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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Avvenire - Il Manifesto Rassegna Stampa
06.04.2006 Andare contro l'evidenza pur di accreditare Hamas
due quotidiani a confronto

Testata:Avvenire - Il Manifesto
Autore: Barbara Uglietti - Luisa Morgantini Francesca Cutarelli
Titolo: «Hamas»

"Hamas "nega" le aperture" titola AVVENIRE del 6 aprile 2006, mettendo per qualche incomprensibile ( o fin troppo comprensibile) motivo un verbo del tutto appropriato  tra virgolette che ne sminuiscono il peso.
Nell'articolo Barbara Uglietti scrive:

Dietrofront  di Hamas Ma non troppo. Dopo aver alimentato speranze ed entusiasmi  per una possibile apertura a Israele, ieri il ministro degli Esteri palestinese Mahmoud Zahar ha fatto marcia indietro, precisando che nella sua lettera al segretario generale dell'Onu Kofi Annan, lettera nella quale avrebbe indirettamente avallato un futuro a due Stati - Israele e Palestina -per la regione, non c'era alcun riferimento a una convivenza pacifica "fianco a fianco con i nostri vicini".La frase, secondo le agenzie internazionali , c'era tutta.

In realtà la frase c'era nel testo diffuso da France Presse, ma non in quello diffuso dalla Reuters che ha poi spiegato  la discrepanza con un tipico caso di "doppio linguaggio": la lettera inviata ad Annan conteneva la frase, quella diffusa nei territori no.
E' da rilevare che la frase in questione é l'unico appiglio di quanti volevano vedere nelle parole di Zahar un avvallo indiretto "a un futuro a due Stati", la Uglietti invece separa le due questioni facendo credere che vi fossero altri e imprecisati  passaggi dai quali si potesse evincere una simile intenzione.
L'imprecisione più importante é però un altra: la smentita veramente significativa giunta da Zahar é quella dell'identificazione dei "vicini con i quali vivere fianco a fianco"  con Israele.
Non é così, ha chiarito il ministro degli Esteri palestinesi: Hamas é disposta a vivere in pace con Egitto, Giordania, Libano e Siria, ma non con Israele.

La propaganda di Hamas flusce liberamente, senza alcun contraddittorio e anzi con domande che esprimono un sincero desiderio di essere ammaestrati (come "Qual è secondo lei la differenza tra resistenza e terrorismo? ") nell'intervista all'esponente di Hamas Mahmoud Al Ramahi di Luisa Morgantini e Francesca Cutarelli, pubblicata dal MANIFESTO .
Vale soltanto la pena di ricordare che quando Hamas parla di "fine della guerra" intende, mancando un suo riconoscimento del diritto all'esistenza  di Israele, tregua temporanea.
I proclami e gli inganni su questo punto servono ovviamente a dare a Israele la colpa del conflitto, nonostante i ritiri unilaterali.

Ecco il testo:

Mahmoud Al Ramahi, 43 anni, segretario generale del Palestinian Legislative Council, è stato eletto con Hamas. Ex-capo dell'ufficio politico di Hamas a Ramallah, è stato arrestato e incarcerato dal 1992-1995 per aver partecipato alla prima Intifada. Da allora si era dedicato al suo lavoro di medico. È tornato alla politica nel 2006.
Dottor Al Ramahi, quale funzione svolge nel Parlamento legislativo palestinese?
Dopo l'elezione sono stato scelto come segretario generale del Plc, il Consiglio legislativo palestinese. Il ruolo del Plc è quello di legiferare e sottoporre le leggi al Presidente Mahmoud Abbas, che può accettarle o rinviarle a noi per una modifica.
Quali sono i rapporti tra Hamas e l'Olp?
Il rinnovo dell'Olp è oggi un punto cruciale, fonte di tensioni nelle relazioni con Hamas e di grande differenza con Fatah. Bisogna sapere che il parlamento dell'Olp si è riunito l'ultima volta in Giordania ben dieci anni fa. A quell'epoca, molti partiti e frazioni non esistevano nemmeno, quindi oggi non godono di legittima rappresentanza. Hamas per esempio non fa parte dell'Olp, anche se lo è diventato automaticamente con l'elezione al Plc. Per questo pensiamo sia necessaria una sua riforma. Nel marzo 2005, è stato siglato un accordo tra tutti i partiti palestinesi per ribadire che una riforma dell'Olp era necessaria. Dopo le elezioni del 25 gennaio le cose però sono cambiate. Con la vittoria di Hamas, Fatah ha fatto un passo indietro per paura di perdere il suo potere all'interno dell'Olp e lasciare la guida ad Hamas. Da qui tutte le tensioni attuali.
Khaled Meshaal, capo storico di Hamas, da Beirut ha ribadito più volte che la lotta armata contro Israele non si fermerà...
Oggi si presenta per il popolo palestinese una grande opportunità. Hamas è molto forte e popolare tra i palestinesi, questo è un primo passo per arrivare alla pace. Hamas ha dichiarato il cessate il fuoco da quasi due anni ed è disposto a rispettare gli accordi internazionali. Noi siamo disposti a sederci attorno a un tavolo per trovare una soluzione pacifica al conflitto. Spetta a Israele, ora, lanciare dei segnali di dialogo.
Qual è secondo lei la differenza tra resistenza e terrorismo?
Noi abbiamo il diritto di combattere per la fine dell'occupazione. Non si tratta di terrorismo. Hamas non ha mai colpito al di fuori della Palestina e di Israele. Ha condannato gli attentati dell'11 settembre a New York, dell'11 marzo a Madrid, quelli di Londra. Quello che facciamo è continuare la nostra lotta nella nostra terra, nella nostra regione. Il terrorismo sparge terrore tra la popolazione civile. La nostra è una resistenza contro l'occupante che dura dal 1948.

