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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera - La Repubblica - Avvenire - L'Unità Rassegna Stampa
09.02.2007 Gli storici demoliscono il libro di Ariel Toaff
che dà credito alla calunnia antisemita degli omicidi rituali

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica - Avvenire - L'Unità
Autore: la redazione - Roberto Beretta - Giacomo Todeschini - Tobia Zevi
Titolo: «Intervista a Diego Quaglioni - Pasque di sangue? Fantasie senza prove - MOLTA RETORICA NESSUNA PROVA - Ariel Toaff e Marina Caffiero: due tesi a confronto»

Pubblichiamo l’intervista concessa al CORRIERE della SERA (che la pubblica sul dorso trentino)  da Diego Quaglioni Professore di storia del diritto medievale e moderno alla facoltà di giurisprudenza dell’università di Trento e autore, con Anna Esposito, della pubblicazione in veste critica con introduzione giuridica e istituzionale del testo dei verbali processuali del processo agli ebrei per la morte di Simone da Trento, sulla base dell’unica copia autentica conservata nell’archivio segreto del Vaticano. Su questi verbali in gran parte si è basato Toaff per la stesura del libro "Pasque di sangue".

"Sono più che stupito. E’ un modo di leggere le fonti processuali che non condivido e mi allarma, mi sconcerta. Le fonti processuali sono particolarissime, non si può pensare di leggerle come si trattasse di cronaca giudiziaria la nera del nostro tempo. Questi testi sono frutto di una corstruzione sapiente da parte dei giudici, del notaio: chiunque sia mai venuto alle prese con un proc inquiis del tardo medioevo sa di che parlo. Quei documenti in particolare sono stati costruiti ad arte per dimostrare la tesi infamante dell’omicidio rituale. Non si può ingenuamente credere a queste deposizioni quando si sa che quel processo è stato costruito apposta per dimostrare la colpevolezza degli ebrei. E’ sconcertante ciò che in questi giorni leggo sui giornali. E’ una tesi aberrante dal punto di vista non ideologico o confessionale, ma storico. Io quei verbali li ho curati e so bene di che cosa parlo: sono testi cui non si può credere in modo ingenuo altrimenti si torna indietro a una lettura prescientifica, acritica, astorica: quella dei gesuiti a fine 800 e dei francescani antigiudaici del ‘700. Delle tesi di quel libro porta tutta la sua responsabilità il prof Toaff che legge a suo modo quelle fonti, con lettura del tutto illegittima sul piano storico. Io sono uno specialista di storia del diritto, mi occupo di storia del diritto e di storia del processo, da trent’anni studio le relazioni fra ebrei e cristiani sotto il profilo della disciplina giuridica e per questo mi sono occupato della letteratura giuridica che riguarda i rapporti fra ebrei e cristiani e mi sono occupato del processo di Trento. Pubblicai i testi controversistici diffusi nell’ambiente pontificio che nascevano dalla causa trentina. A Trento nel 1475, subito dopo i fatti e la condanna il papa mandò un inquisitore domenicano a verificare se il processo si fosse svolto regolarmente. Questi si convinse che i verbali erano costruiti. Tornò a Roma convinto dell’innocenza degli ebrei e che ci fosse lo zampino del vescovo e suoi