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Il Giornale Rassegna Stampa
08.01.2024 Israele pronto alla fase tre. Caccia a Sinwar e Deif. Obiettivo liberare gli ostaggi
Commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 08 gennaio 2024
Pagina: 12
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Gerusalemme pronta alla fase tre. Caccia a Sinwar e Deif nel Sud della Striscia. Obiettivo liberare i rapiti»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 08/01/2024 a pag.12 il commento di Fiamma Nirenstein con il titolo: "Gerusalemme pronta alla fase tre. Caccia a Sinwar e Deif nel Sud della Striscia. Obiettivo liberare i rapiti"

Fiamma Nirenstein
Fiamma Nirenstein
Agam Goldstein il giorno della liberazione, tra le braccia di suo padre
Agam Goldstein il giorno della liberazione

La guerra a Gaza fa manovra mentre Israele deve vedersela da adesso, anche se ancora la guerra con gli Hezbollah è un insieme di missili e punti interrogativi, su due fronti: un terzo dell’esercito è già al fronte nord; si mormora con insistenza anche di una mancanza di munizioni cui supplire con l’aiuto americano. A nord e a sud sul confine città come Sderot a sud e Kiriat Shmone a nord, kibbutz, sono stati sgomberati e almeno 200mila cittadini chiedono di tornare a casa in sicurezza. Ma certo non per vivere fianco a fianco con dei nemici che promettono di uccidere tutti gli ebrei. Nasrallah ha aumentato il volume della minaccia sparando missili molto raffinati, di vario genere e grado, su importanti istallazioni israeliane sul monte Merom dopo che il suo ospite Al Haruri era stato eliminato sul suo territorio. Ma le decisioni grosse girano nella giostra della fortuna. Può diventare una guerra terribile, che investa Tel Aviv di missili iraniani, o bloccarsi sulla paura che Nasrallah ha di passare alla storia come il distruttore dell’intero Libano: questa è la minaccia, se Israele sarà costretto a entrare in guerra. L’ha ripetuto Netanyahu e il ministro Gallant ambedue d’accordo anche su un punto non facile: la guerra continua fino alla vittoria su Hamas, fino a che tornino i rapiti, finché ci sarà sicurezza per Israele. Una scommessa che ancora aspetta un piano: se ne discute freneticamente in questi giorni. A Gaza, fase di grande passaggio, dalla fase due alla fase tre. Si va dal nord verso al sud, passando per Sinwar, al centro di Khan Yunes: nei suoi anfratti di case e uffici è stato trovato di tutto, dalle armi di precisione autoprodotte, fino a grandi archivi che disegnano un’organizzazione miliardaria e minuziosamente preparata a uccidere. Una nuova foto di Mohammed Deif, ce lo mostra con una mano piena di dollari e l’altra, funzionante contro le informazioni precedenti, con una tazza di caffè. Con precisione, ricchezza di episodi e una vivacità il cui sottinteso sembra essere “noi soldati facciamo la nostra difficile parte, a voi politici le mosse politiche per il futuro”. Il portavoce dell’esercito, l’ammiraglio Daniel Hagari ha svoltato l’angolo della terza fase: già alcuni battaglioni di riserve, hanno ritrovato per il momento la via di casa; il nord della Striscia , a Jabalia e altre otto aeree, è a pezzi, i terroristi non hanno più leader nella zona, eliminati; la tensione adesso, e con imprese più specifiche e modificate, è sul centro e sul sud. Il disegno della immensa rete di gallerie diventa più chiara e molto intensa la campagna per distruggerle, si capisce che c’è un’evidente ricerca a Khan Yunis e dintorni dei grandi capi della carneficina, specie Sinwar e Deif. La grande speranza è quella di salvare un numero rilevante di ostaggi, riportarli a casa, specie le ragazze. È di questi giorni la generosa testimonianza di prigioniere tornate. Una diciasettenne, Agam Goldstein rapita dopo che le hanno ucciso il padre sotto gli occhi, ha raccontato episodi terribili di violenze sessuali e ferite alle ragazze rinchiuse con lei, i pianti, le fasciature inutili e insufficienti, la vergogna e l’oltraggio. E una madre Danielle Aloni ha raccontato come ha detto alla bambina di tre anni, mentre le rapivano per poi strapparle l’una dall’altra, che stavano per morire, e di come la creatura la consolava e le asciugava le lacrime dicendole “mamma io sto bene”. Questi e altri episodi, insieme al lutto per i soldati uccisi, ogni giorno si intrecciano con la voce del primo ministro Netanyahu di combattere fino in fondo: le insinuazioni del Washington Post che Netanyahu continui la guerra per restare al suo posto di Primo Ministro, hanno trovato la reazione scandalizzata persino di Benny Gantz. Anche i politici capiscono che niente conta fuorché la guerra di sopravvivenza, e lo si è visto anche nel rifiuto di scontrarsi sulla decisione della Corte suprema di cassare la riforma giudiziaria. Oggi il sindacato farà uno sciopero di cento minuti dalla parte dei rapiti: come se a Sinwar importasse qualcosa dello sciopero. Nulla lo smuoverà fuorché il suo obiettivo: una tregua lunga, che gli dia il tempo di riorganizzarsi, o addirittura l’interruzione della guerra. Non avverrà anche se ci cerca di spaventarlo da una parte, e dall’altra di attrarlo con uno scambio di terroristi pesanti. Si misura qui il tema molto interessante e spaventoso di come a fronte della furia ideologica del mondo islamico, degli attacchi terroristici, Israele e gli americani, fanno di tutto per mantenere un terreno di discussione in cui tutti gli attori, nazionali e internazionali, portano opinioni diverse e mosse contrastanti. Per esempio, il messaggio che Blinken porta qui oggi a Netanyahu è evidente: “Non vogliamo vedere un’escalation a nord”. Dall’altra parte è stato proprio lui che pochi giorni fa ha dichiarato che Israele deve riportare la gente nei luoghi da cui sono stati espulsi. Hochstein viaggia in Libano cercando un rapporto fra le parti con pochissime possibilità di successo mentre Blinken dice a Erdogan, dopo che ha dato di Hitler a Netanyahu: “Se vuoi conservare un ruolo, calma”. Poi, è andato a Doha… e via avanti. Adesso spera che da un cocktail avvelenato, esca una nuova ricetta.

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