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Corriere della Sera - Il Giornale - Informazione Corretta Rassegna Stampa
03.11.2008 Barack Obama: un candidato di sinistra che piace anche a destra
ma troppo amico degli estremisti e troppo poco di Israele ? Le analisi di Aldo Cazzullo, Fiamma Nirenstein, Danielle Sussmann

Testata:Corriere della Sera - Il Giornale - Informazione Corretta
Autore: Aldo Cazzullo - Fiamma Nirenstein - Danielle Sussmann
Titolo: «Barack e i fantasmi degli amici rinnegati - A noi mancano gli eroi positivi - I timori per l’isolamento di Israele e per il futuro»
Dal CORRIERE della SERA del 3 novembre 2008, riportiamo un articolo di Aldo Cazzullo sugli  inquietanti legami di Barack Obama con estremisti come il reverendo Jeremiah Wright e il terrorista William Ayers:

CHICAGO — «Barack Obama è un grand'uomo, e lei non avrà da me una sola parola contro di lui. Io gli ho voluto molto bene, e ancora gliene voglio. Io l'ho iniziato alla fede. Ho celebrato il suo matrimonio con Michelle. Ho battezzato le loro figlie. L'ho spinto a fare politica». Obama però l'ha rinnegata. «No. Lui non condivide tutto ciò che dico io, e io non condivido tutto ciò che dice lui. Ma è una grande anima: l'unico politico a osare ancora promettere che cambierà l'America, e cambierà il mondo. E' tutto. Qualsiasi cosa dicessi, sarebbe usata contro Barack».
Così parlò il reverendo Jeremiah Wright, dalla sua casa neogotica di 9167 Pleasant Road, nel South Side di Chicago, la parte meridionale della città. Non esattamente un ghetto: un gigantesco suburbio da un milione di abitanti. Tutti neri. Questo tratto della 95esima strada è intitolato a lui, al reverendo Wright.
Conduce alla nuova sede della Trinity United Church of Christ, la chiesa che per vent'anni è stata la sua. Ieri il rito è durato due ore e un quarto. Duemila neri, un unico bianco. Cori gospel alternati a orazioni politiche: «Ricordiamoci di Martin Luther King! Ricordiamoci di Malcolm X! Ricordiamoci di andare a votare!». Obama non è mai nominato, ma alle pareti c'è la sua foto mentre stringe le mani dei vicini e chiude gli occhi, rapito. E c'è la foto di Jeremiah Wright mentre predica con il dashiki, la veste africana simbolo del Black Power. La stessa che indossa nel famigerato video, il più cliccato su Internet, divenuto ora uno spot di McCain, in cui il reverendo invoca l'ira del cielo sui compatrioti: «Tutti dicono "Dio benedica l'America", ma io dico no no no, Dio maledica l'America» (nello spot la maledizione è coperta da un bip, che enfatizza anziché nascondere). Per Obama, un disastro.
Perché il reverendo Wright è per lui persona di famiglia, e qualcosa di più. E' il suo demiurgo. L'uomo che l'ha convertito, lui nipote di uno sciamano del Kenya, figlio di agnostici, cresciuto con un patrigno musulmano. L'uomo che gli è stato al fianco negli esordi politici (come racconta lo stesso Obama nel suo libro L'audacia della speranza). Poi le loro strade si sono divise. Il reverendo ha celebrato l'11 settembre, ha rimproverato all'America Hiroshima, Nagasaki, i golpe militari dal Guatemala al Cile, il sostegno a Israele e al Sud Africa dell'apartheid presentati come fossero le facce della stessa medaglia. Ora la Trinity Church l'ha sostituito con un pastore più giovane, e Obama ne ha preso le distanze. Troppo tardi, forse, per esorcizzare il lato d'ombra di un personaggio sino a poco fa sconosciuto e che ora, secondo i sondaggi e gli auspici dei suoi fratelli neri, sta per diventare presidente degli Stati Uniti.
Dalla chiesa comincia la Michigan Avenue, destinata a diventare molti chilometri più a Nord The Magnificent Mile. Qui la «strada magnifica» corre tra case bruciate, pompe di benzina fuori uso, immondizia al vento, madri con bambini (rarissimi i padri). Poi, man mano che ci si avvicina al centro, le case si alzano di uno o due piani, il legno diventa pietra, ai balconi appaiono fiori e canarini. Qui abita la piccola borghesia nera, qui viveva Obama quando aveva trent'anni e lavorava come assistente sociale. Ancora più a Nord ci sono Hyde Park, l'università di Chicago dove a quarant'anni Obama insegnava diritto costituzionale, e la casa dove vive adesso. I piani sono quattro, compresa la mansarda. Un bowindo, due camini, una zucca di Halloween, la parabola della tv satellitare, un fregio a forma di conchiglia. E, soprattutto, un giardino. L'unico della zona. Niente di che: pini, altri alberi, un canestro per giocare a basket, scoiattoli, un Suv parcheggiato. Ma abbastanza da evocare un altro fantasma. Questo terreno era di Antoine «Tony» Rezko, uomo d'affari di origine siriana. Confidente, finanziatore dell'ascesa di Obama, e suo immobiliarista di fiducia: Barack scelse la casa e la comprò a prezzo scontato, Tony acquistò a prezzo pieno il giardino e ne cedette una parte all'amico. Un dettaglio. Se non fosse che Rezko — grande elemosiniere della macchina democratica guidata dal governatore Blagojevich e dal sindaco Daley, figlio e omonimo del Daley che fece votare i morti pur di favorire Kennedy — è in carcere per estorsione, frode, riciclaggio. Se poi si considera che dall'altra parte della strada, vicino alla sinagoga, abita un altro professore dell'università, William Ayers, oggi amico di Obama ma negli anni Settanta leader del gruppo terrorista dei Weather Underground, allora si comprende come il trasloco gli abbia creato qualche guaio. Nulla che sembri comprometterne la corsa, né intaccare l'aura di cui è circonfusa una storia irripetibile, compresi gli incontri con il razzismo, cui lui ha sempre reagito. Restò in silenzio solo il primo giorno di scuola, quando un compagno gli chiese se suo padre era un cannibale. Al primo ragazzino che gli disse «negro» fece sanguinare il naso. Il tennista che gli chiese di non toccare la lavagna con i nomi degli atleti — «il gesso potrebbe sbiadirti la pelle» — fu minacciato di querela. Dalla vecchia che l'aveva preso per un ladro pretese invano le scuse. All'allenatore di basket che teorizzava «ci sono i neri e ci sono i negri» rispose che «ci sono i bianchi e ci sono i figli di puttana come te». Non si sa come abbia reagito la volta che, davanti a un ristorante del centro, aspettava il valletto dell'auto e si vide tirare le chiavi da una coppia di bianchi, convinti che il valletto fosse lui. Racconta Obama che quei ricordi gli vorticavano nella mente mentre ascoltava il primo sermone del reverendo Wright e un bambino gli porgeva un fazzoletto: «La gente iniziò a urlare, ad alzarsi in piedi, ad applaudire e a strepitare; un vento poderoso che trasportava la voce del reverendo su, in alto, verso la croce…». Un sermone intitolato «L'audacia della speranza».

