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Il Giornale Rassegna Stampa
17.05.2021 La crisi di Gaza e la politica di Israele
Analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 17 maggio 2021
Pagina: 12
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «E nel caos Netanyahu torna centrale»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 17/05/2021, a pag. 12 con il titolo "E nel caos Netanyahu torna centrale" l'analisi di Fiamma Nirenstein.

A destra: Benjamin Netanyahu

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Fiamma Nirenstein

Nell'angolo delle notizie che occupano gli schermi, le menti e i cuori di tutti in Israele, nella paura e nella speranza, mentre ci si interroga su questioni di strategia e di sopravvivenza, si affaccia anche una strana vicenda politica: Bibi Netanyahu riemerge dopo la fallita formazione del governo, e Lapid, che ha ancora due settimane di tempo, sembra affondare. Intanto, nell'Autonomia Palestinese, perde contorno la figura di Abu Mazen, ormai né consultato né considerato a fronte di un Hamas fiammeggiante che domina la mente e i cuori dei palestinesi nella guerra senza tregua contro Israele, anche nell'Autorità palestinese. In Israele, lunedì scorso, alla tv appariva cosa fatta il Governo che avrebbe spodestato Netanyahu dopo dodici anni da Primo Ministro: sarebbe stato un Governo di cambiamento, di sinistra e di destra, di leader concordi su una parola d'ordine nata da sentimenti politici e personali: chiunque fuorché Bibi. I due leader, uno di destra Naftali Bennett ("la destra") e uno di centro sinistra Yair Lapid ("C'è un futuro") si erano accordati per un Governo di rotazione di cui erano stati già fissati persino i Ministri. Bennett, che si staccava dalla casa madre , avrebbe avuto il primo turno nella rotazione poi destinata a Lapid, ambedue sarebbero stati Ministri degli Esteri, Gantz alla difesa, e Avigdor Lieberman alle Finanze. Il punto finalmente risolto con infinite discussioni era quello sui partiti arabi: il king maker sarebbe stato il religioso islamico della Fratellanza Musulmana, astuto e realista Mansour Abbas, con un partitino capace di far raggiungere al gruppo i 61 seggi necessari per il Governo.

Ebbene, a quel punto, proprio di lunedì, si è aperto l'inferno con la conseguente secessione di Bennett: Hamas ha scatenato la guerra prima sui perfidi israeliani e le loro intenzioni di occupare la spianata delle Moschee e espellere i musulmani da Gerusalemme, poi con la spettacolare ouverture, dopo duri scontri, della salva di missili proprio sulla capitale Gerusalemme; il sud veniva, come ieri per tutta la giornata e nei sei giorni precedenti, investito dalla pioggia di fuoco. Poi, Tel Aviv e la costa superpopolata. E' stato un gesto che ha rivoluzionato la politica israeliana, anche perchè seguito a ruota da manifestazioni violente con fuoco, distruzione e linciaggi contro cose e persone da parte della popolazione araba israeliana, peraltro fomentata dalla risposta di gruppi estremisti di ebrei. E' qui che la formula Lapid-Bennett si è rotta, ed è tornato in gioco Benjamin Netanyahu.

A fronte di una guerra con Gaza e un fronte interno allargato al West Bank e ai confini con il Libano, è molto difficile che un governo come quello in fase di organizzazione avrebbe trovato una linea comune. Bennett ha detto che allo stato delle cose, e dopo che Abbas aveva sostenuto la chiamata alle armi per Gerusalemme di Hamas, non gli era più possibile immaginare un'azione comune. Adesso, mentre le trattative sono rallentate dalla festa ebraica di Shavuot, la destra di Bennett e anche quella più secessionista di Gideon Saar torna però a parlare, di nuovo appare la rotazione con Bennet come numero uno e poi Netanyahu. Certo, mentre Israele soffre, la discussione su Netanyahu torna ai toni da campagna elettorale. Dicono i suoi critici: non ha forse sbagliato quando, quando pur sapendo che coi denari del Qatar che permetteva a Hamas di ricevere e con cui Gaza preparava le milizie alla guerra senza quartiere, riceveva missili dall'Iran, li puntava su Gerusalemme, Bibi puntava allo stato quo? non avrebbe invece dovuto avviarsi a una strategia più decisa, nell'intenzione di eliminare una volta per tutte presenza del cancro che tiene due milioni di palestinesi a Gaza prigionieri? Paradossalmente, l'accusa che gli viene fatta oggi di non aver voluto allora, e in fondo di non cercare neppure oggi, una guerra definitiva ma solo la distruzione dell'apparato bellico, gli viene dalla sinistra: non è stato abbastanza guerrafondaio. Lo si accusa di non aver voluto cancellare la leadership di Hamas ma di aver rinnovato uno status quo che poterà a altre sofferenze per Israele, e di non aver saputo convincere gli arabi israeliani della bontà dell'integrazione raggiunta. E ne sentiremo di ben altre nei prossimi giorni, quando il rumore delle esplosioni sarà meno forte e si capirà se si va di nuovo a un governo di destra o alle elezioni. O, chissà. Intanto, qui Hamas deve essere fermata: questo è lo scopo, e Netanyahu lo ripete ogni giorno mentre l'esercito combatte una guerra difficile e la gente resiste valorosamente.

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