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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Giornale - Libero Rassegna Stampa
23.11.2007 Le atrocità della sharia e della schiavitù
dossier sull'islam che rifiuta i diritti dell'uomo

Testata:Il Giornale - Libero
Autore: Massimo M. Veronese - Fausto Biloslavo - Alberto Rosselli
Titolo: «L'atroce legge dell'islam - L'araba condannata dopo lo stupro. Gli Usa: "Vergogna" - L'Islam ha ancora 250mila schiavi «Sono un diritto»»

Dal GIORNALE del 23 novembre 2007, un articolo di Alessandro M. Veronese sulla sharia nei paesi islamici:

Nazanin aveva sedici anni quando fu aggredita. Attraversava il parco pubblico di Karaj, non lontano da Teheran, aveva appena incontrato le amiche, scambiato qualche confidenza, tra quei sorrisi complici che illuminano a primavera il viso delle ragazzine di quell’età. Ad aggredirla sono stati tre soldati, l’hanno aspettata in un angolo vicino all’uscita, erano sicuri di farla franca, nessuno avrebbe ascoltato di certo le grida di aiuto di una ragazzina. Invece lei sotto il vestito non aveva niente. Aveva un coltello, che entrò senza fatica nel cuore del suo stupratore. Sentenza facile: condanna a morte. Per Nazanin. Colpevole di essersi difesa da chi la voleva morta. L’ha salvata una sollevazione internazionale, niente pena capitale, ma carcere duro e dovrà pagare i danni alla famiglia di chi ha cercato di stuprarla senza riuscirci. La sharia è così: non ha pietà per le donne, ovunque vai, dalle parti dell’Islam, se sei femmina il tuo destino è segnato, spesso dalle frustate. Nel mondo sono più di quaranta i Paesi che hanno adottato la legge musulmana come legge di Stato. E la fantasia nel colpire le donne non manca mai.

In Iran per le adultere c’è la pena di morte, preferibilmente attraverso la lapidazione. Con una precisazione però: «Le pietre non devono essere tanto grosse da uccidere il condannato al primo o secondo colpo, né tanto piccole da non poter essere definite vere e proprie pietre». Non si muore facile, non si muore subito. E se non porti il velo o se non ti vesti come si deve consolati: c’è la pubblica frusta. In Siria chi uccide la moglie adultera non viene punito, chi uccide il marito adultero invece fa la sua stessa fine. In Pakistan chi denuncia il proprio violentatore senza prove rischia la flagellazione. Ma la rischia lo stesso anche se non lo denuncia o se resta incinta. E a volte può capitare di essere violentate dai poliziotti un momento dopo aver presentato la denuncia.

La vita però a volte è più dura della morte. In Sudan quattro bambine su dieci sono costrette a svolgere lavori pesanti, in Indonesia, oltre a ricevere la metà della paga degli uomini, lavorano più ore, in condizioni più dure e se restano incinte vengono licenziate. Aver commesso reato oppure no in fondo conta poco. È essere donna che è un reato.

Un articolo di Fausto Biloslavo su un'incredibile sentenza emessa in Arabia Saudita: 

Se vieni stuprata in Arabia Saudita, da una banda di sette delinquenti, ma eri in compagnia di un uomo che non è tuo marito o un familiare il giudice ti condanna a 90 frustate. Se ti lamenti e chiedi l’appello spifferando tutto ai media la pena raddoppia a 200 frustate e sei mesi di carcere, sempre in nome del Corano. Non è un incubo, ma l’incredibile storia di una ragazza di 19 anni rea di essersi appartata con un suo coetaneo e poi sorpresa dagli stupratori che hanno violentato entrambi. Ieri sono scesi in campo i pezzi da novanta della corsa alle presidenziali americane. A cominciare da Hillary Clinton, che ha rivolto un vibrante appello all’inquilino della Casa Bianca, George W. Bush, per salvare la ragazza saudita dall’incredibile ingiustizia.
«Invito urgentemente il presidente a chiamare re Abdullah (il sovrano saudita, ndr) chiedendogli di cancellare tutte le accuse contro la donna», ha dichiarato la moglie di Clinton. Il nome della vittima non è mai stato rivelato, ma sui giornali l’hanno ribattezzata la “ragazza di Qatif”, un sobborgo sciita dove è avvenuta la violenza di gruppo.
Anche l’altro candidato di punta dei democratici, Barak Obama, si è mosso per la giovane saudita con una lettera al segretario di Stato Condoleezza Rice. Le chiede di condannare apertamente l’assurda sentenza.
Nonostante le proteste, l’inesorabile “giustizia” saudita fa il suo corso. Il fattaccio è accaduto un anno e mezzo fa. La ragazza era appartata in un’auto con un suo coetaneo, quando sono stati sorpresi da una banda. In sette l’hanno violentata per 14 volte. Gli stupratori sono stati arrestati e condannati a pene che variano da uno a cinque anni. Anche loro rischiano il raddoppio della pena e forse la condanna a morte.
Il problema è che in gattabuia è finita anche la vittima, accusata di aver violato il rigido codice islamico, applicato in Arabia Saudita, che sancisce l’assoluta separazione fra uomini e donne prima del matrimonio. La ragazza di Qatif non si è data per vinta e, attraverso il suo avvocato, ha reso nota la vicenda alla stampa. La notizia ha fatto il giro del mondo infastidendo i magistrati sauditi che dovevano giudicarla.
Prima dell’appello, la giovane si è sposata, ma non è servito. L’inflessibile corte ha raddoppiato il numero di frustate a 200 e condannato la poveretta a sei mesi di galera, in nome della sharia, la legge islamica. Il ministro saudita della Giustizia ha difeso la sentenza mettendo in guardia contro i tentativi «di agitazione attraverso i media».
Non solo: Abdel Rahman al Lahem, l’avvocato che aveva difeso la donna, si è visto sospendere la licenza: «La mia cliente è vittima di un orribile crimine. Penso che la sentenza contravvenga alla legge islamica e violi le convenzioni internazionali. La Corte – ha coraggiosamente denunciato il legale – avrebbe dovuto trattare la ragazza come vittima e non come colpevole».
www.faustobiloslavo.com

