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Da pagina 14 del CORRIERE della SERA del 26 febbraio 2008: NEW YORK — Lui in tenuta musulmana, con tanto di turbante e sottana bianchi tradizionali dei villaggi somali; lei nell'inedito ruolo di paladina di stupratori e pedofili, dopo una carriera spesa a difendere i bambini. Ad appena una settimana dalle cruciali primarie in Texas e Ohio, da cui dipende la sorte della travagliata nomination democratica, tra Barack Obama e Hillary Clinton è ormai guerra senza esclusione di colpi. L'ultimo è stato sferrato dai collaboratori di Hillary, che hanno fatto pervenire al sito di destra Drudge Report una foto del senatore dell'Illinois scattata durante un viaggio in Africa nel 2006. Quando Obama fece tappa a Wajir, area rurale nel nord-est del Kenya, Paese d'origine del padre Barack Hussein Obama Sr., musulmano come il patrigno Lolo Soetoro, sposato in seconde nozze alla madre Ann Dunham. A detta di Drudge Report, un assistente di Hillary avrebbe spedito la foto, insieme alla domanda pleonastica: «Non la vedremmo su tutte le copertina se si trattasse della Clinton?». La replica di Obama, attraverso il direttore della sua campagna, David Plouffe: «È la più vergognosa e offensiva criminalizzazione di queste primarie. Proprio il tipo di politica che divide e allontana gli americani dai partiti, e fa perdere all'America il rispetto del mondo ». «Ora basta — ha replicato Maggie Williams, responsabile della campagna della Clinton —. Se lo staff di Obama vuol far credere che una foto di lui che indossa un abito tradizionale somalo divide, si dovrebbe vergognare. È solo un tentativo per distogliere l'attenzione dai veri problemi». Nessuna smentita, insomma, ma la tacita ammissione che quell'e-mail è uscita dal quartier generale della senatrice. Lo stesso che a dicembre silurò un coordinatore dell'Iowa per aver inoltrato una «mail a catena» in cui si sosteneva che Obama avesse prestato giuramento come senatore con la mano sul Corano: un anatema nell'America post-11 settembre. Ma gli umori e la posta in gioco oggi sono diversi. Il fatto che ieri il controverso leader nero della «Nazione Islamica» Louis Farrakhan, noto per le dichiarazioni antisemite e omofobiche, abbia dato l'endorsement a Obama, rischia di trasformarsi in un incubo per il senatore che negli ultimi giorni ha, a sua volta, alzato il livello dello scontro. La foto sarebbe una risposta ai volantini, distribuiti dai sostenitori di Obama in Ohio, che parlano dell'appoggio di Hillary per il Nafta, l'impopolarissimo mercato comune con Canada e Messico, ratificato dal presidente Clinton. Domenica poi il quotidiano Newsday ha rivelato che, ai tempi in cui era avvocato in Arkansas, l'allora 27enne Hillary avrebbe difeso un uomo accusato di aver stuprato una dodicenne, attraverso un aggressivo attacco alla credibilità della ragazzina, rea di «desiderare uomini più vecchi ». A pareggiare il conto, durante la cerimonia di consegna degli Oscar, ci ha pensato il comico ebreo Jon Stewart: «Si chiama Barack Hussein Obama — ha detto —. Hussein come l'ex dittatore iracheno, Obama che fa rima con Osama». Da La STAMPA un articolo di Maurizio Molinari: Il leader della setta «Nazione dell’Islam» Louis Farrakhan benedice la candidatura presidenziale di Barack Obama, attirandogli contro i sospetti di anti-patriottismo, rafforzati anche dalla diffusione di una foto che lo ritrae in abiti da capo tribù somalo. Ad otto giorni dalle primarie in Texas e Ohio, che possono decidere la corsa alla nomination democratica, è tempesta sul senatore afroamericano dell’Illinois. A creare il maggiore imbarazzo è stata la decisione di Farrakhan di definire Obama, parlando a Chicago di fronte a ventimila seguaci, «una speranza del mondo intero». Farrakhan, che ha 74 anni, lo ha paragonato a Fard Muhammad, il fondatore della «Nazione dell’Islam», dicendo che potrebbe essere lui «l’uomo nero che ci salverà». Paladino del