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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Foglio - Corriere della Sera - Il Giornale - Libero - Il Sole 24 Ore - La Repubblica Rassegna Stampa
14.08.2007 Prodi ha sprecato un'occasione per tacere
rassegna di commenti e cronache sull'apertura ad Hamas del premier italiano

Testata:Il Foglio - Corriere della Sera - Il Giornale - Libero - Il Sole 24 Ore - La Repubblica
Autore: la redazione - Piero Ostellino - Lorenzo Cremonesi - R. A. Segre - Renato Farina - la redazione - Gabriele Isman
Titolo: «Ma non aveva promesso silenzio? - Cattivi esempi in politica estera - «Un'apertura che nuoce anche ad Abu Mazen» -Un aiuto ai nemici della pace - Governo stracciarolo - Hamas, la prova del diaologo - Gli ebrei italiani "Sorpresi e delusi"»

Su Hamas, Prodi ha perso un'occasione di tacere. E il commento del FOGLIO del 14 agosto 2007 all'apertura del presidente del consiglio italiano al gruppo terroristico islamista.
In un editoriale, a pagina 3:


Il presidente del Consiglio aveva promesso che, almeno a ridosso di Ferragosto, non si sarebbe più fatto sentire, ma anche questa promessa, che pure non gli sarebbe costato molto mantenere, è finita nel dimenticatoio. Evidentemente Romano Prodi pensava di avere da dire cose così importanti e impellenti che lo hanno costretto a smentire il suo precedente impegno al silenzio. Insomma, non poteva lasciar passare molto tempo prima di informare il pubblico che “quello dei rom è un problema complesso”, per il quale bisognerà che anche l’Europa studi tutte le soluzioni possibili. Effettivamente un’osservazione tanto illuminante non poteva aspettare. Per la verità, pur nella sua apparente inutilità, è riuscita a far infuriare la Commissione europea, che se l’è presa (forse a torto) con Prodi, sostenendo che è il governo italiano a non applicare le regole europee, che esistono eccome.
L’altra esternazione irrinunciabile Prodi l’ha dedicata a Hamas, esprimendo un’incomprensibile comprensione per il gruppo terrorista palestinese, che si è messo fuori della legalità tentando un colpo di mano militare, riuscito a Gaza e fallito in Cisgiordania. Hamas ha immediatamente ringraziato Prodi, la cui posizione significherebbe che “Roma è uscita dall’ombrello americano”. Siccome è improbabile che Prodi preferisca rifugiarsi sotto quello dei terroristi, sarebbe interessante capire che cos’è che l’ha indotto a rompere il promesso silenzio per dire il contrario di quel che pensa la grande maggioranza degli italiani e degli europei e, ora, persino il segretario Ds Piero Fassino. Può darsi che lo scopo sia quello di far capire alla sinistra antagonista, tanto impregnata di ostilità nei confronti dell’America e di Israele, che Prodi è schierato con loro e che quindi non è il caso di abbattere il suo governo. Se è così, sembra che l’esito sperato non sia stato raggiunto, che il conflitto estremista contro la politica sociale del ciarliero Prodi resti intatto. Insomma un’altra buona occasione di tacere persa inutilmente.

Dal CORRIERE della SERA, l'editoriale di Piero Ostellino:

ROMA - Dice Romano Prodi:
«Hamas esiste. Occorre aiutarlo ad evolversi. E la situazione di Hamas è molto complicata ». L'Italia — aggiunge — non è una grande potenza, ma può avere un ruolo politico. «Dialogare con tutti, e in tale logica rientra il rapporto con Hamas. D'altra parte, sto aiutando fortemente, lealmente, lo sforzo di Abu Mazen e di Olmert per fare gesti di pace difficilissimi. Ma non avremo mai la pace con i palestinesi divisi in due nazioni». Il presidente del Consiglio, riferiscono i giornali, si sarebbe in tal modo collocato a mezza strada fra il suo ministro degli Esteri, Massimo D'Alema — «Hamas è una forza reale che rappresenta tanta parte del popolo palestinese, e non bisogna spingerlo nelle braccia di Al Qaeda» — e il segretario dei Ds, Piero Fassino, il quale, invece, ha detto recentemente che bisognerebbe rafforzare Abu Mazen senza aperture ad Hamas.

