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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Repubblica - L'Unità - Avvenire - Il Manifesto Rassegna Stampa
14.06.2007 Se i palestinesi si massacrano, la colpa è d'Israele
distorsioni e falsità per sostenere una tesi a priori

Testata:La Repubblica - L'Unità - Avvenire - Il Manifesto
Autore: Sandro Viola - Umberto De Giovannangeli - Luca Geronico - Ali Rashid
Titolo: «La follia dei palestinesi - «Muore la speranza di uno Stato palestinese» - «Dopo la Mecca nessun risultato concreto» - La notte della Palestina»
I palestinesi si comportano a Gaza come folli, sostiene  Sandro Viola sulla REPUBBLICA, ma la colpa è  di Israele.
Per sostenere questa tesi Viola allinea nel suo articolo un'impressionante quantità di distorsioni e di falsi conclamati.
Ecco il testo, con i nostri commenti all'interno: 

Mahmud Abbas, il presidente dell'Autorità palestinese, ha ragione: quel che sta accadendo a Gaza è "una follia". Una guerra civile che invece di coinvolgere, come sempre nelle guerre civili, classi sociali diverse, interessi economici in conflitto, ha spinto nel precipizio una stessa massa di pezzenti impazziti. Gli uni e gli altri, quelli di Fatah e quelli di Hamas, senza lavoro da anni, tenuti in vita dagli aiuti alimentari dell'Onu, con montagne d'immondizie e minacce d'epidemie sulla porta di casa, una gran parte senza acqua né luce.

Una massa di disperati che si contendono il potere in un paesaggio di tremenda miseria. In quell'anus mundi che è oggi la Striscia di Gaza. Lo s'era detto giorni fa, e vale la pena di ripeterlo. I palestinesi appaiono incorreggibili. Invece di proporsi verso Israele e la comunità internazionale come interlocutori credibili in un negoziato di pace, essi forniscono pretesti e ragioni a quella parte della società israeliana che non vuole trattative, compromessi, accordi, sostenendo appunto che sul versante palestinese "non c'è nessuno con cui negoziare". E quindi sono loro, i dirigenti e i seguaci di Fatah e di Hamas, i responsabili dei combattimenti di strada in corso da giorni, delle vittime, del caos che stanno sconvolgendo Gaza.

Loro i responsabili di quella che sembra ormai la vera e più drammatica conseguenza dello scontro: il disfacimento dell'Autorità palestinese. Il vuoto politico, l'anarchia forse senza scampo in cui versano ormai i territori della Palestina occupati quarant'anni fa da Israele.


Tutta colpa dell'Islam radicale portato in Palestina da Hamas, e quindi delle divisioni innescate nella società palestinese (un tempo la porzione più laica del mondo arabo)

Nel 48 i palestinesi combatterono contro Israele una jihad, sotto la guida del muftì di Gerusalemme. Non erano dunque, già allora,  così "laici"

e dall'irrompere del fanatismo religioso? No, solo in parte. Ci sono altre colpe, altre responsabilità che hanno condotto alla formazione del contesto sociale e politico in cui oggi vediamo divampare un inizio di guerra civile. Questo è il punto da mettere in luce: il contesto, il quadro in cui sono giunti al punto d'esplosione le rivalità, la rabbia intestina, "la follia" dei palestinesi.

Ricostruire fase per fase, episodio per episodio, il formarsi del contesto da cui sono scaturiti i combattimenti di Gaza, sarebbe lungo.
Bisognerà quindi limitarsi ad elencare le tappe, i fatti principali. Intanto l'occupazione. Che cosa hanno prodotto nelle menti, nell'animo dei palestinesi, quattro decenni di occupazione militare israeliana? 

