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Il Giornale - L'Unità - Il Foglio Rassegna Stampa
25.03.2008 La conversione al cattolicesimo di Magdi Allam
opinioni a confronto, e un'intervista al coraggioso giornalista

Testata:Il Giornale - L'Unità - Il Foglio
Autore: Eleonora Barbieri - Furio Colombo - Giuliano Ferrara
Titolo: «Magdi Allam:»

Riportiamo, sulla vicenda della conversione al cattolicesimo di Magdi Allam, un articolo di Furio Colombo, fortemente critico, soprattutto nei confronti di Benedetto XVI, un editoriale di Giuliano Ferrara, significativamente intitolato "Apologia di una conversione" e un'intervista allo stesso Allam pubblicata dal GIORNALE.

Da parte nostra riteniamo che la libera scelta personale di Allam sia, come tale, indiscutibile. Circa le polemiche concernenti la pubblicità del battesimo: essa ha avuto, nelle intenzioni di Magdi Allam, il significato di una difesa della libertà religiosa, in un contesto nel quale molti convertiti dall'islam al cristianesimo devono nascondersi e temere per le loro vite. Dunque, si tratta di una scelta non solo legittima, ma coraggiosa e significativa. Compiuta in nome di  valori universali, che dovrebbero essere validi per credenti di ogni  religione come per i non credenti, come la libertà e il rifiuto della violenza.

Ecco il testo dell'intervista: 

Milano - Ora è Magdi Cristiano Allam, ed è una svolta «radicale e definitiva». La conversione è rottura dei ponti con il passato: «Quando credevo che potesse esistere un islam moderato». Scrittore e giornalista, vicedirettore ad personam del Corriere della Sera, Magdi Allam è diventato cattolico la notte di Pasqua, quando Benedetto XVI l’ha battezzato con le sue mani in san Pietro.

Come è cambiata la sua vita da sabato?
«È cambiata la gioia interiore che provo dentro di me, il senso di assoluta sintonia fra i valori in cui ho sempre creduto e il contesto spirituale, culturale e sociale del cattolicesimo a cui ho aderito. Mi sento forte e determinato nel mio percorso per affermare la verità, la vita e la libertà».

A quali valori si riferisce?
«Quelli assoluti, universali, che rappresentano l’essenza della nostra umanità e che devono essere la base inconfutabile del dialogo».

Un esempio?
«Se il dialogo si limita a una dissertazione su ciò che dicono il Corano, il Vangelo o l’Antico Testamento, o a una verifica se il Dio di una religione corrisponda a quello delle altre, allora non si potrà realizzare alcuna civiltà comune dell’uomo. La grandezza di Benedetto XVI è quella di aver affermato che, se parti dai valori inconfutabili che sono l’essenza della nostra umanità e ti accerti che su tali principi ci sia piena sintonia, allora è possibile avviare un percorso di vero riavvicinamento fra culture e religioni diverse».
Nella lettera al Corriere parla di una svolta radicale e definitiva.

Rispetto a che cosa?
«Rispetto a un passato dove ho immaginato che ci potesse essere un islam moderato. E in cui credevo si dovesse difendere a tutti i costi una realtà nella sua essenza dottrinale e teologica. Ma ora ho definitivamente rotto i ponti con l’islam e con ciò che costituisce».

In che senso?
«Oggi estremismo e terrorismo rappresentano la prima emergenza internazionale e la più grave minaccia alla sicurezza nazionale. Ma penso che l’estremismo si alimenti di una sostanziale ambiguità insita nel Corano e nell’azione concreta svolta da Maometto».

Perciò ha scritto che l’islam è «fisiologicamente violento»?
«Il fatto che le efferatezze e le nefandezze dei terroristi trovino una legittimità islamica e coranica obbliga ad approfondire il discorso sulla radice del male. Così ho toccato con mano una realtà incompatibile con quei valori che considero non negoziabili».

