giovedi` 25 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Libero - Europa - Il Foglio - Apcom Rassegna Stampa
14.11.2006 D'Alema, ovvero il vecchio PCI che non è mai cambiato
nell'ostilità a Israele e nell'intolleranza verso le critiche

Testata:Libero - Europa - Il Foglio - Apcom
Autore: Angelo Pezzana - Victor Magiar - Yasha Reibman - la redazione
Titolo: «D'Alema attacca Israele, ma sui missili di Nasrallah non ha mai nulla da dire - Quel D'Alema un po' surreale - al direttore -»

Da LIBERO del 14 novembre 2006, un articolo di Angelo Pezzana sull'intervista di Massimo D'Alema all' UNITA' , sulle repliche che ha suscitato e sulla controreplica del ministro degli Esteri:

Sono lontani i tempi nei quali le opinioni  degli ebrei italiani venivano interpretate ufficialmente da Tullia Zevi o, più recentemente, da Amos Luzzatto. Allora, qualunque fossero le critiche che il PCI muoveva nei confronti di Israele, la risposta che veniva dall’Unione delle Comunità ebraiche  era sempre comprensiva verso il Partito, quello con la P maiuscola. Mai dissensi, al massimo un affettuoso rimprovero.  Per fortuna le cose non stanno più così. Se il ministro degli esteri Massimo D’Alema dichiara, a proposito delle vittime di Beit Hanun, che “ c’è chi di fronte a questa tragedia ha parlato di un ‘errore’, come un ‘errore’ ! Quello che è accaduto a Beit Hanun è il frutto di una politica, è lo sbocco di una scelta “, si becca quello che si merita tramite  Riccardo Pacifici e Yasha Reibman, i due portavoce dell’Unione delle comunità ebraiche a Roma e a Milano. I quali, senza peli sulla lingua, e soprattutto senza tessere di partito frenanti in tasca, rilasciano alle agenzie stampa dichiarazioni di fuoco. Che D’Alema merita ampiamente, essendo la sua pur breve permanenza alla Farnesina tutta costellata non di gaffes, ma di precise scelte politiche. E’ sempre stato ostile a Israele, una coerenza che gli va riconosciuta. Dopo che Hetzbollah ha lanciato la scorsa estate migliaia di missili sul nord d’Israele, non gli passa per l’anticamera del cervello di farci un salto, vedere di persona quel che Nasrallah ha combinato. No, lui va a Beirut, per vedere quello che fatto il cattivo Israele e si fa accompagnare nella visita proprio dagli Hetzbollah. Sulle truppe Onu-Unifil, quel che lo soddisfa è sapere che Israele, sotto controllo internazionale, avrà in qualche misura le mani legate. Si direbbe che lo preoccupi di più il comportamento di uno stato democratico, quale Israele è, per di più l’unico in tutta la regione, che non la Siria, che funge da territorio sul quale continuano a transitare le armi russe che l’Iran fa arrivare in Libano, per non parlare dell’Hitler iraniano Ahmadinejad, che ancora ieri proclamava al mondo intero che Israele deve sparire dalle carte geografiche. Quale impressionante silenzio su queste dicharazioni ! Sull’Unità di venerdì scorso invece,ecco la lunga intervista che, per il pesante sbilanciamento contro Israele, ha suscitato la reazione degli ebrei italiani. E non solo degli ebrei, vogliamo sperare. Forse persino qualcuno in casa DS si è accorto che D’Alema aveva superato il limite, per cui il partito ha agito come è sempre stato abituato a fare in questi casi, ha cercato aiuto nel campo avverso, in questo caso con un’intervista a Shulamit Aloni, un avvocato ex parlamentare che vive a Tel Aviv, e che ha svolto la sua parte abituale di pacifista, tanto le bastava  sapere che D’Alema è “democratico di sinistra”, come dire un caro amico, e che le sue dichiarazioni erano di fatto contro il governo Olmert, e,da brava sinistra, lo ha subito acriticamente applaudito. Ci ha provato ieri anche il povero Furio Colombo sulla medesima Unità, arrampicandosi sugli specchi per mettere il suo ministro degli esteri sotto un buon riflettore, e cercando nello stesso tempo di far filtrare qualche timida critica, avvolgendola nella triste constatazione della “solitudine di Israele”.  Ma il risultato, come sempre quando Colombo cerca di difendere Israele giustificando però il suo partito che l’attacca, è patetico. Certo, essere eletti nelle liste DS al senato non facilita la libertà di parola, e far parte di “sinistra per Israele”, al di là del nome bene augurante, non basta a garantirne i risultati . I quali,per ora, sono un D’Alema che forse non si rende conto di impersonare il doppio ruolo congiunto di von Ribbentrop e Molotov, i due tragici ministri degli esteri della Monaco degli anni ’30 che ci hanno regalato la seconda guerra mondiale, e dall’altra l’arrivo il prossimo sabato di due manifestazioni, una a Roma e l’altra a Milano, entrambe organizzate dai partiti di governo, per esprimere solidarietà ai palestinesi. I quali, tra un missile Kassam e l’altro da lanciare su Israele, ringraziano e applaudono.