uomini. A Roma si aprì un procedimento davanti a una commissione speciale che giudicò che le forme erano state rispettate. Non possediamo più gli originali dei processi, abbiamo copie fornite a Roma dal vescovo di Trento che organizzò il processo. L’inquisitore apostolico scrisse una difesa degli ebrei, che io ho pubblicato 20 anni fa e si può leggere in biblioteca. I contemporanei sapevano quel che succedeva e sapevano interpretare. Quando si legge un processo e si dimentica che a parlare è un poveretto appeso a una corda, slogato completamente, con un macigno appeso ai piedi. una padella di zolfo messa sotto il naso, come si fa a credere che dica delle cose sensate? Questi aguzzini trentini arrivarono a far comunicare fra loro i testimoni perché ognuno sapesse cosa diceva l’altro, in barba al diritto. Un diritto che consentiva tutto al giudice: il procedimento allora era segreto, senza avvocati ad assistere l’inquisito, che veniva messo davanti a una confessione: se non la ratificava, ricominciavano le torture. -Ditemi quello che devo confessare e lo confesserò!- dice un poveretto. Come si fa a credere alle parole che vengono fuori non dalla bocca degli inquisiti – mandati a morte in pochi giorni - ma dalla mente degli inquisitori? Il papa mandò un suo inquisitore perché convinto che a Trento fosse iniziato uno sterminio. Come si fa a rilanciare quell’accusa infamante ammantandola di storicità? E’ per me inaudito, non perché sia incline a tesi innocentiste, ma perché sono uno storico del diritto, che usa normalmente gli strumenti della filologia dei testi giuridici e delle interpretazioni delle fonti processuali. Sono stupefatto delle conclusioni cui giunge Toaff, cui ho cercato di raccomandare molta prudenza ricordandogli che quelle fonti sono inaffidabili per loro natura. Ci sono documenti di cui Toaff è a conoscenza e che non so se citi nel suo libro, che dimostrano che i trentini sapevano bene di aver messo in piedi un processo molto poco rispettoso delle forme del processo penale in uso allora, quantunque quelle forme dessero al giudice tutto il potere e nessuna garanzia agli inquisiti, che non fosse quella della tortura : chi resisteva era liberato dall’accusa. Ma da quelle torture non ci si poteva aspettare altro che la piena confessione. Se questa fosse la logica, dovremmo riaprire i processi alle streghe, Allora perché non credere alla strega quando dice che vola di notte, va al sabba e si congiunge al demonio, e a chi pensava che gli untori spargessero la peste sulle mura di Milano? Quei testi non vanno letti come eventi sensazionali. Sono agghiaccianti, non per le confessioni, ma per il modo con cui sono estorte! Atrocità applicate a poveretti senz’altra colpa che essere presi di mira da chi voleva attraverso un processo dimostrare che gli ebrei facevano queste nefandezza. La voce era diffusa negli ambienti tedeschi, e questo caso avviene nell’ambito dellla comunità tedesca. Chiunque può leggere i verbali processuali e interpretarli correttamente! Ce n’è anche una traduzione tedesca uscita qualche anno fa per iniziativa della commissione cultura della Comunità Europea (1990 - CEDAM Processi contro gli ebrei di Trento- vol I, processo alle donne, vol II)