Il direttore generale del ministero degli Esteri israeliano, Aaron Abramovich, ha manifestato «stupore e preoccupazione» per la sortita di Prodi. A sua volta, il portavoce di Hamas, Fouzi Ibrahim, ha detto che, con le dichiarazioni del suo presidente del Consiglio, «Roma è uscita dall'ombrello americano». Per parte mia, a voler ironizzare, potrei dire che Prodi ha ragione quando dice che «non avremo mai la pace con i palestinesi divisi in due nazioni». Una delle quali, è bene ricordarlo, vuole la distruzione di Israele. Ma, forse, ha ragione anche chi si chiede se l'Italia avrà mai una politica estera — per non dire un governo — col presidente del Consiglio che dice una cosa, il ministro degli Esteri che ne dice un'altra, il segretario del maggior partito della coalizione una terza ancora e la sinistra alternativa che è dalla parte di Hamas. La situazione di Hamas — dice Prodi — «è molto complicata». Mi pare, però, che anche quella del nostro governo lo sia. Il presidente del Consiglio sembra ritenere infatti possibile aiutare contemporaneamente Abu Mazen e Olmert a «fare gesti di pace difficilissimi» e Hamas — che la pace non la vuole e si libererebbe volentieri, oltre che di Israele, anche di Abu Mazen — a «evolvere». Un ossimoro politico e diplomatico, oltre che logico, il suo? Frutto della vocazione ecumenica e pedagogica di un capo di governo che parla come un buon prete di campagna? L'antica vocazione dell'Italia a recitare il ruolo internazionale della «mosca cocchiera»? No, a me è sembrato solo un brutto esempio di opportunismo. Certo, per la pace. Ma non in Medio Oriente. A Palazzo Chigi.

Dal CORRIERE della SERA , un'intervista allo scrittore israeliano Amos Oz (pagina 3):