Quando è cominciato il percorso di avvicinamento al cattolicesimo?
«Sul piano della conoscenza quando avevo 4 anni, al Cairo. Mia madre decise di affidare la mia educazione alle suore comboniane: lì frequentai asilo ed elementari. Alle medie e al liceo studiai dai salesiani dell’istituto Don Bosco. Ho vissuto in collegio: non ho soltanto studiato la Bibbia, ho sperimentato la convivenza con religiosi cattolici e con ragazzi italiani cattolici. E ho apprezzato la testimonianza di chi, attraverso le opere che mirano al bene comune, attesta la propria fede».

Sua madre era religiosa?
«Sì, musulmana praticante. Scelse le suore perché credeva che i valori fossero fondamentali. Poi se ne pentì un po’. Perché non ho mai condiviso un certo zelo nel praticare l’islam, ho sempre avuto molta autonomia. È così che mi sono reso conto che il cattolicesimo corrisponde perfettamente ai valori che albergano in me».

Quando è arrivata la svolta?
«Cinque anni fa, quando mi sono ritrovato costretto a vivere con la scorta per le minacce degli estremisti. E questo nonostante il mio impegno per diffondere in Italia un islam moderato. Ma questa azione si è rivelata sterile e quelle stesse persone che ritenevo moderate non lo erano affatto: mi sono dovuto ricredere».

La sua conversione è una sconfitta dell’islam moderato?
«Non si può parlare di islam moderato ma, piuttosto, di musulmani moderati. Il dialogo è possibile solo con chi, in partenza, aderisce ai valori assoluti. Primo fra tutti la sacralità della vita. È il principio fondamentale: ma la vita è oltraggiata e vilipesa al punto che, per alcuni, come i terroristi suicidi, la massima spiritualità cui ambire è la morte».

Che altro ha influito sulla sua conversione?
«Negli ultimi anni ho incontrato molte persone cattoliche di buona volontà. In Comunione e liberazione, in religiosi semplici di grande spiritualità, come suor Maria Gloria Riva e don Gabriele Mangiarotti. Ma il ruolo primario l’ha avuto il Papa, Benedetto XVI».

Perché?

«Mi ha convinto della bontà di una religione fondata sull’indissolubilità di fede e ragione. Ha detto che la base per accreditare una religione come vera è l’accettazione dei diritti fondamentali della persona, la sacralità della vita, la libertà di scelta, la parità fra uomo e donna».

Difese il Papa già dopo il discorso di Ratisbona nel 2006.
«Sono orgoglioso di averlo difeso, da musulmano. E non l’ho fatto solo per il diritto formale alla libertà di espressione: l’ho sostenuto anche nel merito della sua analisi sull’espansione dell’islam».

Il cammino è stato lungo, ma a un certo punto si sarà detto: «Mi converto». Quando?
«Circa un anno fa. Mi sono confidato con monsignor Rino Fisichella, che mi ha seguito nel mio percorso. Un lungo tragitto che ha trovato il culmine sabato sera».

Essere battezzato dal Papa non è da tutti. Che cosa si prova?
«Un’emozione fortissima. Sono rimasto teso per tutta la cerimonia. Lo considero il dono più grande che la vita potesse riservarmi».

E le polemiche?
«In Italia esistono alcune migliaia di convertiti dal cristianesimo all’islam, e nessuno li ha mai condannati o minacciati. Viceversa, se un musulmano si converte succede il finimondo ed è condannato a morte per apostasia. In Italia ci sono migliaia di convertiti che vivono la loro fede in segreto, per paura di non essere tutelati. Mi sono convertito pubblicamente per dire a queste persone: uscite dalle catacombe, vivete in modo chiaro la vostra fede. Non abbiate paura».

