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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
20.06.2008 Trattare con Hamas e Siria per isolare l'Iran ?
è la strategia del governo Olmert ?

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Davide Frattini - la redazione
Titolo: «Blair: «L'intesa Israele-Hamas indebolisce l'Iran»»

Dal CORRIERE della SERA  del 20 giugno 2008, Davide Frattini riferisce delle opinioni di Tony Blair sulla situazione mediorentale:

GERUSALEMME — Tra il compleanno festeggiato il 6 maggio e il primo anniversario dell'addio a Downing Street (27 giugno), Tony Blair ha anche ricevuto il battesimo del fuoco. Una battaglia virtuale, a colpi di radar, quando l'aereo che lo riportava dal World Economic Forum in Egitto è stato intercettato dai jet israeliani che non l'avevano identificato (e soprattutto non avevano identificato il prestigioso passeggero). Che da pendolare della diplomazia globale, si muove tra un continente e l'altro, tra l'impegno per la pace in Medio Oriente e quelli da consulente con la JpMorgan o la finanziaria svizzera Zurich.
La religione tiene insieme due incarichi, inviato del Quartetto e presidente della fondazione per la fede, che ha creato dopo la pensione dalla politica britannica. Nelle stanze dell'American Colony — ha requisito un piano dell'hotel come quartier generale — entrano il suono delle campane e la voce del muezzin. Gli ebrei pregano poco lontano, davanti al Muro del pianto. «È evidente che la religione è un fattore fondamentale in questa regione », dice l'ex primo ministro. «Non deve diventare il problema, ma parte della soluzione. La globalizzazione forza le persone insieme, se la fede le spinge a isolarsi, separarsi, diventa pericolosa. È molto importante che gli islamici, per esempio, non si considerino contrapposti ad altre culture o religioni ».
La tregua tra Israele e Hamas è entrata in vigore da poche ore. Nell'intervista concessa al Corriere della Sera e a un gruppo ristretto di giornali, Blair sembra ancora più fiducioso ed energetico (l'abbronzatura aiuta). «In Medio Oriente, le opinioni oscillano tra ingiustificato ottimismo, piuttosto raro, e immotivato pessimismo nero, decisamente più comune. Il cessate il fuoco è uno sviluppo positivo, un'opportunità per Hamas di mostrare le sue vere intenzioni. Dimostra che il governo di Ehud Olmert vuole creare una situazione differente e smentisce chi era convinto che Israele avesse l'obiettivo strategico di demolire Gaza».
Non è ancora pronto a visitare la Striscia. «Voglio andare, devo essere sicuro che possa essere utile. Persone del mio staff sono già state a Gaza». Incontri con i leader di Hamas sono esclusi. «La posizione del Quartetto è chiara. Il movimento è di fatto al potere nella Striscia, ma non può entrare nel negoziato politico, quando l'obiettivo delle trattative è la nascita di due Stati e Hamas è contrario o quando continuano a usare il terrorismo per tentare di imporre la loro visione. Un nuovo governo di unità nazionale palestinese non potrebbe funzionare senza un accordo su principi comuni ». È convinto di poter applicare il modello Cisgiordania a Gaza: riforme e sviluppo economico. «Abbiamo dei piani per costruire scuole e infrastrutture. È impossibile convincere investitori privati finché le condizioni non cambiano. Nel momento in cui dalla Striscia non partono più attacchi contro Israele e Hamas rinuncia alla violenza, possiamo migliorare la situazione in pochi mesi ».
Si avvicina alla grande mappa della Cisgiordania, che copre le foto in bianco e nero di Lawrence d'Arabia (anche lui ha dormito in queste stanze). Indica l'area di Jenin («è più grande di Gaza») e ammette che i cambiamenti (la riduzione dei posti di blocco israeliani) sono ancora troppo lenti. «Facciamo progressi, l'obiettivo sarebbe avere una strada che corre da nord a sud, senza restrizioni. È vero, il governo Olmert deve fermare le costruzioni di nuovi insediamenti, come chiede la comunità internazionale. A me sembra più importante aprire il 60 per cento della Cisgiordania alla libertà di movimento per i palestinesi».
L'obiettivo della sua missione — dice — è restituire credibilità al processo di pace. «Quello che è successo dal 2000, la seconda intifada, gli attacchi terroristici, le reazioni israeliane, la costruzione della barriera, hanno distrutto la fiducia nella possibilità di raggiungere un accordo. Non il desiderio per la pace. Nell'ultimo anno, questa tendenza negativa si sta lentamente invertendo. I palestinesi vanno convinti che gli israeliani se ne andranno dai loro territori e gli israeliani devono poter credere in uno Stato palestinese in Cisgiordania che non si trasformi nella Striscia di Gaza. Tutt'e due le parti dicono cose vere: il peso dell'occupazione è oppressivo, gli israeliani vogliono garanzie per la sicurezza ».
Ammette che l'inchiesta per corruzione contro Olmert «complica lo scenario », riconosce che il primo ministro sta continuando gli sforzi per le trattative. Come l'annuncio di un possibile negoziato con il Libano. «Se restituire le fattorie di Sheeba toglie a Hezbollah il pretesto, vadano avanti. Arrivare a un accordo di pace tra israeliani e palestinesi è anche un modo per sottrarre un elemento alle pressioni che l'Iran esercita sulla comunità internazionale. Non voglio dire che se c'è un'intesa la minaccia iraniana sparirà». Risponde solo con la mimica (una smorfia) alla domanda sulle probabilità di un attacco israeliano contro il regime degli ayatollah. «Ogni leader politico occidentale deve porsi due domande. È accettabile che Teheran ottenga armi nucleari? La risposta è no. Quindi che cosa facciamo, se succede? Hmm...».

