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Corriere della Sera - Libero Rassegna Stampa
21.11.2007 Pro e contro Martin Amis
opinioni a confronto

Testata:Corriere della Sera - Libero
Autore: Ronan Bennet - Renato Farina
Titolo: «Islam e silenzio europeo perché critico Martin Amis - Il dialogo inutile con l'Islam dei tagliagole»
Il CORRIERE della SERA del 21 novembre 2007 pubblica un attacco di Ronan Benett, ripreso dal Guardian, allo scrittore inglese Martin Amis, per le sue posizioni non politicamente corrette sul pericolo islamista.
Nel testo di Benett non mancano, tra l'altro, riferimenti a Israele, descritto come uno stato razzista. Inoltre, secondo Benner si  bollerebbe di antisemitismo chiunque denunci come "illegali "gli insediamenti in Cisgiordania. Come se le "critiche" a Israele si limitassero a questo.
Ecco il testo:


Che ne pensate della seguente affermazione: «Gli asiatici ci stanno superando, demograficamente, a grande velocità. Oggi rappresentano un quarto dell'umanità, entro il 2025 saranno un terzo. La natalità in Italia è scesa a 1,1 figli per donna. Siamo destinati a essere schiacciati» E mentre ci siamo, che ne dite di quest'altra dichiarazione, tra parentesi proveniente dalla medesima fonte: «La comunità nera continuerà a essere discriminata, finché non saprà darsi una regolata ». O questa, sempre dalla stessa persona: «Non si sente nessuna proposta da parte dell'ebraismo moderato, o mi sbaglio?». E ancora (sempre lui): «Perquisire gli irlandesi. Sì, è un'azione discriminatoria, che finirà col penalizzare l'intera comunità irlandese. Allora forse si decideranno finalmente a dare una buona educazione ai loro figli».
Chi parla è l'autore inglese Martin Amis e sì, le citazioni sono state modificate, rimpiazzando i musulmani con asiatici, neri e irlandesi e l'Islam con l'ebraismo: sono queste, ci tengo a ribadirlo, le uniche sostituzioni. Terry Eagleton, professore di letteratura inglese all'università di Manchester, dove insegna anche Amis, ha riportato di recente queste affermazioni nella nuova edizione del suo libro Ideologia,
dove accusa Amis di istigare «all'umiliazione e alla persecuzione» dei musulmani, affinché «se ne tornino a casa loro e insegnino ai loro figli a ubbidire alla legge dell'Uomo Bianco». L'acceso scambio che ne è seguito è stato riportato dai media come il solito battibecco transitorio tra accademici.
Io la vedo diversamente. Le opinioni di Amis sono sintomatiche di un'ostilità molto più diffusa e profonda contro l'Islam e di un'intolleranza verso la diversità. Solo la settimana scorsa, il «London Evening Standard» si è sentito in dovere di lanciare un dibattito dal titolo: L'Islam fa bene a Londra? Vi invito a fare una nuova sostituzione e immaginare quale sarebbe stata la reazione se il soggetto dell'inchiesta fosse stato l'Ebraismo. Coloro che sostengono che l'islamofobia non può essere razzista, perché l'Islam è una religione e non una razza, si ingannano: la religione non riguarda solo la fede, ma anche l'identità e il substrato sociale e culturale, e i musulmani sono in maggioranza non bianchi. L'islamofobia è razzista, come lo è l'antisemitismo.
E mi permetto di dissentire anche sotto un altro punto di vista. Le opinioni citate da Eagleton sono apparse per la prima volta l'anno scorso, in un'intervista con Amis, ma all'epoca non hanno suscitato praticamente nessun commento, il che la dice lunga sull'apatia che caratterizza il dibattito intellettuale oggi in Gran Bretagna. Si è riscontrata un'incomprensibile mancanza di interesse per l'appoggio che occorre invece offrire a una minoranza che vive al centro della nostra società e si ritrova sempre più demonizzata. Martin Amis si meritava la gogna per le sue opinioni. Ma nessuno ha mosso dito. Nel
Guardian, qualcuno ha concluso che, per quanto irritante, Amis aveva nondimeno sollevato questioni importanti.