GERUSALEMME — «Aprire ad Hamas, così come ha fatto Romano Prodi, significa danneggiare allo stesso tempo sia Israele che il governo di Abu Mazen. Giusto, anzi doveroso, parlare con Hamas, ma non prima che questa abbia dichiarato di riconoscere l'esistenza di Israele. Purtroppo in Europa c'è chi non la pensa così, e non soltanto Romano Prodi. A mio parere si tratta di un errore grave, destinato ad avere ripercussioni deleterie su coloro che tra israeliani e palestinesi cercano realisticamente la via della pace». In qualche modo Amos Oz questa intervista se l'aspettava. Si è ritirato nella quiete della sua casa di Arad, nel deserto del Negev, per terminare un capitolo del suo nuovo romanzo. Ma la radio ieri l'aveva sentita anche lui, comprese le dichiarazioni di Prodi, che i media locali abbinano al nuovo rapporto della Commissione Esteri del Parlamento britannico particolarmente critico sugli effetti «controproducenti» dell'embargo imposto contro Hamas dall'Unione Europea.
«Lo so già cosa volete, un commento alle parole del premier italiano!», esclama dunque lo scrittore rispondendo alla telefonata del Corriere.
Allora, parlare con Hamas rappresenta oggi un'opzione?
«La questione non è se parlare o meno con Hamas. Ma piuttosto: parlare di cosa? È molto ebraico rispondere a una domanda con un'altra domanda. Molti anni fa chiesi a mio padre perché mai noi ebrei l'abbiamo eletta a consuetudine popolare. E lui mi rispose: e perché no? Quanto ad Hamas, forse potremmo chiacchierare amichevolmente dei mutamenti climatici, o dei gusti culinari in Medio Oriente, persino trattare temi di argomento filosofico o teologico. Ma certo non potremo affrontare la soluzione diplomatica del conflitto. Come posso parlare con una controparte che non mi riconosce e non è neppure disposta ad accettare uno Stato di Israele grande come un francobollo?».
E non crede che le posizioni di Hamas possano evolversi? Tutto sommato soltanto al summit di Algeri, nel 1989, l'Olp fu disposta ad accettare il principio dell'esistenza di Israele. Quattro anni dopo si arrivò alla firma degli accordi di Oslo tra Yitzhak Rabin e Yasser Arafat.
«Se avvertissi che, anche solo tra le righe, Hamas è disposta a riconoscermi, sarei il primo a battermi per l'avvio del negoziato diretto. E in quel caso, ben prima del governo Prodi, dovrebbe essere proprio quello di Ehud Olmert a farsi avanti, subito, senza indugi. Ma, mi spiace, sino ad ora non ho sentito levarsi alcuna voce credibile in questo senso».
Negli ultimi tempi avete assistito alla visita di Fausto Bertinotti al parlamento di Gaza, poi alle aperture di Massimo D'Alema verso Hamas, quindi alle frenate di Piero Fassino e ora di nuovo alle avances di Prodi. Come legge tutto questo?
«Non sono un esperto di politica italiana. Però sono un uomo che crede nel compromesso e so bene che per arrivarci occorre essere in due, bisogna in qualche modo trovarci a metà strada. Lo ripeto, una parte delle mosse del governo italiano nei confronti di Hamas non serve affatto al processo di pace, anzi lo allontana, si rivela controproducente, diventa come bombe a scoppio ritardato destinate a esplodere in faccia sia ad Abu Mazen che Olmert. Sino a che Hamas non ci riconoscerà, non esisterà spazio per alcun compromesso. Dopo tutto non è ammissibile che Israele venga riconosciuto di lunedì, mercoledì e venerdì, ma poi annullato la domenica, il martedì e giovedì».
Aziz Al Dweik, considerato tra i deputati moderati di Hamas e portavoce del parlamento della Cisgiordania arrestato un anno fa da Israele, parlava di una «Hudna», una tregua, lunga sino a 25 anni. Niente guerra per un quarto di secolo, non è già un passo gigantesco verso la pace?
«E chi dice nulla contro la Hudna? Ben venga, la possono mettere in pratica subito, non c'è bisogno di alcun negoziato. Se poi, con il completo cessate il fuoco e i miliziani di Hamas che arrestano i provocatori armati, ci offrissero di trattare, vorrebbe dire che Hamas è cambiato. Trattare implica riconoscere l'esistenza del proprio partner. Non si tratta con il nulla».
Ciò significa che la trattativa non necessita del riconoscimento?
«Non ho detto questo. Prima di tutto Hamas deve annunciare a chiare lettere che riconosce Israele».
Perché al tempo del ritiro da Gaza, nell'estate del 2005, Israele non si coordinò con Abu Mazen? Gli stessi dirigenti del Fatah affermano che è stata un'occasione perduta, tanto che oggi il presidente palestinese appare a molti qui come un leader artificiale, promosso a partner da Israele e Usa solo in chiave anti-Hamas.
«Sono assolutamente d'accordo con loro. L'allora premier Ariel Sharon commise un errore gravissimo. Hamas ha vinto alle elezioni del 25 gennaio 2006 anche grazie al fatto di aver potuto presentare quel ritiro come risultato del terrorismo e dei suoi kamikaze. Se ci fossimo coordinati con Abu Mazen, l'intero ritiro da Gaza sarebbe invece diventato parte del processo di pace. Ma che posso dire? Occorre imparare dai nostri errori per non ripeterli».
È certo che Abu Mazen sia il partner giusto? La sua popolarità appare in caduta libera anche in Cisgiordania.
«Difficile essere profeta nella terra dei profeti. C'è troppa concorrenza nel predire il futuro, meglio giudicare il passato. Ma questa volta arrischio una profezia: nel momento in cui si arrivasse davvero a un accordo per la soluzione comprensiva del conflitto, credo che i tassi di popolarità di Olmert e Abu Mazen salterebbero alle stelle. La gente che sostiene Hamas è in maggioranza convinta che questa terra debba essere divisa in due Stati. Potremmo provarlo con un referendum: votano per Hamas contro la corruzione del Fatah e non perché intendono davvero distruggere Israele. Come del resto la maggioranza degli israeliani in cuor suo sa bene che alla fine dovrà ritirarsi dai territori occupati nel 1967. Questo fatto mi dà speranza. E la speranza è una droga fortissima ».

