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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - La Repubblica - Il Giorno Rassegna Stampa
01.12.2008 L'odio antisraeliano a Mumbai
cronache a confronto

Testata:La Stampa - La Repubblica - Il Giorno
Autore: Anna Zafesova - Raimondo Bultrini - Lorenzo Bianchi
Titolo: «Uccidere gli israeliani era la nostra missione - Volevamo un massacro di ebrei - A Mumbai volevamo vendicare i palestinesi»

Da La STAMPA del 1 dicembre 2008  (pagina 8) riportiamo l'articolo di Anna Zafesova "Uccidere gli israeliani era la nostra missione":

L’obiettivo dell’attacco dei terroristi a Mumbai erano gli israeliani. L’unico terrorista sopravvissuto, e catturato dalla polizia, il pachistano Azam Amir Kasab, ha rivelato durante gli interrogatori che il commando al quale apparteneva aveva - oltre a mettere a ferro e fuoco la capitale economica dell’India - una «missione specifica»: «Colpire gli israeliani per vendicare le atrocità commesse sui palestinesi». Questo conferma che l’attacco alla Nariman House, il centro ebraico Chabad, non era casuale. I terroristi che l’hanno assaltato hanno ucciso otto ostaggi ebrei, un nono ostaggio israeliano è stato ucciso in un altro posto.
Israele diventa così la nazione maggiormente colpita dall’atrocità dei terroristi, dopo l’India: nove vittime. Il totale dei morti nel frattempo è stato rivisto dalle autorità al ribasso: 174 invece di 195, perché alcuni corpi erano stati contati due volte. Ma potrebbe tornare a crescere: nelle stanze del Taj Mahal, e nei dintorni dell’albergo, vengono ancora ritrovati cadaveri.
Molti sono in condizioni terrificanti: «Apparentemente, molti ostaggi portano i segni di torture, ed è evidente che sono stati uccisi a sangue freddo», ha rivelato uno dei medici che hanno esaminato i corpi in un ospedale di Mumbai. Secondo il medico, che ha chiesto l’anonimato, «i peggiori segni sono proprio sui corpi degli israeliani, è evidente che erano stati legati e torturati prima di venire uccisi». Tre degli israeliani uccisi non sono ancora stati identificati, anche perché i corpi sono stati deturpati dalle esplosioni durante il blitz per liberare il centro ebraico.
Un’altra pista delle indagini sono le intercettazioni, che sembrano riportare sulla pista islamista pachistana: l’intelligence indiana avrebbe ascoltato, secondo il Times of India, telefonate tra Muzammil, il capo delle operazioni del gruppo Lashkar-e-Toiba, e tale Yahya nel Bangladesh. Quest’ultimo avrebbe fornito ai terroristi le schede Sim per i loro telefonini, carte di credito e falsi documenti d’identità australiani, americani, britannici e delle Mauritius. Altre telefonate fatte dai terroristi avrebbero come interlocutore Zakir Ur Rehman, il capo dell’addestramento dei Lashkar-e-Toiba.
La polizia indiana adesso sta cercando di verificare se è vero, come afferma Kasab, che alcuni terroristi avevano preso alloggio a Nariman House spacciandosi per studenti della Malaysia. La rete delle complicità è tutta ancora da stabilire, e il terrorista catturato ha già fornito cinque nomi e indirizzi di persone che avrebbero fornito aiuto logistico al commando a Mumbai, dando anche suggerimenti sui bersagli da colpire.
Alcuni indizi, secondo la stampa indiana, sembrano portare alla rete di interessi e complicità di Ibrahim Dawood, il miliardario indiano già ricercato per gli attentati di Mumbai del 1993 che fecero oltre 250 morti. Il proprietario del Taj Mahal, il patron della Tata, Ratan Tata, ha rivelato che la direzione dell’albergo aveva ricevuto avvertimenti e rafforzato le misure di sicurezza, che si sono rivelate insufficienti.
Sui piani dei terroristi - di cui nessuno, affermano le autorità, è di nazionalità indiana - ci sono ancora numerose indagini da svolgere. Quello che appare chiaro è che la loro missione era quella di uccidere: «Non hanno mai fatto alcuna richiesta ed hanno cominciato ad uccidere gli ostaggi prima che le teste di cuoio entrassero in azione», ha rivelato ieri il direttore generale della guardia nazionale di sicurezza, J. K. Dutt. Il responsabile ha anche smentito che il commando volesse far esplodere il Taj Mahal: «Non avevano abbastanza esplosivo».
In questo contesto di fughe di notizie e smentite immediate a Mumbai sta montando la polemica contro i politici e il governo. Il ministro degli interni Shivraj Patil ieri sotto la pioggia delle critiche si è assunto la «responsabilità morale» di quanto accaduto e ha rassegnato le dimissioni. L’esempio è stato seguito anche dal consigliere per la sicurezza nazionale dell’India, M.K. Narayanan, che ha presentato ieri le sue dimissioni al premier Singh.

