo perde il rapporto con l’ebraismo, smarrisce se stesso. E’ il terreno su cui incontrarsi. Ma questo ritorno fortissimo dell’ortodossia ebraica è pericoloso. E’ la fine del modello italiano che fu di Elio Toaff. In altri paesi, come negli Stati Uniti, si può essere ebrei in molti modi senza che ti vengano a chiedere conto. In Italia c’è un indurimento forte contro i matrimoni misti. E il numero degli iscritti sta precipitando. In Francia le comunità ebraiche invece accolgono tutti”. Quanto al tema della preghiera del venerdì, Israel dice: “Capisco la paura delle conversioni forzate, anticamente efferate. Oggi il contesto è rassicurante, anche se non nascondo che ci sia un certo antigiudaismo cattolico. Ma si deve favorire il proseguimento del rapporto. E’ debolezza la paura di essere convertiti. Da un lato c’è una mutilazione culturale drammatica con la chiusura alla chiesa. E dall’altro la parossistica apertura del rabbinato all’islam”. (gm)

La Repubblica- Orazio La Rocca:  " Giovanni XXIII, prego per gli ebrei"

Ormai anziano e ammalato il Papa del Concilio pochi giorni prima di morire volle chiedere perdono al popolo ebraico vergando un testo rimasto inedito
 
CITTA DEL VATICANO

città del vaticano
«Perdonaci, Signore, per non aver capito la bellezza del Tuo popolo eletto... perdonaci, perché nel corso dei secoli non sapevamo quello che stavamo facendo contro gli ebrei...». È un Papa anziano, molto malato, costretto a letto perché colpito da un male incurabile, che scrive queste parole pochi giorni prima di morire. È Giovanni XXIII, al secolo Angelo Giuseppe Roncalli, il papa Buono per antonomasia, il padre del Concilio Vaticano II e del successivo rinnovamento ecclesiale, che Giovanni Paolo II beatificherà nel 2000 sotto i riflettori di tutto il mondo, facendone una delle più importanti icone del grande Giubileo del 2000.
Quasi nessuno, però, finora ha mai saputo che il futuro beato Giovanni XXIII nel chiuso della sua stanza nel Palazzo apostolico, in Vaticano, verso la fine del mese di maggio 1963 - morirà dopo una lunga agonia la sera del successivo 3 giugno all´età di 82 anni - dedica le sue ultime energie al popolo ebraico sotto forma di preghiera composta quasi di getto su un foglio bianco, davanti al Crocifisso al cospetto del quale ogni notte si era sempre raccolto in preghiera prima di dormire. È una chiara e appassionata richiesta di perdono per le "colpe" commesse dai cristiani nel corso dei secoli con i loro atteggiamenti antisemiti, che papa Roncalli intitola, significativamente, "Preghiera per gli ebrei". Un gesto fatto quasi di istinto, sincero, scritto con grande passione e dettato da un forte desiderio di "pulizia interiore" per le colpe antiebraiche dei cristiani, che anticipa di molti anni le due storiche tappe di avvicinamento al popolo ebraico compiute da Giovanni Paolo II, la visita alla Sinagoga di Roma del 1986 e la richiesta di perdono per le colpe e le omissioni dei cristiani verso gli ebrei nell´ambito dei mea culpa del Giubileo del 2000. E che spiega, in qualche modo, anche la nascita del testo conciliare Nostra Aetate, approvato nel 1965, con cui la Chiesa cattolica si aprì al dialogo interreligioso e cancellò l´anacronistica accusa di deicidio con cui per circa duemila anni erano stati apostrofati tutti gli ebrei.
La Preghiera agli ebrei è un documento finora sostanzialmente inedito in Italia. Era stato pubblicato solo in parte nel 1965, due anni dopo la scomparsa di Giovanni XXIII, su un giornale olandese e brevemente accennato nello stesso anno su un periodico italiano, sembra per iniziativa di un giovane monsignore statunitense che aveva preso parte al Concilio come esperto ed era molto amico dell´allora pontefice. Lo stesso prelato che ne aveva parlato successivamente nel corso di un incontro interconfessionale, negli Stati Uniti d´America. Da allora, però, se ne erano perse le tracce.
Il testo giovanneo - una quindicina di righe appena - dopo circa 45 anni di sostanziale e inspiegabile oblio domani pomeriggio (alle 16,30) sarà letto integralmente in pubblico per la prima volta al monastero di Santa Cecilia, in Trastevere, a Roma, nell´ambito del recital Roncalli legge Roncalli interpretato da un discendente di Giovanni XXIII, l´attore Guido Roncalli che - accompagnato dal violoncellista Michele Chiapperino - presenterà una serie di documenti editi e inediti di papa Roncalli, relativi sia al suo pontificato che agli anni passati nelle nunziature apostoliche in Turchia e in Francia. Il recital è stato presentato con successo una decina di giorni fa in Vaticano alla presenza del cardinale-governatore Giovanni Lajolo. Ma senza la lettura della preghiera ebraica che domani costituirà, inevitabilmente, il momento clou dell´incontro, che - preannuncia Guido Roncalli - «avrà un carattere e una impostazione ancora più ecumenica».
Nella lettera la parola "perdono" viene evocata più volte. Nel dirsi certo che Cristo è morto e risorto non solo per i cristiani, ma per tutti gli uomini, anche per gli ebrei, Giovanni XXIII chiede al Signore «di perdonarci perché per molti e molti secoli i nostri occhi erano così ciechi che non erano più capaci di vedere ancora la bellezza del Tuo popolo eletto, né di riconoscere nel volto (di tutti gli ebrei - ndr) i tratti dei nostri fratelli privilegiati...». Una espressione, quest´ultima, che rievoca in maniera impressionante un´altra famosa frase, quella con cui Giovanni Paolo II nel 1986 nella Sinagoga di Roma salutò gli ebrei chiamandoli «nostri fratelli maggiori».
«Perdonaci, Signore», si legge ancora nella preghiera di papa Roncalli: perdonaci per le tante "ingiustizie" subite dagli ebrei nel corso dei secoli passati e per le "colpe" commesse dai cristiani nei loro confronti. Colpe, mancanze e ingiustizie che il papa Buono accomuna, con "rammarico", al primo delitto raccontato nel primo libro della Bibbia, la Genesi, dove si parla dell´assassinio di Abele per mano di Caino. La chiusura del testo è contrassegnata anche da un forte impatto teologico perché Giovanni XXIII si spinge a prendere quasi "in prestito" le parole con cui Gesù sul Golgota dall´alto della croce, prima di spirare, invocò il Padre per perdonare quelli che lo stavano uccidendo. Signore, "perdonaci", conclude infatti papa Roncalli, «perché i cristiani non sapevano cosa facevano» contro gli ebrei.
«Se da un lato la recita fatta in Vaticano mi ha dato un onore immenso perché ospite del successore di Giovanni XXIII, il recital di domani - commenta Guido Roncalli - sento che sarà particolarmente calzante per la rievocazione di un pontefice sensibile al dialogo interreligioso e all´ecumenismo, e che in punto di morte si è sentito in dovere di scrivere parole bellissime e profonde per chiedere perdono agli ebrei, come una sorta di testamento».

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