Il commento R. A. Segre dal GIORNALE:

Le parole che il presidente del Consiglio Romano Prodi ha pronunciato, davanti ai giovani dell’Opera per la Gioventù Giorgio La Pira, in merito ad Hamas faranno a lungo discutere su come il governo intende perseguire la sua azione nel Medio Oriente. Esse sono anzitutto la conferma del fatto che in un sistema politico basato su delicati equilibri partitici, come quello italiano, la politica estera finisce sempre per cadere prigioniera di quella interna, nello specifico con il tentativo di rabbonire su questo fronte la sinistra radicale irritata sulle questioni welfare e legge Biagi. Poi del fatto che gli equilibristi rischiano di cadere in contraddizione.
«La stessa logica della necessità di dialogare con tutti i protagonisti utilizzata per la crisi in Libano - dice l’onorevole Prodi - io cerco di usarla anche per Hamas. Sto aiutando fortemente, lealmente e con energia gli sforzi di Abu Mazen e Olmert per compiere gesti di pace difficilissimi». Ma non si può sperare di far «evolvere» verso la pace un movimento come Hamas che chiede alle sue «vittime designate» di riconoscerlo. Hamas non è uno Stato sovrano come il Libano e neppure una entità votata alla creazione di uno Stato palestinese. Hamas è il movimento nato nel 1987 con lo scopo di impedire la creazione di uno Stato palestinese «laico e democratico» (secondo la formula di Arafat) e con la dichiarata e mai smentita intenzione, sostenuta dall’Iran, di far sparire dalla carta geografica lo Stato degli ebrei.
È vero che la pace si fa coi nemici. Infatti Israele trattò con l’Olp quando ebbe l’errata convinzione, nel corso di lunghe e segrete trattative a Oslo, che l’organizzazione palestinese avesse abbandonato la volontà di mettere fine alla «entità sionista». Se oggi Gerusalemme è estremamente prudente nei confronti di Hamas lo deve al fatto che una lunga guerra terrorista (guidata soprattutto da Hamas che fece 1.060 morti civili e migliaia di feriti) dimostrò che le dichiarazioni di intenzione non bastano a fare la pace. Non c’è dunque da stupirsi se, come è stato ufficialmente detto ieri a Gerusalemme, «le parole di Prodi preoccupano Israele». Lo preoccupano a vari livelli, diplomatici e politici.
Il primo è quello dello sfruttamento mediatico che Hamas può fare delle dichiarazioni del premier italiano. Lo dimostra l’immediata reazione interpretativa data dall’organizzazione terrorista islamica nel suo sito internet alle parole dell’onorevole Prodi: «L’Italia - dice - ha cambiato politica nei nostri confronti nel momento in cui Hamas è stata ferma nella sua convinzione di non riconoscere l’entità sionista». Il che può non essere nelle intenzioni del governo italiano ma certo solleva dubbi nei suoi riguardi tanto più giustificati in quanto il premier italiano ricorda che nel Medio Oriente l’azione di pace deve essere condotta dall’Europa. Per il momento qualsiasi forma di riconoscimento di Hamas sembra dissociarsi dal resto della Comunità europea che con Hamas non intende trattare.
Queste sono però sottigliezze diplomatiche. Il pericolo e il danno maggiori stanno altrove. Nel momento in cui per la prima volta nella lunga e sanguinosa storia dei rapporti con i palestinesi, Israele ha un governo scaduto agli occhi dell’opinione pubblica per la cattiva condotta della guerra in Libano, ma eletto su un programma anticoloniale e impegnato a coesistere con uno Stato palestinese, è strano che il governo italiano invece di riconoscere i suoi sforzi di pacificazione coi palestinesi lo inviti a trattare con chi non ammette il diritto alla sovranità degli ebrei.
Questo è triste perché non c’è oggi un Paese - Stati Uniti inclusi - per il quale gli israeliani provano maggiore affezione, simpatia e negli ultimi anni fiducia. Un Paese con cui si sono sviluppati rapporti tanto stretti di scambi commerciali, culturali, scientifici e di intelligence. Un Paese che ha avuto il coraggio di spingere l’Europa a impegnarsi con soldati - non con parole - nel ginepraio libanese e contribuito in maniera concreta a riportare la tranquillità su una delle più contrastate frontiere di Israele. Per questo le parole del presidente del Consiglio suonano stonate all’orecchio di Gerusalemme. Vanno contro gli sforzi sinceri e reali di quel governo di sviluppare un dialogo costruttivo coi palestinesi, Vanno contro gli sforzi del loro presidente Mahmoud Abbas (che in Italia chiamiamo Abu Mazen)- anche lui eletto come Hamas in libere e democratiche elezioni - di impegnarsi a costruire uno Stato piuttosto che a distruggerne un altro.
Le parole dell’onorevole Prodi sono anche controproducenti per la credibilità internazionale dell’Italia. Non si possono inviare soldati a combattere il terrorismo in Afghanistan e a difendere la pace in Libano e allo stesso tempo dar credito a un movimento fondamentalista che non rinnega la sua volontà di distruzione dell’unico Stato democratico sovrano del Medio Oriente. Un movimento che con un colpo di Stato ha dimostrato di credere nella democrazia fondata sul voto «libero e universale, ma una sola volta». Non c’è bisogno di ricordare gli esempi europei di questo tipo di democrazia né le sue conseguenze, non solo per gli ebrei, ma per gli italiani stessi. Esistono molti modi - discreti e ufficiali - per aiutare Israele e i palestinesi ad avanzare sulla incerta, pericolosa ma inevitabile strada della pace che Hamas e i suoi patroni hanno cercato e continuano a cercare di ostacolare