Possiamo fare a meno della cortese finzione di Amis, che sostiene di prendere di mira «l'Islamismo »: le sue generalizzazioni sono davvero eccessive e troppi i riferimenti a «loro» e «noi». Quando afferma, per esempio, che «loro» stanno sorpassando «noi» demograficamente, è chiaro che non può riferirsi agli «islamisti». Il pericolo di essere superati, sopraffatti, è una figura retorica ripugnante, prediletta dai difensori della supremazia razziale in ogni dove. Suona terribilmente familiare tanto agli arabi israeliani come ai cattolici irlandesi. Quando Amis esterna i suoi timori di essere schiacciato, consapevolmente perpetua e ribadisce lo spettro dell'altro, caricandolo per di più con immagini paurose di povertà, violenza e ignoranza dilagante. Ma Amis insiste nel voler provocare: «Noi abbiamo maggior rispetto per la società civile».
Non è questo il momento e il luogo per dibattere le tesi e le definizioni avanzate da Martin Amis, ma vorrei soffermarmi per dire che ho visto talvolta più rispetto per la società civile, da come trattano i familiari, gli anziani e i forestieri a Damasco, a Ramallah e a Gerusalemme est, di quanto non abbia visto per le strade di Londra, New York e Parigi.
Una cosa è — e ribadisco, è giusto che sia così — condannare in ogni occasione l'antisemitismo, la misoginia, l'omofobia, l'istigazione all'odio e alla violenza quando tali fenomeni si verificano tra i musulmani, come è necessario fare dovunque essi si annidino, nella polizia, nella chiesa, nei partiti politici, nei giornali e altrove. Ma oggi i musulmani britannici con cui ho parlato si lamentano di sentirsi «travolti» da una valanga di commenti ostili. Non passa giorno che non si sentano rimbeccare dai più svariati opinionisti che si atteggiano a campioni del vero liberalismo. I musulmani che chiedono scuole musulmane sono criticati dai giornalisti che mandano i propri figli nelle scuole cattoliche o ebraiche. Le donne musulmane che preferiscono indossare il niqab sono attaccate da potenti politici che dicono di sentirsi «minacciati». Tutti coloro che fanno notare l'illegalità degli insediamenti israeliani sono tacciati di antisemitismo. Chi protesta contro la guerra in Iraq passa per simpatizzante di Al-Qaeda o malato di relativismo morale. I musulmani si sentono assediati. Se parlano, temono di passare per islamisti, così tanti di loro hanno rinunciato a cercare un dialogo su quello che Amis definisce «il problema dell'Islam».
Quella musulmana è una comunità sotto assedio, e non solo da parte dei romanzieri. Tutti i dati ufficiali segnalano che violenza e discriminazione contro i musulmani sono aumentate dal 2001. Le vittime della violenza fisica saranno sempre una minoranza, anche se gli asiatici hanno il doppio delle probabilità di finire accoltellati a morte rispetto a dieci anni fa. Ma quello che la maggioranza di loro avverte nella vita quotidiana è molto più insidioso, una specie di rigetto in codice che in questa nostra epoca illuminata prende il posto delle espressioni esplicite di razzismo. Sulla loro testa pende la minaccia di controlli, coprifuoco, arresti e lunghi periodi di detenzione cautelare. La legislazione repressiva antiterrorismo — tra cui i 28 giorni di detenzione cautelare — oggi in vigore non fa altro che intimidire, alienare e indignare i musulmani.
In un'altra intervista per un romanzo basato sugli avvenimenti dell'11 settembre, Amis descrive la sua ricostruzione fittizia di Mohammed Atta, il terrorista che dirottò l'aereo per pilotarlo contro la prima delle torri gemelle: «Mi sono preso una grande libertà narrativa, perché ho voluto trasformarlo in un apostata, piuttosto che in un fanatico religioso. Mi sarei annoiato a morte nell'indagare la psiche di un tipo affetto da manie religiose. Invece l'ho trasformato in un cinico che è lì solo per uccidere, è questo che volevo sottolineare, è un segreto che ormai sanno tutti, che uccidere è eccitante e ti dà un enorme senso di potere».
Come romanziere, Amis è libero di fare quello che vuole con i suoi personaggi, ma seguire i passi del dirottatore man mano che si avvicina all'11 settembre può svelare molte cose. Ridurre le motivazioni del nemico a una semplice sete di sangue non porta da nessuna parte: il risultato sarà falso e banale. Potrebbe anche apparire spettacolare, grazie ai poteri narrativi di Amis, ma non sarebbe altro che un cliché spettacolare. Frutto della moda dell'horror, del culto della morte. Parole reboanti, ma inefficaci sostituzioni per la comprensione, la ragione e la vera conoscenza. Tornate all'inizio dell'articolo, guardate le parole rimpiazzate e chiedetevi che cosa state leggendo: una questione importante sollevata da un grande scrittore? Una coraggiosa fantasy di vendetta? No. Un grande protagonista della scena letteraria e culturale che sottoscrive i più banali pregiudizi contro i musulmani.
Quattro giorni dopo l'attacco alle Torri gemelle e al Pentagono, lo scrittore Ian McEwan annotava su queste pagine: «Saper immaginare che cosa si prova a essere qualcun altro, all'infuori di se stessi, questo è il nocciolo della nostra umanità. È l'essenza della compassione, e l'inizio dell'etica». Quale espressione di un umanesimo sdegnato e angosciato, le parole di McEwan racchiudevano sincerità, commozione e umiltà. Inimitabili e insuperate. A me sembra purtroppo che la compassione scorra in una direzione, la rabbia nell'altra. Mi sembra che le osservazioni di Amis, la sua difesa e la reazione suscitata rappresentino un banco di prova. Sono il banco di prova del nostro impegno verso una società in cui la simpatia dell'immaginazione sia rivolta non solo a quelli come noi, ma anche a tutti coloro la cui vita e fede religiosa seguono traiettorie diverse.
E non posso fare a meno di pensare che noi tutti abbiamo perso un'occasione d'oro. Amis l'ha fatta franca. Gli sono state condonate espressioni di odio razzista come non succedeva da molto tempo a un protagonista della vita pubblica in questo paese. Dovrebbe vergognarsene, e noi vergognarci per averle tollerate.
© The Guardian FOTO SION TOUHIG / CORBIS
(Traduzione di Rita Baldassarre)

Da LIBERO, un articolo di Renato Farina che potrebbe valere  anche come risposta al testo di Benett:

Siccome il terrorismo islamico sta facendo siesta, almeno in Europa, danziamo allegri. Hanno arrestato tra Milano e Parma un manipolo di figli di Allah incaricati di istruire e spedire kamikaze in Iraq e Afghanistan, o dove sia richiesto dalla Guerra Santa? Amen. Anzi: Insciallah. Basta che non rompano le scatole a noi. E diamogli pure le moschee e le sacrestie o i locali dei nostri oratori. In realtà, sotto traccia, l'islam che vuole ammazzare con le buone o con le cattive l'Occidente si sta rafforzando. Chiunque sia studioso serio del fenomeno, lo garantisce. In America e in Inghilterra è la sinistra liberal ad essersene accorta: e viene subito scomunicata dalla sinistra ancora più liberal e in realtà incantata dal cobra o forse sua parente. È il caso di Martin Amis, ad esempio: e lo vedremo tra poco. MAESTRO DI DISSIMULAZIONE Da noi? Da noi arriva Tariq Ramadan, ormai sta più da noi che in Svizzera dov'è nato o a Oxford dove insegna. Viene accolto in centro a Milano. Andrea Morigi su Libero di ieri ne ha mostrate tutte le abilissime maniere per essere e non essere, gustoso, magico. Per me terrificante: perché è il grande maestro nella capacità di dissimulazione. Infatti in prima fila c'erano i suoi adoratori e seguaci di Milano: tutto lo stato maggiore della moschea di viale Jenner. Cioè i fondamentalisti che fondamentalisti più non si può. Nei locali da loro gestiti ospitavano predicatori algerini maestri spirituali dei tagliagole che dall'altra parte del Mediterraneo hanno tranciato duecentomila carotidi non tanto di cristiani (anche!) ma di loro confratelli non abbastanza svelti a sottomettersi al verbo. Così oggi si riduce la questione islamica alla doverosa libertà di culto. Dimenticando che la questione non è il culto a Dio e la loro libertà: ma il culto che nelle moschee si fa dell'esclusiva libertà dell'islam di essere padrone della terra dove si insedia. In Gran Bretagna è in corso una furiosa polemica. Da due anni non ci sono più attentati terroristici nelle metro o sugli autobus. C'è stato un episodio in Scozia, all'aeroporto di Edimburgo. Ma poca roba, in fondo. Ma lì c'è uno scrittore, uno dei più grandi degli ultimi trent'anni. Si chiama Martin Amis. Ha pubblicato in Italia da Einaudi, uno di quei libri che per chi lavora con le lettere dell'alfabeto, è una pietra miliare: si chiama "L'informazione". Poi ha avuto il coraggio, lui che era circondato da amici comunisti, di prendere sul serio l'immane catastrofe sovietica. E ha pubblicato "Koba il Terribile", che sarebbe poi Stalin. Racconta Stalin, ma mostra il culto dell'assassinio di massa praticato con calma e quasi con gioia da Lenin e da Trotsky. Gli hanno detto: che ti importa di insistere, il comunismo è morto, in fondo era un bell'ideale... Ha replicato: vero, per questo non siamo abbastanza duri nel condannarlo ed è più pericoloso del nazismo. Dopo l'11 settembre ha guardato la pancia dell'altro mostro, l'islam. Per un po' Martin Amis ha distinto tra islam gentile e islam cattivo. Adesso però ha smesso. Non perché non creda possa esistere in teoria il musulmano bravo e pacifico. Ci crede, e ha ragione: ne conosco anch'io. Il guaio è che sempre di più stravince e stradomina dappertutto l'isla mismo, cioè l'ideologia della Jihad, guerra santa, o con il fuoco o con l'astuzia, ma lo scopo è la sottomissione dell'universo all'unico Profeta, al prossimo grande Califfo. Si vede meno questa violenza linguistica? Il massimo eroe dell'ala dura ha un linguaggio suadente, pieno di distinguo, capace di accendere luminarie color pastello sul nostro futuro qualora l'islam crescesse? Logico. Ormai parlano e si esprimono solo ed esclusivamente i fondamentalisti, dunque possono permettersi di fare la parte dei distributori di petali invece che di tritolo. L'IMPEGNO Ho cercato fino ad ora di non citare Oriana Fallaci. Ma è proprio impossibile. Perché in Italia la si celebra, se ne dipinge la grandezza e non si nota mai, almeno per contrastarlo, il messaggio del suo impegno totale? Martin Amis, con altro stile, adesso ridice le stesse cose. L'Islam moderato si è sdraiato dinanzi a quello estremo, al punto da esserne assorbito. Per cui se l'Europa reagisce negando il diritto di costruire moschee a gogò, oppure controllando i movimenti e i luoghi di raduno dei figli di Allah, è giusto, trattasi di legittima difesa nostra e di palese accondiscendenza da parte musulmana. Scrive Amis: «La comunità musulmana dovrà patire finché non rimetterà ordine in casa sua. Quale sofferenza poi? Il divieto dei suoi membri di viaggiare, la deportazione, la perquisizione di persone che abbiano figura mediorientale o pachistana». Tutto questo è necessario e durerà «fino a quando la comunità islamica non deciderà di essere severa con i suoi figli». Martin lo ha scritto sul "Guardian", che è di sinistra. Fulmini e saette su di lui. Accuse di essere omofobico, razzista eccetera. Sul suo stesso giornale gli dedicano un articolo in prima pagina: «Vergogna su di noi». Tale e quale capitò alla Fallaci prima che morisse (adesso, da morta, la turibolano: è la grande giornalista un po' esagerata). Gli chiedono di replicare all'accusa. Risponde dicendo: «Io non sono islamofobo, sono antiislamista. Islamobofobia sarebbe la parola giusta, salvo che la paura tende a essere irrazionale. Mentre non c'è nulla di irrazionale nell'aver paura di chi intende ucciderti». Da noi ormai nessuno scrive più queste cose, al massimo si scrivono bigliettini per invitarli a un dialogo, dove tutti poi si va alle proprie case. Noi convinti che la pace vince. Loro sicuri che ce la metteranno in quel posto meglio che pria. Chi è lungimirante?

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