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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Repubblica - Europa - Il Messaggero - L'Unità Rassegna Stampa
03.05.2007 C'è chi usa il rapporto Winograd come un'arma mediatica contro Israele
rassegna di quotidiani

Testata:La Repubblica - Europa - Il Messaggero - L'Unità
Autore: Sandro Viola - Janiki Cingoli - Eric Salerno - Maurizio Debanne
Titolo: «Israele, un paese senza guida - Israele fine di un gruppo dirigente - Il premier sempre più solo e con le spalle al muro - Israele, anche la ministra Livni chiede le dimissioni del premier»

Un paese senza classe dirigente, che potrebbe cadere in mano a una destra ostile alla pace.
Così, nel suo editoriale pubblicato da La REPUBBLICA del 5 maggio 2007, descrive Israele Sandro Viola.
Dimenticando che la pace non l'hanno voluta, per l'ennessima volta, i palestinesi che hanno fatto di Gaza, dopo il disimpegno israeliano, la base di lancio dei razzi kassam e che hanno dato la vittoria elettorale ad Hamas, e gli Hezbollah che, al culimine di un'ininterrotta serie di paggressioni, hanno rapito due soldati israeliani nell'agosto del 2006. Nonostante l'occupazione israeliana del sud del Libano fosse cessata nel 2000.
Ecco l'articolo: 