I massacri interpalestinesi risalgono a molto prima della guerra del sei giorni. come ricorda l'editoriale del FOGLIO di oggi: "un’identica ferocia si scatenò nella guerra civile interpalestinese del 1936-39, quando gli antesignani di Hamas gettavano gli antesignani di Fatah nei pozzi pieni di scorpioni e 4.500 palestinesi furono massacrati da palestinesi"

Quarant'anni di terre espropriate, di acque deviate verso le piscine delle colonie ebraiche,

Non ci sono mai state "acque deviate verso le piscine delle colonie ebraiche".
Israeliani e palestinesi nei territori ricevono le forniture d'acqua dal sistema  idrico nazionale israeliano. I coloni evidentemente pagano per le acque delle piscine dei loro insediamenti. Così come dovrebbero pagare i proprietari delle ville con piscina di Ramallah, in genere membri della nomenclatura palestinese.
Le terre espropriate, per motivi militari e di sicurezza, vengono risarcite ai palestinesi.


di ulivi dei contadini palestinesi tagliati alla base durante i raid dei coloni più estremisti,

In questo campo vi sono stati abusi. Ma va ricordato che gli alberi sono stati anche usati dai terroristi per nascondersi e sparare contro gli insediamenti. E che alcuni sono stati tagliati dagli stessi proprietari palestinesi per ricevere risarcimenti dallo stato israeliano

di rappresaglie devastanti,

"rappresaglie" per che cosa ?

di code interminabili ai posti di blocco dell'esercito.

posti di blocco per che cosa ? Prima dei posti di blocco e delle azioni militari israeliane ci sono gli atti di terrore palestinesi.

È mai stata fatta giustizia, da parte israeliana, dei soprusi dei coloni, delle inutili violenze dell'esercito ai posti di blocco, delle partorienti che rischiavano di partorire per strada e sotto il sole a picco, delle tre ore e più che uno studente impiegava per superare il reticolo dei check point e raggiungere la sua scuola o università a pochi chilometri da casa?

Giustizia? Le violenza e i sopprusi accertati sono stati puniti. Per il resto, le misure israeliane sono rese necessarie dal terrorismo, servono a salvare le vite dei civili israeliani. Sarebbe "giustizia" lasciare che i terroristi agissero indisturbati ?

È mai stata chiesta giustizia dalla comunità internazionale per gli "omicidi mirati" che l'esercito e l'aviazione d'Israele compiono da anni, vere ed proprie condanne a morte senza l'ombra di un'istruttoria o d'un processo?

Gli omicidi mirati non sono esecuzioni. Israele, in seguito agli accordi di Oslo,  non detiene il perfetto controllo militare dei territori palestinesi. Dunque non può sottoporre a processo coloro che organizzano  gli attentati contro la sua popolazione. Ma ha ovviamente il diritto, e il dovere, di fermarli. I terroristi che hanno dichiarato guerra a Israele sono obiettivi militari legittimi

Sì, quella palestinese è una follia: e un episodio di ieri - due donne, di cui una incinta, che cercavano d'entrare in Israele cariche d'esplosivo per farsi saltare in un posto affollato - costituisce un dettaglio significativo della caduta della ragione nel mondo palestinese.

Ma un'occhiata al "contesto" per vedere se da esso siano venute alcune delle cause di tale follia, alcuni degli stimoli al suo scatenamento, è doverosa. È doveroso chiedersi quale altro popolo avrebbe sopportato senza perdere la ragione i quarant'anni che hanno vissuto i palestinesi.

Ricordiamo che fino a Oslo l'occupazione militare israeliana ha migliorato le condizioni di vita dei palestinesi. Da  un punto di vista economico, dal punto di vista delle libertà politiche (prima i territori erano sotto controllo egiziano e giordano),dell'istruzione (le università dei territori sono passate da 0 a 7), ecc

È vero: sono stati loro, con i loro kamikaze, ad imprimere una delle svolte più tragiche e bestiali al conflitto che li oppone ad Israele. Ma anche qui il "contesto" suggerisce qualcosa che va tenuto a mente.