Da Il GIORNALE, un'analisi di Fiamma Nirenstein sulle simpatie per Barack Obama, candidato di sinistra,  da parte degli stessi settori conservatori della politica e dell'opinione pubblica italiane:

Amare Obama da destra non è un fenomeno strano, ma ha un contenuto profondo, e un po’ preoccupante. Non è infatti semplicemente il desiderio di fare un surf, all’occasione, sulla grande onda del corrente modello della bontà mondiale, così larga, così iconograficamente giovane e attraente; è semmai la pulsione, sempre forte in Italia, di fare qualcosa di sinistra.

La mancanza di uno sfondo teorico e estetico sufficiente per la cultura conservatrice, la incapacità a divenire padroni del discorso pubblico, legittimato dagli intellettuali e dagli artisti, è una malattia italiana. Non è così nella storia degli Stati Uniti: lo spirito conservatore conta eroi positivi alla John Wayne fra gli scrittori, i teorici, gli economisti... La sua storia è profonda, si fonda sulla lotta per la sopravvivenza, la cultura della frontiera, il capitalismo individualistico, la mancanza di vincoli con qualsiasi ancien régime, la mistura fra guerra e Costituzione (Washington era un generale); l’Inghilterra ha prodotto parecchi Churchill; la Francia vanta un De Gaulle, in Israele un Begin o uno Sharon, gente di guerra che la guerra e il valore personale non hanno mai ripudiati teoricamente, ma che sa sgomberare l’Algeria, il Sinai e Gaza.