Ha detto che la Chiesa ha paura ad accogliere pubblicamente i convertiti: perché?
«La Chiesa teme di non poterli tutelare. E per le rappresaglie che possono subire i cristiani nei Paesi musulmani. Ma è sbagliato: l’estremismo e il terrorismo sono fenomeni di natura aggressiva, non reattiva. Giovanni Paolo II condannò la guerra in Irak: e in Irak i cristiani sono massacrati».

Andrà a Messa. Ha paura?
«Purtroppo vivo sotto scorta da 5 anni: andrò blindato anche in chiesa. Ho intitolato un mio libro Vincere la paura: perché l’obiettivo dei terroristi islamici è raggiunto se ci lasciamo sopraffare dalla paura. È questa la loro arma».

Si aspettava critiche?
«Ho messo in conto reazioni violente da parte di alcuni, ma non mi lascio intimidire. È una battaglia di civiltà, che va combattuta e vinta tutti insieme. Altrimenti sarà la fine della nostra civiltà occidentale e dell’Italia come nazione. Ma sono confortato da un fiume di telefonate, messaggini ed email di tantissimi italiani. La maggior parte della gente perbene ha condiviso il mio gesto. È questo che conta».

Da L' UNITA', l'articolo di Furio Colombo:


Il giorno di Pasqua del 2008 resterà memorabile per una svolta della Chiesa cattolica sotto la guida di Papa Ratzinger. Una terminologia politica sarebbe forse più adatta di quella religiosa per definire la svolta di cui stiamo parlando. Accostare fatti diversi avvenuti nello stesso giorno, e tutti legati al capo della Chiesa di Roma, servirà a far capire di che cosa stiamo parlando. Prima, ma solo il giorno prima di Pasqua, viene il discorso d’addio di Mon. Sabbah, patriarca latino di Gerusalemme, dunque inviato e rappresentante del Papa, in Medio Oriente, già militante di Al Fatah e amico personale di Arafat, da sempre nemico di Israele.
Vescovo o non vescovo, è naturale che Sabbah sia legato prima di tutto alla sua parte. Ma nell’occasione esclusivamente religiosa del suo addio al patriarcato, ha avuto questo da dire ai suoi fedeli palestinesi, divisi nella violenza, nella repressione e nel sangue fra la fazione Hamas di Gaza e ciò che resta di Al Fatah intorno ad Abu Mazen in Ramallah. Ha detto: «Il Medio Oriente ha bisogno di uomini di pace. Israele non ne ha. Da Israele non può venire la pace».
Sarebbe facile interpretare queste parole incaute e potenzialmente dannose (un implicito invito a continuare il conflitto) se l’evento restasse chiuso nella cornice stretta della esasperazione di un palestinese. Ma Mons. Sabbah rappresenta tutta la Chiesa, e non c’è stato alcun cenno di correzione. Al contrario. Il giorno dopo gli fa eco il capo della Chiesa cattolica. Nella benedizione pasquale invoca (nell’ordine) Iraq, Darfur, Libano, Medio Oriente, Terra Santa.
Come nelle carte geografiche arabe, il nome di Israele non compare, caduto nella fenditura fra Medio Oriente (che definisce l’intera area del conflitto) e Terra Santa, che è il nome della presenza cristiana in alcuni luoghi e territori del Medio Oriente, molti dentro i confini dello stato di Israele, proclamato dalle Nazioni Unite nel 1948.
Si sa che Joseph Ratzinger è uomo attento ai dettagli e - da buon docente di teologia - meticoloso nelle definizioni. Se Israele non viene nominato vuol dire che non esiste, secondo le regole vigorose di una tradizione di insegnamento che - ormai lo abbiamo imparato - calcola e soppesa ogni frammento di evento e di parola.
Ma le decisioni politiche espresse in modo chiaro, addirittura drammatico, nel giorno della Pasqua cristiana non si fermano qui. Accade che un notissimo giornalista e scrittore di origine egiziana e di religione islamica, Magdi Allam, abbia deciso di convertirsi, di diventare cattolico.
A tanti secoli di distanza dai tempi in cui la conversione di un imperatore doveva essere solenne e pubblica perché significava la conversione di un intero popolo, chiunque avrebbe pensato che la luce della fede secondo il Vangelo avrebbe raggiunto uno scrittore-giornalista nell’intimo della sua vita privata. Invece è accaduto qualcosa di sorprendente e di stravagante: Magdi Allam si è convertito in mondovisione. Il suo battesimo è stato somministrato personalmente dal Papa.
Il Papa - lo abbiamo detto e lo ricordiamo - è allo stesso tempo il capo di una grande religione e di un piccolo potentissimo Stato. Le conseguenze di ogni gesto, in entrambi i ruoli, hanno, come tutti sanno, un peso molto grande. E’ un peso che cade due volte sulla delicata e instabile condizione internazionale. In un primo senso una delle tre grandi religioni monoteiste celebra se stessa come la sola unica e vera, e presenta Magdi Allam come qualcuno che ha visto la luce e si è elevato molto al di sopra della sua condizione (“di religione islamica”) precedente.
In un secondo senso una implicita ma evidente dichiarazione di superiorità è stata resa pubblica, solennemente, in un modo che non ha niente a che fare con l’intima avventura di una conversione. Lo ha fatto personalmente il capo della Chiesa cattolica dedicandola a tutti i Paesi consegnati allo stato di inferiorità detto “islamismo”.
Per evitare incertezze su questa interpretazione, la clamorosa pubblicità del gesto diffuso in mondovisione è diventato il messaggio: Allam è salvo perché non è più islamico. E’ finalmente ospite della grande religione che è il cuore della civiltà occidentale.
Da parte sua Magdi Allam ha voluto offrire un commento chiarificatore. Ha spiegato che l’islamismo - moderato o estremista che sia - ha al suo centro il nodo oscuro della violenza. Ha sanzionato l’idea di una religione inferiore e di una superiore.
Comprensibile, anche se insolita per eccesso, l’illuminazione che Magdi Allam ha voluto dare al suo gesto per ragioni personali. Un giornalista, già noto, battezzato personalmente dal Papa in mondovisione lascia certo una traccia. Ma provate ad accostare il gesto di governo religioso di Papa Ratzinger, che accoglie personalmente un personaggio in fuga dall’inferno islamico e lo congiunge al rifiuto di nominare, nel corso di un altro evento altamente simbolico (la benedizione Urbi et Orbi), il nome di Israele, un Paese la cui sopravvivenza è in pericolo.
Senza dubbio si tratta di due eventi diversi, opposti e straordinari. Ma i due gesti si equivalgono, quasi si rispecchiano per un tratto in comune. Una delle tre grandi religioni monoteiste sceglie, al livello della sua massima rappresentanza, di essere conflittuale verso le altre. Alla patria degli ebrei e alla sensibilità religiosa degli islamici non viene dedicata alcuna attenzione. Non è strano?
Forse no, visto alcuni precedenti di papa Ratzinger. Uno è il discorso di Bratislava, che ha creato, come si ricorderà, una lunga situazione di imbarazzo. Un altro è l’esitazione e il ritardo, e di nuovo l’esitazione, nel porre il Tibet e la sua libertà, prima di tutto religiosa, al centro dell’attenzione.
E poi ci sono precedenti omissioni o disattenzioni di Joseph Ratzinger nei confronti di Israele, che hanno richiesto correzioni e provocato fasi di gelo che non si ricordano sotto la guida dei suoi predecessori.
Questo è il caso di un Papa-governante che è noto per essere un minuzioso tessitore della propria politica e che - a quanto si dice - non ricade mai nei giochi “di curia” o comunque nei giochi di altri.
Dunque è inevitabile la domanda. Mentre tace su Israele e battezza con la massima risonanza mondiale qualcuno che ha abiurato l’islamismo, mentre, intanto si tiene prudentemente alla larga dal Tibet, dove sta andando il Papa, dove sta portando la Chiesa di cui è governante e docente?
furiocolombo@unita.it

Pasqua tempestosa in San Pietro. Liturgia latina fitta del suo mistero, assediata dalla nebbia nel giorno della resurrezione, dopo le ombre cinesi del venerdì santo e della via crucis. E nel cuore del triduo, nel passaggio simbolico dalle tenebre alla luce dopo la processione dei ceri pasquali, la frustata della fede come incanto barocco dopo le arcate razionali di Ratisbona.