I kamikaze di Hamas sono comparsi nel 2001, trentaquattro anni dopo l'inizio dell'occupazione.

Il primo riuscito attentato suicida, primo di una lunga serie, è del 1994, subito dopo gli accordi di Oslo.
La spiegazione è semplice: il terrorismo suicida mira a far fallire ogni ipotesi di acordo. Non vuole la fine dell'occupazione, ma la fine di Israele.

 Non c'erano kamikaze, prima.

Un'enorme falsità

Quanto ad Hamas, chi conosce le vicende della Palestina occupata sa bene quanta parte abbiano avuto gli israeliani nell'insediamento degli islamisti a Gaza e in Cisgiordania. Come nella seconda metà degli Ottanta fossero visti, da Ariel Sharon in particolare, quali utili contendenti dell'Olp di Arafat. Come ne vennero favorite la crescita e le attività, così da produrre due risultati: uno certo, l'indebolimento dell'Olp, e un altro auspicabile, lo scontro interno tra le due fazioni.

Israele non ha avuto parte nell'"insediamento" dall'esterno degli islamisti a Gaza. Che non è mai avvenuto. L'islamismo palestinese si è sviluppato "dall' interno". Ha permesso alla struttura assistenziale dei Fratelli musulmani di operare e finanziarsi, ed'è facile immaginari quali accuse le sarebbero state rivolte se non l'avesse fatto. Quando, nel 1988, i Fratelli musulmani hanno dato vita ad Hamas come organizzazione politico-terroristica, Israele non l'ha certo favorita.

Non c'è dubbio: oggi hanno ragione gli israeliani che sostengono l'assenza di interlocutori affidabili sul versante palestinese. Con chi si dovrebbe negoziare: con le bande armate di Hamas, con quelle della Jihad islamica, con i resti delle forze fedeli a Mahmud Abbas? No, con questi, a questo punto, non è possibile trattare.

Ma il "contesto" ci serve anche a vedere come siano stati bruciati da Israele quelli che forse avrebbero potuto essere gli interlocutori affidabili. Arafat prima, screditato, ridicolizzato dall'assedio posto da Sharon, per un anno e mezzo, al suo quartier generale di Ramallah, mentre Hamas convinceva i palestinesi che l'unica via d'uscita dall'occupazione fossero gli attentati e l'intransigenza verso "l'entità sionista". E poi Mahmud Abbas, bruciato anch'egli da Sharon al momento del ritiro da Gaza. Ritiro unilaterale, senza che Abbas vi avesse alcun ruolo, senza che vi fosse una sia pure simbolica consegna della Striscia all'Autorità palestinese. Forse l'atto più rilevante per la vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi del marzo 2006.

Il ritiro da Gaza diede ai palestinesi la possibilità di costruire il primo nucleo dei loro stato. Furono il mito della lotta armata, il sogno di distruggere Israele, la cultura della violenza diffusi nella società durante il regime di Arafat, oltre alla corruzione di Al Fatah,  a determinare la vittoria  di Hamas e la rinuncia a quella possibilità, per continuare invece una guerra permanente.

E in ultimo sarà bene non dimenticare la sospensione degli aiuti e dei finanziamenti all'Autorità palestinese, decretati dagli Stati Uniti e dall'Unione europea dopo la formazione del primo governo Hamas, e in larga parte ancora mantenuta nei confronti del governo di unità nazionale Hamas-Fatah.

I finanziamenti non sono mai cessati. Forniti direttamente ad Abu Mazen, sono anzi aumentati.
Ma nel sistema clientelare e anarchico palestinese, i finanziamenti non alleviano la povertà della popolazione. Incrementano soltanto il potere e l'arroganza delle bande armate. 

Certo, sembrò giusto tagliare i fondi ad un'organizzazione come Hamas, che non ha mai rinunciato al terrorismo e non intende riconoscere Israele. Ma oggi bisogna forse parlare d'un errore. La povertà a Gaza è aumentata, la disperazione ha spento gli ultimi barlumi di ragione, e questo ha certamente avuto un peso nell'innesco dello scontro intestino.

Ecco, il "contesto" non va dimenticato. Quando si critica la politica dei governi israeliani, bisogna sempre tenere presente che Israele è l'unico Stato di cui una parte del mondo discute ancora sulla sua legittimità, sui suoi confini, e anzi contesta l'una e gli altri. Questo induce a giustificare, volta per volta, anche gli errori più gravi della politica israeliana. Ma d'altra parte, come ignorare che sono stati anche quegli errori a produrre "la follia" palestinese?

In defiinitiva, invece di cercare le responsabilità di Israele nella catastrofe palestinese, Viola farebbe bene a interrogarsi sulle responsabilità di un'informazione che non ha mai detto la verità sulla classe dirigente che tale catastrofe ha prodotto.

Sull'UNITA' a dare la colpa a Israele della faida interpalestinese è il palestinese 
Haider Abdel Shafi, prontamente intervistato da Umberto De Giovannangeli

«A Gaza stanno uccidendo l’ultima speranza di uno Stato di Palestina. Ciò che sta avvenendo è terribile, terribile...». La voce è fioca, la telefonata si interrompe più volte. Quella di Haider Abdel Shafi, il «grande vecchio di Gaza», l’unico tra i fondatori dell’Olp ancora in vita, è la testimonianza drammatica, in presa diretta del suicidio di una nazione: «La gente è terrorizzata - racconta colui che fu il primo capo della delegazione palestinese ai colloqui di Washington - l’odio sembra aver accecato ogni barlume di ragionevolezza. Hamas sta imponendosi con la forza, ma quella che sta conquistando è una prigione a cielo aperto, isolata dal mondo». Shafi denuncia anche l’atteggiamento della Comunità internazionale: «Mantenendo il boicottaggio - afferma - non ha solo reso ancora più terribili le condizioni di vita della popolazione civile, ma ha finito per affossare anche il governo di unità nazionale. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. E tutti dovrebbero vergognarsi perché la tragedia di Gaza, la tragedia di un popolo era ampiamente annunciata».
Dottor Shafi, qual è in questo momento la situazione a Gaza City dove lei vive?
«La gente è terrorizzata, chiusa in casa. I generi alimentari scarseggiano, mentre si combatte in ogni strada...».
Hamas ha lanciato un ultimatum alle milizie di Al Fatah...
«Hamas sta vincendo la guerra di Gaza, ma la sua è una vittoria sulle rovine della causa palestinese. Hamas ha conquistato le chiavi di una prigione a cielo aperto, perché questo è ormai da tempo Gaza...».
Da Ramallah, il presidente Abu Mazen parla di «pazzia» e lancia l’ennesimo appello alla tregua?
«Abu Mazen è stato colpevolmente abbandonato da tutti coloro che pure si erano riempiti la bocca lodandone la moderazione: oggi è un rais senza potere...».
Ad Abu Mazen guarda ancora Ehud Olmert.
«Israele ha responsabilità pesantissime per la guerra civile in atto a Gaza. Perché Israele ha fatto di tutto per delegittimare qualsiasi controparte, perché ha strangolato Gaza con un assedio che dura da un anno, perché ha puntato sulla guerra interpalestinese, ma il caos armato finirà per avere effetti destabilizzanti per l’intero Medio Oriente. Nella prigione di Gaza Israele sta allevando un esercito di shahid (terroristi suicidi, ndr.)».
È ancora possibile evitare il disastro?
«È difficile, molto difficile...Si è aspettato troppo tempo per rendersi conto della tragedia che si stava consumando. Se c’è ancora una possibilità, questa è legata ai comportamenti dei Paesi arabi e dell’Europa: occorre predisporre un piano straordinario di aiuti alla popolazione civile supportato da una presenza sul campo di una forza di pace. Una forza che per essere accettata deve però essere garante della fine dell’assedio di Gaza. Il tempo degli appelli è scaduto da tempo. L’Europa agisca se non vuole essere complice dell’annientamento di un popolo».