Da noi, nonostante l’innegabile sforzo di tanti conservatori, il peso delegittimante dell’identificazione della Chiesa (che ha conteso allo Stato la cosa pubblica, non l’ha nutrito) e del fascismo con la destra, impedisce alla cultura conservatrice di decollare. Con Obama per un attimo puoi illuderti di vivere nel consenso, puoi mescolarti con una folla che chiede il Nuovo, grande categoria, per un attimo ti puoi dire Yes! you can nel momento in cui invece la delegittimazione sale fino al naso, la piazza ti urla contro, e il tuo modo d’essere, anche quando Berlusconi ha il 70% dei consensi, in società risulta sempre delegittimato...

Ed è dolce, tanto non costa molto, apprezzare il dinamismo, l’estetica giovanile, la voce e il colore della pelle di Obama, è facile apprezzare l’afflato dei temi della ridistribuzione, del servizio sanitario per tutti, il sogno inconfessato di sedersi finalmente a un bel tavolo con Ahmadinejad e dirgli parole che amichevolmente lo convincano, senza precondizioni, a smetterla con l’atomica e con la distruzione d’Israele. E’ bello anche ammiccare all’antipatia europea contro Bush, un distintivo stucchevole e ignorante quanto pervasivo, scordare per sempre che la sua lotta per il terrorismo è andata in coppia alla più liberal fra le scelte, quella di promuovere la democrazia, e che si è svolta contro un nemico terribile al momento solo latente. C’è un’infinita difficoltà ad essere conservatori in Italia, al contrario che negli Stati Uniti o altrove in Europa: mentre la cultura di sinistra resta una calamita egemonica anche quando perde le elezioni, quella conservatrice non riesce a esserlo anche quando vince.

Scritta per INFORMAZIONE CORRETTA, l'analisi di Danielle Sussmann sulle ripercussioni mediorentali delle elezioni presidenziali americane:

Il 2 novembre si è celebrato in Israele  il 91mo anniversario della Dichiarazione Balfour (1917) che vide l’appoggio unanime dei poteri di allora e di re Feisal d’Arabia al Sionismo. Benché Churchill firmasse il famigerato Libro Bianco che – in piena Shoah – condannò molti ebrei che cercavano di scampare ai lager nazisti tentando di rifugiarsi nell’allora ex Provincia Ottomana di Damasco, mai fu disatteso da ogni governo britannico il diritto degli ebrei a crearsi un focolare nazionale, finalizzato a diventare Stato, nell’ex Impero Ottomano. La Dichiarazione, nel riferirsi alla Palestina,  contemplava l’area in cui sorgono Israele e Giordania. Ovviamente, nel 1917, l’Impero Ottomano non era stato ancora sconfitto  e diviso (1919) tra le due potenze coloniali di allora: Gran Bretagna e Francia. Pertanto, nella Dichiarazione Balfour  non era ancora possibile scrivere “Stato ebraico”. Si inserisce tra le due grandi potenze coloniali europee, il sostegno americano al Sionismo. Lo storico Michael Oren, americano-israeliano ed ufficiale durante la Guerra dei Sei Giorni di cui ha scritto un best seller, l’anno scorso ha pubblicato un saggio non tradotto in Italia : “Power, Faith and Fantasy: America in the Middle East, 1776 to the Present” (Potere, Fede e Fantasia: l’America nel Medio Oriente, dal 1776 ad oggi). Si accentra sulla tensione a favore del ritorno degli ebrei nella loro storica terra, da una posizione teologica/politica comune all’America del 19° secolo, conosciuta come “restaurazionismo”. Secondo l’autore della recensione: “fino alla pubblicazione di questo libro, ben scritto ed accurato nella ricerca meticolosa, non è mai stata scritta una storia comprensiva del coinvolgimento americano nella regione.” Oggi, gli stessi presupposti che hanno creato gli Stati Uniti, vengono sconfessati in toto dalla terza opzione americana, denominata da Samuel Huntington “Cosmopolitan”. Non prende a modello le virtù americane, ma cerca di rifare l’America ad immagine dell’Europa. Obama parte dal principio che l’America sia colpevole e ha accettato le critiche europee occidentali sull’aggressività americana. Intende pertanto restaurare l’immagine del Paese agli occhi del mondo. Condivide la visione manicheista europea sulla terminologia del bene e del male. Sull’Iraq condivide la stessa condanna, volutamente ignorando che gli stessi iracheni hanno sfidato per ben due volte terroristi suicidi pur di andare a votare, i netti miglioramenti della situazione in Iraq e i notevoli proventi del petrolio che serviranno a rendere autonomo il Paese. Obama ha dimostrato di comprendere le ragioni dei perpetratori del male: Hamas, Hitzballah, e pure gli attentatori dell’11 Settembre, li configura come “parte di un conflitto tra il mondo che ha (a profusione) e il mondo che vuole (gli stessi benefici)”. In netta contraddizione con il vissuto più che benestante dei responsabili degli attacchi (fatto che però riconosce in un’intervista in Israele). Obama ha votato al Senato contro la risoluzione che intendeva designare la Guardia Rivoluzionaria Iraniana come un’organizzazione terrorista. Molti sostenitori di Obama sono i cosiddetti rednecks (colletti rossi) e il nuovo assetto – in caso di sua vittoria - porterà ad un concreto Socialismo Americano Europeista. Se non venisse eletto, il fenomeno Obama avrebbe creato una nuova opzione politica, se eletto, una spaccatura nella democrazia statunitense. Una società fondata sul merito, sull’impegno responsabile dei suoi cittadini, finirebbe per diventare una società assistenzialista e compromessa con qualsiasi regime dittatoriale, oltre a pervenire a patti con il terrorismo. Pesa la Hollywood ebraica favorevole ad Obama; pesa il sostegno di Warren Buffet, dopo una secca perdita miliardaria, ad Obama. Bill Gates – il secondo uomo più ricco del mondo, ora tornato primo – non si è ancora pronunciato, forse non lo farà. Perché li considero? Nel 2007, Buffy ha salvato dal fallimento una grande azienda israeliana, mentre Gates ha fondato la Israel Microsoft, dichiarando di essere felice di aver investito in Israele che considera una superpotenza tecnologica. La loro calata ha messo in fibrillazione l’economia israeliana perché sono stati i precursori di altri investitori americani nel Paese, tra cui anche Donald Trump. Sia Buffy che Trump riposavano su quell’economia a debito che ha innescato un effetto domino nelle Borse americane e, di conseguenza, mondiali. A nulla è servita la lezione di Soros che ha affondato negli anni ’90, per lo stesso motivo, le economie britannica ed italiana, e quella delle cosiddette Tigri d’Oriente. La speculazione che ha favorito la caduta delle Borse mondiali, travolgendo le piazze direttamente dipendenti da Wall Street – oltre ovviamente a New York, Londra e Tokyo – ha favorito Obama, penalizzando i Repubblicani a cui facilmente si dà ogni colpa. In realtà, il mercato non era etico e quindi i Repubblicani non possono lamentare l’uso speculativo - che di fatto ha provocato l’unanime sostegno alla trasparenza etica – causato dai sostenitori di Obama. La stangata delle Borse che ha innestato la recessione, è  stata sicuramente un fattore decisivo per il largo consenso ad Obama che ha ottenuto anche il sostegno di quei paesi antiamericani, tra cui due nevralgici per il petrolio (Iran e Venezuela) con cui l’amministrazione uscente era arrivata al braccio di ferro. Analisti israeliani vedono nella vittoria di Obama il sicuro abbandono del sostegno americano ad Israele. I più accesi sostenitori di Obama provengono dai campus universitari – visceralmente ostili ad Israele - e dalle elites intellettuali che sono molto vicine all’Europa e che spingono per l’attuazione di uno stato per due popoli. Dopo la clamorosa ritrattazione di “Gerusalemme capitale indivisa di Israele” all’AJPAC, l’intervista – pur se piuttosto aperta, ma assente di risposte nette alle domande precise dell’editorialista – rilasciata al Jerusalem Post nel marzo scorso, non consente grandi speranze. Il ritiro dall’Iraq viene percepito da molti analisti come il ritiro dal Vietnam, quando il New York Times titolava che una volta fuori gli americani, sarebbero cessate le condizioni per il conflitto. Risultato? Circa due milioni di morti, circa un terzo del paese, fatti a pezzi nei campi di morte allestiti dai Viet-Cong. Il tentativo fallito d’influenzare positivamente la campagna elettorale Repubblicana con l’imponente attacco americano in Siria – per il breve risalto dato dai media alla vicenda - si ripete con il silenzio stampa intorno al dibattito al parlamento ceco sulla proposta di voto per inserire lo scudo missilistico di difesa americano vicino a Praga. Per la stessa proposta in Polonia, ci fu un’eco mediatica di vaste proporzioni e la Russia minacciò addirittura di attaccare quel Paese. Da giorni la Siria tace, tace la Russia. Tacciono i media Liberal e delle sinistre europee. Un giorno al voto.

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