Dal GIORNALE, la cronaca di Gian Micalessin (pagina 11). Particolarmente importanti le parole di Fouzi Ibrahim, portavoce di Hamas. Dimostrano che le aperture ad Hamas ne incoraggiano l'estremismo: 

Hamas gongola, Israele si preoccupa. I bisbiglii toscani di Romano Prodi sono già un fiume in piena. A volte compiaciuto, a volte indignato. I primi a sguazzarci dentro sono i leader di Hamas, rimessi in gioco dall’invito del nostro presidente del Consiglio a ignorare bagattelle e massacri di Gaza per dialogare con i fondamentalisti.
I primi a bollare come una iattura l’invito e a ripristinare la consueta diffidenza nei confronti del nostro esecutivo, appena mitigata dalla recente visita prodiana a Gerusalemme, sono gli israeliani. A esprimere «stupore e preoccupazione» ci pensa il direttore generale del ministero degli Esteri israeliano Aaron Abramovich. «Hamas - sostiene l’alto funzionario - non è cambiato e se è cambiato lo ha fatto in peggio, non c’è motivo per premiarlo con un negoziato». A far arrabbiare gli israeliani è soprattutto il tempismo scelto da Prodi per le sue dichiarazioni. Le sue parole rischiano non solo di rompere il friabile fronte europeo, ma di interferire nelle iniziative della Casa Bianca, del premier israeliano Ehud Olmert e del presidente palestinese Mahmoud Abbas per arrivare alla conferenza di novembre sul Medio Oriente con in mano un accordo di principio sulla nascita dello Stato palestinese. Un accordo che sia Abbas sia Olmert giudicano irraggiungibile qualora si dovesse tener conto dell’interferenza fondamentalista e della sua non disponibilità a riconoscere Israele.
Prodi, seminando dubbi sulla decisione di emarginare il movimento islamico, rischia dunque, dal punto di vista israeliano, di erodere la posizione europea e vanificare l’unica concreta iniziativa di pace messa in moto negli ultimi tre anni. Il poco invidiabile ruolo di sabotatore della compattezza occidentale viene attribuito a Prodi, con toni compiaciuti e soddisfatti, anche da Hamas. «L’invito al dialogo con il nostro movimento indica che Roma è uscita dall’ombrello americano», commenta entusiasta il portavoce fondamentalista Fouzi Ibrahim dando per scontata l’imminente rottura tra Roma e Washington. A rafforzare la certezza di Hamas di poter sfruttare le contraddizioni della politica europea per incrinare la compattezza occidentale e uscire dall’isolamento contribuisce anche una relazione della commissione Esteri del Parlamento inglese, nella quale i deputati dell’organo parlamentare criticano il boicottaggio di Hamas, chiedono all’inviato per il Medio Oriente Tony Blair di riallacciare i rapporti con il movimento fondamentalista e invitano il cancelliere Gordon Brown a non ignorare il ruolo di Hamas, di Hezbollah, e dei fratelli musulmani d’Egitto. Il duetto italo-britannico è musica per le orecchie di Hamas. «L’Italia e la Gran Bretagna hanno cambiato politica nei nostri confronti - azzarda Ibrahim - grazie alla fermezza con cui Hamas ha sempre respinto ogni riconoscimento dell’entità sionista e ribadito il diritto alla resistenza armata all’occupazione». La testardaggine insomma paga, e Prodi e i deputati inglesi- fanno capire i gli integralisti - sono costretti a rinunciare al riconoscimento di Israele e ad avvalorare la fede nella lotta armata. I più spaventati dalle parole in libertà del premier in vacanza sembrano i fedelissimi del presidente palestinese Abbas, che temono, in caso di ritorno in gioco di Hamas, di veder azzerate le trattative con Olmert e ritrovarsi scaraventati nell’inferno della guerra civile. «Negoziare con Hamas prima di averlo costretto a tornare sui propri passi rinunciando all’egemonia sulla Striscia di Gaza - commentano le fonti della presidenza palestinese - sarebbe come ricompensarlo per il golpe messo a segno lo scorso giugno».

Da LIBERO, il commento di Renato Farina:

Che gioia, ragazzi. In spiaggia i bagnini per la soddisfazione dovrebbero far sventolare la bandiera verde a mezzaluna. Da qualche ora siamo ufficialmente il Paese dell'Occidente più amico dei terroristi islamici e pure golpisti. Romano Prodi ha detto: «Hamas esiste. È una realtà molto complessa che dobbiamo aiutare ad evolvere perché lavori per la pace. Tutto questo deve essere fatto apertamente, con trasparenza». Quotidiani e tg hanno lodato il coraggio, il dialogo, il realismo, eccetera. In realtà è una trovata da Giuda, e pure antisemita, perché accredita chi vuole semplicemente eliminare Israele dalla carta geografica e gli ebrei dalla faccia della terra, quanto ai cristiani a casa loro (dalle parti della Palestina) stanno già provvedendo alacremente. Hamas è l'ala marciante di Al Qaeda alle porte di Gerusalemme (e di casa nostra). Rispetto a loro, Arafat era un terziario francescano. Con la frasetta di cui sopra l'Italia ha scelto di collocarsi dalla parte dei cammelli e dei kamikaze, tutto per la pace nostra e che crepino pure gli altri.Ora si capisce perché Prodi aveva posato in spiaggia con i venditori musulmani di cianfrusaglie e griffe fasulle: perché è del mestiere pure lui, vende stracci, anche se quello straccio una volta era onorato come tricolore. Che conseguenze avrà questa mossa? Vedendola dal lato buono, non corriamo il rischio di attentati a Ferragosto. Gli islamici da Guerra Santa in Libano, in Afghanistan e in Italia per un po' di tempo ci vorranno bene e ci lasceranno tagliare le fette d'anguria senza rottura di scatole. Vista dal lato della dignità, facciamo un po' schifo. E da quello della prospettiva storica, siamo pure fessi. Abbiamo diviso un fronte che doveva restare unito. Ci siamo garantiti la benevolenza di chi la userà per allargare il suo impero maligno. Abbiamo patteggiato con la serie B del terrorismo. Non solo ci siamo intesi con chi pratica la morte altrui come programma di vita, ma l'abbiamo fatto pure con un sottogruppo di Al Qaeda. Magari Prodi avesse avuto la faccia tosta di dare la mano a Bin Laden, macché, il nostro premier ha dato una carezza ad Hamas e così si è preso i complimenti nientepopodimeno che di Fouzi Ibrahim. Non so se vi rendete conto: addirittura Fouzi Ibrahim, un uomo decisamente al livello come minimo di Pecoraro Scanio. Questo Ibrahim è il portavoce di Hamas, una sorta di Sircana della fazione che ha preso Gaza con un golpepe. Ha detto: «L'Italia è uscita dall'ombrello americano. Grazie». Cioè: l'Italia non è più alleata dell'America. L'"ombrello", nelle telecronache calcistiche, allude al noto gesto, mentre nel linguaggio della diplomazia è un riferimento storico alla copertura atomica. Durante la guerra fredda tra Occidente e Urss facevano da ombrello i missili Usa impedendo la nostra annessione al Bengodi dei comunisti. Adesso in Italia al potere ci sono due o tre partiti comunisti più ex e post, e uscire dall'ombrello americano rappresenta il coronamento di un sogno. Il Pdci