Su AVVENIRE è Janiki Cingoli intervistato da Luca Geronico. Il consulente del governo Prodi rilancia anche l'idea dello "stato binazionale", cioè della distruzione "consensuale" di Israele.

La guerra civile a Gaza segna la fine del «processo di pace a tappe voluto dagli accordi di Oslo e Road map». Un tornante diplomatico per Janiki Cingoli, direttore del Centro italiano pace in Medio Oriente: «Ora bisogna prendere misure che creino la fiducia come rilascio dei prigionieri e dissequestro dei fondi palestinesi e si affrontino direttamente i nodi finali del negoziato: Stato palestinese, Gerusalemme, profughi».
Questa la prospettiva politica, ma intanto a Gaza è golpe fondamentalista. Perché?
«Hamas ha tentato la prova di forza rinunciando all'unità del futuro Stato palestinese con un'entità controllata da Hamas a Gaza e un'entità controllata da Fatah in Cisgiordania. Questo perché l'accordo raggiunto alla Mecca era fragile, con molti nemici dentro Hamas e Fatah. Poteva funzionare se Hamas avesse ottenuto in contropartita alle concessioni fatte riconoscendo i confini del '67 e l'accettazione del piano arabo la fine dell'isolamento internazionale. Questo non è avvenuto o non è avvenuto abbastanza e a mio avviso con una responsabilità dell'Europa. Così l'accordo è imploso.
E ora il confronto non si potrebbe trasferire tutto all'interno di Hamas. Un Haniyeh pragmatico contro Meshall intransigente?
Sono sempre stato restio a questi schematismi. Il dato reale è che Meshaal è un dirigente politico, di cui non condivido le posizioni, ma con reale potere. Quando Abu Mazen è andato alla Mecca a firmare l'accordo ora naufragato Meshaal era dall'altro lato del re suadita. Anche il cerimoniale per dire che il movimento palestinese è guidato da due forze con uguale dignità. Ho piuttosto l'impressione che Hamas, come faceva Arafat, tiene entrambe le linee e poi sceglie quella che al momento pare più conveniente. Meshaal si è speso per l'accordo della Mecca facendo dichiarazioni molto importanti sull'esistenza di Israele. Poi, non raccogliendo risultati, ha deciso di giocare spregiudicatamente il rapporto di forza sul terreno. Non si può escludere che vengano utilizzati uomini di Hamas come arma di pressione da parte della Siria che reclama un suo ruolo nel processo di pace.
Una «mano esterna» che pilota la crisi per interessi regionali?
Non una mano, ma più mani esterne oltre a molte mani interne. Vi è certamente un ruolo, non sedativo, dell'Iran e la Siria che rivendica un ruolo internazionale. C'è poi Israele che, avendo evaso tutti gli impegni presi con Abu Mazen da dicembre in poi ha indebolito il governo dell'Anp.
E ora Israele starà alla finestra?
Impossibile pensare che Israele entri a Gaza combattento a fianco di Abu Mazen contro Hamas. Ma si moltiplicano fra i palestinesi la voglia di restituire a Israele, considerato occupante, le "chiavi di casa". È un riemergere, dopo questa fase dei due popoli in due Stati, del discorso dello Stato unico. Se nei prossimi due anni non si troverà una soluzione è probabile che di fatto si riproponga una via interna per uno Stato binazionale. Una vecchia teoria, che finora non si è mai tentato di attuare.

Sul MANIFESTO, tra gli altri, Ali Rashid. Il quotidiano comunista è apertamente schierato con Hamas e il suo "diritto dovere di governare", contro quella parte di Al Fatah consapevole che è impossibile arrivare ad un compromesso con Israele sulla base di un programma politico che prevede la sua distruzione.

Forse una speranza, ho pensato ieri quando la gente di Gaza è scesa in piazza contro la guerra fratricida. Poi Al Jazeera ha mostrato il corteo bersagliato da entrambi i contendenti, e sono cadute le prime vittime. Si può ripartire solo da questo coraggio, da chi non si è fatto intimidire da armi, calci e sputi. Ora c'è solo rabbia, vergogna, stupore. I due contendenti in armi non rappresentano più il disagio e le aspirazioni palestinesi. È lotta per il potere, in assenza di potere, sulle macerie della Palestina ancora sotto l'occupazione israeliana che dura da sessant'anni. Tornano in mente le parole di Frantz Fanon nella Rivoluzione tradita: «In mancanza di un progetto politico e culturale alternativo si riproduce la dimensione del nemico occupante». Così azzerano anni di lotta drammatica, ma anche di riscatto politico, umano e culturale. Le parti che si fronteggiano, nel metodo e nel contenuto, sembrano estranei a questa storia.
Ma perché questa trasformazione dopo la vittoria elettorale di Hamas. Perché hanno sconvolto un popolo che aveva fatto, comunque, la sua scelta? La risposta sta nel meccanismo democratico inceppato che non ha permesso a chi ha vinto le elezioni di esercitare il suo diritto-dovere di governare. I responsabili sono troppi: innanzitutto la stessa Al Fatah e il presidente Abu Mazen che, insieme ad Israele e alla Comunità internazionale, ha frapposto mille ostacoli tra Hamas e la possibilità di governare. Il resto lo hanno fatto l'isolamento politico, l'embargo economico, le uccisioni mirate, le incursioni militari quotidiane, gli arresti dei membri del governo e del Parlamento, il Muro, i nuovi insediamenti. Israele e gli Stati uniti - il rapporto dell'inviato dell'Onu Alvaro de Soto parla di effetto «devastante» per «l'appoggio incondizionato dato dalla Casa bianca ad Israele» - hanno imposto un assedio finanziario, minacciando le banche internazionali, impedendo l'arrivo di fondi raccolti nel mondo per la popolazione alla fame.
È così cresciuto un caos non calmo, con una deriva malavitosa. E l'ultimo accordo della Mecca tra Hamas e Fatah che aveva posto fine agli scontri precedenti dando vita al governo di unità nazionale accolto con gioia nei Territori, non ha modificato né l'intransigenza d'Israele, né le condizioni materiali dei palestinesi. L'embargo e l'isolamento internazionale continuano. Altri ministri e parlamentari sono stati rapiti e rinchiusi nelle carceri israeliane. L'accordo della Mecca prevedeva l'allontanamento di tutti i falchi responsabili degli scontri. Hamas ha allontanato i propri - quelli che oggi guidano la protesta e la cui ferocia in queste ore è scellerata - ma Abu Mazen ha confermato e promosso l'eminenza grigia Dahlan. E le forze dell'ordine hanno continuato a rifiutare gli ordini del ministro degli interni, costringendolo alle dimissioni. Infine le dichiarazioni di Israele e di Bush, sulle intenzioni di sostenere con armi e denaro le forze dell'ordine alle dipendenze di Abu Mazen in funzione anti-Hamas, hanno aperto la voragine dei sospetti. Oggi «allegramente» Israele sostiene che è la divisione dei palestinesi ad impedire la ripresa delle trattative. In verità Israele, che non trattava neanche quando l'interlocutore c'era, non tratta perché è contro una soluzione politica che ponga fine alla sua occupazione sulla Palestina.
I palestinesi si uccidono e suicidano il sogno della terra più amata. Ma il mondo occidentale, Europa compresa, che sta a guardare è il vero responsabile. La sua guerra e le sue false promesse hanno riaperto per sempre la ferita del Medio Oriente.

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