nazionalismo nero, noto per aver definito l’ebraismo «una fede da bassifondi» e sostenitore della tesi che «la cocaina è stata inventata dalla Cia per rendere schiavi gli afroamericani», Farrakhan con il suo abbraccio rischia di stritolare la candidatura di Obama, che non a caso è corso ai ripari assegnando al portavoce Bill Burton il compito di precisare: «Non condividiamo le posizioni tenute in passato dal ministro Farrakhan e non ne abbiamo chiesto il sostegno». Per rafforzare il messaggio, Obama ha incontrato a Cleveland, in Ohio, la locale comunità ebraica, affermando che «la sicurezza di Israele è sacrosanta, non negoziabile» e definendosi «l’uomo giusto per avvicinare ebrei e afroamericani». Quando però gli è stato chiesto di commentare il paragone fra lo Stato ebraico e il Sud Africa dell’apartheid fatto negli Anni 70 da Jeremiah Wright - il pastore della sua chiesa di Chicago - ha risposto in maniera ambigua: «Si riferiva ai legami diplomatici che esistevano all’epoca fra i due Stati». Farrakhan e Wright allungano su Obama l’ingombrante ombra del nazionalismo nero in coincidenza con tre episodi che hanno spinto i repubblicani a «mettere in dubbio il suo patriottismo», come ha scritto Bill Kristol sul «New York Times». Ecco di che cosa si tratta: sul web circola un video in cui Obama ascolta l’inno americano senza portarsi la mano sul cuore; Obama ha giustificato con l’opposizione alla guerra in Iraq la scelta di togliersi dal risvolto della giacca la spilletta con la bandiera americana; la moglie Michelle ha detto che si è sentita «per la prima volta orgogliosa di essere americana» durante questa campagna elettorale, sollevando di conseguenza numerosi dubbi su che cosa abbia provato in passato. E’ in tale cornice che ieri il sito Internet Drudge Report ha pubblicato una foto scattata a Obama nel 2006 in Kenya, nella quale indossa il costume tradizionale di un capo tribù somalo. Il sito ha attribuito l’origine della foto alla campagna di Hillary e tanto è bastato a David Plouffe, stratega di Obama, per parlare di «azioni offensive e vergognose» compiute dai rivali. Ma Maggie Williams, nuovo capo dello staff di Hillary, ha risposto per le rime: «Se Obama sta suggerendo che la sua foto in abiti somali crea divisioni, è lui che deve vergognarsi» perché «il senatore Clinton spesso ha indossato abiti tradizionali durante viaggi all’estero». Hillary alza il tiro contro Obama perché sa che solo una piena vittoria in Texas e Ohio può tenerla in corsa. Per rimarcare le differenze ieri ha pronunciato a Washington un discorso sulla politica estera affermando, circondata da ex generali, che «ritirarsi dall’Iraq non sarà affatto facile». Dal FOGLIO , un articolo di Christian Rocca: New York. Gli strateghi conservatori del Partito repubblicano hanno due svantaggi e un vantaggio rispetto ai colleghi democratici nel preparare un piano elettorale per far eleggere John McCain e portare per la terza volta consecutiva un presidente di destra alla Casa Bianca. Il primo svantaggio è il clima politico nettamente favorevole al Partito democratico, a causa della guerra in Iraq, dell’insicurezza economica e, in generale, della fisiologica stanchezza nei confronti di un presidente come George W. Bush che ha governato otto anni e diviso a metà il paese. Il secondo elemento sfavorevole è l’entusiasmo dei democratici per i loro due candidati, Barack Obama e Hillary Clinton, due leader liberal che, a differenza di John Kerry nel 2004, ma anche di Al Gore nel 2000, riempiono di orgoglio la base elettorale e fanno sognare a occhi aperti il ritorno a ere di progresso e di giustizia sociale. Il fenomeno si è visto in questa stagione di primarie, dove gli elettori democratici si sono presentati alle urne quasi sempre in numero doppio rispetto ai repubblicani, anche in stati solidamente conservatori. lettere@corriere.it lettere@lastampa.it lettere@ilfoglio.it |
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