Da LIBERO, un articolo  sulla schiavitù nel mondo islamico:

La tratta degli schiavi non è mai finita. Almeno nel mondo islamico; ancora oggi diversi stati africani islamici la praticano. Tra questi, la Mauritania, il Sudan, il Mali, il Burkina Faso, il Benin, il Gabon e la Costa d'Avorio che inviano ogni anno in Arabia Saudita, nello Yemen e, sembra, in alcuni emirati del Golfo, centinaia di "collaboratori domestici". Nonostante i governi di Riyadh, nel '62, e di Nouakchott (nell '81) abbiano abolito ufficialmente tale pratica, questa continua a prosperare. Non a caso, in Arabia Saudita lavorano 250mila schiavi de facto, cioè cristiani africani e cristiani filippini che in cambio di basse paghe vivono in una condizione di costrizione e mancanza di libertà pressoché totale (ai cristiani filippini è proibito portare il crocifisso al collo). In questo Paese, da decenni, moltissimi bambini africani, ma anche mediorientali e pakistani vengono impiegati come fantini negli ippodromi e, soprattutto, nelle corse di dromedari. Detto questo, si è dovuto attendere il giugno 2003 per vedere stilato dalla Commission on Human Rights dell'Onu uno specifico e pubblico rapporto sulla questione: denuncia che in ogni caso è servita a ben poco. Sempre nel 2003, la Anti-Slavery Society e la Africa Watch, hanno compiuto un'indagine che ha portato alla scoperta in Mauritania di decine di «centri di smistamento schiavi», di almeno 100mila lavoratori non pagati e di 300mila semischiavi neri, i cosiddetti haratine, destinati, in buona misura, ad essere utilizzati dall'esercito o venduti in Medio Oriente o in Brunei. Contrariamente allo schiavismo occidentale, che durò poco più di 300 anni (più o meno dalla metà del XVI a poco oltre la metà del XIX secolo) e che comportò la tratta di circa 12 milioni di africani, quello di matrice islamica - ancora praticato, come vedremo, in diversi Stati africani e mediorientali - andò avanti per ben 1.400 anni, cioè dal VIII al XX secolo. A questo proposito, si calcola che nell'arco di 14 secoli i mercanti musulmani abbiano messo in catene oltre 100 milioni di neri. Come è noto, il Corano non soltanto ammette l'esistenza della schiavitù come un fatto scontato, ma ne detta anche le regole. D'al tra parte, la legge islamica riconosce di fatto l'ineguaglianza tra gli uomini appartenenti a diverse religioni e, di conseguenza, quella tra padrone e schiavo (Corano, 16:71; 30:28). In pratica, il Corano assicura ai suoi fedeli il diritto di possedere servi (per l'esattezza di "possedere i loro colli") sia attraverso la contrattazione di mercato, sia come bottino di guerra o di rapina. Non a caso, lo stesso Maometto ebbe dozzine di schiavi. «L'acquisizione dei servi è regolata dalla legge ed è possibile per il mussulmano uccidere un infedele o metterlo in catene, assicurandosi la proprietà legale dei suoi discendenti nati in cattività» (trascrizione dall'opera prima del teologo Ibn Timiyya, Vol. 32, p. 89). Al contrario, nessun musulmano potrà mai detenere schiavi della sua stessa religione, «poiché quella islamica è la più nobile e superiore delle razze» (Ibn Timiyya). Secondo l'Islam, «esistono due esseri umani le cui preghiere non saranno mai accettate, né i loro meriti riconosciuti nell'altra vita: lo schiavo che fugge e la donna che non fa felice il proprio marito» (Miskat al-Masabih Libro I, Hadith, 74). Nel '99, anche in Sudan il fenomeno dello schiavismo ha ripreso quota ai danni delle minoranze nere animiste e cristiane del sud del paese. Una escalation che ha costretto l'allora vice Segretario di Stato americano per gli Affari Africani, Susan Rice a redigere un rapporto per l'Onu e per la presidenza degli Stati Uniti. Sembra tuttavia che, verso la fine del suo secondo mandato, Clinton abbia voluto archiviare tale rapporto onde evitare attriti con il Sudan. «Con il preciso scopo di sbarazzarsi della popolazione del sud - riferiva il rapporto Rice - il governo di Khartoum ha incarcerato e poi venduto migliaia di neri in Arabia e in altri emirati della penisola». Secondo le stime di Amnesty International, nel 2002 le ragazze nubiane tra i 15 e i 17 anni venivano piazzate sul mercato internazionale ad un prezzo oscillante tra gli 80 e i 100 dollari, a seconda del fatto che esse «siano vergini, o abbiano un particolare colore degli occhi o della pelle».

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