di Diliberto ha subito gongolato e chiesto a Veltroni di schierarsi da questa parte. Gli antagonisti e i carusiani sono felici. Un uomo come Furio Colombo, di sinistra ma sincero filoisraeliano, è sbigottito. In Umbria era stato assaltato da un gruppazzo di "antiimperialisti", veri habitué delle minacce a Libero, che hanno dedicato improperi a lui e a Israele, osanna ad Hamas e all'Iran di Ahmadinejad. Ora saranno contenti. Israele si è spaventata e un po' stupita. Cinque giorni fa Piero Fassino, che in fondo è tuttora il segretario del partito più grosso della maggioranza, aveva scelto il buon senso: «Inutile fare aperture ad Hamas, non ci sono le condizioni». Passano tre giorni e Prodi ribalta tutto. Qui siamo alla sciatteria eretta a sistema di governo. Svendiamo, per un minimo di tranquillità presente dei nostri soldati in Libano e Afghanistan e delle nostre vacanze, il futuro prossimo. Chi non ricordasse chi è Hamas, può esercitarsi in un breve ripasso. L'ultima guerra in Libano è partita dall'attentato terroristico del 25 giugno 2006 da un commando di Hamas, che aveva base a Gaza. Uccisero due soldati israeliani e ne rapirono un terzo. Serviva a impedire la ripresa di un negoziato di pace dopo il vertice tra il presidente palestinese Abu Mazen e il premier israeliano Olmert. Una trama recitata già nell'ottobre del 1993: Hamas scatenò i suoi kamikaze sugli autobus a Gerusalemme e Tel Aviv per sabotare il piano di pace siglato il 13 settembre 1993 a Camp David tra Arafat e Rabin. Ora Hamas è alleata saldissimi di Hezbollah, Siria e Iran Prodi dice: Hamas esiste. Vuol dire: esiste legittimamente, ovvio. La legittimazione di Hamas, Hezbollah, Assad di Damasco e Ahmadinejad di Teheran viene dal fatto che sarebbero stati liberamente eletti dai rispettivi popoli. L'Occidente davanti a queste realtà può limitarsi a considerare democratico ciò che ha ottenuto voti benché predichi il terrorismo e l'annientamento di una stirpe? Hitler fu eletto democraticamente. E l'ideologia di questi personaggi (sono più prudente verso Assad) è semplicemente hitleriana. Con la benedizione aggiunta di Allah. Hamas è anche il gruppo che ha decretato la condanna a morte di un musulmano di genere diverso: Magdi Allam. E il nostro governo non la prende sottogamba, tanto che per fortuna dà ad Allam una protezione adeguata alla minaccia di gente che teorizza l'assassinio dei civili. E allora perché questa apertura ad Hamas? Che razza di gioco è? Dopo il festival dei criminali stiamo diventando la portaerei nel Mediterraneo degli interessi di chi vuole spazzare via l'Occidente? Almeno Andreotti e Craxi, mentre praticavano una sciagurata amicizia coi palestinesi estremisti, dicevano sì all'ombrello americano, e permisero di piazzare i missili Pershing e Cruise. E Poi lavoravano sottobanco. Prodi invece si pavoneggia. E si fa elogiare da uno stracciaculo mai sentito. Tale Fouzi Ibrahim sulla televisione al-Alam. In che manacce siamo. Noi rispondiamo: viva Israele.

