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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Foglio - Il Riformista - Il Messaggero Rassegna Stampa
16.10.2008 Quei pericolosi rapporti con l'Iran
che qualcuno scambia per una democrazia

Testata:Il Foglio - Il Riformista - Il Messaggero
Autore: Giulio Meotti - Carlo Panella - la redazione
Titolo: «Missili imbarazzanti - Silenzi imbarazzanti - La mano di Ahmadinejad - Ahmadinejad sconfitto dalla rivolta dei bazar»

Dai giornali del 16 ottobre 2008, riportiamo alcuni articoli sull'Iran.
Dal FOGLIO, un articolo di Giulio Meotti sulla presenza di una rappresentanza diplomatica tedesca a una parata missilistica iraniana e uno di Carlo Panella sul viaggio in Iran di Romano Prodi. Su quest'ultimo tema, riprendiamo anche l'editoriale del RIFORMISTA.
Anche Il MESSAGGERO pubblica un articolo sull'Iran, incentrato sulla vittoria della protesta dei commercianti del bazar contro una nuova tassa che Ahmadinejad ha tentato di introdurre. Leggendo l'articolo sembrerebbe che l'Iran sia una democrazia. In realtà, lo scontro di fazioni e di gruppi di interesse non fa della Repubblica Islamica un sistema realmente pluralista. Per capirlo basta chiedersi che cosa accadrebbe a chi protestasse a favore del rispetto dei diritti umani, o della pacifica coesistenza con Israele o dell'insegnamento della storia della persecuzione antiebraica nazista nelle scuole iraniane.

Ecco il testo dell'articolo di Meotti:


Roma. L’occasione erano le grandi esercitazioni in onore del “Profeta” tenute dai pasdaran iraniani nell’area del Golfo Persico. Il culmine dell’evento è stato il lancio dello Shahab-3, il missile da una tonnellata che può arrivare fino a 1.300 chilometri di distanza. L’avvertimento iraniano è implicito: siamo in grado di colpire Tel Aviv come (e meglio) fece Saddam Hussein nel 1991. Cosa ci faceva un alto diplomatico tedesco a quella parata ordita dal presidente Ahmadinejad? L’ambasciatore tedesco Herbert Honsowitz, noto per essere molto “Iranfriendly”, ha consentito a uno dei suoi attaché militari di prendere parte come ospite illustre al lancio dei missili al suono di slogan in lingua farsi su “Israele cancellato dalle mappe geografiche”. Il ministro degli Esteri tedesco, Frank- Walter Steinmeier, ha richiamato Honsowitz a Berlino. Ma il danno è fatto. “Abbasso Israele” e “schiaccieremo l’America sotto i nostri piedi” sono due slogan scanditi dagli iraniani. La Germania, primo partner economico di Teheran, è indicata da Israele come un ostacolo agli sforzi francesi e britannici per isolare economicamente l’Iran. “Nel 1945 gli ebrei e la Germania furono liberati dalla barbarie di Hitler con l’aiuto degli Alleati, ora è dovere dei tedeschi assumere seriamente la minaccia iraniana e agire di conseguenza” ha detto l’esule iraniano Nasrin Amirsedghi di base in Germania. Di “asse Teheran-Berlino” parla il celebre saggista Matthias Küntzel. La notizia sul diplomatico tedesco è caduta nel clima di cori come “Morte a Israele” e bandiere dello stato ebraico bruciate che hanno segnato la giornata di solidarietà ai palestinesi organizzata a Teheran, con decine di migliaia di persone nelle strade della capitale. Il massimo leader spirituale iraniano, l’ayatollah Ali Khamenei, ha affermato che “Israele si sta indebolendo progressivamente ed è diretta verso la distruzione”. La cosiddetta “giornata di al Qods”, Gerusalemme in arabo, fu istituita dall’ayatollah Khomeini Il presidente Ahmadinejad è tornato a rinverdire la retorica antisionista. “La nozione stessa di Israele è morta” ha detto alla televisione di stato Irinn. “Voglio dar loro un consiglio: starete meglio se porrete fine all’oppressione ed esprimerete rimorso. Se volete fare qualcosa di buono nella vostra vita, andatevene dalla terra di Palestina, liberatela dalla vostra oppressione e occupazione. Lasciate che dica loro che se non la faranno finita col sionismo, allora ci penserà il forte braccio dei popoli a spazzare questi germi di corruzione dalla faccia della Terra”. Alla presenza del ministro dell’Istruzione Ali Reza Ahmadi, i pasdaran hanno presentato un nuovo libro di vignette sulla Shoah, dopo un concorso internazionale di caricature sullo stesso tema organizzato nell’estate 2006 e una conferenza negazionista nel dicembre dello stesso anno. Il libro, intitolato semplicemente “Olocausto”, è composto di immagini che presentano la Shoah come un’invenzione degli ebrei, raffigurati con i nasi adunchi caratteristici della propaganda antisemita del passato. Il volume è stato stampato in migliaia di copie dagli studenti Basiji, i volontari delle milizie islamiche che vestono la bandana rossa sulla fronte e il camice bianco dei martiri provenienti dell’Università Elm-o Sanat di Teheran, la stessa dove studiò Ahmadinejad, che negli anni scorsi ha definito “un mito” lo sterminio degli ebrei oltre ad auspicare la cancellazione di Israele dalle mappe del mondo. I Basiji Mostazafan, o “mobilitazione degli oppressi”, sono i membri che ancora minorenni sminavano i campi iracheni con i loro corpi. Finirono così a migliaia. Il libro mostra immagini di ebrei che varcano le camere a gas, il numero segna “5,999,999”. Un’altra immagine mostra un paziente in ospedale avvolto dalla bandiera israeliana e che respira lo zyklon B. “Come hanno fatto i tedeschi a mettere il gas dentro se non c’erano fori?” si domanda. Risposta: “Zitto, criminale antisemita, come osi porre questa domanda?”. L’attacco a Israele non si ferma qui. La tv iraniana ha prodotto “L’assassinio di un faraone”, che dipinge il defunto Anwar Sadat come spia americana venduta a Israele e che glorifica i suoi assassini. Nell’ottobre 1981, le autorità iraniane dedicarono a Khaled al Islambouli la strada in cui si trova oggi l’ambasciata egiziana di Teheran. Islambouli è il terrorista che pochi giorni prima aveva abbattuto Sadat. Dieci anni dopo il presidente iraniano Mohammad Khatami, cosiddetto “riformista”, dedicò un monumento al “martire” Islambouli. Quando Sadat fu crivellato, Khomeini disse che “un autentico figlio dell’islam ha agito per eliminare il faraone apostata”.

