Dal FOGLIO del 28 febbraio 2007. David Frum spiega perché la politica americana verso la Corea del Nord (che qualcuno, in Italia, vorrebbe imitare con l'Iran) è un fallimento:
Nella seconda Amministrazione Bush qualcosa è andato completamente storto. Uno dei pochi meriti della soluzione trovata per la questione del nucleare nord-coreano è che possiamo finalmente farci un'idea di cosa sia questo "qualcosa".
Primo problema: la soluzione è la prova lampante di un fatale fallimento di una determinata visione strategica. L'Amministrazione Bush è salita in carica decisa ad assumere nei confronti della Corea del nord una linea più intransigente di quella mantenuta da Bill Clinton. Nel febbraio del 2002, Bush, nel famoso discorso sull'"asse del male", ha avvertito che la Corea del nord si stava armando con lo scopo di minacciare la pace mondiale. Nell'ottobre del 2002 la sua Amministrazione ha affrontato i nordcoreani mettendoli di fronte alla prova del fatto che nel negoziato del 1994 con gli Usa avevano mentito, avviando segretamente un nuovo programma nucleare, specificamente diretto all'arricchimento dell'uranio. Tutte iniziative ammirevoli, se si ha un piano da mettere in pratica. Ma ecco cosa è venuto fuori: non c'era nessun piano.
Così, cinque anni dopo la definizione dell’asse del male", l'amministrazione Bush si trova a firmare una soluzione praticamente identica a quella lasciatale in eredità dall'Amministrazione Clinton. La sola differenza è che la Corea nel frattempo è diventata ufficialmente una potenza nucleare. Tutto ciò solleva una domanda: che senso aveva allora affrontare la Corea del nord?
Secondo problema: la recente soluzione rivela un grave malfunzionamento nel meccanismo decisionale dell'amministrazione. Per un governo è sempre una buona idea ascoltare numerosi punti di vista. Ma come ha scritto l'autorevole David Sanger sul New York Times di giovedì scorso: "Per ottenere l'approvazione di un trattato con la Corea del Nord criticato dai conservatori all'interno e fuori dall'amministrazione, il segretario di stato Condoleezza Rice ha dovuto scavalcare a piè pari vari livelli di consultazione governativa... 'Non c'è stato alcun processo decisionale', ha detto un funzionario particolarmente coinvolto nella vicenda. 'Nulla. Nessuna comunicazione per stabilire se questo è il modo corretto di trattare con i nordcoreani'".
Il risultato è il caos
Questa non è la prima volta che Condoleezza Rice agisce in questo modo. Durante il primo mandato di Bush come consigliere per la sicurezza nazionale, suo compito era quello di appianare i conflitti all'interno e tra le varie burocrazie della sicurezza nazionale. Ma quando stato, Difesa e Cia hanno iniziato a litigare su come gestire l'Iraq dopo la fine della guerra, la Rice ha rinunciato al compito. Ogni dipartimento ha preso la propria strada. Risultato: il caos. Nel caso della Corea, lo scavalca-mento del governo significa che importanti questioni non sono state affrontate. Per esempio: in base al nuovo trattato, gli Stati Uniti hanno promesso di togliere la Corea del nord dalla lista degli stati sponsor del terrorismo - senza alcun impegno da parte dei nordcoreani per una restituzione dei cittadini giapponesi rapiti e costretti a fare da istruttori di giapponese per le spie nord-coreane. Il Giappone è stato forse consultato prima di fare quest'offerta alla Corea del nord? Se nonio è stato, la soluzione concordata dalla Rice potrà causare gravissimi danni alle relazioni, estremamente importanti, fra Stati Uniti e Giappone.
Terzo problema: la soluzione dimostra l'incapacità di convinzione o persuasione di quest'Amministrazione. Nella sua conferenza stampa di mercoledì scorso, al presidente Bush è stato chiesto come giudicava la drastica opposizione dell'ex ambasciatore all'Onu e fedele conservatore John Bolton a questo trattato con la Corea. Ecco la principale obiezione di Bolton: le sue condizioni offrono alla Corea un'immediata interruzione delle sanzioni finanziarie, mentre gli obblighi che le sono stati imposti non verranno probabilmente mai rispettati.
Ed ecco la replica del presidente: "Non sono affatto d'accordo". Ok, ma perché? Perché Bolton aveva torto? Quanto a questo, Bush ha abbozzato una mezza frase, definendo le sanzioni finanziarie una "faccenda separata" e poi ha cambiato discorso. Se non si è in grado di dare ragioni concrete, si lascia l'impressione che non si è in grado di farlo. Naturalmente, ognuno spera che la soluzione adottata con la Corea del nord funzioni. Ma, a guardare la realtà dei fatti, sembra più un manuale per comprendere ancora meglio gli errori dell'Amministrazione Bush.
Ma l'Iran sarebbe davvero disponibile a trattare? Per ora, non ha fornito nessuna garanzia concreta, nota Stefano Magni sull'OPINIONE del 1 marzo 2007:
Una volta che l’Aiea (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) ha verificato che l’Iran è in palese violazione della Risoluzione 1737, cosa farà l’Onu? La risoluzione imponeva uno stop al programma di arricchimento dell’uranio, utile anche alla fabbricazione di testate nucleari. L’Iran, non solo non ha accettato lo stop, ma ha anche accelerato il processo. Il presidente Ahmadinejad ha dichiarato che non indietreggerà di un passo e che è anche pronto ad affrontare una guerra. Martedì scorso, Michael McConnell, direttore dell’intelligence nazionale americana, ha dichiarato di fronte al Senato che l’Iran è responsabile dell’addestramento di milizie sciite in Iraq e in Libano. Non solo esporta mine anti-carro alla guerriglia irachena, ma addestra anche i guerriglieri a usarle nel modo più efficace: “Sappiamo che ci sono armi iraniane in Iraq. Sappiamo anche che uomini delle Forze Quds (forze speciali iraniane, ndr) le stanno portando nel Paese”.
Con il lancio di un primo missile nello spazio, l’Iran ha anche dimostrato al mondo intero di voler completare il suo programma missilistico. Se dovesse schierare i missili Shehab-4 (2000 km di portata), arriverebbe a minacciare tutte le basi americane nel Medio Oriente, in Turchia e nell’Europa orientale. Con gli Shehab-5 (4000 km di portata), l’Iran potrebbe colpire tutte le città europee, comprese quelle in Gran Bretagna e in Scandinavia, con l’unica eccezione dell’Islanda. Se l’Iran dovesse portare a termine anche il programma dello Shehab-6 (6000 km di portata), arriverebbe a tenere sotto tiro tutte le basi Nato (comprese quelle in Groenlandia e Islanda), il Giappone e la Corea del Sud. Teheran non sta lanciando alcun segnale di distensione, da nessun punto di vista. Solo dopo l’inizio della pressione internazionale, la leadership iraniana ha mostrato le sue prime crepe, ma unicamente a livello informale e non ufficiale.
Nel circolo dell’ayatollah Khamenei, il consigliere Ali Akbar Velayati ha fatto capire tra le righe di essere disposto a fermare provvisoriamente il processo di arricchimento dell’uranio per venire incontro alle richieste dell’Onu: “Se siamo d’accordo su una soluzione pacifica della questione, non dobbiamo scartare alcuna idea”. E l’ex presidente “moderato” Rafsanjani contrappone alle dichiarazioni esplicite di Ahmadinejad dei ragionamenti più concilianti nei suoi appelli all’opinione pubblica mondiale: “Siamo pronti a fornirvi le rassicurazioni necessarie. Tutti noi siamo pronti, i nostri leader e la nostra guida beneamata ayatollah Khamenei. Sappiamo che, se possiamo parlare nelle giuste condizioni, capirete che l’Iran sta soltanto perseguendo quel che tutti voi considerate un suo diritto legittimo: l’uso pacifico dell’energia nucleare”.
Sono parole sincere? Sono dettate dalla paura delle sanzioni? L’Iran, per ora, non ha fornito alcuna garanzia concreta sui suoi obiettivi. Né le ha fornite lo stesso “moderato” Rafsanjani, l’uomo che convinse gli Iraniani che era possibile distruggere Israele con una sola bomba atomica senza temere di essere annientati nella rappresaglia. Fatto sta che, pur nell’assenza di una qualsiasi garanzia, gli Stati Uniti hanno ribaltato la loro politica per il Golfo Persico, invitando anche l’Iran, assieme alla Siria, alla conferenza internazionale per la sicurezza e la stabilità in Iraq, accogliendo (dopo averlo rigettato ufficialmente) un suggerimento della Commissione Baker-Hamilton.
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