Che il primo ministro israeliano Ehud Olmert si dimetta o no nei prossimi giorni, importa relativamente poco. La bufera che ha investito la classe dirigente israeliana promette infatti di durare ben oltre l´eventuale uscita di Olmert dalla scena. Perché è vero che i risultati della commissione d´inchiesta sulla guerra libanese dell´estate scorsa, e sui gravi errori che ne punteggiarono la condotta, sono caduti come macigni sulla credibilità politica di Olmert e del ministro della Difesa Amir Peretz. Ma il fatto è che i duri giudizi della commissione (l´inadeguatezza, l´incapacità del premier e del ministro della Difesa nel fronteggiare la crisi del luglio 2006) sono venuti dopo che la classe politica israeliana stava precipitando, ormai da mesi e sempre più a fondo, nel discredito generale.
Un capo dello Stato sotto inchiesta per stupro, Olmert alle prese con tre diverse indagini sulle sue operazioni finanziarie e immobiliari, l´ex ministro delle Finanze e l´intera Direzione fiscale anch´essi indagati dalla magistratura, e sull´ex capo di Stato maggiore Dan Halutz il sospetto d´aver liquidato le sue azioni - nell´eventualità che la guerra provocasse una caduta della Borsa di Tel Aviv - il giorno prima dell´inizio dei combattimenti in Libano. Questo era il quadro su cui si sono abbattuti gli spietati giudizi della commissione d´inchiesta Winograd. E quindi non si tratta soltanto dell´impreparazione e miopia tattico-strategica nella conduzione della guerra. Questa, certo, è la responsabilità maggiore, la più pesante. Ma essa è venuta ad aggiungersi all´immagine d´una classe dirigente che agli occhi dell´opinione pubblica appariva già azzoppata, se non si deve dire lordata, da una sequela di scandali.
Nessuna meraviglia, perciò, a vedere la società israeliana caduta in uno stato d´animo tra i più amari di quanti ne abbia conosciuti dacché esiste lo Stato ebraico. Frustrazione, sfiducia, timori per l´avvenire politico: senza parlare dello strazio con cui i parenti dei soldati caduti in Libano tra il luglio e l´agosto scorsi, leggono adesso, nel rapporto della commissione d´inchiesta, con quanta improvvisazione e quanto scarsa preveggenza i loro congiunti sono stati mandati a morire sulla frontiera settentrionale. Ed è a questo, al totale discredito della classe dirigente più che ai rilievi e rimostranze tecnico-militari della commissione Winograd, che bisogna guardare per capire quale momento stia vivendo Israele.
Con quale sconcerto il paese si stia rendendo conto che se anche Olmert si facesse da parte, lo schieramento politico israeliano non offre al momento alternative rassicuranti. Non un partito, un leader che possano riportare un po´ di pulizia morale ai vertici della politica, e allo stesso tempo garantire la sicurezza d´Israele in una fase difficile, forse cruciale, com´è quella odierna. Nessun vero passo avanti nel negoziato con i palestinesi, piccole ma significative crepe che s´aprono quasi ogni giorno nel rapporto con gli Stati Uniti, mentre i nemici - l´ala radicale di Hamas, a nord gli Hezbollah, e a Teheran Ahmadinejad - si fanno sempre più baldanzosi.
La fase che gli israeliani stanno vivendo è difficile e forse cruciale, perché la conclusione più importante emersa dai lavori della commissione d´inchiesta è che la seconda guerra libanese ha sgretolato, se non dissolto, il mito della capacità di deterrenza d´Israele. La fama d´imbattibilità che le sue forze armate vantavano da quarant´anni, dalla guerra dei Sei giorni, e che era servita (persino dopo la guerra del Kippur nel ‘73, in cui c´era stato un iniziale successo dell´esercito egiziano) per tenere a bada i suoi avversari.
Ma i trenta giorni di bombardamenti e operazioni a terra scatenati da Olmert e dal suo Stato maggiore l´estate scorsa in Libano, non sono riusciti a sgominare gli Hezbollah. I missili lanciati dai miliziani del «partito di dio» continuarono infatti a piovere sul nord d´Israele sino all´ultima ora prima del cessate il fuoco. Migliaia di profughi dovettero spostarsi verso il centro del paese. E s´intravide così - non era mai successo - una vulnerabilità del dispositivo militare israeliano, che la commissione Winograd ha adesso severamente confermato. Vale a dire: colpire Israele è possibile senza rischiare di venire annichiliti.
Perciò il 70 per cento circa degli israeliani chiedono le dimissioni del governo Olmert. Perché incombono, sia pure per ora vaghe, le ombre di nuovi conflitti. E come si può pensare che a deciderne l´avvio a Gaza o sul fronte libanese, i piani operativi, le finalità strategiche, siano ancora gli stessi uomini bollati dalla commissione d´inchiesta come «incapaci»? Nella serata di oggi si svolgerà a Tel Aviv una manifestazione contro il governo, e si prevede che sarà molto massiccia. Forse Ehud Olmert ne prenderà atto e si dimetterà. Per un momento più o meno lungo, gli israeliani penseranno d´aver tolto di mezzo un cattivo primo ministro e di potersi così avviare verso un futuro politico migliore. Ma il vero problema, come s´è detto all´inizio, non è solo quello dell´«incapace» Olmert.
Il problema sta nella sostanziale mancanza d´alternative politiche. Se pure il ministro degli Esteri, la signora Tipzi Livni, dovesse prendere il posto di Olmert, il cammino di questo governo resterebbe incerto, ondeggiante, inadeguato di fronte alle decisioni politiche e forse militari che il quadro regionale potrebbe imporre. E peggio ancora se la situazione dovesse invece evolvere verso nuove elezioni. Un governo ponte (cioè a dire una paralisi), e quindi una più che probabile vittoria della destra di Benyamin Netanyhau. Un nuovo governo Likud cui s´accosterebbe giubilante il «partito russo» di Aligdor Lieberman, La nostra casa Israele, che nei sondaggi viene secondo dopo il Likud. Dunque una coalizione destra-destra radicale. Un salto all´indietro per quel che riguarda il dialogo con i palestinesi, un ritorno di bellicosità. Qualcosa di molto simile, insomma, a un salto nel buio.

Il gruppo dirigente israeliano sconfessato dalla commissione Winograd, secondo Janiki Cingoli, che scrive su EUROPA pensa che sia possibile arrivare alla pace con gli arabi "senza pagare prezzi sostanziali", ha opposto al piano saudita "distinzioni più degne di un leguleio che di uno statista, lamentando ad esempio che esso richiedesse il diritto al ritorno per tutti i profughi, diritto che il Piano significativamente non nomina neanche".
In realtà il governo israeliano si è sempre detto pronto a concessioni territoriali ai palestinesi e ha sempre appoggiato l'ipotesi di uno Stato palestinese.
E' stato eletto sulla base di un programma politico che prevedeva il ritiro dalla Cisgiordania.
Reso inapplicabile dagli attacchi terroristici che sono continuati dopo il ritiro da Gaza.
In quanto al piano saudita: quando chiede una "giusta soluzione" per il problema dei profughi intende, con il linguaggio della diplomazia araba, precisamente il riconoscimento del "diritto al ritorno".