Di quello di Panella:

Roma. In visita a Teheran, l’ex presidente del Consiglio, Romano Prodi, ha avuto una sconcertante mancanza di reazione di fronte a un Mahmoud Ahmadinejad e a un ayatollah Ali Khamenei che, in sua presenza, hanno ribadito – con l’unica accortezza di ammantare le loro frasi di prudenza lessicale – la volontà di eliminare Israele e di contrastare il legittimo governo di Baghdad. Martedì scorso, Prodi ha partecipato nella capitale iraniana, assieme a Kofi Annan e ad altri leader occidentali, a un incontro “interreligioso” organizzato dall’ex presidente della Repubblica islamica, Mohammed Khatami. Gli ospiti sono stati ricevuti prima dal presidente, Ahamadinejad, e in seguito dal Rahabar, l’ayatollah Khamenei, che hanno pronunciato frasi inequivocabili, quanto intollerabili, anche se con linguaggio volutamente diplomatico, contro Israele. Prodi ha fatto finta di non sentire, non ha reagito e non le ha minimamente contestate, consolidando così una sua posizione di dissociazione a malapena dissimulata dalla “linea della fermezza” sia dell’Unione europea sia dell’Onu e una sua personale insensibilità al tema della difesa intransigente di Israele dalle esplicite minacce di distruzione più volte pronunciate dai due leader fondamentalisti. Ahmadinejad, dopo avere accusato la politica americana in medio oriente, è stato esplicito circa Israele: “Il regime sionista commette da sessant’anni crimini contro i palestinesi, e questo problema non potrà essere risolto fino a quando le terre palestinesi saranno sotto occupazione e vi saranno cinque milioni di profughi”. Prodi sa bene che quando Ahmadinejad denuncia le “terre palestinesi sotto occupazione” intende tutto il territorio di Israele – non soltanto la Cisgiordania – e che quindi queste parole altro non sono che la reiterazione dell’auspicio della “scomparsa di Israele dalla faccia della terra” già espresso più volte dalla leadership iraniana. Ma non ha ritenuto di dovere ribattere Prodi è stato in silenzio anche di fronte all’ayatollah Khamenei che – sempre con linguaggio volutamente contorto, ma chiarissimo – ha sostenuto che Israele è retaggio del colonialismo europeo, che è simile alla Germania nazista e che, contro il suo governo (e anche contro il governo iracheno, sostenuto dall’Italia), l’unica risposta è il jihad: “All’origine delle tensioni attuali vi sono le passate politiche coloniali dell’occidente. Oggi ci sono governi che vogliono saccheggiare i diritti delle nazioni e avere il dominio nel mondo, come quelli del passato. Contro coloro che opprimono i popoli della Palestina e dell’Iraq l’unica azione efficace è la lotta contro la tirannia”. Prodi, si badi bene, non è un privato cittadino, ma un ex premier e oggi è incaricato dall’Onu della presidenza della commissione per il Peacekeeping in Africa. Con questi silenzi va ben oltre la reiterazione di una posizione di “apertura” al regime di Teheran. Il fatto ben più grave è che, con questo suo atteggiamento, Prodi continua a offrire ai leader iraniani più oltranzisti l’immagine di una Italia divisa in due, rafforzando le critiche negli ultimi mesi da loro rivolte al governo Berlusconi, “colpevole” di avere chiuso la fase di accondiscendenza dimostrata dal governo dell’Unione. Dopo un incontro con Ahmadinejad durante l’Assemblea generale dell’Onu del 2007, Prodi, assieme a Massimo D’Alema, ha continuato a sviluppare una diplomazia parallela a quella dell’Onu e dell’Ue, organizzando vertici col responsabile iraniano della sicurezza, Ali Larijani, tanto che il 21 gennaio scorso avrebbe dovuto ricevere a Palazzo Chigi il primo consigliere di Ahmadinejad, Hashemi Samareh (l’incontro è saltato poiché è caduto il suo esecutivo). La natura opaca e addirittura equivoca di queste relazioni italo-iraniane emerse subito dopo, quando gli interlocutori di Prodi e D’Alema iniziarono a criticare “la svolta” dell’Italia nei confronti di Teheran, determinata dal governo Berlusconi. Il 26 maggio il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Ali Hosseini, dichiarò: “Alcuni paesi europei mostrano reazioni negative e illogiche. Ci aspettiamo reazioni logiche dai paesi europei, e specialmente da paesi amici come l’Italia”. Due mesi dopo, il 14 luglio 2008, lo stesso interlocutore diretto di Prodi e D’Alema, Ali Larijani, diventato speaker del Parlamento iraniano, il Majlis, ha direttamente attaccato “alcune prese di posizione del nuovo governo italiano sulle questioni mediorientali”, riferendosi chiaramente alle dichiarazioni di Franco Frattini che, nel corso di un viaggio in Israele, aveva abbracciato la linea della fermezza verso l’Iran e le sue ambizioni nucleari.

