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Il Giornale Rassegna Stampa
20.05.2021 Ancora missili su Israele. Ma una tregua è possibile, ecco perché
Analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 20 maggio 2021
Pagina: 14
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Israele valuta la tregua, Biden chiama Netanyahu: 'De-escalation da oggi'»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 20/05/2021, a pag. 14 con il titolo "Israele valuta la tregua, Biden chiama Netanyahu: 'De-escalation da oggi' ", l'analisi di Fiamma Nirenstein.

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Fiamma Nirenstein

La sorpresa è venuta dal nord con quattro spari dal Libano, dopo una giornata bollente di missili al sud: i razzi sono stati sparati da organizzazioni palestinesi collaterali a quella di Hassan Nasrallah, gli Hezbollah. Una finta diplomatica, ma è solo lui che può permetterlo, e l'Iran, il suo boss, che può chiedere di creare un rumore di applausi per l'uscita dalla guerra di Hamas, per altro molto desiderata a Gaza, ormai semidistrutta negli uomini e nelle cose. E' la terza volta che il nord d'Israele viene attaccata dal Libano per segnalare che Hamas non è solo. La gente che abita sul lago di Tiberiade e in Galilea ha aperto i rifugi, una donna là colpita da un attacco al cuore è in condizioni molto gravi, le memorie della guerra del 2005 col Libano ha serpeggiato fatale fra la gente. È un tentativo di disegnare una uscita in pompa magna, con Hezbollah infuriato, gli arabi israeliani in sciopero, attentati terroristici dall'Autorità palestinese, l'Europa e gli Stati Uniti percorsi da manifestazioni in cui Israele viene condannato, delegittimato nel suo diritto all'autodifesa, chiamato Stato d'apartheid. E infine, fermato.

Ma non funziona: per quanto sia, per quanti spari risuonino nell'aria, per quanto si sia seguitato anche ieri a correre nei rifugi, Israele ha distrutto l'attuale potere di Hamas. E non ha ancora del tutto finito: ieri Netanyahu, dopo un'altra giornata in cui Israele ha seguitato a rispondere ai missili distruggendo le strutture di Gaza fisicamente connesse al terrore e a perseguire i suoi uomini, ha ribadito l'intenzione definitiva, indiscutibile, di bloccare il terrorismo dei missili in maniera decisa, di lunga durata, senza stare a sentire nessuno. L'ha detto di nuovo alla stampa anche dopo la telefonata, arrivata sullo sfondo del rumore delle armi, di Biden: la quarta dall'inizio del conflitto, in cui però il presidente ha segnalato che l'operazione "Muro di difesa" ha esaurito il credito del Governo democratico: "Dato il progresso di Israele nel distruggere le strutture terroristiche di Hamas" -ha detto il Presidente-"Ci aspettiamo una ‘descalation’ oggi stesso". Ma Netanyahu dopo il colloquio ha ringraziato cerimoniosamente per il sostegno al diritto di autodifesa da parte degli USA in tutti questi giorni, dimostratosi anche bloccando le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU che chiedevano la fine degli scontri tout court, ma ha anche detto che finchè c'è da fare, si continua. Tuttavia Netanyahu non ha intenzione di entrare in un aperto conflitto col Presidente che in questi giorni gli ha inaspettatamente dimostrato disponibilità nonostante le vocali prese di posizioni di molti suoi membri del parlamento e del partito come le MP della "Squad". La via d'uscita è a portata di mano, ma non è facile da trovare.

Si parla già della data, oggi, e dell'ora, le sei di mattina, ma il labirinto mediorientale contiene norme drammatiche e bizzarre, svolte improvvise, varianti. Israele ha passato una giornata difficile nonostante sia evidente che Hamas ha urgenza di trovare la tregua: Gaza è in stato comatoso, con gli edifici legati ad Hamas veniva distrutti, i leader più importanti uccisi o in fuga, la rete della sua ricchezza strategica fondamentale, le gallerie destinate al terrorismo e alla sua preparazione tecnica sotterranea distrutte. Sarebbe facile entrare e distruggere la struttura di potere dell'organizzazione islamista terrorista: ma non è questo che Israele cerca, né spera che Abu Mazen possa prendere il posto a Gaza. Nessuno vuole questa gatta da pelare. E anche nei toni di doverosa richiesta dell'Unione Europea alle parti di trovare la strada per un cessate il fuoco, si avverte che solo Paesi come l'Irlanda, appassionati sostenitori dei palestinesi, non denunciano l'affaticamento di una dedizione mal ripagata, in cui i grandi contributi politici e di denaro vengano sprecato in corruzione della leadership, violenza, missili. Domani, a fianco dei movimenti europei per la pace, c'è in arrivo oltre che al ministro degli esteri tedesco anche una delegazione larga di ministri degli esteri europei sostanzialmente solidali con Israele. Il governo israeliano pur senza aspettarsi una "foto opportunity" della vittoria, tuttavia deve distruggere la prospettiva almeno immediata di una ripresa della violenza, deve bloccare i terroristi, ottenere una situazione in cui sia la Jihad Islamica che Hamas, debbano cessare di concordare i tiri a turno (i lanci più vicini quelli della Jihad Islamica, diretti nel vicino sud, quelli che si spingono fingono alla costa di Tel Aviv nelle mani di Hamas). Se non ci saranno fatti nuovi, l'interesse dovrebbe spingere in questo senso, almeno al momento. I leader di Hamas che non sono all'estero sono tutti nei nascondigli, molti sono stati eliminati, altri probabilmente lo saranno. Ieri la giornata ha portato il segno della caccia al simbolo più evidente della Guerra Santa di Hamas, Mohammed Deif, la primula rossa che ha lanciato tutte le varie fasi della lotta armata, azzoppato, semi cieco a causa degli attacchi israeliani, a causa loro vedovo, adorato dai suoi per la modestia e la fedeltà, il carceriere assassino di Nachshon Wachsman, esperto in attacchi agli autobus di Gerusalemme e di Ashkelon, mandante di almeno cinque terroristi suicidi uccisi. I servizi israeliani hanno fatto sapere che l'hanno quasi trovato per due volte in questi giorni, uscito da chissà quale sotterraneo, ma per ora Deif, la voce che in prima persona ha lanciato questa ennesima guerra santa contro la gente di Israele, è al largo. Anche qui, niente foto della vittoria. L'Egitto sembra abbia ormai il nulla osta per cercare una pausa difficile quanto indispensabile, con due sfondi in realtà inconciliabili, quelli da cui si riaffaccia la guerra di religione dell'Islamismo nei secoli.

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