Ecco il testo:


La crisi politica israeliana, determinata dal rapporto Winograd sulle responsabilità di quella leadership nella guerra libanese della scorsa estate, ha scardinato la credibilità di Olmert e di Peretz.
Le conclusioni della Commissione evidenziano impietosamente l’assenza di preparazione, la mancata individuazione delle possibili alternative, quella sanguinosa offensiva finale, prolungata anche dopo il cessate il fuoco pronunciato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, che costò la vita anche al figlio di David Grossman.
I due sembrano resistere pervicacemente ai loro posti, tetragoni a quel livello del tre per cento sotto cui è precipitata la loro popolarità presso l’opinione pubblica.
Ma le loro dimissioni oramai sembrano solo questione di tempo. La stessa minaccia di una possibile vittoria di Netanyahu, in caso di elezioni anticipate, non sembra più far presa.
Ma sono i loro stessi partiti ad essere squassati dal tifone politico: i laburisti potrebbero scegliere di riaffidarsi all’uomo forte Barak, malgrado le sue responsabilità nel fallimento del negoziato di Camp David 2, e in quel ritiro unilaterale dal Libano, dell’estate 2000, che in larga misura è all’origine della guerra della scorsa estate.
Quanto a Kadima, la pretendente più innovativa, complessa e sofisticata è certamente il ministro degli esteri Tzipi Livni, che anche in questi giorni rivendica la sua condotta più moderata e lungimirante durante quella guerra, ma che pure presenta gli stessi dati di inesperienza militare che sono rimproverarti ai due leader sotto accusa.
In questa situazione, Shimon Peres potrebbe emergere come soluzione di transizione, anche se certo la sua non si presenta come una soluzione davvero credibile, lui che non ha mai vinto una competizione elettorale, ed è visto come un uomo del passato e non certo del futuro.
Israele si presenta oggi sullo scenario internazionale e su quello regionale privo di una credibile strategia, e di un messaggio accettabile per i suoi interlocutori.
Caduta l’impostazione dei ritiri unilaterali – dal Libano, da Gaza e quello, annunciato, dalla Cisgiordania, – ciò che è rimasto in piedi è una politica del giorno per giorno, condita da qualche incursione e qualche uccisione mirata per tenere i gruppi armati palestinesi sotto scacco, e impedire una ripresa massiccia degli attacchi terroristici. Con un esercito che oramai si è abituato a fare il poliziotto dei palestinesi, e non è più capace di fare bene la guerra.
Gli incontri quindicinali con Abu Mazen, imposti da Condoleezza Rice e subiti di malavoglia da Olmert, si sono presto ridotti a uno stanco rituale privo di contenuti, senza risultati in materia di rilascio dei prigionieri, di eliminazione dei blocchi stradali in Cisgiordania.
Persino il recente rilancio del Piano di pace arabo, effettuato con il vertice di Riyadh, e che propone il riconoscimento dello stato di Israele da parte di tutti gli stati arabi, in cambio della creazione di uno stato palestinese e della restituzione dei territori occupati (sulla falsariga delle principali risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu) è stato accolto con distinzioni più degne di un leguleio che di uno statista, lamentando ad esempio che esso richiedesse il diritto al ritorno per tutti i profughi, diritto che il Piano significativamente non nomina neanche.
Alla base di questa inadeguatezza strategica, è la valutazione che sia possibile arrivare a una pace con i palestinesi e gli arabi senza pagare prezzi sostanziali, «la pace in cambio della pace», come diceva Sharon. Mantenendo il Golan, e una larga fetta della Cisgiordania, circa il 10% quella compresa dentro il muro, e cioè molto di più di quegli scambi territoriali di circa il 3%, di cui si era discusso a Camp David 2. Questa illusione non ha sbocco, e porta Israele in un vicolo cieco.
La nuova leadership dovrà scegliere se avere una visione, una strategia, se osare la pace, affrontando i nodi del final status, o continuare nel tran tran senza futuro di quest’ultimo anno.

Per Eric Salerno, che scrive per Il MESSAGGERO l'esito della campagna contro Hezbollah ha dimostrato che Israele può ottenere la pace e la sicurezza solo accettando un "compromesso".
Salerno dimentica però che sono gli "estremisti" (come li chiama lui) del mondo arab (nell'Autorità palestinese, in Libano, in Siria)  a non accettare il compromesso, non Israele
Corretto ed equlibrato, invece, l'intervento di Emanuele Ottolenghi "Un paese scosso dagli scandali che chiede leader credibili", sempre dal MESSAGGERO .

Sono gli israeliani e Olmert a non essere interlocutori credibili. La guerra scatenata da Hezbollah contro Israele diventa un’inutile guerra scatenata da Israele, alla pari di quella USA in Iraq. Questo è quanto riesce ascrivere l’ideologo anti-israeliano Debanne nella sua disamina degli eventi successivi la pubblicazione parziale del rapporto Winograd sull'UNITA' on-line del 2 maggio. 

Ecco il testo:

La guerra ora Olmert deve combatterla in casa. Spinto da più parti alle dimissioni dopo la pubblicazione del primo rapporto della Commissione d'inchiesta Winograd, è però in seno a Kadima che giungono gli attacchi più duri. Le sue dimissioni sarebbero «una cosa giusta», è il commento, che suona più come una sentenza, del ministro degli Esteri e sua compagna di partito Tzipi Livni. Tuttavia la Livni ha detto che non opererà per le sue dimissioni che, se avverranno, dovranno essere il frutto di una decisione personale del premier. «L'idea di nuove elezioni sarebbe un errore - ha aggiunto -. Sono sicura che potremo affrontare le sfide che abbiamo davanti, ma dovremo fare dei cambiamenti». «Il primo ministro deve dimettersi», le fa eco il capogruppo della formazione centrista alla Knesset Avigdor Itzaky.

 

Olmert si difende in tutti i modi anche se il testo redatto dal giudice Winograd non gli lascia molto spazio di manovra. Per allentare il pressing per le sue dimissioni ha creato una squadra di esperti e un comitato interministeriale che avranno il compito di tener conto delle dure critiche mosse dalla Commissione Winograd alla gestione della guerra in Libano, per evitare che in futuro si ripetano gli stessi errori. Per il premier, infatti, il rapporto denuncia «errori gravissimi che investono il governo in generale» ed è proprio l'esecutivo che «ha il compito di porvi riparo». Olmert ammette di aver commesso qualche errore ma di aver agito solo nell'interesse della sicurezza di Israele e che in fondo rimane l'unico interlocutore possibile per arabi e palestinesi. I sondaggi dicono il contrario: il 68% degli israeliani lo invita a farsi da parte mentre il suo indice di popolarità è sceso al 2%, più basso di quello di Abu Mazen nei tempi peggiori. Gli israeliani si sono sempre lamentati di non avere un interlocutore palestinese credibile, con Olmert al comando sono loro a non esserlo.

 

 

Inutili dunque le parole di sostegno giunte dalla Casa Bianca pochi minuti dopo la pubblicazione del rapporto. Il presidente Bush considera «essenziale» l'amico e alleato Olmert per gli attuali sforzi verso la pace, dichiarava con perfetto tempismo il portavoce del presidente Tony Snow. Ma Israele non è l'America dove i capi di governo possono restare al governo pur avendo scatenato guerre inutili.

 

 

«C'è vita dopo Olmert», titola allora il quotidiano liberal Haaretz. Chi dopo di lui? «È giunto il tempo della Livni», suggerisce su Yediot Ahronot Nahum Barnea, uno tra i più acuti giornalisti israeliai. Olmert ha dimostrato di non essere in grado di fare il premier il cui compito «è quello di fare le domande giuste», scrive Barnea. Anche l'ipotesi Shimon Peres è dietro l'angolo. Il grande vecchio della politica israeliana potrebbe essere il candidato ideale per un periodo di transizione che porterebbe alle elezioni dopo l'estate. Resta da vedere se lui sarà disposto a sacrificarsi. Certo è che elezioni immediate porterebbero al potere il partito di destra Likud. Uno scenario da incubo per Kadima che al momento non è in grado di produrre un altro premier in linea con le aspettative della popolazione . Per questo Olmert potrebbe restare al suo posto fino a questa estate quando sarà pubblicato l'intero rapporto. Questa potrebbe essere la strategia della Livni, uscita pressoché indenne dallo tsunami politico. La gente poi dimentica in fretta e Kadima alla fin fine potrebbe vincere.

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