A pagina 8 del La REPUBBLICA Raimondo Bultrini presenta una versione dei fatti molto diversa da quella fondata sulle testimonianze e gli esami medici riportata da Zafesova. Stando a quanto riportato dal quotidiano romano, le vittime ebree di Mumbai sarebbero morte durante l'assalto delle teste di cuoio indiane, non prima. Scompare il riferimento alla tortura. Nello sforzo di umanizzare gli assassini, Bultrini, senza un chiaro fondamento, ipotizza anche che siano stati loro, impietositi, a permettere la fuga della donna indiana e del figlio del rabbino Holtzberg.

MUMBAI - «Volevamo colpire gli israeliani per vendicare le atrocità commesse contro i palestinesi». La dichiarazione è stata attribuita da un articolo del Times of India al giovane terrorista Azam Amir Qasab, l´unico terrorista rimasto in vita dei commando entrati in azione mercoledì scorso a Mumbai. La rivelazione non ha trovato nessuna conferma negli ambienti investigativi indiani, ma secondo il quotidiano sarebbe la sola spiegazione della scelta dei terroristi di colpire la Nariman house ribattezza Chabad, dal nome del gruppo ebraico ortodosso con quartier generale negli Stati Uniti.
Di certo, per ora, c´è soltanto la circostanza dell´utilizzo di Nariman house come base strategica di coordinamento dei gruppi di attentatori che sono entrati in azione al Taj Mahal, all´Oberoi, nella stazione ferroviaria centrale di Victoria e in due grandi ospedali della capitale finanziaria indiana. Lo stesso Qasab avrebbe rivelato che già ad agosto due uomini responsabili di coordinare l´attività del suo gruppo avevano affittato una stanza nella grande palazzina di cinque piani nell´area più popolare del quartiere di Colaba a ridosso del Taj Mahal.
Proprio sotto il tetto dei "nemici" ebrei hanno pianificato il clamoroso assalto in tutti i dettagli, predisposto le mappe dei luoghi da colpire e organizzato la logistica per gli altri obiettivi, compresa l´infiltrazione di due inservienti nelle cucine del Taj Mahal e l´affitto di una stanza per un mese sia nel grande albergo coloniale che nel moderno Oberoi-Trident. Casse di esplosivo e munizioni sono state ammassate alla Chabad house prima di trasportare i micidiali ordigni nei grandi alberghi e piazzarli in angoli nascosti sui vari piani degli stabili, così da poter fornire ai commando il micidiale RDX e il maggior numero di munizioni e granate, che sono state solo in parte utilizzati durante l´assalto.
Resta, tra i tanti, il mistero per il quale la famiglia del rabbino ucciso avrebbe accolto affittuari dall´aspetto chiaramente sud-asiatico, introdotti - secondo alcuni testimoni del quartiere - da intermediari indiani che li hanno presentati come studenti malesi. Nei quattro mesi di permanenza, i due hanno ospitato a Nariman house anche altri esponenti del gruppo utilizzati per la logistica dell´assalto e condiviso con Gavriel Noach Holtzberg, e sua moglie Rivkah perfino il cibo kosher preparato dal giovane rabbino per sé, la famiglia e gli ospiti. Forse proprio la loro frequentazione della casa ha salvato la vita del piccolo Moshe, figlio della coppia, trasportato fuori un attimo prima del sequestro della palazzina dalla donna indiana che lo teneva in cura. I pianti di Moshe all´ingresso degli uomini armati avrebbero impietosito gli organizzatori del massacro, che lo hanno lasciato uscire con la donna. Ma per Gavriel, Rivkah e altri quattro ospiti non c´è stata nessuna pietà. Sono saltati in aria assieme ai terroristi dopo l´assalto finale delle forze speciali indiane. Avevano i piedi legati e le bocche imbavagliate.

A pagina 18 del GIORNO la cronaca di Lorenzo Bianchi  "A Mumbai volevamo vendicare i palestinesi" riporta senza critiche le dichiarazioni del terrorista Azam Amir Kasav.
Se mancano i commenti espliciti, le scelte lessicali di Bianchi appaiono significative.
Il terrorista  Kasav è definito "pachistano ventunenne del Punjab, finito nelle mani dei poliziotti indiani" e "unico sopravvissuto del gruppo di fuoco". La sua dichiarazione di odio "cornice politica".


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