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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Repubblica - Il Messaggero Rassegna Stampa
05.07.2006 Capi d'accusa inesistenti contro Israele
e un'accorta censura delle aggressioni che subisce

Testata:La Repubblica - Il Messaggero
Autore: Alberto Stabile - Fabio Scuto - Eric Salerno
Titolo: «Gaza, scaduto l'ultimatum i carri israeliani pronti al blitz -»

Israele causa del suo male: "se non vuole trattare adesso per riavere indietro il soldato vivo, dovrà trattare domani per un nome, un destino senza certezze,«un prigioniero che potrebbe essere vivo, morto, nascosto da qualche parte o trasferito altrove», come ha spiegato più tardi un dirigente di Hamas, Osama al Muzaini, che è stato in contatto coi rapitori".
Israele pronto a colpire indiscriminatamente la popolazione civile; un' accusa "provata" con poco dispendio di energie:  basta il fatto che Israele possa colpire qualsiasi obiettivo per concludere che lo farà: "Anche stavolta il portavoce militare ha spiegato che si tratta di un´operazione per individuare e distruggere tunnel, mine, «basi del terrore». Ma di fatto, con quest´azione, l´esercito s´è attestato al centro di un crocevia strategico, e adesso controlla la strada per Jabalia e, dunque, per Gaza città, l´arteria che corre al sud e i collegamenti verso Beit Lahyah e la costa, ad ovest. Da lì non c´è obiettivo che non possa essere attaccato.
Costi quel che costi, anche alla popolazione civile"
Intanto, gli unici che, come avevano annunciato, hanno provato intenzionalmente a colpire civili sono i terroristi palestinesi che hanno lanciato un razzo contro una scuola israeliana ad Askhelon, senza riuscire a provocare vittime.
Di questo episodio non c'è traccia nell'articolo di Alberto Stabile dedicato alla denigrazione di Israele, pubblicato da La REPUBBLICA il 5 luglio 2006

Ecco il testo:

BEIT HANUN (GAZA) - In giro si vedono soltanto grossi taxi gialli con le scritte «Tv», e i soliti infaticabili ragazzini, padroni della strada anche quando la guerra sta per arrivare. Nel cielo pieno di nuvole scoppietta, fastidioso e insistente come una zanzara, il motore di un aereo-killer telecomandato. La metà dei negozi sono chiusi. Gli usci delle case sono sbarrati. Gli israeliani sono lì, dietro il filo ondulato delle dune, interrotto da un edificio della Sicurezza Nazionale Palestinese precipitosamente abbandonato nella notte.
L´ultimatum dei gruppi armati che hanno in mano il soldato Shalit è scaduto alle sei del mattino. E alla fermezza del governo israeliano i rapitori hanno voluto contrapporre un´ambiguità che non promette niente di buono. «Per quanto ci riguarda la discussione è chiusa», ha detto Abu Muthana, un portavoce dell´Esercito dell´Islam, una delle tre milizie che hanno sferrato l´attacco all´avamposto di Kerem Shalom rientrando alla base con il prigioniero. «Sia o non sia ucciso, non daremo più alcuna notizia sul suo destino». Poi, più notarile che rassicurante, ha aggiunto: «Noi non uccidiamo i prigionieri. Il nostro Islam c´impone di trattarli bene».
Sono parole che vanno interpretate anche alla luce dei precedenti.
Una chiave di lettura potrebbe essere questa: se Israele non vuole trattare adesso per riavere indietro il soldato vivo, dovrà trattare domani per un nome, un destino senza certezze, «un prigioniero che potrebbe essere vivo, morto, nascosto da qualche parte o trasferito altrove», come ha spiegato più tardi un dirigente di Hamas, Osama al Muzaini, che è stato in contatto coi rapitori.
Come è successo per Ron Arad, il navigatore abbattuto nell´85 con il suo aereo nel cielo del Libano sulla cui sorte nulla s´è più saputo.
A queste parole volutamente vaghe e minacciose insieme, il governo israeliano ha dato una risposta risoluta. «Hamas ha capito bene il messaggio - ha avvertito il ministro dell´Interno Roni Bar On -: il cielo cadrà su di loro se torcono un capello al nostro soldato». Rincarando la dose, Olmert ha evocato o spettro di una «lunga guerra».
È qui, nel nord della Striscia, che gradualmente si compie la minaccia. Un giornale, Maariv, ha rivelato che il premier, sentite le parole dei rapitori, ha dato il via libera all´esercito per la grande irruzione pianificata da tempo e temporaneamente congelata lo scorso fine settimana. Sta di fatto che, poco prima di mezzogiorno, una colonna di 15 carri armati è entrata nella zona industriale di Eretz, l´unico varco tra Israele e la Striscia rimasto fino a ieri aperto (anche se non per i palestinesi), stringendo, così Beit Hanun in una tenaglia.
Anche stavolta il portavoce militare ha spiegato che si tratta di un´operazione per individuare e distruggere tunnel, mine, «basi del terrore». Ma di fatto, con quest´azione, l´esercito s´è attestato al centro di un crocevia strategico, e adesso controlla la strada per Jabalia e, dunque, per Gaza città, l´arteria che corre al sud e i collegamenti verso Beit Lahyah e la costa, ad ovest. Da lì non c´è obiettivo che non possa essere attaccato.
Costi quel che costi, anche alla popolazione civile.
In città, la prima emergenza è l´acqua potabile. I pozzi, da cui dipende l´approvvigionamento di un terzo della popolazione sono completamente circondati. I tecnici del comune non possono andare ad accendere i motori e aprire le saracinesche. Una delegazione della Croce rossa internazionale, che abbiamo incontrato al Comune di Beit Hanun, s´è offerta di mediare e, se gli israeliani accetteranno, porterà i tecnici comunali in giro sotto la protezione del proprio emblema.
La seconda emergenza è lo stress dell´offensiva. Dopo esser penetrati nel territorio di Beit Hanun per oltre un chilometro i soldati si sono attestati in periferia, di fatto requisendo alcune case del clan al Mashri, lo stesso cui apparteneva Ismail al Mashri, il miliziano ucciso nella notte da un missile, mentre - dicono i parenti - sedeva sulla soglia della sua abitazione. Le famiglie delle case requisite sono state chiuse in una stanza, il resto è stato trasformato in caserma, ma una caserma d´occupazione.
I soldati a due passi dal centro, l´artiglieria che non dà pace, gli aerei senza pilota che incrociano nel cielo con la frequenza di un rally aereo, i bang supersonici, i missili che colpiscono qua e là i loro obiettivi: tutto questo, «sta minando la salute dei nostri figli», si lamenta Jamal Nasr, un piccolo costruttore che vive a poche centinaia di metri dalle truppe. Le infrastrutture restano nel mirino, nonostante il monito degli Stati Uniti: tre giorni fa la strada per Beit Hanun era una bella strada piana tra le campagne. Oggi è un percorso di guerra tra i crateri aperti dalle bombe.
Eppure non si può dire che "il discorso" sia definitivamente chiuso e non ci sia più spazio per la diplomazia. Inaspettatamente, mentre un portavoce dell´ala militare annunciava che i rapitori del soldato Shalit avevano ritirato il loro rappresentante negoziale, in un gesto che equivaleva a negare la possibilità di una mediazione, il primo ministro palestinese, Ismail Haniyeh, ha invitato le parti a «continuare gli sforzi politici e diplomatici e di non chiudere le porte al negoziato», lanciando un appello «perché sia preservata la vita del soldato catturato e sia trattato bene». Difficile dire se si tratti di un´intenzione sincera di chiudere la crisi in modo incruento o di un tentativo di mimetizzare la propria ininfluenza.

Un altro tassello dellla messa sotto accusa di Israele è fondato sulla strumentalizzazione dell'appello del padre di Ghilad Shalit affinché il governo israeliano per la liberazione del figlio e delle proteste degli abitanti di Sderot.
Fabio Scuto, autore del pezzo,  osa denunciare l'"indifferenza" del governo isrealiano di fronte all'insicurezza nella quale i razzi kassam hanno costretto questi ultimi.
Dimenticando che sono le limitazioni nell'uso della forza che Israele si è autoimpostosempre giudicate insufficienti dal suo giornale, a non aver permesso, fin qui  una soluzione del problema. 
Ecco il testo:


GERUSALEMME - Si è svolta in clima freddo, nonostante i 34 gradi di un sole bruciante, la prima visita del premier Ehud Olmert in "prima linea". Ieri mattina a sorpresa si è presentato, accompagnato dal ministro della Difesa Amir Peretz e dal capo di Stato maggiore Dan Halutz a Sderot, la cittadina israeliana a ridosso del confine con la Striscia di Gaza bersaglio da mesi del lancio dei razzi Qassam sparati dalle milizie palestinesi. Proprio mentre Olmert era accompagnato in un giro dal sindaco, Ely Moyal, nella zona industriale della cittadina è caduto l´ennesimo razzo sparato dai campi coltivati di Beit Hanun. Di più: in serata un altro razzo è arrivato fino ad Ashkelon, a nord della Striscia, centrando una scuola, fortunatamente vuota.
A Sderot da mesi è nato un comitato di protesta contro il governo per il disinteresse mostrato finora al dramma della piccola cittadina, dove fra l´altro il ministro della Difesa Peretz ha la sua casa di famiglia. «Colpiremo ogni elemento terroristico, e tutti coloro che colpiscono Israele non saranno immuni», ha affermato Olmert durante la visita, annunciando di aver dato istruzioni alla forze di Difesa perché proseguano con l´offensiva di terra a Gaza, nel tentativo di arginare i lanci di razzi nella zona. Ma la visita ha destato forte irritazione fra la popolazione. Dice Alon Davidi, presidente del comitato di protesta della città: «Sfortunatamente il primo ministro è venuto qui solo dopo il rapimento del soldato. Gli abbiamo scritto decine di lettere, di petizioni per fermare la minaccia dei Qassam, abbiamo pure tentato di telefonargli, ma senza risultato. E adesso si presenta qui, senza avvisare e senza essere stato invitato».
Prima di ripartire Olmert ha spazzato via le illusioni di chi crede che la crisi nella Striscia di Gaza si risolva in poco tempo: «È una guerra lunga che richiede molta pazienza, saranno necessari grandi sacrifici. Dobbiamo stringere i denti e colpire duro. Lo faremo, vinceremo e riporteremo Gilad alla sua famiglia».
Ma i due obiettivi che Olmert si è prefissato, fermare i Qassam e liberare il soldato Shalit, non possono essere affrontati con la stessa strategia. Se ne sono resi conto per primi i vertici delle forze armate, che fanno sapere da giorni di non essere contrari a un possibile scambio di prigionieri in cambio della liberazione del caporale rapito. «Alla fine potrebbe essere necessario negoziare», aveva detto lunedì il capo di Stato maggiore Halutz. Certo non rilasciando terroristi «che si siano macchiati le mani di sangue», ma magari dei palestinesi finiti in cella in base alla «Ordinanza per la prevenzione del terrorismo», come i ministri di Hamas e i deputati al Parlamento, oltre ai detenuti arrestati per reati poco gravi.
A dieci giorni dalla cattura di Gilad Shalit, per la prima volta, anche il padre del giovane caporale ha rotto il silenzio con dure critiche a quanto fatto dal governo per ottenere la liberazione del figlio. Noam Shalit è «deluso dell´operato del governo, e del fatto che Israele voglia ristabilire una deterrenza militare a Gaza a spese di mio figlio». Per Noam l´auspicio è che si apra una qualche trattativa con i sequestratori, esclusa però dal governo: «Bisogna parlare con qualcuno per avere risultati, che lo si faccia in modo diretto o attraverso intermediari». E rispondendo a una domanda, durante un programma tv su Canale 10, sul fatto che Sharon nel 2004 in cambio di un oscuro uomo d´affari rapito dagli Hezbollah libanesi liberò centinaia di detenuti arabi, Noam Shalit ha detto: «Ho ben chiaro il precedente del caso Tannebaum, non so se lo ricordano chiaramente i nostri attuali leader». Il padre del soldato ha poi raccontato la conversazione avuta con il generale Halutz dopo l´ultimatum. «Ho chiesto al capo di Stato maggiore di farsi carico e tutelare gli interessi di Gilad nei confronti dello Stato di Israele e delle decisioni del governo».

Analoghe a quelle di REPUBBLICA le scelte del MESSAGGERO.
Gaza, timori di un'invasione israeliana è il titolo della cronaca di Eric Salerno, che esordisce "Gli abitanti di Beit Hanun temono il peggio".
E gli abitanti di Aschelon che si sono visti bombardare una scuola?
Loro esagerano, come in genere gli israeliani: "Danni lievi, nessun ferito, un po'di panico" scrive il cronista che è pur disposto ad ammettere che "si tratta di un escalation importante". Non perché si colpiscono le scuole, ma perché "normalmente questi razzi rudimentali hanno una gittata di 10 chilometri ed'è la prima volta che arrivano così lontano, ossia quindici chilometri dal punto di lancio"
Sembra di sentire le fanfare e il rullo dei tamburi:la "resistenza" palestinese progredisce, Salerno se ne compiace.

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