Da EUROPA, l'editoriale di Victor Magiar:


È la prima volta che un ministro della repubblica fa richiesta di correo agli ebrei italiani. La loro colpa? Essere fuori linea.
Spiega Massimo D’Alema che la richiesta di David Grossman al governo israeliano di non ricorrere “solo” all’uso della forza, che «non trova una eco nel mondo democratico ebraico», «non può non porre preoccupanti interrogativi».
Si tratta di un’affermazione, quella di D’Alema, nel contempo infondata, pericolosa e non poco surreale. È infondata perché, come è a lui ben noto, sono decenni che larghissima parte del mondo ebraico (italiano e non) esprime posizioni di dialogo e di ricerca del compromesso con il mondo arabo. È la stessa linea politica e culturale che trova oggi in Grossman, Oz e Yehoshua, le voci più significative nella società israeliana; è la stessa linea politica e culturale delle associazioni ebraiche americane che nel 1993 mediarono per portare Rabin e Arafat a siglare la prima storica intesa di Oslo; è la stessa linea politica e culturale che da decenni perseguono i gruppi ebraici pacifisti: a decine in Italia, a centinaia nel mondo. È la stessa posizione, espressa con più “misura”, da tutte le istituzioni ebraiche italiane dagli anni ’70 ad oggi. Nessuno in Italia ha mai percepito le voci di Tullia Zevi, Amos Luzzatto e Renzo Gattegna come ostili alle idee di dialogo e di pace.
Quella di D’Alema è anche – ahinoi – un’affermazione pericolosa perché richiede alle comunità ebraiche, cioè a quelle istituzioni che rappresentano delle “comunità naturali” e non politiche, di rispondere delle politiche di governi altri: non succedeva da tempi bui del nostro paese, l’Italia.
Le sue parole sono anche però non poco surreali: dice il ministro che questo (ipotetico) silenzio «non può non porre preoccupanti interrogativi»: cioè, il comportamento degli ebrei è preoccupante. Infatti, in un secondo passaggio dell’intervista, insiste affermando che la cosa che lo colpisce è il fatto che i settori «più ragionevoli» della società israeliana non trovano adeguato sostegno da parte del mondo ebraico «più democratico».
È davvero surreale che chi faccia richieste di correo stia anche a compilare classifiche su chi sia «più ragionevole» o «più democratico»… Ancora di più quando nella stessa intervista, e nella sua azione “diplomatica”, il ministro non considera mai il “tasso” democratico di Hamas, Hezbollah e dei vari regimi oscurantisti dell’area mediorientale.
Gli interrogativi preoccupanti invece se li pongono molti ebrei italiani vedendo che solo il nostro ministro sembra non aver colto l’angosciante minaccia che incombe su Israele: nel campo palestinese prevalgono i fanatici di Hamas, in Libano Hezbollah si riarma nonostante la missione Unifil, l’Iran cerca di costruire la bomba atomica e minaccia ogni giorno di voler distruggere Israele. Nel contempo la diplomazia internazionale, in particolare quella europea, mette sullo stesso piano fanatici integralisti che professano idee e pratiche di genocidio ed uno Stato democratico che, nel bene e nel male, cerca una soluzione negoziata.
Sappiamo bene che il ministro non mette sullo stesso piano Israele e Hamas, ma potrebbe esprimere, per favore, almeno quando si rivolge all’opinione pubblica italiana, la stessa duttilità che usa nel giudicare Hamas, Hezbollah o l’Iran anche nel valutare le angosce di Israele? Sì, perché le parole di Grossman sono anche questo: la disperazione di una società democratica dilaniata fra il bisogno di difesa e la speranza della pace.
Nelle sue interviste il ministro sembra non considerare mai le responsabilità dei gruppi fanatici. Anzi esprime per loro uno sforzo di comprensione. Sostiene che il punto principale sia «agire spingendo Israele» ad abbandonare l’uso della forza, ma questa richiesta non viene fatta agli interlocutori di Israele.
Non possiamo che essere tutti d’accordo su una tesi che ha sempre sostenuto la sinistra israeliana (e alla fine addirittura Sharon): la soluzione è politica, la forza da sola non basta, occorre un compromesso. Ma questa affermazione ha bisogno di un presupposto fondamentale: che anche i nemici di Israele rinuncino alla forza (e al terrorismo) per accettare un compromesso politico, per accettare l’esistenza di Israele. Hamas, Hezbollah, Ahmadinejad non sembrano condividere questo punto di partenza. E allora, con chi deve trattare Israele? Ma quello che oggi preoccupa buona parte degli ebrei italiani non è la consueta attitudine di porre sul banco degli imputati lo Stato di Israele ma il fatto di aver aggiunto sullo stesso banco anche le comunità ebraiche nostrane.
Le reazioni non sono mancate e non mancheranno, e occorrerà discuterne liberamente e laicamente. L’Unità ieri ha ospitato un importante intervento di Furio Colombo che avrebbe potuto permettere di aprire una libera discussione “a sinistra”. Peccato che però all’interno del quotidiano ci fosse una pagina intera con un’intervista all’israeliana Shulamit Aloni che, ignara e digiuna di cose italiane, non ha potuto non dare ragione a delle domande poste in modo tale che anche io, se vivessi altrove, non avrei non potuto rispondere dando ragione a D’Alema. Anche questo è un fatto che pone preoccupanti interrogativi.

