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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Riformista - Corriere della Sera - L'Opinione Rassegna Stampa
04.06.2008 Porte chiuse per Ahmadinejad a Roma
cronache e commenti

Testata:Il Riformista - Corriere della Sera - L'Opinione
Autore: Peppino Caldarola -Ali Niku Nesbati - de angelis - Ahmad Rafat - la redazione - Piero Ostellino - Michael Sfaradi
Titolo: «Non è un paese per tiranni - Grazie da Teheran - Al Campidoglio un Iran libero - Il potere dell'Iran teocratico arriva fino al centro di Roma - L'apatia di sinistra - Il reato di destra - La bella protesta - Salviamo l’Iran dal suo tiranno»

L'editoriale di Peppino Caldarola sulla manifestazione di protesta contro la presenza di Ahmadinejad a Roma.
Dal RIFORMISTA del 4 giugno 2008:


È stata la giornata dei «volenterosi della libertà». A sera e fino a notte si sono ritrovati nella piazza del Campidoglio raccogliendo l'appello del Riformista contro la presenza di Ahmadinejd e per gridare Free Iran, come era stampato sulla prima pagina del giornale di ieri. Ci sono tutti quelli che avevano promesso di esserci. Il sindaco, uomini della destra e della sinistra, cittadini comuni, ebrei romani, politici titolati. E prima del Campidoglio c'era stata piazza di Spagna, e poi i volantini dei ragazzi ebrei e la manifestazione spontanea partita dal Ghetto. Abbiamo riempito di libertà la capitale.
L'apoteosi dei dittatori è stata smontata ora dopo ora in questa lunga giornata politica romana da un mare di persone che hanno detto di non credere che siano separabili libertà e lotta alla fame. Sul palco, nella piazza del Campidoglio, dalle 20 in poi parlano brevemente in tanti, e stupisce come l'idea-guida dell'iniziativa abbia saputo superare le barriere degli schieramenti. Alle 21 Alemanno fa spegnere per un quarto d'ora tutte le luci del Campidoglio, in segno di protesta contro la visita e di solidarietà con i manifestanti. È la conclusione generosa di una giornata difficile e controcorrente, di quelle che solo una grande passione politica e una robusta testardaggine riescono a far diventare data da ricordare. Una giornata fatta di piccoli e grandi episodi che proveremo a raccontare in questa breve cronaca.
È un mercoledì che inizia all'insegna del disagio e, perché no?, dell'imbarazzo. Una città istupidita dal traffico e dalla pioggia quasi non si è accorta che in un palazzo gigantesco al confine di Roma antica - da cui ogni giorno entrano e escono (prevalentemente escono) dipendenti di tante nazionalità diverse - si stava svolgendo il grande meeting per discutere il problema cruciale dell'umanità: la lotta alla fame. Città cinica, città che ne ha viste tante, città difficile da vivere con i suoi ministeri e i palazzi pubblici nel raggio di pochi chilometri e quelle abituali manifestazioni di protesta che l'attraversano come un infarto quotidiano per fortuna mai mortale. Una città così si stupisce di niente. Borbotta, si adatta, dimentica.
Questa città rischiava di non accorgersi di Ahmadinejad. Nessuno lo racconterà agli iraniani. Ma il grande spot propagandistico del regime iraniano a Roma è fallito. La capitale è blindata come nelle occasioni più importanti, con l'elicottero della polizia incollato al cielo. La pioggia sembra aiutare la grande cerimonia a svolgersi fuori dalle attenzioni della gente. Serve anche al leader iraniano, «mascariato» dai tanti no ad incontrarlo, parlare alla tribuna e andar via.
Invece, mentre la città si gonfia di traffico, a metà mattinata un folto gruppo di ragazzi ebrei lancia dal Colosseo manifestini contro Ahmadinejad. Lo faranno in altri luoghi ancora. Alla fine ne avranno lanciati e distribuiti oltre venticinquemila. Parte nel primo pomeriggio dal Ghetto una manifestazione spontanea di giovani, donne e bambini per raccontare la rabbia e il dolore degli ebrei romani di fronte alle parole sanguinarie dell'erede di Khomeini. Dalle 13 una manifestazione in piazza di Spagna raduna centinaia di «volenterosi della libertà», e tv e reporter di tutto il mondo, con parlamentari dei due schieramenti e associazioni, riunite dallo slogan «Abbiamo fame di libertà», per una protesta silenziosa contro la presenza di Ahmadinejad. È il momento in cui i dissidenti iraniani prendono la parola che terranno per tutta la giornata. Sky Tv ci informa che oltre il 65% dei propri spettatori, rispondendo ad un sondaggio, si dichiara contrario alla presenza del capo dei fondamentalisti di Teheran.
Poche ore prima la giornata era cominciata nelle sede della Fao con un gesto di straordinaria arroganza. Un giornalista iraniano, Ahmad Rafat, vice direttore di Adn-Kronos International, scopre che il suo visto vale niente perché lo respingono all'ingresso in quanto «persona non gradita« al piccoletto satanico di Teheran che ha appena dichiarato che «nel nome di Dio voglio tanto bene al popolo italiano». Rafat parlerà la sera in Campidoglio. È andata peggio al cineoperatore che, a pochi chilometri di distanza, è stato assalito dalle guardie del corpo di Robert Mugabe, padrone dello Zimbabwe, altro indesiderabile che si aggira soddisfatto fra i potenti del mondo.
La sera al Campidoglio c'è la grande manifestazione convocata dal Riformista . Dopo l'Israele day, la maratona oratoria per il Tibet di Campo de' Fiori, con l'iniziativa di ieri Roma è diventata definitivamente la capitale di chi crede che la libertà e la tolleranza siano valori universali, senza se e senza ma. Nasce il «modello romano» di concepire le relazioni mondiali. Roma in controtendenza rispetto alle prudenze e alle viltà degli iperrealisti, Roma in sintonia con un mondo che chiede più libertà e più diritti. Attorno al palazzone della Fao, avvolto da striscioni che chiamano alla solidarietà verso i popoli che non hanno, di fronte alle Terme di Caracalla, si sono confrontate per tutta la giornata tre realtà diverse.
La città ufficiale, tutta ricchi premi e cotillons, che ospitava la più grande kermesse propagandistica del mondialismo compassionevole. La città infastidita che serrata nei bus, nei metro e nelle macchine scappava via dalla «zona rossa» pronta a dimenticare quest'ultimo grande evento. Infine la città solidale e discreta che raccontava alle altre due le enormità del mondo.
Una gigantesca burocrazia milionaria, un red carpet attraversato da capi di Stato famosi e sconosciuti, notabili di ogni parte del pianeta si stanno riunendo per tre giorni per scrivere, infine, documenti che non porteranno un chilo di riso in più alla gente che ha fame. L'iniziale atroce dubbio sull'inutilità di queste manifestazioni diventa convinzione profonda. Le parole rotonde coprono appena il vuoto di risultati. Non sono infatti previsti risultati. Ma sbaglia la città grande a non vedere quello che accade in quel palazzone e ad allontanarsene infastidita? Sbagliano i «volenterosi della libertà» che, per puro dispetto verso due sgradevoli ospiti, offuscano il valore storico di un appuntamento contro la fame? Oppure hanno ragione sia la città che fugge sia quella che resta e protesta civilmente?
È così che la giornata di ieri non è stata dedicata alla fame ma a qualcosa che aiuta a lottare contro la fame. È stata dedicata alla libertà. Forse l'indifferenza e la protesta delle due città si sarebbero trasformate in un sostegno attivo se l'agenda del meeting fosse stata selettiva. Se chi opprime fosse stato escluso dal novero di quelli che possono parlare a nome dei poveri del mondo. Il «caso Ahmadinejad» non è frutto della testardaggine degli ebrei romani e degli amici di Israele. È che si rischia di perdere il senso pesante delle parole. Se un capo di Stato proclama al mondo che vuole distruggere un altro Stato, con tutta la sua gente, i suoi bambini, la storia che rappresenta, con quel signore non c'è dialogo. Non ci sarà un'altra Shoah. Ma forse non è più tempo di organizzazioni internazionali che fingono di non vedere il dolore dov'è. Senza di noi la tribuna di Ahmadinejad sarebbe stata una cattedra mondiale. Lo abbiamo fatto scendere.

Una lettera di Ali Niku Nesbati, leader degli studenti iraniani dissidenti.

Caro direttore del Riformista,
intendiamo esprimere la nostra gratitudine per quanto state facendo. Vi ringraziamo anche per l'idea avanzata su Il Riformista di cambiare il nome di un tratto della strada dove ha sede l'ambasciata dell'Iran a Roma, rinominandola Ali Niku Nesbati, membro del Consiglio Centrale dell'Ufficio per il Consolidamento dell'Unità. Quest'idea dimostra la vostra profonda sensibilità nei confronti dei movimenti sociali in Iran, e in particolare nei confronti del movimento degli studenti, impegnato nella lotta per i diritti umani, libertà, giustizia e democrazia, in Iran come nel resto del mondo.

Caro direttore, noi apprezziamo veramente quanto state facendo, ma se dovessero decidere di cambiare nome a un tratto della via che ospita la rappresentanza diplomatica iraniana, proponiamo di chiamarla «9 luglio», giornata storica per il movimento studentesco iraniano. Il 9 luglio di 10 anni fa gli studenti iraniani sono usciti dalle università in difesa dei valori come la libertà e la democrazia. Lei stesso il 9 luglio del 2003 organizzò un'altra giornata di solidarietà con gli studenti iraniani, che riscosse successo anche nel nostro paese. Forse non tutti i suoi lettori sanno che il 9 luglio del 1999, in seguito all'assalto di forze di polizia e di elementi non meglio identificati nei dormitori degli studenti, 180 nostri amici furono arrestati, 300 furono espulsi e diversi risultarono gravemente feriti. Ancora oggi tre nostri colleghi del Politecnico di Teheran, Majid Tavakkoli, Ehsan Mansouri e Majid Ghassaban sono in carcere, così come diversi altri studenti di diversi atenei del paese.

Caro direttore, attualmente, cioè da quando Mahmoud Ahmadinejad ha assunto la Presidenza della Repubblica, si cerca di riscrivere la storia del 9 luglio e di punire gli attivisti e i leader del movimento studentesco iraniano. Se il sindaco di Roma dovesse accettare la vostra proposta e rendere omaggio alla lotta degli studenti iraniani, siamo sicuri che questa decisione contribuirà enormemente a neutralizzare i piani di Ahmadinejad e dei suoi alleati che mirano a soffocare ogni voce dissidente, e contribuirà in modo determinante alla lotta degli studenti e di tutti coloro che vorrebbero vedere la libertà, la democrazia e i diritti umani trionfare in Iran e nel mondo.

La cronaca della manifestazione romana:

Campidoglio, ore 21: si spengono le luci, per un quarto d'ora. Non è ancora notte ma la suggestione arriva lo stesso. E anche il messaggio. In Iran sui diritti è buio: morte, tortura assenza di libertà. Sul palco illuminato - a pensarla, la scenografia non sarebbe potuta venire meglio - si legge, a chiare lettere, la scritta: «Free Iran». E sono stati davvero in tanti a dire «Iran libero», ieri sera, in Piazza del Campidoglio alla manifestazione promossa da questo giornale. Della visita in Italia di Ahmadinejad, arrivato ieri a Roma per partecipare al vertice della Fao e poi ripartito, resta un segno fin troppo chiaro: la condanna, unanime, di tutto il mondo politico.
Ieri, in piazza, c'erano davvero in tanti. A partire dalle associazioni che hanno sottoscritto l'appello per un Iran libero, oltre una trentina di sigle, dalla Comunità ebraica di Roma, che ha fortemente sostenuto la mobilitazione, a "Nessuno tocchi Caino", a quelle dei rifugiati politici e dei dissidenti iraniani. E c'erano anche tanti politici, di ogni colore ma anche sindacalisti, (dal leader della Cisl Bonanni all'Ugl) e cittadini, che hanno partecipato a una maratona oratoria, iniziata attorno alle otto di ieri sera, per mandare un messaggio chiaro al presidente iraniano: Ahmadinejad, a Roma, non è un ospite gradito.
La più forte denuncia è stata la presenza sul palco, durante tutta la maratona oratoria, di Ahmad Rafat il giornalista italo-iraniano, vicedirettore dell'AdnKronos International, che ieri non ha potuto assistere ai lavori del vertice Fao «come persona non gradita» alle autorità del paese d'origine. Una discriminazione gravissima che ha trovato una condanna unanime dal mondo politico, da Gasparri a Fassino. È intervenuto sul caso anche il ministro degli Esteri Frattini, che ha dato immediata disposizione al rappresentante permanente italiano alla Fao, l'ambasciatore Pietro Sebastiani, di acquisire tutti gli elementi relativi al ritiro del suo accredito, nella convinzione - si legge in una nota della Farnesina - che al giornalista debba essere consentito di svolgere regolarmente la propria attività.
«L'Iran ha fame di libertà» era scritto su uno dei due striscioni dietro il palco dove, tra da due gigantografie del presidente iraniano con la scritta, appunto, «Free Iran», in molti hanno sollecitato la comunità internazionale ad azioni concrete. Come il capogruppo alla Camera del Pdl Fabrizio Cicchitto: «L'attuale gruppo dirigente iraniano raccolto intorno ad Ahmadinejad sostiene una politica antisemita e la distruzione di Israele e sta costruendo centrali nucleari, il cui obiettivo evidente è quello militare. Di conseguenza - ha proseguito Cicchitto - nei confronti dell'Iran occorre sviluppare iniziative come quelle riguardanti le sanzioni, perché la linea strategica iraniana è molto pericolosa per il futuro del mondo».
Anche il sindaco di Roma Alemanno è intervenuto: «La manifestazione di oggi in Campidoglio - ha detto Alemanno - è sacrosanta, perché le posizioni espresse dal presidente iraniano Ahmadinejad sono gravi e inaccettabili per qualsiasi persona che creda nella coesistenza pacifica e nel rispetto di ogni identità religiosa e culturale. Di fronte a questo non possiamo chiuderci nell'indifferenza né possiamo accettare relazioni internazionali basate soltanto sul piano dell'opportunità economica». Tutti gli interventi hanno invocato la linea dura nei confronti dell'Iran. Come quello di Gianni Vernetti del Pd, ex sottosegretario agli Esteri: «L'Iran è un pericolo per la sicurezza e la stabilità internazionale. Sta, letteralmente, esportando terrore: Hezbollah in Libano, Hamas a Gaza e l'armata di al Sadr in Iraq. Per non parlare dell'Afghanistan dove dà supporti logistici e economici ai talebani». Vernetti non ha usato mezzi termini: «Servono sanzioni economiche politiche dure. È l'unico paese al mondo che vuole cancellare Israele. Ed è stato un fiero oppositore della moratoria sulla pena di morte».
Sotto un maxischermo che mandava un video della dissidenza iraniana sulle condanne a morte, gli oratori si sono alternati fino a tardi. Per il governo in piazza c'era il ministro delle Politiche comunitarie Ronchi («Dire che Israele non può esistere è ripugnante. L'Ue inizi un percorso verso l'Iran» ha detto il ministro) e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanardi. Per il Pd Goffredo Bettini che, dopo aver ringraziato Alemanno per aver spento le luci del Campidoglio, ha difeso a spada tratta il diritto di Israele ad esistere. Tanti i politici dei due schieramenti: Ranieri del Pd, il capogruppo dell'Idv Donati, Ciocchetti dell'Udc, Quagliariello, Margherita Boniver e Fiamma Nirenstein del Pdl. «Libertà, diritti in Iran»: questo il leitmotiv di tutti gli interventi. Il presidente della comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, che molto si è speso nell'organizzare la manifestazione, ha aggiunto: «Dobbiamo chiarire un equivoco. Non siamo qui per un contenzioso tra Iran e Israele. Il problema è più profondo. Quel regime teocratico ha cominciato con gli ebrei ma il suo obiettivo è aprire un contenzioso con tutta la civiltà occidentale, i suoi valori e la sua libertà». Poi Pacifici ha lanciato l'allarme: «La minaccia può materializzarsi sulla testa dei cittadini europei e non solo su quella di Gerusalemme qualora dovesse dotarsi del nucleare. Dobbiamo fermarlo prima che sia troppo tardi».
I radicali sono intervenuti numerosi. Ieri, mentre Ahmadinejad parlava alla Fao, hanno steso simbolicamente sulla scalinata di Piazza di Spagna un telone nero, come a dire: in Iran la democrazia è in lutto. Al Campidoglio poi Sergio D'Elia di "Nessuno tocchi Caino" ha affermato: «C'è una ipocrisia in Europa: tutti parlano di minacce ma tutti hanno con l'Iran rapporti economici e politici». E Aurelio Mancuso, presidente dell'Arcigay ha detto: «Di stati che discriminano gli omosessuali ce ne sono tanti ma in Iran vengono fatte impiccagioni di massa. Ha fatto bene il governo italiano a non incontrare Ahmadinejad. Ma servono azioni più incisive».

Un articolo di Ahmad Rafat, il giornalista dichiarato "persona non grata" al vertice Fao:

Questa mattina sotto la pioggia, quando percorrendo a piedi la strada dal Colosseo fino all'Aventino, mi sono presentato alla porta della Fao per seguire il vertice internazionale sui problemi della fame del mondo e la crisi dell'agricoltura, mi aspettavo una giornata piuttosto noiosa. Il ritiro del mio pass è stato una svolta; di punto in bianco da uno dei 700 giornalisti che doveva seguire questo importante vertice mi sono trasformato in una notizia che in pochi minuti ha fatto il giro del mondo.
Dal Parlamento Europeo, al Dipartimento di Stato si sono occupati del mio caso, questo per non parlare della stampa e delle associazioni di categoria in Italia. Il funzionario che mi ha fermato, aveva in mano come tutti i suoi colleghi un foglio con la mia foto e le mie generalità, come se fossi il peggior delinquente del mondo, e mi ha definito molto garbatamente «persona non grata». Alla mia domanda perché ero tanto sgradito alla Fao o al governo italiano, da non poter svolgere la mia professione di giornalista al vertice, nessuno dei funzionari della pubblica sicurezza o della sicurezza della Fao hanno voluto o potuto rispondere.
Alla Fao dicono di non essere gradito al ministero degli Interni italiano, al Viminale ribattono che l'ordine per il ritiro del mio pass è partito dall'edificio di viale Aventino. A me non importa tanto sapere chi ha avuto questa bella idea, ma mi preoccupa il fatto che il potere di Mahmoud Ahmadinejad e del regime teocratico da lui rappresentato, arrivi fino al centro di Roma. L'Adnkronos International, l'agenzia di stampa che io dirigo, è molto particolare poiché trasmettendo oltre che in italiano anche in arabo e in inglese, vuole essere - e lo è - uno strumento di dialogo tra i popoli dell'est e dell'ovest. Come ha scritto il mio editore in una sua nota, sono un ostinato democratico. Forse è proprio questa mia ostinazione, nel voler denunciare le continue violazioni dei diritti umani in Iran, come in altri paesi del Medio Oriente, la regione di cui mi occupo come giornalista da oltre trent'anni, che ha suggerito a qualcuno di escludermi dal vertice Fao.
Ma chi voleva zittirmi ha fatto male i suoi conti, questa vicenda rafforza in me la necessità di denunciare con più forza di prima le violazioni dei diritti umani, e la voglia di impegnarmi più di prima a dar voce a chi, vivendo in paesi come la Repubblica Islamica, gli viene impedito con una forte repressione il diritto alla parola.

Un editoriale critica apatia della sinistra di fronte alla politica genocida di Ahmadinejade denuncia:

 L'Unità ieri non ha nemmeno dato notizia delle manifestazioni contro Ahmadinejad. Repubblica si è invece schierata per la stretta di mano col tiranno, e contro il suo isolamento diplomatico. I giornali della sinistra radicale sono troppo impegnati nel denunciare la xenofobia della Lega che vuole espellere i clandestini per occuparsi del razzismo di Ahmadinejad, che gli israeliani vuole proprio cancellarli. La sinistra non si appassiona più a niente, questo è il suo problema. Fa il suo compitino quotidiano in nome di valori che non le scaldano più il cuore, e si vede. Ha i valori giusti, ma non ha più il coraggio di difenderli.

La destra invece

nello schierarsi contro Ahmadinejad è stata pronta. Frattini subito con noi. Cicchitto e Gasparri, i due capigruppo. Alemanno, il nuovo sindaco di Roma. Ieri Giovanardi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. E Fini, che ha annullato l'incontro con l'ambasciatore iraniano. Li ringraziamo tutti, e di cuore. Con un altro governo non sappiamo se le cose sarebbero andate così.

Il RIFORMISTA, tuttavia, ravvisa una contraddizione tra la difesa dei diritti umani in Iran e la politica del governo italiano in tema di immigrazione clandestina:

La vicenda del reato di immigrazione è desolante. È una norma manifesto, lo sanno anche quelli che l'hanno scritta, e in privato ti dicono che non servirà a nulla, perché dovrebbe scoraggiare dal venire chi non ha già niente da perdere; che è irrealizzabile, perché dovrebbe trasformare i Ctp in luoghi di detenzione per centinaia di migliaia di persone. È fatta solo per l'applauso degli elettori che reclamano sicurezza, in attesa che arrivi davvero un po' più di sicurezza.
Sarebbe un grave errore, che macchia l'immagine che la nuova destra italiana vuol dare di sé.

Piero Ostellino sul CORRIERE della SERA denuncia una diversa  contraddizione:

Che, poi, l'alto commissario dell'Onu abbia accusato l'Italia di razzismo, mentre l'antisemita Ahmadinejad partecipava anch'egli alla riunione, indetta dalla stessa agenzia dell'Onu, è qualcosa di più di un paradosso. E'— quale che sia il giudizio sull'operato del governo Berlusconi in tema di immigrazione — un tragico esempio di quel «mondo alla rovescia» che sono ormai diventate da tempo le Nazioni Unite.

Di seguito, l'articolo completo:

In questa Italia, sempre pronta a manifestare contro le democrazie americana e israeliana, a bruciare le loro bandiere e a tirar sassi contro le loro ambasciate, è una notizia, davvero una buona notizia, che ci sia chi si è mobilitato per protestare pacificamente contro le violazioni dei diritti umani in Iran, le deliranti affermazioni del suo presidente, Mahmoud Ahmadinejad — «Israele sarà presto cancellato dalle carte geografiche» — e i suoi programmi nucleari. In questa Roma ancora turbata dalle ultime vicende della sua maggiore università — dove il corpo accademico, in nome dell'antifascismo (?), ha espresso la sua solidarietà al preside della Facoltà di Lettere sequestrato dai collettivi studenteschi di sinistra — ciò che, infatti, resterà della visita del presidente iraniano in occasione del vertice della Fao (l'Agenzia dell'Onu per l'agricoltura e l'alimentazione), sarà la manifestazione di ieri sera organizzata dal Riformista e dalla comunità ebraica.
Non ha tutti i torti, allora, la stampa iraniana che se la prende anche con il direttore del Riformista,
Antonio Polito, per il clamoroso insuccesso della visita di Ahmadinejad, che né papa Benedetto XVI né il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, né quello del Consiglio, Silvio Berlusconi, hanno ricevuto. Questa è la forza dell'informazione indipendente e della libera opinione pubblica in un Paese di democrazia liberale. Si è trattato di un evento nell'evento che ha fatto onore al nostro Paese. Ma la singolare eccezionalità dei due eventi romani e della loro concomitanza — la riunione della Fao e le manifestazioni di ieri presso il Campidoglio e a pochi metri dalla sede della stessa Fao — non si arresta qui. Va oltre.
La presenza a Roma, oltre che di Ahmadinejad, del dittatore dello Zimbabwe, Robert Mugabe, ha coinciso, infatti, con la presa di posizione delle Nazioni Unite contro il decreto del nostro governo che sancisce, a meno di ripensamenti preannunciati dallo stesso nostro presidente del Consiglio, il reato di immigrazione clandestina. Ha detto l'alto commissario dell'Onu per i diritti umani, Louise Arbour: «Le politiche repressive e gli atteggiamenti xenofobi sono una seria preoccupazione. Ne sono esempi la decisione del governo italiano di rendere reato l'immigrazione illegale e gli attacchi ai rom». Ora, che a una riunione sull'Alimentazione abbia partecipato Robert Mugabe — un despota che affama il suo popolo — sarebbe già un curioso paradosso. Che, poi, l'alto commissario dell'Onu abbia accusato l'Italia di razzismo, mentre l'antisemita Ahmadinejad partecipava anch'egli alla riunione, indetta dalla stessa agenzia dell'Onu, è qualcosa di più di un paradosso. E'— quale che sia il giudizio sull'operato del governo Berlusconi in tema di immigrazione — un tragico esempio di quel «mondo alla rovescia» che sono ormai diventate da tempo le Nazioni Unite. Un dato di fatto sul quale la nostra diplomazia dovrebbe, forse, riflettere.

Sempre dal CORRIERE la cronaca della visita di Ahmadinejad a Roma:

ROMA — L'ex volontario delle Guardie rivoluzionarie che ha la carica di presidente della Repubblica islamica dell'Iran ha chiesto scusa. Ma non delle minacce all'esistenza dello Stato di Israele. Mahmoud Ahmadinejad si è scusato con i giornalisti perché all'inizio di una conferenza stampa alla Fao la traduzione delle sue parole dal farsi non arrivava dentro le cuffie: «Spero che ci perdonerete questi problemi tecnici...». Perdonerete, testuale. «This is technology », questa è la tecnologia, ci aveva scherzato su un attimo prima. E per il resto si è presentato con un atteggiamento tanto suadente verso gli europei con i quali intende mantenere il dialogo quanto intollerante, aggressivo, verso lo Stato ebraico.
Non ha rifiutato risposte ai giornalisti israeliani che gli hanno rivolto domande, l'ex sindaco di Teheran.
Semplicemente, immedesimandosi in pieno nel ruolo che si era assegnato, ha cercato di far passare il suo obiettivo della distruzione di Israele per una previsione da analista politico.
«Io ho soltanto fornito una notizia», ha detto Ahmadinejad diventando spin doctor
di se stesso, simile a uno di quei «dottori dell'effetto» che interpretano come meglio conviene le dichiarazioni dei rispettivi datori di lavoro nella società dell'immagine. Che diamine, Israele è destinato a finire. Poi, sugli ebrei, ha dispensato frasi apparentemente distaccate e invece intrise di ferocia: «Noi sappiamo che gli europei non amano i sionisti e non vogliono che vivano in Europa. Ce ne siamo resi conto...». In un colpo solo, una voluta sopravvalutazione delle minoranze razziste che ritirano fuori la testa e benevola comprensione nei loro riguardi.
Non c'erano tutti i giornalisti accreditati, ad ascoltare Ahmadinejad mentre nella sala principale della Fao andava avanti la conferenza sulla sicurezza alimentare. A un altro iraniano, Ahmad Rafat, vicedirettore dell'Adnkronos international
schierato contro il regime di Teheran, era stato negato l'ingresso in quanto «non gradito». Misura volta a non irritare la Repubblica islamica, contestata dalla Federazione della stampa italiana, contrastata poi dalla diplomazia degli Usa che ne ha ottenuto il ritiro (Rafat ieri non ne ha usufruito).
Ahmadinejad ha trovato un cenno di freddezza appena atterrato a Ciampino. Il presidente della Camera Gianfranco Fini, dopo le frasi pronunciate lunedì dall'ex pasdaran
contro Israele, ha annullato un appuntamento del 9 giugno con l'ambasciatore iraniano Abolfazl Zohrevand. Consapevole che le distanze tenute da Silvio Berlusconi, dal quale gli era stato negato un incontro, non derivano da desideri di scontri frontali con un partner
economico, Ahmadinejad in pubblico non ha dato peso all'assenza di cordialità.
«Ogni amministrazione è libera di fare le sue scelte», ha detto. «Non ho ancora notizie su questo 5+1», ha risposto evasivo sul proposito dell'Italia di entrare nel comitato con i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu più la Germania sui suoi piani nucleari. I bersagli, ieri, erano altri: a cominciare dall'Onu, dove agiscono interessi «diabolici ». E poi George W. Bush, «un diavolo» che «pensa a un attacco militare contro l'Iran». Il santo, nel 19˚ anniversario della morte, Ruhollah Khomeini: «Incarnò tutti gli ideali di Cristo, che la pace sia con lui».

Da L' OPINIONE un'analisi di Michael Sfaradi:

Mahmoud Ahmedinejad, ha di nuovo dichiarato, davanti a non meglio definiti ospiti stranieri arrivati a Teheran per assistere alle cerimonie per il 19esimo anniversario della morte dell’ayatollah Khomeini, che “Israele è alla fine e verrà presto eliminato dalle carte geografiche”. Durante le sue elucubrazioni mentali, che non sono più neanche originali, ha propinato ai presenti la solita storia: “Il regime sionista criminale e terrorista ha una storia di 60 anni di saccheggi, aggressioni e crimini, e che sarà presto cancellato dalle carte geografiche”. Ma non finisce qui, da presidente si è poi trasformato in profeta e, guardando al futuro, ci ha predetto la fine della potenza americana; “Il tempo delle potenze tiranniche è finito e con la vigilanza e la solidarietà tra i popoli, gli Usa e tutte le potenze sataniche se ne andranno e la giustizia arriverà”. Non ha specificato però come tutto ciò dovrebbe accadere e quando. Questo poco prima di partire per Roma dove ha partecipato al vertice della Fao e dove non è stato ricevuto né dal Governo Italiano né in Vaticano e, insieme al presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, non è stato invitato alla cena offerta dal Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi e dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, in onore dei leader mondiali che hanno partecipato al vertice Fao di Roma.

La violenza verbale con la quale sta attaccando Israele a cicli ricorrenti, prende forza dalla certezza che sia il lavoro nelle centrali nucleari, sia le ricerche per i missili a lunga gittata stanno procedendo rapidamente. Il “bulletto” della Casbah si sente forte, perché più l’Occidente prova a parlargli come un paziente genitore parlerebbe ad un bimbo impunito, più lui si intestardisce e vuole le due cose che non gli si possono dare: la bomba atomica ed Israele rasa al suolo. Mahmoud Ahmedinejad, anche se non se ne rende conto, sta portando la sua nazione verso la linea di non ritorno che, una volta valicata, porterà il mondo verso la terza guerra mondiale. Non sta però facendo bene i suoi calcoli, perché se anche raggiungesse la bomba nucleare non potrebbe usarla senza causare l’annientamento dell’Iran. Gli Stati Uniti temporeggiano e dichiarano che bastano delle serie sanzioni per mettere a tacere i bollenti spiriti iraniani, ma se non bastassero? Siamo sicuri che l’opzione militare ci sia, ed è sul tavolo.

L’ex presidente americano Jimmy Carter che non ha simpatie per Israele, ha dichiarato che lo stato ebraico potrebbe avere fino a centocinquanta testate nucleari, il governo di Gerusalemme non conferma e non smentisce, ma la notizia detta da lui, che come ex inquilino della Casa Bianca è in possesso di tante informazioni top secret che dovrebbe tenere per sé, il dubbio che le testate esistano è forte. Siamo sicuri che Israele non rimarrebbe lì ad aspettare i missili iraniani e a farsi distruggere senza reagire, per cui corriamo il rischio di scoprire se le informazioni in possesso di Carter siano esatte o no. L’occidente, secondo noi, dovrebbe fare del tutto per salvare l’Iran da Ahmedinejad, perché se è vero che l’esercito di Tel Aviv a volte si trova in difficoltà quando si tratta di andare a stanare dei terroristi annidati in mezzo alla popolazione per paura dei “danni collaterali” che potrebbero causare vittime civili, se si tratta di difendere la sicurezza della nazione e del popolo è capace, disponendo della più avanzata tecnologia militare al mondo, di cose eccezionali.

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