Un'altra evidente conferma del fatto che Hamas mira alla distruzione di Israele, non alla creazione di uno Stato palestinese in Cisgiordania e Gaza. In questa seconda eventualità, infatti, non si daterebbe l'inizio della "resistenza" al 1948, anno nel quale Israele divenne indipendente, ma al 1967, anno nel quale Israele, in una guerra difensiva, si impadronì di quei territori. 

E poi Haniyeh, il nostro premier, ha ribadito, condannando ogni attentato kamikaze, che non manderebbe suo figlio a farsi esplodere. Il problema è che ci sono due pesi e due misure: tutto il mondo si indigna quando è Israele ad essere colpita, mentre tace sulle uccisioni sistematiche di civili palestinesi.
La comunità internazionale, il Quartetto, l'Unione europea hanno più volte annunciato uno stop ai fondi umanitari destinati alla Palestina, se Hamas non metterà fine alla violenza e non riconoscerà Israele. Come giudica questo, una minaccia o un avvertimento?
Si tratta di una minaccia ingiustificata. L'Olp e il nostro Presidente Mahmoud Abbas hanno riconosciuto lo stato di Israele. Il governo palestinese non è tenuto a farlo. Il riconoscimento non spetta ad un singolo partito. Perché lo chiedono ad Hamas? Inoltre Israele è uno stato, l'unico, senza confini certi. Come si può riconoscere uno Stato in questo modo? Sarebbe come riconoscere che anche Ramallah fa parte di Israele, in sostanza sarebbe una legittimazione dell'occupazione. Fateci vedere i confini certi, quelli stabiliti nel 1967, allora la guerra finirà. Per di più, la minaccia dello stop ai fondi sarà avvertita come una punizione nei confronti del popolo palestinese, che ha eletto democraticamente, in modo legittimo e trasparente, il suo governo alla presenza di osservatori internazionali. Lo stop agli aiuti aumenterà la popolarità di Hamas tra la gente.
Il presidente Abu Mazen si è congratulato con Olmert per il successo alle elezioni israeliane. Lei cosa ne pensa?
Non mi congratulo con Olmert. Rispetto la scelta del popolo israeliano che ha eletto democraticamente i suoi rappresentanti, ma fin quando continuerà questa strategia di isolamento dei palestinesi, il non riconoscimento della Palestina, le decisioni unilaterali, non vedo motivo per congratularmi. Anche gli Stati uniti si sono congratulati e hanno invitato Olmert a Washington. A noi invece non è arrivato nessun invito. E poi in realtà non si è trattato di un vero e proprio successo. Mi aspettavo una vittoria di Kadima, ma con margini più ampi. Invece ha ottenuto solo 28 seggi e dovrà per forza di cose trovare un'alleanza con i Laburisti, che sono il secondo partito. Chissà, forse, con i Laburisti di mezzo si avrà un primo passo verso la pace...
Quale è per lei la differenza tra stato Laico e stato religioso?
Hamas è un movimento politico religioso. Questo è chiaro a tutti. Nella nostra costituzione, al paragrafo 4, è scritto che l'Islam è la religione ufficiale della Palestina, ma che si devono rispettare anche le altre religioni e che la Sharia è la fonte principale della legge. Quindi una Palestina islamica era già prevista dalla Costituzione ben prima della vittoria di Hamas. Anche prima del nostro governo era previsto, ad esempio, un ministro per gli Affari religiosi. Per il momento, però, noi non vogliamo uno stato religioso per il semplice fatto che in Palestina ancora non esiste un vero e proprio stato. La nostra priorità è la liberazione, la creazione del nostro stato, la fine dell'occupazione. Non interverremo nella vita della gente, come ci accusa già la comunità internazionale, imponendo il velo o vietando gli alcolici. I rappresentanti di Hamas che sono stati eletti al Plc hanno un'alta educazione accademica, hanno studiato in Occidente, come me ad esempio, non sono mica dei Talebani. Una volta costituito il nostro stato, sottoporremo al popolo un referendum per scegliere tra un modello di stato laico e uno religioso. Poi ci limiteremo ad accettare la volontà popolare. Quello che posso dire, però, è che la soluzione laica in Palestina ha fallito. Gli ultimi venti anni lo dimostrano. Non hanno risolto niente. La corruzione e di conseguenza la debolezza dell'Anp sono state le vere cause. Ora un movimento islamico è arrivato al potere. Siamo forti. Godiamo dell'appoggio interno ed esterno. E non solo economico. Altri paesi musulmani sentono come propria la causa palestinese. Le cose cambieranno all'insegna dell'onestà.

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