La conversione al cattolicesimo del laico musulmano Magdi Allam, il suo battesimo come Cristiano, è stata un grande fatto pubblico, amministrato con coraggiosa saggezza dalla chiesa e dal suo nuovo fedele. Spero che le eventuali ripercussioni polemiche (non voglio pensare adesso a un sovraccarico di violenza intollerante contro l’apostasia) saranno fronteggiate con altrettanta saggezza e altrettanto coraggio.

Buon viaggio a Magdi Cristiano nella difficile traversata che lo attende: è stata una festa per ogni vero libero pensatore vederlo sulla tolda dell’ammiraglia della chiesa universale, nella notte davvero universale per tutti i cattolici, quella della Pasqua di resurrezione, mentre il capitano gli asperge la testa di acqua benedetta.

Un pregiudizio secolarista vuole che la conversione, come la fede, debba restare un fatto privato, che in questo si esprima la sua sincerità. Ma è falso. I laici veri conoscono la storia della spiritualità umana e sanno che l’interiorità può essere solo il primo nucleo di una conversione o addirittura il suo esito finale quando il vaglio pubblico di un nuovo modo di vedere il mondo, e di essere nel mondo, approdi alla certezza di fede che la creatura umana appartiene alla terra che abita e al cielo che non conosce. Tutto sta alla libertà e all’inclinazione dell’individuo. Un catecumeno non è prigioniero della trasfigurazione radicale del suo animo, è un uomo libero che liberamente si mette alla sequela di Cristo in comunione con un popolo credente e con i suoi pastori.

Venticinque anni or sono Claudio Magris, letterato cattolico del pensiero debole, mi rivolse un attacco durissimo fondato proprio su questo pregiudizio della privatezza della fede, esteso al pensiero. Si trattava allora di una metafora minore e laica della conversione, il passaggio dal comunismo all’anticomunismo, e per una certa genia intellettuale di filocomunisti eleganti e borghesi l’anticomunismo era assai peggiore del comunismo, era un “male non necessario” o un atteggiamento non conveniente. Chi lasciava il comunismo doveva tacitarsi, raccogliersi in un tormento privato e considerarsi benevolmente ostracizzato per sempre. Risposi con amarezza al momento, e poi con una vita intrattabile e petulante. Vent’anni dopo un altro cattolico di sinistra, il vaticanista Giancarlo Zizola, presentando con me un libro nella sede del Partito radicale, tornò sul tema del silenzio dei convertiti con la stessa perentorietà, indicandomi come il prototipo del laico che si accosta alla chiesa in atteggiamento di devota conversione, e mi prescrisse anche lui la cura del silenzio. Gli risposi che sbagliava indirizzo, perché ero infinitamente più laico di lui e dei suoi amici radicali, e che nella storia delle conversioni che hanno fatto la chiesa furono notate alcune lettere di san Paolo, predicatore divinamente petulante e irascibile della nuova teologia dei cristiani, e una intera biblioteca di sant’Agostino, un altro convertito che non aveva rinunciato al piacere superbo di fare due chiacchiere con l’umanità.

Una delle cose più belle della vita è il sistema delle concordanze. E’ un riscontro di fatti, idee e sentimenti del tempo che dispone di un rango infinitamente superiore al dettato della “coerenza”, questo fantoccio ideologico della scuola laico-liberale ortodossa. Quando Giovanni Paolo II e Reagan tentavano di smantellare le cupe certezze prigioniere della vecchia Europa della guerra fredda, “convertito” era un insulto da amministrare con disprezzo e da accettare con onore. Ora che l’Europa di Benedetto XVI fronteggia il conformismo secolarista e il radicalismo islamista, tra le sistematiche aggressioni alla vita umana svalutata e le minacce dell’innamorato della morte che parla dalle grotte del Waziristan, la conversione è una cerimonia regale e un rito di santificazione felicemente provocatorio. La talpa cristiana sta scavando un’ampia fossa al secolo breve e infelice della talpa marxiana.

Nel pensare sempre la stessa cosa, nel “sentire come prima” entro l’ordine del mutevole, nell’essere ogni giorno uguali a se stessi, razionalizzando la storia in modo slealmente religioso e con la maschera del secolarismo idolatrico, non c’è sempre fedeltà, lealtà, obbligo di coscienza (anche questi sono criteri importanti di vita). Spesso c’è pigrizia, paura, e soprattutto c’è la falsa coscienza della realtà storica, che muta oltre la stabilità dell’essere e sfugge all’Io prigioniero.

Magdi Cristiano Allam sa bene, perché è un lettore e un ascoltatore attento della musica squinternata ma rigorosa composta da anni in queste pagine, che non potevamo fargli miglior regalo per la sua Pasqua così speciale, ignari di tutto come eravamo, della pubblicazione domenicale di un brano di Benedetto XVI in cui si ricorda che l’adesione personale a Cristo è riassunta nella formula: “Io e non più io”. Che continui a indagare la realtà del radicalismo islamico europeo negata in nome di un vago multiculturalismo, è la nostra previsione e il nostro auspicio. Che continui a esporre con il coraggio di cui abbonda le sue idee critiche sull’islam, maturate nella sua storia personale e professionale, è più ancora ovvio che legittimo. Sebbene per alcuni aspetti discutibili, le sue sono analisi e idee solitarie e tendenzialmente ostracizzate, in un’Europa in cui la ricezione passiva della filosofia di Tariq Ramadan si è accompagnata agli indegni processi per islamofobia a Oriana Fallaci e alla caccia grossa a quei magnifici e scandalosi bestioni che sono stati un Theo Van Gogh e un Robert Redecker, per non parlare dei disegnatori satirici danesi e di altre decine di dissidenti intimiditi e isolati dell’islam. E sono le sentinelle solitarie a dare l’allarme nelle situazioni critiche.

Però: “Io e non più io”. La conversione maestosa che fa il giro del mondo è un sovraccarico simbolico da governare con giudizio, con una energica mistura di passione e distacco intellettuale. Il senso di forza e di riorganizzazione militante che ha dato il modo stesso della conversione, il catecumenato segreto fino all’ultimo istante, l’elencazione puntigliosa dei garanti autorevoli nella gerarchia cattolica (Fisichella, Ruini), l’appoggio fisico del deputato di Comunione e liberazione che sorreggeva in San Pietro un cristiano nascente come un gesuita del seicento avrebbe potuto puntellare il corpo e l’anima dei nuovi arrivi di allora, tutto questo ha conferito anche una forte impronta politica al fatto personale ed ecclesiale della conversione. Magdi Cristiano Allam sa che, laiche o religiose, le conversioni sono la bestia nera del totalitarismo culturale moderno, e che vengono combattute con uno strumento prediletto: la consegna del convertito allo statuto simbolico dell’isolato, del provocatore, del profittatore e del rinnegato senza principi. Diranno che Dio non c’entra, che è tutta politica e bassa cucina, che in quell’acqua benedetta è il germe dell’intolleranza. Sono etichette facili da appiccicare anche con strategie oblique e apparentemente invisibili. Si difenda dunque Magdi dai suoi nemici, che in occidente pullulano, e anche un poco da se stesso, sorvegliandosi e mettendosi sempre all’altezza del fatto di cui è stato pubblico protagonista.

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