Segnaliamo anche l'editoriale del SOLE 24 ORE . Riferendosi alle contratstanti dichiarazioni dei tre politici, il quotidiano della Confindustria nota

S'è da chiesersi se prima di fare dichiarazioni sul diaologo con Hamas non sia il caso che almeno Prodi, Fassino e D'Alema dialoghino tra di loro.

Le reazioni delle comunità ebraiche italiane, in un articolo tratto da La REPUBBLICA (pagina 4)

ROMA - "Le parole sono cosa diversa dalle azioni, ma se quanto detto da Romano Prodi su Hamas fosse vero, sarebbe grave". Riccardo Pacifici, vicepresidente e portavoce della comunità ebraica romana, cerca con il ragionamento di leggere oltre le dichiarazioni del premier sulla necessità di sostenere Hamas per aiutare a evolversi. "Se il pensiero di Prodi indica la necessità di firmare subito una vera pace tra Autorità palestinese e Israele nell´ambito di questo nuovo corso che si è avviato anche grazie ad Hamas, allora siamo contenti. Se invece così non fosse, il premier si distaccherebbe dalla linea prevalente nell´Unione europea, ovvero sul non trattare fino a quando Hamas non avrà soddisfatto le tre richieste fondamentali: il rispetto dei patti stabiliti in passato tra Olp e governo israeliano, la fine del terrorismo e il riconoscimento dello stato di Israele. Ecco, questo distaccarsi sarebbe davvero grave, e sarebbe anche un tradimento verso il coraggio dimostrato da Abu Mazen che sta ricevendo finanziamenti internazionali grazie alla dichiarata volontà di riconoscere Israele". Pacifici fa appello alla sua memoria per non perdere la fiducia in Prodi per quella che il portavoce della comunità romana definisce "una boutade estiva": "Il 9 luglio il primo ministro italiano era a Gerusalemme e lì ha ben spiegato come fosse obiettivo primario della comunità internazionale fermare l´Iran, vero burattinaio del Medio Oriente, che finanzia Hamas e che sta riarmando gli Hezbollah. In quell´occasione Prodi disse che Hamas doveva riconoscere Israele, e non dimentichiamo che proprio Prodi assieme a D´Alema ha voluto 1.500 soldati come forza di interposizione anche per difendere Israele dagli Hezbollah. No, le parole sono cosa diversa dalla real politik, soprattutto in un momento in cui vi sono grandi cambiamenti".
Molto caute anche le reazioni di Renzo Gattegna, presidente dell´Ucei, l´Unione delle Comunità ebraiche italiane. "Il nostro compito - spiega - è contribuire alla migliore linea politica possibile che in questo momento coincide con quella dell´Unione europea, cioè dare un forte sostegno al presidente Abu Mazen che rappresenta una speranza di dialogo e positiva evoluzione di pace. Hamas è impegnato in fronte opposto, e cerca di scalzare Abu Mazen con l´aiuto di Iran per imporre regime che non ha mai rinunciato a distruzione Stato Israele, e che dichiara di voler applicare norme integraliste. No, non è possibile appoggiare Abu Mazen e il suo peggiore nemico. Occorrono delle distinzioni". Gattegna applaude alle recenti mosse in politica estera dell´Italia che "negli ultimi mesi ha svolto un lavoro molto intenso puntando a garantire il cessate il fuoco nella frontiera nord con il Libano e poi ha contribuito con coraggio con il più grande contingente Onu in quell´area". E, sibillino, Gattegna aggiunge che in quei casi "il governo ha agito, non ha parlato, mirando al mantenimento dell´equilibrio".

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