Dal FOGLIO, una lettera di Yasha Reibman, cui segue la risposta del direttore del giornale:

Al direttore - Massimo D’Alema chiede agli ebrei occidentali di confrontarsi con le parole di David Grossman e di non limitarsi ad appoggiare Israele. Victor Magiar, esponente dei Ds a Roma, è lapidario: “Dai tempi del fascismo non si pretendevano posizioni politiche dalle comunità ebraiche”. In realtà, già nel ’67, molti ebrei furono messi sotto torchio nei luoghi di lavoro e nel Partito in seguito alla Guerra dei Sei Giorni. E il dibattito sembra essersi fermato ad allora. Il nocciolo del ragionamento del ministro degli Esteri è presto detto: se porteremo al tavolo dei negoziati Hamas, questi si mostreranno molto più ragionevoli di quanto possa sembrare oggi. Per il presidente dei Ds, l’ideologia integralista, il rifiuto dell’esistenza dello stato ebraico e l’obiettivo conseguente e dichiarato di distruggere Israele sono solo propaganda. Questa era esattamente la posizione del Pci quarant’anni fa quando, come oggi, si riteneva sostanziale solo “l’aggressività israeliana”. Ma già allora, Emilio Sereni su Critica Marxista spiegava ai compagni il ruolo dell’ideologia religiosa nei gruppi vicini al Gran Mufti di Gerusalemme. Nel frattempo acqua e sangue sono passati sotto i ponti, nelle pizzerie, a New York come a Londra. Pensavamo che l’evoluzione di una parte importante della nostra classe politica avesse fatto abbandonare la riduzione al “sovrastrutturale” dell’elemento religioso. La tesi di D’Alema, se applicata nella realtà, potrebbe fallire e determinare un ulteriore indebolimento dei moderati e democratici palestinesi. Ma, come ha detto Raz Degan nella recente Intervista Barbarica, “Israele non può sbagliare, dietro c’è solo il mare, per il resto è circondata”. Quindi per ora, fino a quando Hamas non riconoscerà il diritto di Israele a esistere, temo che i suggerimenti della Farnesina non verranno ascoltati. Yasha Reibman, Milano