Di seguito, un'intervista di Roberto Beretta ad Anna Foa, pubblicata da AVVENIRE

E' stata pacata Anna Foa (su Repubblica di ieri), nella recensione alle Pasque di sangue del collega e correligionario Toaff, che tanto scalpore hanno suscitato ancor prima della loro uscita. «Non sembra proprio – scriveva la storica dell’università di Roma – che Ariel Toaff abbia trovato fonti che rovescino l’interpretazione tradizionale. Districarsi nella gran mole delle sue eruditissime note è arduo, ma quando ci si riesce si ha la sensazione di ritrovarsi con nulla di concreto in mano. Il suo libro è una reinterpretazione, basata sulla sua personale rilettura delle stesse fonti su cui gli storici si sono basati invece per respingere l’accusa».
Oggi, dopo aver letto le interviste in cui Toaff si paragona a Maimonide (il filosofo medievale ebreo condannato dai rabbini) e sostiene che il suo libro si riferisce a delitti rituali di «pochi estremisti» ebrei e «al massimo in uno o due casi», la signora è assai meno diplomatica: «Sì, i suoi interventi sui giornali mi hanno molto turbata. Toaff non è Maimonide. Il suo libro non sta in piedi dal punto di vista storiografico. Che poi nelle interviste abbia fatto marcia indietro non salva la situazione: altro che pochi casi, il suo studio parla di una situazione generale di sacrifici umani durata 4 secoli».
Ma che cosa non la convince nel lavoro del collega?
«Non mi convince il fatto che rovesci completamente l’interpretazione storiografica accreditata senza avere nessuna prova di sostegno. Ariel ha riletto le deposizioni al processo e dice che sono troppo concordanti per non essere vere; ma proprio noi storici abituati a lavorare su fonti giudiziarie così univoche sappiamo che un quadro del genere è indice di orientamento da parte di chi fa le domande, e dunque falsa la verità del documento; tra l’altro all’epoca gli interrogatori venivano fatti sotto tortura, metodo che a Trento è stato ampiamente usata».
D’accordo. Ma perché negare la possibilità che una frangia isolata, una «scheggia impazzita» dell’ebraismo abbia potuto uccidere un bambino?
«Certo che possiamo ipotizzarlo: uno o due casi di infanticidio figuriamoci se non possono essere avvenuti, né sostengo che gli ebrei siano immuni da delitti del genere (comunque questi pochi casi Toaff li tiri fuori, perché nel suo studio non ci sono...). Ma il libro non dice questo. Ritiene invece che per 4 secoli gli ebrei askhenaziti si siano dedicati all’omicidio nel quadro di una ritualità trasformata in odio contro i cristiani: una generalità d’usanza non provata da alcuna fonte».
Ma le sette ultra-ortodosse dei «cannaìn» (i «gelosi») citate da Toaff esistevano o no?
«Sono fenomeni comprovati molto poco e in ogni caso non a Trento; lo stesso Toaff confessa che lassù la comunità ebraica non era particolarmente osservante. E non porta nessuna prova neppure dal punto di vista delle dichiarazioni dei rabbini su fenomeni come le cosiddette "Pasque di sangue". La ritualità col sangue è assolutamente contraria a quella ebraica e Toaff non riporta nemmeno un’affermazione di rabbino che dica il contrario. Posso pensare che alcuni gruppi chiusi avessero così in odio i cristiani da decidere di reagire con violenza alle persecuzioni, ma ben altro conto è che ciò venga inserito in una ritualità ebraica: cosa che sarebbe assolutamente contraria alla norma. Quanto all’ipotesi di un commercio di sangue cristiano, la definirei allucinatoria».
Ma che cosa dice della reazione del mondo ebraico, forse eccessiva davanti a un testo che è comunque uno studio storico su fatti di 5 secoli fa?
«La mia recensione infatti è stata pacata e non di scomunica. Però capisco che il mondo ebraico – il quale ha vissuto l’accusa di infanticidio sulla sua pelle, sa che è stata usata da Hitler contro di lui, ha visto tante leggende del genere riemergere di tanto in tanto e con esiti molto tragici – abbia risposto all’articolo che annunciava il libro di Toaff con un’onda emotiva molto forte».
Ma allora significa che su certi fatti è meglio non indagare nemmeno, per non suscitare pericolose tentazioni?
«Forse è bene indagare senza sensazionalismi. Non emettere un libro che rovescia una storiografia consolidata senza avere nemmeno una prova per affermare la propria verità eterodossa».

AVVENIRE affianca all'intervista ad Anna Foa quella al sociologo  Paolo Sorbi, che assurdamente argomenta:

I 15 giustiziati (che costituivano poi tutta la comunità ebraica di Trento) erano certamente innocenti, non erano presenti durante quella cosiddetta "comunità di sangue". Però l'eccessiva convergenza delle deposizioni (15 persone che ripetono le stesse cose in modo identico...) è sospetta e rende più arduo provare con sicurezza che il bambino non sia stato ucciso da ebrei.

Sulla convergenza delle deposizioni risponde l'intervista a Quaglioni sopra riportata.
Che poi, nonostante la certezza dell 'innocenza dei 15 assassinati si voglia continuare a mantenere in vita il sospetto che il bambino sia stato ucciso da ebrei appare incomprensibile e inaccettabile.

Il 7 febbraio AVVENIRE ha pubblicato un'altra recensione positiva del libro di Toaff, ad opera di Franco Cardini, noto apologeta degli antisemiti islamici.

La REPUBBLICA ospita la stroncatura dello storico Giacomo Todeschini (che Sorbi nella sua intervista accomuna a Toaff!)

Il nuovo libro di Ariel Toaff, Pasque di sangue (edito da Il Mulino: ne ha parlato ieri su queste pagine Anna Foa), prima ancora di essere un libro facilmente utilizzabile da parte di chi oggi nega la differenza fra carnefici e vittime, di chi crede di equilibrare la storia dichiarando l´equivalente malvagità degli uni e delle altre, è un libro di storia mal fatto.
L´autore ritiene appropriato, è evidente da ogni capitolo e da ogni frase, restituire vita e colore alle vicende ebraiche medievali ripartendo dai processi per omicidio rituale intentati in Europa occidentale, dal dodicesimo secolo in avanti, contro varie comunità ebraiche, e di norma conclusi da condanne e stermini. Appare profonda la convinzione dell´autore che una ricostruzione retorica di passioni estreme, agguati, subdoli traffici, tentati avvelenamenti, fughe, torture e massacri, possa rendere avvincente la lettura del libro ad un pubblico assuefatto alle truculenze cinematografiche; analogamente da ogni riga affiora la convinzione storiograficamente assai pericolosa di una maggiore "leggibilità" della storia ebraica che rimandi, prendendoli sul serio, ai più triti e divulgati stereotipi antisemiti.
Meglio dunque che la storia in questione abbia protagonisti variopinti e psicologicamente semplici: avventurieri ebrei dediti a "loschi traffici", un "ingegnoso medico di Candia", un "giovane e bizzarro pittore", un rabbino tedesco circoncisore ("il Tagliatore"!), "pargoli" ebrei sottoposti alla "lama letale del coltello". E poi, perché no, cannibalismo, lebbra, suicidio, fiumi di sangue. La vita ebraica, diversamente da quanto avveniva in un precedente e bel libro dello stesso Autore sugli ebrei umbri, è dunque colta, nel momento del pericolo incombente e della minaccia di morte, come una vita collettiva più interessante perché minacciata, più affascinante perché incarnata da ignobili personaggi degni del più squallido fra i romanzi. Questi ebrei inferociti e minacciosi sono in grado, d´altra parte, secondo Ariel Toaff, di essere così spaventosi perché capaci, come la polemica antisemita di matrice cattolica sostiene a partire soprattutto dal XVIII secolo, di riassumere una vasta tradizione culturale anticristiana nell´ambito di pratiche religiose e rituali decisamente pericolose per l´ambiente maggioritario circostante.
Scrive Toaff che il mondo ebraico europeo occidentale era un mondo «chiuso in se stesso, impaurito e aggressivo verso l´esterno, spesso incapace di accettare le proprie dolorose esperienze e di superare le proprie contraddizioni ideologiche… Un mondo che, sopravvissuto ai massacri e alle conversioni forzate di uomini, donne e bambini, continuava a vivere traumaticamente quegli avvenimenti in uno sterile sforzo di capovolgerne i significati, riequilibrando e correggendo la storia».
Il linguaggio come sempre è indicativo, ed in questo caso rivela lo sforzo di tradurre in termini "laici", e contemporanei, la sommaria analisi dell´Ebraismo condotta tradizionalmente dall´apologetica antisemita desiderosa di far apparire i non-convertiti come dei disadattati con venature psicotiche. La retorica non riesce tuttavia a coprire le vistose lacune metodologiche e bibliografiche dell´opera. Tutto il volume è infatti fondato sulla rilettura non critica di fonti processuali cristiane, la cui logica è stata da tempo decodificata dagli storici.
È notissimo che gli interrogatori dei testi fra medioevo ed età moderna venivano verbalizzati secondo una logica discorsiva che normalmente attribuiva agli accusati, previamente sottoposti a tortura, discorsi e minuziose descrizioni enunciati in realtà dai giudici, sulla base più che di "prove" (il concetto stesso di prova era molto diverso da quello poi maturato nei secoli), di convinzioni a loro volta derivate da una sistematica cultura teologica. Era sufficiente un breve assenso dell´imputato al discorso inquisitorio, perché nel verbale risultasse una confessione di più pagine. D´altra parte, la volontà dell´autore di costruire una narrazione efficace, lo induce, oltre che appunto a dare un valore di verità a testimonianze notoriamente manipolate, a passare con disinvoltura da fonti storiche significative a livello ideologico e controversistico (come quelle che rimandano alle discussioni fra teologi ebrei e cristiani nel Medioevo) a fonti storiche locali come quelle che narrano secondo logiche apologetiche ed agiografiche le vicende di beatificazione di santi e beati, primo fra tutti Simonino di Trento.
Queste due tipologie di fonte storica sono connesse, spregiudicatamente, da interpretazioni libere e ingiustificate. Primeggia fra tutte l´idea, spesso ripetuta, che la rievocazione del sacrificio d´Isacco nel rituale pasquale ashkenazita sia la base del sacrificio dei fanciulli ebrei minacciati da conversioni forzate, e che, poi, fondi gli omicidi rituali. Passi dagli scritti del rabbino Efraim di Bonn vissuto alla fine del XII secolo, brani particolarmente tendenziosi dalla famigerata cronaca del processo contro gli ebrei di Trento pubblicata dal francescano Benedetto Bonelli nel 1747, il Toledot Yeshu, un testo ebraico precedente all´ottavo secolo, vengono pazientemente cuciti insieme per dimostrare la tesi dell´Autore, e cioè l´esistenza di una stretta relazione fra controversie teoriche ebraico-cristiane e aggressività ebraica anticristiana.
Complessivamente colpisce la totale disattenzione dell´autore alla storiografia specifica sulle varie questioni, ma soprattutto impressiona la sua indifferenza nei confronti dei numerosi studi dedicati da cinquant´anni a questa parte a ciò che dovrebbe essere al centro di un libro sul tema dell´omicidio rituale: e cioè l´elaborazione teologica e narrativa cristiana, sin dal II-III secolo, di stereotipi della diversità ebraica, sfocianti poi, dal XII secolo, in forza delle profonde trasformazioni economiche e politiche europee, nel mito dell´aggressività distruttiva di coloro che non appartenevano alla società dei cristiani.

Intervistata da Tobia Zevi suul'UNITA' anche la storica Marina Caffiero stronca il libro di Toaff:

«E adesso cosa dovremmo raccontare ai giovani, ai quali solo qualche giorno fa ci siamo rivolti in occasione della Giornata della Memoria?». A esprimere questa preoccupazione, che già nei giorni scorsi ha turbato profondamente la comunità ebraica italiana, è Marina Caffiero, ordinario di Storia moderna alla Sapienza di Roma, e autrice fra l’altro di Battesimi forzati - Storie di ebrei, cristiani e convertiti nella Roma dei papi, in cui si affronta anche l’evoluzione di uno dei più antichi e diffusi pregiudizi antiebraici nella storia europea. «L’origine dell’accusa agli ebrei di fare sacrifici umani, e di utilizzare sangue di bambini cristiani nell’impasto del pane azzimo da mangiare durante la festività pasquale, è molto remota. Si può risalire fino al 1100, in Inghilterra. Lo stesso argomento fu successivamente sbandierato innumerevoli volte, durante atroci persecuzioni, fino al celebre caso di S. Simonino nel 1475. Ma addirittura Benedetto XIV, alla metà del Settecento, in piena epoca dei Lumi, avvalorò questa tesi con una bolla papale, il massimo strumento a sua disposizione. Ancora nel 1900, quando un gruppo di cattolici inglesi chiese al S. Uffizio che fosse negata l’attendibilità di questa incriminazione, fu loro risposto che su questo tema l’ultima parola era già stata pronunciata da Benedetto XIV». Un’ accusa storicamente infondata, ha fino ad oggi sostenuto la storiografia. Che invece sarebbe stata, secondo Ariel Toaff, «un tabù» infranto dal suo Pasque di sangue - Ebrei d’Europa e omicidi rituali. «So bene che la Torah e l’etica ebraica non consentono di sacrificare esseri umani o di cibarsi di sangue; ma questo non significa che questi crimini non siano mai stati commessi» ha dichiarato ieri Toaff al Corriere. «Occorre muoversi con cautela» replica la Caffiero: «Bisogna tener presente che stiamo parlando di uno dei pregiudizi più efficaci e duraturi, che ha contribuito alla rappresentazione dell’ebreo come nemico. Non possono essere considerate completamente attendibili le confessioni estorte con la tortura, sulle quali invece il libro sembra basare il proprio assunto; altrimenti dovremmo considerare altrettanto veridiche le deposizioni coatte delle streghe sui supposti saba, o quelle degli eretici, a cui venivano fatti ammettere comportamenti devianti, come i reati di sodomia o altre perversioni sessuali. O, tanto per fare un altro esempio, quello che potrebbe ricavarsi dai documenti sui Catari. È, in definitiva, ciò che Manzoni descrive mirabilmente nella Storia della colonna infame, la costruzione della figura dell’untore». Toaff si schermisce, sempre sulle colonne del Corriere, dichiarandosi stupito dalla facilità con cui i rabbini italiani hanno stroncato il suo libro senza averlo letto, «con un giro di telefonate». E si difende con forza: «Non ho detto falsità contro la famiglia cui appartengo, contro gli ebrei. So anch’io che non bastano le confessioni estorte sotto tortura per confermare un fatto. Proprio per questo sono andato alla ricerca di fonti documentarie, le quali talora avvalorano quelle confessioni; che in casi come quello di Simonino non rappresentano solo la proiezione dei desideri dell’inquisitore».
È inutile negarlo. In questa faccenda giocano un ruolo di primo piano elementi che non hanno direttamente a che fare con il contenuto del libro, ma che d’altra parte non posso passare inosservati: il cognome dell’autore, intanto, che ha immediatamente provocato la decisa reazione del padre Elio Toaff, figura storica dell’ebraismo italiano e del dialogo ebraico-cristiano. Ma anche le modalità di «lancio» del volume, con l’amplissima recensione che Sergio Luzzatto gli ha riservato tre giorni fa, definendolo esempio di «inaudito coraggio». «In effetti tutto questo desta qualche perplessità - prosegue la Caffiero -. Conoscendo la delicatezza del tema, si sarebbe potuto evitare questo clima sensazionalistico prima che il libro fosse stato letto e che dunque potesse essere oggetto di recensioni e ragionamenti seri e fondati». È colpa dell’autore, il polverone suscitato da questa pubblicazione, e della casa editrice che ha sposato questa strategia editoriale? «Se si va alla ricerca dello scoop non ci si può meravigliare. Ma in effetti questo caso è anche il risultato del trattamento che i media riservano alla storia, sempre cercando un elemento scandalistico, un tratto pruriginoso. Tutto ciò, contrariamente a quanto a volte si vuol far credere, non è indice di un maggior interesse verso il passato. E, soprattutto, non aiuta una comprensione degli avvenimenti che faccia perno su ciò che è veramente accaduto».
Ma c’è, oltre a tutto questo, un altro tema che si affaccia con prepotenza nella discussione sul libro di Toaff. Quello dell’opportunità di fare questo tipo di studio, di orientare la ricerca in questa direzione. Lo stesso autore ha detto di non potersi recare a visitare il padre, con cui peraltro ancora non è riuscito a mettersi in contatto, proprio perché in questo momento il quartiere ebraico di Roma per lui non sarebbe sicuro. Gli ebrei italiani ritengono che questo testo sia un oltraggio a tutte le persone che nella storia sono state vittime di quest’accusa; e che sia un clamoroso autogol nelle relazioni faticosamente costruite, dopo secoli di violenze, con il mondo cristiano e la Chiesa cattolica. C’era da aspettarsela, questa reazione? «Direi proprio di sì. Trasformare un’ ideologia antiebraica in una verità storica, scientificamente provata, è a dir poco dirompente. Naturalmente bisogna leggere il libro, cosa che non ho ancora avuto modo di fare nonostante ne sia molto curiosa; ma se si dimostrasse un’ operazione seria non ci dovrebbe essere alcun tabù - va avanti la professoressa - la libertà di ricerca va sempre tutelata e ribadita, come proprio alcuni giorni fa sostenevano molti storici a proposito della proposta di punire il negazionismo a livello legale; però dobbiamo scoprire se in questo caso questa libertà è sorretta e comprovata da prove e documenti. Lo studioso ha solamente questo tipo di responsabilità». Ma il sensazionalismo è, in ogni caso, un elemento negativo. Anche la copertina del libro non aiuta: «Anzi questo è un punto da mettere in luce - conclude la Caffiero -. Mettere come immagine l’ebreo con il coltello in mano che si avvicina al bambino, bè, non è proprio irrilevante. Ed anche l’utilizzo del plurale nel titolo, non è privo di significato: vuol dire che questi presunti sacrifici umani si succedevano anno dopo anno, in occasione della Pasqua, tanto che nel sottotitolo vengono definiti rituali. Tutto ciò cambia la prospettiva radicalmente, perché sposta questi gesti, ponendo che siano realmente accaduti, sul piano della pratica concreta e ripetitiva dell’ebraismo, come necessità religiosa. Il che, non solo a detta dei rabbini, non è assolutamente vero».
Rimane la sensazione che simili argomenti vadano maneggiati con prudenza: è, questa, una storia che i giovani non conoscono, e che va veicolata con molta attenzione se si ha l’obiettivo di costruire il dialogo tra le diverse culture di una società sempre più plurale. «Ho infranto un tabù - ribadisce Toaff - perché per la prima volta ad occuparsi di questo argomento è uno storico ebreo, ed il mio cognome viene strumentalizzato». Forse è vero che gli avi in questo caso pesano. Ma non solo in male: se non fosse stato un Toaff a scrivere Pasque di sangue, probabilmente, la prima reazione sarebbe stata quella di tacciarlo di antisemitismo. E non è detto che senza la garanzia di tanto cognome, Il Mulino avrebbe corso questo rischio.

A fianco del pezzo di Zevi, il quotidiano pubblica un articolo di Marco Innocenti Furina, che attacca le comunità ebraiche e i rabbini per la risposta ad  Ariel Toaff, presentato come un martire del libero pensiero, che paga un alto prezzo per aver "infranto un tabù".
Una linea editoriale, quella del quotidiano,  quanto meno ambigua.

Pubblichiamo infine una riflessione sul caso contenuta in una lettera inviata al giornale ebraico on-line Morasha:

Vorrei porre una domanda: esistono due criteri per giudicare l'antisemitismo ? se la risposta è si, vorrei mi venisse comunicato. se "Pasqua di sangue" l'avesse scritto non Ariel Taoff ma un qualsiasi Mario Brambilla, quale sarebbe stata la reazione ? Se come negli anni '70 i terroristi venivano giustificati a sinistra come "compagni che sbagliano", devo prendere atto che anche nell'ebraismo esistono gli " ebrei che sbagliano" ? allora mi chiedo con quale onestà dovrò ancora criticare i vari David Irving, se con Ariel Toaff, che con il suo libro darà un argomento grandioso agli antisemiti in tutto il mondo ( sta per essere tradotto in molte lingue, tra le quali arriverà sicuramente anche l'arabo) devo limitarmi a dirgli birichino o, al massimo, che è uno storico dal valore uguale a zero?. E su Sergio Luzzatto, ci sarà qualcuno che, nelle apposite sedi, lo paragonerà a un Finkelstein (un altro bell'esempio di "storico", quello che accusa Israele di usare la Shoah per difendere le sue azioni naziste) di casa nostra ? lasciamo perdere anche Luzzatto ? Allora lo si dica chiaro e tondo, se il mascalzone è ebreo l'accusa cade, scivola via con noncuranza. Tutto resta nell'ambito della critica accademica. Allora salviamo il soldato Sergio Romano, che non lascia passare giorno per criticare, anche lui sul Corriere, ebrei e Israele. Perchè lui sì e Toaff e Luzzato no ? Mi sento confuso, non capisco. Non mi si dica però che Ariel Toaff è solo uno stupido e che Sergio Luzzatto ci ha solo inzuppato il pane. No, non mi basta
lettera firmata

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