Dal FOGLIO, un articolo sulla prospettiva di un diaologo Israele-Siria:

Gerusalemme. “Non sarà facile come bere una tazza di tè”. Al primo tentativo, il corteggiamento di Ehud Olmert nei confronti del presidente siriano Bashar el Assad sembra già fallito. L’illusione dell’apertura, all’indomani della conclusione di una sessione di colloqui israelo-siriani con la mediazione della Turchia, l’aveva data l’intervista concessa dal premier di Gerusalemme al Figaro. “Non siamo lontani da un incontro tra me e Assad – aveva svelato Olmert al quotidiano francese – se le parti saranno serie, non sarà difficile sedersi attorno a un tavolo e parlare”. Il premier israeliano indicava persino la data del possibile rendez-vous: il 13 luglio a Parigi per il vertice dell’Unione mediterranea presieduto dal presidente francese, Nicolas Sarkozy. Il segretario generale dell’Eliseo, Claude Guéant, confermava in qualche modo nel corso di un’intervista radiofonica. Qualche ora più tardi, la smentita della presidenza francese. Ieri, quella di Assad, che però non sembra incrinare le certezze di Olmert: “Sarkozy sa meglio di me cosa succederà a Parigi il mese prossimo”. Sebbene il presidente siriano non lo dica (anzi, dichiara il contrario), i colloqui “indiretti” tra Damasco e Gerusalemme delle ultime settimane non sono stati infruttuosi. Le distanze rimangono, soprattutto sul versante delle alleanze: la Siria è tuttora a pieno titolo nel famigerato “asse del male” in compagnia dell’Iran e il regime baathista del giovane presidente Assad non nasconde i legami con Hezbollah e Hamas. C’è poi il nodo del Golan, l’altopiano conteso dal 1967 per il quale i due paesi sono ancora formalmente in guerra, sebbene il cessate il fuoco in vigore dal 1974 non sia (quasi) mai stato violato. Per il ministro degli Esteri turco, Ali Babacan, “il negoziato tra i due paesi è stato finora un successo”, tanto che per luglio sarebbe già fissata un’altra sessione di colloqui. “Si tratta di una materia molto complessa, ma non complessa quanto la questione con i palestinesi”, ha spiegato Babacan in un’intervista. Insomma: è difficile, ma se ne può uscire. Indizi, che però fanno pensare – più che a un reale rifiuto al dialogo – a una presa di distanza tattica di Assad, che deve vedersela con il prossimo arrivo di ispettori dell’Onu per verificare l’effettivo utilizzo di materiale nucleare acquistato dalla Corea del nord (e parzialmente distrutto qualche mese fa da un raid israeliano) e con le frange del suo partito legate alla maggioranza sunnita che non vede di buon occhio l’alleanza con i pasdaran sciiti di Teheran. Olmert lo sa e vuole giocare la carta del negoziato per dare un’alternativa ad Assad, ossia per isolare di più l’Iran di quel Mahmoud Ahmadinejad che, ancora pochi giorni fa, ribadiva la volontà di “cancellare Israele dalle mappe geografiche”. Che l’isolamento di Teheran possa essere presto completo non lo dicono soltanto i tentativi di apertura di Israele (e dell’Europa: Sarkozy ha persino invitato Assad alla parata militare del 14 luglio) alla Siria. Lo dice pure l’accordo al ribasso offerto dall’inviato di politica estera dell’Ue, Javier Solana, all’Iran: fermatevi a questo punto senza costruire nuove turbine (indispensabili per realizzare l’atomica), il messaggio, e potremmo pure chiudere un occhio sull’arricchimento dell’uranio, la cosidetta offerta “freeze to freeze”, confermata al Foglio da fonti diplomatiche italiane. Un gesto disperato del rappresentante europeo, più che l’offerta di un’intesa, che spiega meglio di tante dichiarazioni quanto sia esile la speranza che il dossier nucleare possa trovare una soluzione diplomatica.

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