Dice che chi lo critica capisce niente.


Infine le ultime dichiarazioni di Riccardo Pacifici riportate da Apc:

 

Apc-M.O./ PACIFICI (EBREI ROMANI): D'ALEMA HA DELIRIO DI ONNIPOTENZA Embargo Hamas: "E la foto con ministro di Hezbollah?" Roma, 13 nov. (Apcom) - "Il ministro degli Esteri soffre di una sorte di delirio di onnipotenza": il portavoce della comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici , torna con questo sulle polemiche a distanza con il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, e sull'embargo dell'Italia al governo di Hamas dice: "Non riusciamo a capire la differenza tra un ministro di Hamas e un ministro di Hezbollah" "Ci troviamo di fronte a sorta di delirio di onnipotenza del nostro ministro degli Esteri", afferma Pacifici. "Cerca di darci degli incompetenti, come se non conoscessimo la realtà quanto lui. Noi vogliono continuare ad esercitare il diritto-dovere di criticare questo o quel ministro, come lui ha il diritto-dovere di esercitare il mandato ricevuto dagli elettori", afferma Pacifici. L'Italia ha applicato l'embrago al governo di Hamas? "Quella decisione è stata presa dagli Stati Uniti e dall'Unione europea e difficilmente l'Italia si sarebbe potuta sottrarre", afferma Pacifici. "E poi non riusciamo a capire la differenza tra un ministro di Hamas e un ministro di Hezbollah", aggiunge Pacifici in riferimento ad una foto che ritrae D'Alema a braccetto con un esponente del 'partito di Dio' libanese al sud di Beirut dopo un bombardamento dell'aviazione israeliana, questa estate. Pacifici, che esprime "solidarietà" per il deputato ebreo Ds Emanuele Fiano , "reo agli occhi di D'Alema di averlo criticato", e "apprezzamento" per il "memorabile" editoriale di Furio Colombo sull'Unità di oggi, afferma: "Siamo increduli di constatare che oggi D'Alema non risponde alle nostre osservazioni e critiche, pur associandoci noi al dolore delle vittime innocenti di Beit Hanun e Gaza, che sono però frutto non di una scelta deliberata come fanno invece i kamikaze palestinesi o i missili kassam sempre palestinesi". Il portavoce della comunità ebraica romana, infine, critica la "operazione sottile di stile inquisitorio" con cui "si cerca di dividere il mondo ebraico tra democratici e non democratici". "Ricordo a D'Alema che l'ultima volta che questo paese fece una conta del genere, in un appello intitolato 'Davide discoplati' e pubblicato nel 1982 su un quotidiano nazionale, partecipò a creare il terreno fertile per l'attentato alla sinagoga ad opera di un commando palestinese agli ordini di Arafat e dell'Olp in cui morì un bambino ebreo". "Devo constatare che, però, lo Stato di Israele molto spesso unisce invece che dividere il nostro paese", aggiunge Pacifici. "Ricordiamo molto bene l'assenza del ministro D'Alema alla fiaccolata dello scorso 17 luglio in favore di Israele, che vide un'ampia partecipazione bipartisan".

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione di Libero, Europa, Il Foglio ,  e Apcom


segreteria@libero-news.it
Rubrica.lettere@europaquotidiano.it
lettere@ilfoglio.it
redazione@apcom.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT