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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera - Il Foglio - Il Riformista - La Stampa Rassegna Stampa
30.05.2008 Ahmadinejad: un tiranno a Roma
la richiesta d'udienza in Vaticano, le adesioni alla manifestazione di protesta, una proposta al sindaco della capitale, gli affari italiani con il regime degli ayatollah

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio - Il Riformista - La Stampa
Autore: Gianna Fregonara - Giulio Meotti - la redazione - Dariush Parsa - Antonella Rampino
Titolo: «Ahmadinejad, l'imbarazzo vaticano - Ahmadinejad vuole vedere il Papa ma vessa i cristiani - Iran libero, martedì in piazza - Una via per Alì Nikou - No ad Ahmadinejad sì agli affari con l’Iran»

Dal CORRIERE della SERA del 30 maggio 2008:

ROMA — L'arrivo in Italia del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, martedì a Roma per il vertice della Fao, rischia di complicare non poco l'agenda di Papa Benedetto XVI. E in questi giorni imbarazza la diplomazia vaticana più del previsto. Sembra infatti essere quella con il Pontefice, al momento, l'unica visita ufficiale del leader fondamentalista alla quale la diplomazia di Teheran sta lavorando. Un colpo di immagine non indifferente per Ahmadinejad che potrebbe rendere meno stringente l'isolamento internazionale a cui è sottoposto per il suo programma militare nucleare e per le sue affermazioni anti-israeliane, se alla fine il faccia a faccia ci dovesse essere. Non ci saranno altri incontri politici e la sola iniziativa «italiana» al di fuori del vertice Fao, confermata anche dall'ambasciata iraniana, è un incontro con alcuni grandi imprenditori che nel Paese hanno interessi e commesse.
Fino a ieri mattina l'idea alla quale stava lavorando la Santa sede era quella di un incontro collettivo dei capi di Stato e di governo che partecipano alla sessione della Fao e che hanno chiesto al Pontefice udienza: una decina in tutto. Ma ieri sera questa era poco più che un'ipotesi. Problemi politici e logistici possono far saltare il saluto del Pontefice a una delegazione mondiale dall'Argentina all'Iran, che annacquerebbe le polemiche politiche e eviterebbe incidenti diplomatici. Ma i presidenti non saranno a Roma nello stesso momento, visto che il vertice dura tre giorni. E soprattutto le ambasciate avrebbero fatto pervenire i loro dubbi su un'udienza del genere. Per ora dalla sala stampa vaticana fanno sapere soltanto che «si sta lavorando» per trovare una soluzione ai problemi che sono sopraggiunti in queste ore.
Ma i beninformati delle cose vaticane a questo punto considerano più probabili singole udienze, brevi — una decina di minuti a testa — che non un rifiuto netto di salutare i capi di stato che hanno chiesto — come ha fatto l'Iran — di incontrare il Papa.
Al momento resta invece escluso un incontro bilaterale tra Ahmadinejad e il governo italiano: a Palazzo Chigi non è arrivata neppure la richiesta di Teheran. Segno che l'opera di dissuasione della Farnesina ha avuto qualche effetto. Ci saranno incontri a livello di delegazioni e forse anche tra ministri (Ahmadinejad arriverà accompagnato dal ministro degli Esteri e da quello dell'Agricoltura) e non sarebbe la prima volta.
E mentre la Sapienza conferma che non ci sarà alcuna lezione di Ahmadinejad agli studenti, l'ambasciata iraniana sta lavorando per un forum tra il presidente e alcune grandi imprese italiane, martedì pomeriggio: ci saranno l'Ansaldo, che ha partecipato nel 2004 alla costruzione di quattro centrali elettriche, e il presidente della Fata, del gruppo Finmeccanica, Ignazio Moncada, che sta realizzando un impianto da oltre 300 milioni di euro per la produzione di alluminio nel sud dell'Iran.
La sera di martedì il Riformista diretto da Antonio Polito organizzerà invece una maratona oratoria di stampo radicale in piazza di Spagna per protestare e testimoniare contro il leader iraniano e la sua politica.

Dal FOGLIO, un articolo di Giulio Meotti sulla persecuzione dei cristiani e di altre minoranze religiose in Iran:

Roma. A Shiraz, il paese d’origine dei Magi, sono stati arrestati dieci iraniani che hanno abbandonato l’islam per convertirsi al cristianesimo. L’organizzazione dei convertiti iraniani rifugiati a Dubai annuncia che sono almeno 35 i cristiani arrestati in Iran dall’inizio dell’anno. E’ uno dei biglietti da visita con il quale il presidente Mahmoud Ahmadinejad arriva a Roma, in attesa di ricevere risposta sull’udienza con il Papa. Questa è la fase più oscurantista dei rapporti fra il cristianesimo e la Rivoluzione islamica, da quando nel 1979 l’ayatollah Khomeini chiese la chiusura immediata delle scuole cattoliche e concesse a tutti i sacerdoti, religiosi e religiose cattolici stranieri, un mese di tempo per lasciare il paese. Il Parlamento iraniano dovrà discutere una proposta di legge presentata dal governo per la riforma del codice penale. La bozza prevede la pena di morte per chi, nato da padre musulmano, decida di convertirsi. Oggi la pena è assente, anche se nella prassi convertiti al cristianesimo e seguaci della fede sincretista Baha’i sono stati impiccati. Se fosse approvata, sarebbe un caso unico al mondo. Amici dello scià, classe sociale d’elite, ricchi, educati e molto colti, i Baha’i sono la più grande minoranza religiosa dell’Iran, con circa 300 mila fedeli. Banditi e perseguitati dai mullah iraniani, dal 1979 oltre 200 Baha’i sono stati giustiziati, centinaia sono in carcere, decine di migliaia privati dei più elementari diritti. Tutte le loro istituzioni sono vietate e luoghi sacri, cimiteri e proprietà sono stati confiscati dal governo o distrutti. Molti Baha’i sono stati condannati solo per avere tenuto lezioni di catechismo ai figli. I giovani non possono iscriversi all’università, se non si dichiarano “islamici”. Nel luglio 1994 Mehdi Dibaj è stato ucciso dopo aver scontato una pena di nove anni per aver rifiutato di abiurare la fede cristiana e ritornare all’islam. Considerando l’affermazione dell’eminente religioso sciita Hasan Mohammadi, secondo cui “ogni giorno circa 50 giovani iraniani si convertono in modo segreto al cristianesimo”, il progetto di legge sull’apostasia sancirebbe la fine della libertà religiosa che nel 2004 Giovanni Paolo II aveva invocato con parole dure e chiare di fronte a Mohammad Faridzadeh, ambasciatore iraniano presso la Santa Sede. I cristiani in Iran sono 360 mila su una popolazione di 65 milioni; i cattolici sono 25 mila. Nel nuovo progetto di legge sono individuati due tipi di apostasia: innata, o “fetri”, oppure di origine parentale, “melli”. Nel primo caso, l’apostata ha genitori musulmani, si dichiara musulmano e da adulto abbandona la fede di origine; nel secondo, l’apostata ha genitori non musulmani, diventa musulmano da adulto e poi abbandona la fede. “La punizione nel caso di apostasia innata è la morte. La punizione nel caso parentale è la morte, tuttavia dopo la sentenza finale, per tre giorni il condannato sarà invitato a tornare sulla retta via ed incoraggiato a ritrattare. In caso di rifiuto, la condanna verrà eseguita”. Ahmadinejad ha presentato l’Iran come uno dei rari paesi nei quali “le minoranze religiosi godono di diritti uguali”. Nel 1994 il pastore protestante Haik Hovsepian venne ucciso e sepolto in una fossa comune con un musulmano convertito al cristianesimo. I figli del pastore hanno partecipato alla realizzazione di un documentario sui cristiani iraniani, “Cry From Iran”. Un convertito, Mehdi Dibaj, è stato giustiziato dopo aver trascorso dieci anni in carcere. Poi c’è stato Hossein Soodman, impiccato nel 1990, mentre Mohammad Bagheri Yousefi fu trovato impiccato a un albero nel 1996. “La vita dei cosiddetti apostati non è mai stata facile in Iran” dice Joseph Grieboski, presidente dell’Institute on Religion and Public Policy di Washington. “Lì non c’è una stanza per il dialogo, solo per la morte”. A metà maggio la polizia ha attuato una serie di arresti contro famiglie di cristiani convertiti. Negli ultimi anni numerosi sono stati giustiziati con l’accusa di “spionaggio”. Secondo Albert Lincoln, segretario generale Baha’i con sede ad Haifa, è l’ultima di una serie di persecuzioni andate crescendo dall’inizio dell’anno. Gli arrestati sono accusati di “relazioni con i sionisti”. Il fondatore dei Baha’i, Baha’u’llah, fu perseguitato dagli sciiti iraniani e costretto a riparare in Israele. L’agenzia iraniana Fars annuncia la creazione di un’organizzazione con lo scopo di combattere il movimento. A Shiraz, da dove è partita l’ultima campagna anticristiana, si ergeva anche il luogo santo Baha’i. Fu distrutto nel 1979 dai Guardiani della rivoluzione. L’ayatollah Mahallati l’aveva definito “centro dell’empietà e di tutto ciò che vi è di malvagio sulla terra”. Ora si stringe il cappio intorno al collo dei cristiani dell’Iran. Dove persino sul frontespizio del Ketob-e Ta’limate Dini, il manuale di religione usato dalle minoranze non islamiche, campeggia la foto di Khomeini.

Dal RIFORMISTA il rinnovato appello a manifestare in piazza durante la visita ad Ahmadinejad:

Si moltiplicano le adesioni all'appello del Riformista perché Roma e l'Italia si facciano sentire da Ahmadinejad, quando martedì prossimo sarà a Roma per partecipare a un convegno della Fao. Crediamo che non si possa tacere sul rispetto dei diritti umani in Iran, sulla libertà politica, sulla discriminazione e repressione degli omosessuali, sull'incitamento alla distruzione di Israele da parte del presidente iraniano, sulla sua negazione della Shoa, e sul pericolo che rappresenta per l'intera area del Medio Oriente l'ipotesi dell'arma nucleare nelle mani del regime di Teheran.
Il Riformista sarà dunque in piazza a Roma martedì 3 giugno. Invitiamo tutti coloro che vogliono essere con noi a una maratona oratoria, con inizio alle ore 20, in una piazza romana che comunicheremo non appena le autorità di pubblica sicurezza ci avranno dato l'autorizzazione. Iran libero. Vi aspettiamo.

E quello a dedicare una via di Roma al dissidente iraniano Ali Nikou-Nesbati:

Teheran. «Morte al dittatore», «Ahmadi-Pinochet, l'Iran non sarà un altro Cile». Non era sicuramente il benvenuto che Mahmud Ahmadinejad si aspettava di ricevere quando, nel dicembre del 2006, si recò a incontrare gli studenti del Politecnico Amir Kabir di Teheran. Eppure quegli slogan si sono ripetuti. E hanno portato in galera Ali Nikou-Nesbati, uno dei dirigenti del Tahkim Vahdat, la maggiore organizzazione riformista e pro-democratica studentesca. Ali Nikou-Nesbati fustigato e incarcerato. Ali Nikou-Nesbati a cui il sindaco di Roma Gianni Alemanno dovrebbe - come suggerito su queste pagine da Emanuele Ottolenghi martedì scorso - dedicare un pezzo di strada. Quello che ospita l'Ambasciata iraniana, al civico 361 di via Nomentana.
Arrestato l'8 novembre dell'anno scorso, Nikou-Nesbati è stato rimesso in libertà dopo un mese trascorso nella sezione 209 del carcere di Evin a Teheran, quella gestita dai servizi d'Intelligence, che vi conducono i loro interrogatori. Ma alcuni giorni fa è arrivato il verdetto: cinque mesi di reclusione e dieci frustate. Sebbene tramutata in una semplice multa, la pena è comunque tale da costringere il dirigente studentesco al silenzio, pena nuove, più dure sanzioni.
Il Tahkim Vahdat, di cui Nikou-Nesbati era fino all'autunno scorso il responsabile per le pubbliche relazioni, è stato alla guida delle ormai storiche proteste studentesche a cavallo tra il 1999 e il 2003. Iniziative di ben altre dimensioni rispetto a quelle degli ultimi anni, stroncate con arresti, condanne o espulsioni dalle università di centinaia di giovani. Nell'estate di nove anni fa il malcontento degli studenti era sfociato nei più gravi scontri di piazza dalla nascita della Repubblica islamica, nel 1979. Di fronte a una situazione che rischiava di sfuggire di mano al regime, l'allora presidente riformista, Mohammad Khatami, chiarì che non si sarebbe schierato con chi ne metteva in discussione le fondamenta. La protesta finì dunque soffocata, con decine di giovani imprigionati e condannati a pesanti pene detentive. Sette anni dopo uno di loro, Akbar Mohammadi, sarebbe morto in prigione per uno sciopero della fame.
Per quattro anni la rabbia studentesca tornò ad affiorare con ondate di protesta sporadiche, fino a essere soffocata nel luglio del 2003. Pochi si sarebbero aspettati che tre anni più tardi sarebbe tornata a farsi sentire, in proporzioni più limitate ma sicuramente significative, in considerazione della dura reazione delle autorità. Dopo il primo episodio, durante la visita di Ahmadinejad all'Amir Kabir, un'altra serie di manifestazioni si è avuta nell'autunno scorso. La più importante il 9 dicembre, con la partecipazione di 1.500 studenti. Decine, anche questa volta, i giovani finiti in carcere, molti dei quali hanno denunciato di essere stati torturati. «Eppure - afferma Shirin Ebadi, avvocatessa Premio Nobel per la pace - le proteste continuano, come quelle delle femministe e dei lavoratori».
Proteste nelle quali hanno continuato ad apparire le fotografie di tre studenti dell'Amir Kabir: Ehsan Mansuri, Majid Tavakkoli e Ahmad Ghassaban, in carcere dal maggio del 2007 e condannati a pene tra i 22 e i 30 mesi di reclusione per alcuni articoli apparsi su riviste universitarie di cui erano responsabili, giudicate offensive dell'Islam. Intanto si sono avute altre morti in carcere. Ebrahim Lotfollahi, uno studente di 27 anni, è deceduto nel gennaio scorso in una prigione dove era sottoposto a interrogatori da parte dei servizi di Intelligence, nella città curda di Sanandaj. Un altro attivista di 25 anni, Kaveh Azizpur, in carcere da due anni, è morto nei giorni scorsi dopo essere stato ricoverato in ospedale, ufficialmente per una crisi cardiaca. Nell'autunno scorso Zahra Bani-Ameri, una dottoressa di 27 anni, era morta in una stazione di polizia ad Hamadan, dove era stata rinchiusa dagli agenti per la morale islamica perché sorpresa in un parco in compagnia di un ragazzo. Ma, qua e là, continuano le proteste dei giovani. Diciassette studenti dell'università Sahand di Tabriz, nel nord-ovest dell'Iran, sono stati ricoverati in ospedale in aprile per le conseguenze di uno sciopero della fame.

Da La STAMPA, un articolo sui rapporti commerciali tra Italia e Iran:

Se non avrà un faccia-a-faccia col Papa, non varcherà il portone di Palazzo Chigi e nemmeno i cancelli della Sapienza. Nell’occhio del ciclone per le sue ambizioni atomico-nazionaliste oltre che per l’odio verso Israele, Ahmadinejad viene a Roma per un difficile rilancio, usando il meeting dei capi di Stato alla Fao come una vetrina internazionale. Lo fa a ragion veduta: i rapporti economici con l’Italia sono fortissimi. Nell’energia l’Italia arriva a Teheran con Enrico Mattei e l’Eni nel 1957. Seguono le banche, oggi essenzialmente Bnl, Intesa e Mediobanca, spesso in credito per cifre vertiginose con lo stato iraniano (1,5 miliardi di dollari solo per Intesa nel 2003). E imprese, tante imprese che vendono macchinari come prodotti alimentari. Terzo partner commerciale dell’Iran, l’Italia, e con una quantità sterminata di joint-venture anche finanziarie.
Un interscambio cresciuto a due cifre per anni e anni, anche dopo la rivoluzione che impose il capitale misto alle aziende, poichè lo stato a Teheran ha la forma di una gigantesca e pervasiva Iri, nelle mani essenzialmente delle frange più conservatrici. Un quadro di rapporti economici che non può certo essere messo a repentaglio dai rapporti politici. Come sanno bene i tedeschi: falchi del gruppo «5+1» contro il nucleare iraniano, ma giusto ieri hanno aperto una banca a Teheran, e di quelle con sportelli al pubblico.
Per questo, Berlusconi non incontrerà Ahmadinejad, ma dopo quella di ieri a Stoccolma, Frattini avrà con il suo omologo Mottaki qualcosa di molto simile a una bilaterale a Roma. L’Italia fa la faccia (politica) feroce all’Iran, e nega ad Ahmadinejad quello che fu possibile negli Stati Uniti solo un paio d’anni fa, un incontro con gli studenti, risparmiandogli così quel che avvenne alla Columbia di New York, dove il presidente fu ridicolizzato per la frase «i gay in Iran non esistono». Ma difficilmente imprese e politici italiani potranno sottrarsi all’invito che per conto di Mahmud Ahmadinejad ha diramato l’ambasciatore Abolfazl Zahrevand per il 3 giugno all’Hilton di Roma. Un incontro sulle «Possibilità di sviluppo nelle relazioni economiche Italia-Iran», a nome di una camera di commercio italo-iraniana formata dal Gotha delle nostre imprese, da Ansaldo (attraverso la Fata) del gruppo Finmeccanica a Mediobanca, dalla Danieli alla Techint (e nella persona di Gianfelice Rocca). Per carità. Se si chiede a Finmeccanica si apprende che Ignazio Moncada di Fata quel giorno è a Milano. Se si interroga l’Eni si percepisce irritazione, eppure è tra le compagnie più attive nella ricerca di gas e petrolio in quel Paese. Nè ci sarà BancaIntesa, presente da anni nel sostegno alle aziende italiane che lavorano in Iran avendo ereditato la mitica rete della Commerciale, per decenni una vera e propria diplomazia parallela alla Farnesina.
Che il clima con l’Italia sia peggiorato dai tempi di Khatami, è cosa che ormai scrive anche quel che resta della stampa d’opposizione iraniana. I tempi di Khatami, il religioso con studi ad Oxford che tentò la via della democratizzazione, e che dall’Occidente non ebbe adeguato sostegno, quello che Emma Bonino definì «uno degli errori storici dell’Europa». Khatami che scriveva libri con le prefazioni di Luciano Violante e discorreva di costituzioni con Giuliano Amato. Khathami come Larijani, il negoziatore colto e moderato che Prodi incontrava all’Onu, contestato solo da un sottosegretario uso alla piazza.
Oggi, specie dopo l’elezione ieri di Larjiani a presidente di un Parlamento nel quale la maggioranza di Ahmadinejad è forte quasi quanto quella di Berlusconi a Roma, le cancellerie occidentali sono tutte al lavoro per spingere nell’angolo Ahmadinejad. Si parla e si tratta con Larijani e Mottaki, ma non con Ahmadinejad. Questo è il messaggio. E con tipica dissimulazione sciita, anche il farsi da parte di Khatami, «non mi ripresenterò per le presidenziali», ha come motivazione lo spingere la Guida Suprema dell’Iran, l’ayatollah Khamenei, a immaginare un rinnovamento «democratico» alla guida politica del Paese.


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