E dell'editoriale del RIFORMISTA


A scorrere la lista dei partecipanti, pare quasi una gita premio per ex di primo piano. Gli ex primi ministri di Francia (Lionel Jospin) e Norvegia (Kjell Magne Bondevik) , gli ex presidenti dell'Irlanda (Mary Robinson) e del Portogallo (Jorge Sampaio), l'ex Segretario generale dell'Onu Kofi Annan. E Romano Prodi. Tutti insieme a Teheran per un evento non banale. Perché è la prima volta dai tempi dell'elezione di Mahmud Ahmadinejad che una rappresentanza così qualificata dell'occidente si è recata in visita ufficiale in Iran. E forse mai nella storia della Repubblica islamica a così tanti occidentali era stato concesso di partecipare a una conferenza non organizzata dal Governo.
Tutti a corte dall'ex presidente Seyyed Mohammad Khatami, che alla fine degli anni Novanta da molti - e in Italia in primis, dove l'allora presidente della Camera Luciano Violante firmò una commossa introduzione a un suo saggio sulla democrazia islamica - fu celebrato come una sorta di Voltaire con il turbante.
Gode evidentemente ancora di grande credibilità Khatami anche se alla promessa di grandi riforme fece seguito solo la repressione degli studenti che a quella promessa avevano creduto. A Teheran i prestigiosi ex sono arrivati ufficialmente per confrontarsi con i chierici locali su «Il ruolo della Religione nel Mondo Moderno». E forse - anche se tutti diplomaticamente negano - per lanciare la possibile candidatura di Khatami per le presidenziali dell'anno prossimo.
In ogni caso dispiace - ma non stupisce poi tanto - ritrovare a Teheran, così lontano dalla sua attuale area di competenza, l'ex presidente del Consiglio ora capo della Task Force per l'Africa delle Nazioni Unite. Romano Prodi ha colto l'occasione - e una volta là poteva fare diversamente? - di stringere nuovamente la mano a Ahmadinejad come già fece quando s'inventò un velleitario e isolato bilaterale con il presidente iraniano al Palazzo di Vetro un paio di anni fa. E tanto più velleitario - tra la nostalgia appalesata per il dialogo di un età migliore di questa (quella degli ex appunto) e l'invito a «diventare una società aperta» - sarebbe puntare ancora una volta sul pavido riformismo di Khatami sperando di poter aver voce in capitolo. Quasi fosse in palio il Comune di Bologna più che il destino della Rivoluzione islamica.

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